• Non ci sono risultati.

Il presentismo del punto e il presentismo del cono

Una via alternativa a quella che invoca una foliazione privilegiata è quella di scindere le nozioni di coesistenza e di simultaneità. Infatti, l’argomento PR si basa implicitamente su un certo modo di intendere la simultaneità, cioè quello che noi abbiamo precedentemente definito così:

SIMULTANEITÀ: Presi due eventi e1 ed e2, essi sono simultanei se e solo se tra essi

non intercorre alcun intervallo temporale.

Come abbiamo visto, per le teorie A tradizionalmente intese c’è un legame stretto tra tale definizione della simultaneità e il presente: quest’ultimo non è altro che una classe di eventi simultanea secondo tale definizione. Precedentemente (sez. 2.2 e 2.3) abbiamo fornito numerose ed esaustive motivazioni per rifiutare le nozioni teoriche con le quali è generalmente formulata una teoria A – in particolare la nozione di “istante” e la proprietà Presente – e si è fatto vedere come si può formulare una teoria dinamica del tempo, e in particolare una teoria presentista, facendo bene a meno di tali nozioni. Abbiamo chiarito come, in un tale scenario, non si possano continuare a utilizzare i termini di “simultaneità” e “presente” nello stesso senso.

Possiamo quindi sfruttare qui una suggestione simile: la simultaneità non può essere intesa nello stesso modo nello spazio-tempo pre-relativistico e in quello relativistico. Il teorico B che volesse appoggiarsi all’argomento PR sarebbe quindi colpevole di non prendere davvero sul serio la relatività, appoggiandosi a una concezione della simultaneità, e quindi del tempo, pre-relativistica; non dovrebbe quindi sorprendere troppo che il risultato sia un universo in cui tutti gli eventi, anche quelli temporalmente separati, esistono ugualmente come congelati in un blocco atemporale (è questo il cosiddetto block universe). Il teorico A può allora decidere di slegare il presente, così centrale per la sua concezione dinamica del tempo, dalla simultaneità per come finora

129

l’abbiamo definita, e individuare il presente in un’altra struttura che non sia quella dell’asse temporale.

Prima di vedere come ciò possa essere fatto, prendiamo in considerazione un’obiezione di principio a questa mossa del teorico A, cioè una difesa della premessa (P1) dell’argomento PR:

“Per difendere la prima premessa di tale argomento, la nozione di simultaneità è sufficiente: intuitivamente, se un evento b sta accadendo simultaneamente all’evento a (presso cui è collocato un osservatore O) e relativamente al sistema di riferimento di O, non c’è ragione di pensare che b non esista rispetto ad a solo perché b è inaccessibile epistemicamente rispetto ad a (per avere informazioni su b un osservatore O che sia in a deve aspettare che un raggio di luce emesso da b arrivi a intercettare la sua linea di universo…)” (Dorato 2013, pag. 44)

Ora, il problema di questa obiezione sta tutto nel senso di quel “intuitivamente”. È intuitivo pensare che due eventi che sono simultanei – cioè a cui assegniamo lo stesso valore della coordinata t – esistano entrambi perché stiamo ancora operando in termini di una concezione profondamente A teorica che identifica il presente con una certa definizione della simultaneità. Se tuttavia è il teorico A stesso a scegliere di superare questa concezione in uno scenario relativistico, non sarebbe niente meno che una petizione di principio il continuare ad affermare che è “intuitivo” pensare che la simultaneità, nel senso in cui sopra, implichi la coesistenza. Alternativamente, se si volesse continuare a mantenere l’affermazione per cui la simultaneità implica la coesistenza, si potrebbe dire che il teorico A sta allora cambiando il senso stesso della simultaneità, la quale smette di coincidere con l’asse temporale (vediamo quindi che il rapporto tra presente e simultaneità nel senso classico è fondamentalmente un problema terminologico).

La prima cosa da specificare è che staccando il presente dall’asse temporale, il teorico A deve rinunciare a un presente di estensione globale. Le strutture con le quali si è proposto di identificare il presente in uno scenario relativistico sono sì invarianti tra sistemi di riferimento – e in questo senso si preserva un presente assoluto (e quindi oggettivo) – ma non si estendono a tutti i punti dello spazio. Il problema del presente identificato con l’asse temporale è che, nella relatività speciale, esso è sì globale – preso un valore della variabile t esiste un evento per ogni assegnamento di valori alle variabili

130

spaziali x,y,z – ma non è assoluto, poiché per via della relatività della simultaneità dipende dal sistema di riferimento. Il teorico A può allora rinunciare al presente così inteso, e cercare una sua collocazione migliore all’interno di qualche struttura relativistica invariante.

Una prima proposta in questo senso è stata fatta da Howard Stein (1968, 1991). Egli parte proprio dal contestare a Putnam che la nozione di simultaneità da lui utilizzata sia inadeguata a caratterizzare quella di presente nella relatività:

“Se ‘essere presenti l’uno all’altro’ degli eventi è inteso a significare che ognuno di

essi è, per l’altro, già divenuto, allora nella teoria pre-relativistica abbiamo il concetto

ordinario [di simultaneità]; ma nello spazio-tempo di Einstein-Minkowski il presente di

un evento è costituito da esso soltanto. In questa teoria, quindi, il presente tensionale

non può mai essere applicato correttamente a oggetti “estranei” [cioè che si trovano nell’altrove assoluto]. Questa è una conseguenza di base (peraltro piuttosto ovvia) del nostro aver adottato un linguaggio relativisticamente invariante – visto che, come sappiamo, non c’è nessuna nozione relativisticamente invariante di simultaneità” (1968, pag. 15)

Il contenuto di questo complesso passaggio diverrà chiaro man mano che esporremo la proposta di Stein. Egli definisce il passaggio del tempo come il progressivo “divenire reale, o determinato, di ciò che non è ancora reale o determinato” (1968, pag. 14). Egli sostiene che la realtà sia sottoposta a una “evoluzione temporale” in questo senso: il passaggio del tempo è ciò che rende determinate delle porzioni di realtà, appunto, che prima non lo erano. È chiaro perché il teorico A possa sfruttare questa concezione.

Per Stein, chi voglia sostenere una concezione di questo tipo – che noi possiamo qui assimilare a una teoria dinamica del tempo – deve dare una risposta a due domande. Uno: qual è la natura spazio-temporale degli “stadi” con cui la realtà diviene? Due: con quale criterio si deve distinguere a ogni stadio, ciò che è già divenuto ed è quindi definito da ciò che non lo è ancora? Nella teoria di Newton gli stadi che potevano fare da base al passaggio del tempo e al divenire erano i piani di simultaneità assoluti che permettevano di foliare il tempo. Nella relatività essi non sono più disponibili. Stein sceglie allora di non prendere in considerazione un piano ma un punto. Preso un evento puntiforme e ed un osservatore O, il presente di e consiste esclusivamente in e stesso. Si avrebbe quindi una teoria per cui il presente è puntiforme; una teoria presentista che

131

volesse sfruttare la proposta di Stein per adattarsi allo spazio-tempo relativistico potrebbe quindi dirsi un vero e proprio presentismo del punto. La domanda su cosa è reale deve allora riferirsi sempre a un punto dello spazio-tempo. Stein specifica (1991, pag. 148) come la relazione di “essere reale relativamente a un punto” sia riflessiva e transitiva. Egli sceglie quindi il cono di luce passato come criterio per applicare tale relazione: gli eventi che giacciono all’interno del cono di luce passato di un evento sono reali per quell’evento. Essendo la relazione che permette di individuare ciò che è reale transitiva, non solo saranno reali tutti gli eventi che si trovano nel cono di luce passato di un evento dato ma lo saranno anche tutti gli eventi nei coni di luce di questi secondi eventi, e così via. Come abbiamo visto in precedenza (sez. 4.5 e 4.6) il cono di luce è una struttura invariante nella relatività; cioè, quali eventi vi sono contenuti è qualcosa su cui tutti i sistemi di riferimento concordano, poiché la suddivisione tra cono di luce passato, futuro e altrove assoluto si basa sull’Intervallo invariante relativistico. Scegliendo questo criterio abbiamo quindi la garanzia che tutti gli osservatori possano concordare su cosa è reale per un dato evento.

Nel suo articolo, Putnam prende in considerazione la proposta esposta appena sopra come possibile obiezione al suo argomento. Egli sostiene però che sarebbe immotivato prendere la mia linea universo e il punto spazio-temporale che io occupo per stabilire cosa sia reale e cosa non lo sia. Dopotutto, cosa dovrebbe esserci di speciale nel mio sistema di riferimento? Stein risponde (1968, pag. 14) che l’errore di Putnam stia nell’intendere la domanda “Cosa è reale?” in un senso che è ancora pre-relativistico. Nella teoria di Newton la domanda su cosa sia reale si riferisce sempre a un dato tempo. Ma nella relatività la nozione di “un dato tempo” non è più invariante; per cui, secondo il concetto di realtà con cui opera la fisica, non è più un qualcosa di oggettivo poiché le affermazioni che si riferiscono a “un dato tempo” differiscono a seconda del sistema di riferimento. Per questo non possiamo più riferirci ai piani di simultaneità e dobbiamo rifarci invece a strutture sulle quali tutti i sistemi di riferimento concordino; nello specifico, i punti e i coni di luce passati. L’errore di Putnam e di Rietdjik starebbe quindi nell’aver inteso il rapporto tra realtà, presente e simultaneità come lo si poteva fare nella teoria newtoniana, e poi aver generalizzato questo rapporto a tutti gli osservatori tenendo però conto del loro comportamento secondo la teoria della relatività. Il risultato è quello dell’universo blocco, un universo privo di divenire in cui tutti gli eventi sono ugualmente reali; ma questo risultato, se Stein ha ragione, fraintende profondamente lo spirito della relatività.

132

È vero che la proposta di Stein riprende il concetto verificazionista di simultaneità utilizzato da Einstein, e noi abbiamo visto che il teorico A potrebbe rifiutarlo. D’altra parte, vediamo adesso come potrebbe essere il teorico B a trovarsi prigioniero di un dilemma: o rifiuta il verificazionismo, ma allora non può più impedire al suo avversario di postulare l’esistenza di una foliazione privilegiata; oppure lo accetta, ma in tal modo è costretto a concordare con Stein sul fatto che i giudizi temporali – i giudizi di simultaneità – non possano fondare la distinzione tra ciò che è reale e ciò che non lo è, poiché non sono invarianti tra sistemi di riferimento.

Dorato (2013, pag. 48-49) rivolge a Stein tre obiezioni. La prima riguarda il fatto che “sappiamo per certo che due osservatori arbitrariamente vicini condividono il loro presente” (pag. 48), ma se il presente è un punto questo è impossibile. La seconda è la seguente:

“Se chiedessimo agli eventi di tutto lo spazio-tempo ‘quale di voi è presente?’, tutti gli eventi risponderebbero ‘io’ e questa risposta indicherebbe nel modo più efficace la natura indicale dell’ora” (pag. 48)

La terza obiezione riguarda lo status ontologico del presente puntiforme: come molti altri, Dorato muove al presentismo del punto l’obiezione che ridurre la realtà a un solo punto renderebbe falsi tutta una serie di giudizi che sappiamo invece essere veri (es: i giudizi sul passato).

Partiamo da questa terza obiezione per sottolineare come essa fraintenda alcuni punti della proposta di Stein. Innanzitutto, il presente è sì limitato a un punto ma Stein specifica chiaramente che il presente non è tutta la realtà. Certo, se si adotta una teoria presentista il punto presente è tutto ciò che esiste, ma abbiamo già sottolineato più volte che la nozione di realtà (intesa come ciò che non è arbitrario o fantastico o ancora indeterminato) non vada confusa con quella di esistenza. Inoltre, ogni sistema di riferimento avrà il suo punto presente (come anticipato, il presente è qui assoluto ma non globale); la realtà di Stein è quindi molto più ricca di quanto non sembri. Certamente è abbastanza ricca da poter rendere veri tutti gli enunciati al passato poiché, se abbiamo (o si possono in linea di principio avere) prove sufficienti per ritenerli veri, vuol dire che un segnale ci ha raggiunto o potrebbe raggiungerci come osservatori, e questo segnale rientra nel nostro cono di luce passato.

133

La seconda obiezione dovrebbe condurre alla conclusione che dal punto di vista fisico nessun evento sia privilegiato e quindi non si possa individuare l’evento o gli eventi presenti. Notando come questa stessa obiezione possa essere rivolta in un contesto newtoniano sostituendo ai punti i piani di simultaneità, rispondiamo adesso nello stesso modo in cui abbiamo risposto precedentemente: la teoria fisica non va confusa con la realtà che rappresenta. Prova ne è che l’assunzione che si possa chiedere qualcosa agli eventi di tutto lo spazio-tempo è già un’assunzione fondamentalmente B- teorica. Presuppone che tutti gli eventi coesistano. Certo, nello spazio-tempo in quanto costruzione matematica tutti i punti coesistono, ma questa è appunto una costruzione matematica. Stein risponderebbe probabilmente che la domanda su cosa sia presente può essere fatta solo da un punto di vista ben definito: quello dell’evento singolo, il quale solo risponderebbe di esserlo (precisando però che tutti gli eventi nel suo cono di luce passato sono reali). Assumere che si possa interrogare tutti gli eventi riguardo la loro presentezza è come assumere che si possa interrogare riguardo la loro esistenza tutti gli esseri umani mai esistiti: per pensare che tutti possano rispondere “Io esisto!” bisogna assumere, erroneamente, che tutti siano ancora vivi per rispondere.

La prima obiezione è ancora più confusa. Non è chiaro cosa voglia dire che due osservatori vicini condividono il loro presente, e tantomeno è chiaro perché lo “sappiamo per certo”. Data la relatività, preso un osservatore O, egli potrebbe trovarsi arbitrariamente vicino a O’, ma se si muovono l’uno rispetto all’altro avranno assi temporali diversi, e questo è vero indipendentemente da qualsiasi interpretazione; oltretutto, non dipende nemmeno dall’essere vicini o lontani, visto che per quanto O giudichi vicino O’, egli si troverà comunque nell’altrove assoluto. Se con “condividere il presente” si intende che i due osservatori possano interagire questo è naturalmente vero e non c’è niente nella teoria di Stein che lo proibisca.

Un problema più serio relativo al presentismo del punto è sottolineato da Hinchcliff (2000): con lo scorrere del punto presente lungo una linea di universo entrano a far parte della realtà passata numerosissimi eventi che non sono mai stati presenti; essi infatti, negli istanti prima che facessero parte del cono di luce passato si trovavano nell’altrove assoluto; sembrerebbe però essere una vera e propria verità concettuale quella per cui gli eventi che ora sono passati prima erano presenti. Stein dà come risposta a questa obiezione che nella relatività la nozione di un evento distante presente non ha più alcun significato; ma allora il risultato per cui eventi passati non sono mai stati presenti appare paradossale solo perché la relatività speciale impone una nuova prospettiva concettuale

134

sul passaggio del tempo. Alternativamente, si potrebbe rispondere che sì, è vero che preso un sistema di riferimento singolarmente si ottiene questo risultato paradossale, ma la realtà nel suo complesso incorpora tutti i sistemi di riferimento, e in questo modo non ci sono eventi passati che non sono mai stati presenti (parleremo dell’idea di una realtà “frammentata” in diversi sistemi di riferimento più sotto).

Concludiamo le nostre considerazioni sul presentismo del punto citando un brillante passaggio da Stein (1991), che potremmo quasi definire heideggeriano:

“Il concetto di ‘presente spazialmente non limitato’ non è, in effetti, così naturale o (primitivamente) intuitivo come le nostre più sedimentate abitudini di pensiero e di parole farebbero supporre. È un’ipotesi antropologica quantomeno plausibile che la nozione primitiva – quella che nozione che per prima è sorta nel corso dello sviluppo umano e della socializzazione – sia quella della contemporaneità rispetto alla

comunicazione o all’influenza. A ogni modo, è chiaramente un fatto riguardo

l’etimologia storica del nostro linguaggio che il significato originale della parola ‘presente’ non fosse ora, ma qui-ora (cioè: qui vicino e ora). Infatti, il significato esplicito originale sembrerebbe essere quello spaziale (il latino praesens, participio presente di praeesse – ‘essere di fronte a, ‘essere alla mano’)… Questo rimane anche un uso corrente: quando un soldato sente chiamare il suo nome e risponde ‘Presente!’ non sta meramente affermando che esiste; egli afferma che si trova sul posto” (pag. 159)

Un’altra possibilità per il presentista che volesse rinunciare alla foliazione privilegiata è il presentismo del cono. Questa proposta, originariamente fatta da Godfrey-Smith (1979), sfrutta sempre la struttura invariante del cono di luce passato e sostiene l’identificazione del presente con la sua superficie. In altre parole, gli eventi presenti per un evento dato sono tutti quelli che sono da essi separati da un intervallo di tipo luce. La forza di questa posizione è che sfrutta un dettaglio tecnico della relatività speciale: nella teoria newtoniana il presente coincideva con la classe di eventi separati da un intervallo temporale nullo, ma nella relatività non è questo intervallo a essere invariante bensì quello spazio-temporale, per cui saranno gli eventi separati da una distanza spazio-temporale pari a zero ad essere considerati come costituenti il presente. Questi eventi sono infatti quelli che giacciono sulla superficie del cono di luce. Godfrey-Smith propone poi di chiamare gli eventi che giacciono sull’asse temporale

135

“co-istantanei” invece che presenti; il presente non coincide dunque con la classe di eventi co-istantanei.

L’obiezione più intuitiva che si può rivolgere al presentismo del cono39 è quella per cui farebbero parte del presente eventi accaduti moltissimi anni fa, i cui segnali luminosi ci raggiungono solo adesso. Ma può ancora dirsi presente una classe di eventi che racchiude eventi separati da miliardi di anni da un evento dato? Quella per cui il presente è ciò che vediamo adesso è una concezione intuitiva, ma secondo la definizione di simultaneità utilizzata da Einstein per formulare la relatività speciale è anche una concezione illusoria. Questa sembra essere un’obiezione stringente e tuttavia:

“Questa obiezione apparentemente plausibile assume, tuttavia, che n anni sia il tempo che un segnale proveniente da S ha impiegato per viaggiare attraverso una separazione puramente spaziale tra S e qui. Tuttavia, la relatività speciale nega che si possa dare un significato oggettivo a questa distanza puramente spaziale. […] L’idea di una separazione spaziale è stata rimpiazzata da quella di una separazione causale” (Godfrey-Smith, pag, 241)

In questa interpretazione della relatività:

“Il presente è, allora, identificato con la connettibiltà causale di tutti gli oggetti che esistono” (Godfrey-Smith, pag. 241-242)

È innegabile che possa trattarsi di una proposta che, se non controversa, è per certi aspetti almeno controintuitiva. Tuttavia, poiché la relatività speciale ci costringe a mettere in discussione molte delle nostre intuizioni, anche il presentismo del cono può essere visto come un’arma a favore del presentista per difendere la sua teoria del tempo in uno scenario relativistico.

C’è infatti da sottolineare come le accuse di controintuitività al presentismo del punto e al presentismo del cono sembrino basarsi su dei presupposti incoerenti. Come spiega efficacemente Hinchcliff (2000):

39

136

“Prima viene richiesto al presentista di prendere lo spazio-tempo relativistico sul serio. Il presentista fa allora una proposta su come la sua teoria si possa adattare a uno scenario relativistico. A quel punto viene fatta un’obiezione alla proposta del presentista che si basa su qualche principio esterno alla relatività, per esempio [nel caso del presentismo del punto] che ciò che ora è passato deve esser stato presente, un principio che non si ritrova nella proposta relativistica del presentista. Il presentista ribatte allora che il fatto che questo principio non venga più mantenuto è proprio ciò che ci si dovrebbe aspettare in uno scenario relativistico” (pag. 580)

Questo tipo di dialettica ricorre spesso nel dibattito in filosofia del tempo. In generale, non è facile distinguere quali intuizioni sul tempo vadano mantenute nel passaggio dalla teoria newtoniana a quella relativistica. Certo è che se può sì essere poco intuitivo pensar al presente come avente la struttura di un punto o di un cono, piuttosto che di un piano, certamente lo è altrettanto pensare che tutti gli eventi coesistano in un blocco senza tempo, come vorrebbe l’eternalista. Il presentismo del punto e il presentismo del cono rimangono quindi due soluzioni possibili dal problema