Newton aveva naturalmente ben presente che la sua teoria era esposta a forti critiche per quanto riguarda la non osservabilità delle posizioni spaziali e dello scorrere del tempo in loro stessi. È in risposta a queste critiche che egli presenta il famoso argomento del secchio (che anche noi esporremo poco più avanti)29.
Per capire in maniera più concreta in cosa consista il problema rivolgiamoci agli stati di riposo e di moto rettilineo uniforme di cui parla la prima legge del moto. È stato per primo Galileo a notare come, dal punto di vista fisico, non si possa riscontare differenza tra sistemi di riferimento fermi e sistemi di riferimento che si muovono a velocità costante (come, appunto, quelli in moto rettilineo uniforme). L’espressione “dal punto di vista fisico” significa: per poter effettuare previsioni accurate sul movimento dei corpi, prendere come punto di vista – come sistema di riferimento, appunto – quello di un osservatore che è fermo o quello di un osservatore che si muove di moto rettilineo uniforme funzionano altrettanto bene. Il punto importante è naturalmente che i sistemi di riferimento sono fermi o in movimento gli uni rispetto agli altri, e che non ha senso parlare di un osservatore che sia fermo o che si muova in assoluto. Questo è quello che è chiamato principio di invarianza galileiana. Per fare un esempio molto basilare, poniamo che io mi trovi di fronte a un binario e che veda passare un treno che si muove a velocità costante. Poniamo che abbia in mano una pallina da tennis e che la lanci in aria per poi riprenderla. Se stabilisco me stesso come “centro” del sistema di riferimento, e cioè come osservatore immobile, e ho le conoscenze fisiche soddisfacenti posso essere in grado di fare previsioni sul movimento della pallina per sapere che, se lanciata in un certo modo, mi ricadrà in mano. Ora, rispetto a me il treno che è passato si muoveva di, per esempio, 100 chilometri all’ora. Se però mi metto dal punto di vista di un osservatore sul treno, stabilendo un nuovo sistema di riferimento che ha egli e non
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Così come è su questi temi che si sviluppa la famosa corrispondenza tra Leibniz e Clarke, il primo come sostenitore di una teoria relazionista dello spazio e del tempo e come critico di Newton, e il secondo come suo difensore.
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me all’origine, allora non sarà più il treno a muoversi, ma sarò io che sono sul binario: sarò io ad allontanarmi dal treno alla velocità di 100 chilometri all’ora. Se l’osservatore sul treno avesse i miei stessi dati riguardo la forza impressa alla pallina da tennis potrebbe fare previsioni equivalenti alle mie sulle sua traiettoria? Potrebbe cioè riuscire a prevedere che la pallina ricadrà nella mia mano? Sì, può fare previsioni accurate tanto quanto le mie a patto che attribuisca anche alla pallina una velocità per cui essa si allontana dal treno a 100 km/h. Deve cioè attribuire alla pallina una velocità per cui essa non solo si allontana dalla mia mano, ma si allontana anche dall’osservatore che sta sul treno.
Vediamo dunque che non solo i sistemi di riferimento che si muovono di moto rettilineo uniforme l’uno rispetto all’altro sono tra loro indistinguibili – e cioè non c’è modo di stabilire chi tra me e l’osservatore sul treno si stia “davvero” muovendo – ma anche che, con i giusti accorgimenti, essi possono dare le stesse previsioni. Non è quindi lecito parlare di velocità assolute, cioè di velocità che le cose possederebbero indipendentemente da tutto il resto. La teoria di Newton però ha bisogno di queste velocità, poiché è a questo tipo di velocità che fa riferimento la prima legge del moto. Per esempio, per Newton dovrebbe essere possibile stabilire che è il treno a muoversi davvero, e non perché si muove relativamente a me ma perché in diversi momenti occupa punti diversi dello spazio. Tuttavia, come osservato, questi punti dello spazio non empiricamente rilevabili.
Abbiamo quindi un doppio problema: lo spazio in se stesso non è rilevabile in quanto entità, e non serve per le previsioni.
Mettendo per un momento questo problema da parte passiamo a esaminare la seconda legge del moto.
LEGGE II: Il cambiamento nel movimento è proporzionale alla forza impressa30 e avviene lungo la linea retta sulla quale è impressa tale forza.
Per la prima legge lo stato naturale dei corpi era di essere fermi o in moto rettilineo uniforme. Dunque, se un corpo si muove di un altro tipo di moto vuol dire che ci sono delle forze che agiscono su di esso. La seconda legge ci spiega proprio il modo in cui queste forze agiscono. Questa legge serve a Newton per, tra le altre cose, spiegare il
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Come precisa Maudlin (2012, pag. 19), il termine “forza” utilizzato da Newton corrisponde per noi oggi alla nozione di impulso.
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moto circolare, poiché per lui contrariamente ad Aristotele (e anche a Galileo) non ci sono corpi che possiedono naturalmente una tendenza al moto circolare. Dopotutto, la necessità di spiegare questo movimento e non di assumerlo come primitivo deriva dall’intenzione di Newton di produrre una teoria universale, che possa valere per spiegare il movimento di tutti i corpi (compresi per esempio i pianeti). Senza dilungarsi troppo sulla spiegazione, che come tutti sanno coinvolge la forza di gravità, per Newton il moto circolare è un moto accelerato; cioè, i corpi che si muovono di moto circolare cambiano a ogni momento la loro velocità.
Possiamo allora notare che la seconda legge del moto necessita di due distinzioni: quella tra corpi in movimento e corpi non in movimento (in questo senso la seconda legge si appoggia sulla prima, ereditandone i problemi); e quella tra corpi che accelerano e che non accelerano.
Il problema è che per l’accelerazione può riproporsi lo stesso discorso che per le velocità. Riprendiamo il caso di me che sto di fronte a un binario. Poniamo che io veda passare un altro treno, il quale stavolta si muove di moto accelerato. Dal mio punto di vista è il treno che mi supera accelerando, ma dal punto di vista di un osservatore sul treno sono io che mi allontano accelerando nella direzione opposta. Per cui, anche per quanto riguarda le accelerazioni non sembra aver senso parlare di accelerazioni
assolute, ma solo di corpi che si muovono accelerando l’uno rispetto all’altro.
È qui che può entrare in gioco l’argomento del secchio. Esso può essere inteso come una sorta di argomento empirico a favore della distinzione tra accelerazioni assolute e relative. L’argomento è il seguente: immaginiamo di riempire un secchio con dell’acqua e di appenderlo da qualche parte con una corda. Poi torciamo la corda di modo che, quando rilasciata, per tornare al suo stato di partenza eseguendo la torsione inversa faccia ruotare il secchio. Il secchio, ruotando, imprimerà una forza all’acqua che contiene. Cosa osserveremo quindi? Vedremo che inizialmente solo il secchio ruota e la superficie dell’acqua rimane immobile ma, successivamente, anche la superficie dell’acqua comincerà a ruotare e i bordi di tale superficie di solleveranno rispetto al centro. È lecito quindi domandarsi: a cosa è dovuto l’effetto che osserviamo, e cioè il sollevamento dei bordi dell’acqua? Newton risponde che ovviamente tale effetto è dovuto al fatto che il sistema stia ruotando. Come abbiamo visto, il moto circolare è un moto accelerato; possiamo quindi dire che le molecole d’acqua si stanno muovendo di moto circolare. Possiamo interpretare questo movimento servendoci solamente delle accelerazioni relative? Newton risponde di no, poiché le accelerazioni relative non
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basterebbero a spiegare l’effetto osservabile del sollevamento dell’acqua. Tale effetto è uno di quelli che vengono chiamati effetti inerziali, e tali effetti concernono proprio l’applicazione delle forze.
Per fare un altro semplice esempio di effetto inerziale ritorniamo al caso di me al binario e del treno che accelera. Per quanto riguarda l’accelerazione relativa non c’è differenza tra i due sistemi di riferimento. Tuttavia solo il passeggero del treno, se esso accelerasse abbastanza, avvertirebbe l’effetto di essere schiacciato contro il sedile, effetto risultante dall’applicazione di una forza. Poiché tale effetto è legato al movimento, è necessario presuppore che il passeggero del treno si stia muovendo di moto accelerato, e che la sua accelerazione non potrà essere solamente relativa ma sarà invece un’accelerazione assoluta.
Ecco quindi che Newton ha dalla sua un argomento in favore della distinzione tra accelerazioni relative e assolute e, in relazione a queste ultime, è anche un argomento a favore della necessità di parlare di uno spazio relativamente al quale i corpi accelerino.
Avremmo quindi salvato lo spazio e le accelerazioni assolute. Che dire invece delle velocità assolute? Esse sono a tutti gli effetti non riscontrabili empiricamente; sarebbe quindi ottimale se si potesse riformulare teoria di Newton facendone a meno. Questo può essere fatto se ci spostiamo dalla sua concezione originale dello spazio e del tempo allo spazio-tempo neo-newtoniano.
Seguendo la teoria newtoniana originale potremmo dare la seguente rappresentazione diagrammatica del moto di due corpi che si scontrano:
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Ciò che si vedono in tale figura sono diversi istanti di tempo rappresentati come dei piani, chiamati piani di simultaneità e dei punti spaziali che, come vuole la teoria di Newton, mantengono la loro identità nei diversi piani. Poter reidentificare i punti spaziali tra i diversi piani è necessario per poterli impilare correttamente. La linea che otteniamo unendo i diversi punti rappresenta la traiettoria del corpo. Sfruttando l’identità dei punti spaziali per impilare correttamente i piani otteniamo quindi una rappresentazione del movimento nello spazio tra i diversi istanti di tempo.
Questa rappresentazione fa quindi uso delle velocità assolute. Se vogliamo liberarcene dobbiamo fare a meno di dare dei nomi ai punti spaziali. Perché questo? Bisogna notare innanzitutto che la possibilità di reidentificare i punti spaziali tra i diversi piani di simultaneità permette di stabilire relazioni di distanza tra diversi punti nei piani. Per esempio, con un sistema di coordinate si potrebbe stabilire la distanza tra
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la posizione che il corpo A occupa in t=0 e quella che occupa in t=3. È grazie alla possibilità di stabilire tali distanze che si può parlare di velocità assolute (dobbiamo ricordarci infatti che il valore della velocità in fisica è dato dallo spazio percorso fratto il tempo impiegato). Per fare a meno delle velocità assolute scegliamo allora di fare a meno delle relazioni di distanza tra diversi piani; dobbiamo quindi fare a meno dei punti spaziali che permangono nel tempo. Non potremo quindi fare più affermazioni del tipo “A si trova nello stesso posto in cui era a t=0”. La nozione di “stesso posto” non è più ben definita.
In questo modo cambia anche l’interpretazione che diamo del diagramma. I punti che formano i piani di simultaneità non rappresentano più punti dello spazio ma eventi. La nozione di evento per come è utilizzata in fisica può essere definita nel modo seguente:
“…un brevissimo accadimento fisico, quale un lampo di luce o uno schiocco di dita, e si rappresenta in modo idealizzato con un punto spazialmente e temporalmente inesteso” (Dorato 2013, pag, 24)
Tutto ciò di cui abbiamo bisogno sono le velocità relative tra corpi, ognuno dei quali potrà in linea di principio fare da sistema di riferimento. Se scegliessimo per esempio di prendere come sistema di riferimento A, gli assegneremmo come coordinate (0,0) e rappresenteremmo la sua traiettoria tramite una linea perpendicolare ai piani di simultaneità. Una linea perpendicolare ai piani di simultaneità rappresenta la traiettoria di un corpo a riposo. Le coordinate delle diverse posizioni di B possono quindi essere ottenute se, tramite un’apposita trasformazione, facciamo in modo di conservare le velocità relative. Esse sono rappresentate nel diagramma dall’inclinazione di una linea rispetto a un’altra; la trasformazione da un digramma all’altro deve dunque mantenere tale rapporto. Ciò che è importante notare è che, avendo eliminato l’identità dei punti spaziali, non c’è più un solo modo giusto di impilare i piani, ed è questo che rende possibile scegliere diversi sistemi di riferimento per rappresentare gli stessi moti. Le trasformazioni che permettono di passare da un sistema di riferimento a un altro vengono chiamate trasformazioni inerziali.
L’ultimo passo che ci manca è quello di inserire le accelerazioni assolute. Qui entra in gioco la fondamentale distinzione tra linee dritte e linee curve. Le linee dritte saranno sempre associate a sistemi di riferimento inerziali, cioè sistemi di riferimento a risposo
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o che si muovono di moto rettilineo uniforme. Le linee curve invece rappresentano sistemi che accelerano:
A fronte dell’analisi dell’argomento del secchio, sappiamo che dobbiamo utilizzare linee curve per rappresentare corpi che subiscono effetti inerziali, cioè corpi sui quali agiscono delle forze. Ciò che per noi conta è che le trasformazioni inerziali conservino la differenza tra linee dritte e linee curve; cioè la distinzione tra i moti di quei corpi che si muovono con accelerazione assoluta e quelli che si muovono di moto inerziale.
L’accelerazione assoluta può essere calcolata nel seguente modo: selezioniamo un punto della traiettoria dell’oggetto come punto d’inizio e prendiamo un sistema di riferimento per il quale l’oggetto è a riposo in quel punto. Poi selezioniamo un altro punto della traiettoria come punto di fine e un altro sistema di riferimento per il quale l’oggetto è a riposo in questo secondo punto. Calcoliamo la velocità relativa del secondo sistema rispetto al primo. Infine dividiamo questa velocità per l’unità di tempo e otterremo il valore dell’accelerazione assoluta. La peculiarità di tale calcolo è che poiché utilizza soltanto velocità relative permette di arrivare a un risultato su cui tutti i
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sistemi di riferimento concordano. Ed è per questo che si può parlare di accelerazione assoluta: il suo valore non dipende dal sistema di riferimento.
Concludiamo la nostra breve disamina dello spazio-tempo neo-newtoniano con le seguenti considerazioni:
In tale spazio-tempo c’è una distanza temporale assoluta – cioè indipendente dal sistema di riferimento – tra ogni coppia di eventi. Questo grazie al fatto che nella teoria di Newton il tempo scorre uniformemente in tutti i sistemi di riferimento.
È sempre possibile raggruppare in un piano di simultaneità eventi tra i quali non c’è intervallo temporale. Questa operazione si chiama foliazione dello spazio-
tempo.
Le velocità non sono proprietà reali dei corpi. Abbiamo infatti visto come si possano attribuire ai corpi in movimento solo velocità relative, e questo perché è assente una nozione ben definita di distanza spaziale tra diversi piani di simultaneità.