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I due principi fondamentali della relatività speciale

Affronteremo adesso il passaggio dalla concezione dello spazio-tempo newtoniana (o neo-newtoniana che sia) a quella einsteiniana propria della teoria della relatività

speciale. Ciò che primariamente ci interessa qui, più che lo sviluppo storico della teoria

o il suo formalismo, è il suo apparato concettuale di base, che ci servirà per capire il ruolo che lo spazio e il tempo rivestono in tale teoria. Questa disamina delle basi concettuali della relatività speciale dovrà poi condurre a un confronto con le teorie A, per determinare se esse possano cavarsela altrettanto bene nello spazio-tempo relativistico che in quello newtoniano.

Muoviamo il primo passo con la seguente affermazione: la relatività sostituisce l’assoluto del tempo con un altro assoluto, quello della velocità della luce. Abbiamo visto come nella teoria di Newton fosse possibile individuare intervalli temporali assoluti, cioè indipendenti dal sistema di riferimento. Nella teoria della relatività questo

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non è più possibile. C’è invece un altro assoluto, cioè un’altra componente della teoria che è invariante tra i diversi sistemi di riferimento, e questa componente è la velocità della luce: ciò significa che, per esempio, due osservatori che si muovono a una velocità di 100 km/h l’uno rispetto all’altro registreranno lo stesso valore di velocità di propagazione della luce. Più precisamente, la rinuncia alla possibilità di stabilire intervalli temporali assoluti è conseguenza diretta della constatazione empirica della costanza della velocità della luce. Per capire perché dobbiamo passare dalla simultaneità.

Partiamo da un esempio fornitoci dallo stesso Einstein. Prendiamo un osservatore che si trova alla stessa distanza da due alberi, uno che si trova alla sua destra e uno che si trova alla sua sinistra. Supponiamo che egli sappia che i due alberi distano ugualmente da lui. Gli alberi vengono colpiti da un fulmine, e la luce emessa da tali eventi viaggerà verso l’osservatore che si trova nel mezzo tra essi. Poniamo che l’osservatore riceva la luce emessa dalle due diverse sorgenti nello stesso momento; cosa potrà dedurne? Egli conosce la distanza dei due alberi dal punto in cui si trova; egli conosce la velocità della luce. Potrà quindi calcolare quanto tempo fa gli alberi sono stati colpiti, dividendo la distanza percorsa per la velocità della luce. Poiché entrambi i segnali viaggiavano alla stessa velocità – essendo entrambi segnali luminosi – e poiché la distanza che hanno percorso è la stessa – l’osservatore lo sapeva da prima – ne dedurrà che i segnali luminosi hanno impiegato lo stesso ammontare di tempo a raggiungerlo. Ergo, gli eventi che hanno generato tali segnali sono accaduti simultaneamente.

Questo è per Einstein l’unico modo col quale è possibile stabilire la simultaneità tra due o più eventi. Questo perché noi non abbiamo mai un accesso diretto a essi; affinché si possa venire a conoscenza del loro accadimento è necessario che un segnale da loro emesso, o più in generale un catena di eventi causalmente connessi che a loro fa capo, ci raggiunga. Conoscendo allora la velocità di propagazione del segnale che ci ha raggiunto e conoscendo la distanza dell’evento da noi possiamo calcolare quanto tempo fa è accaduto. L’attribuzione di simultaneità è sempre frutto di un calcolo. In questo senso la luce gioca un ruolo particolare poiché non solo mantiene la stessa velocità in tutti diversi sistemi di riferimento, ma possiede anche una velocità limite, cioè una velocità che non può mai essere superata.

Riprendiamo il nostro esempio aggiungendo un altro osservatore. Chiamiamo l’osservatore che si trova fermo in mezzo ai due alberi O, e un secondo osservatore che

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si muove di moto rettilineo uniforme rispetto al primo verso uno dei due alberi O’. Supponiamo che inizialmente i due osservatori condividano la loro posizione a metà tra

i due alberi. Nel momento in cui31 cadono i due fulmini O’ comincia a muoversi verso

uno dei due alberi. La conseguenza sarà che la luce proveniente dall’albero verso cui egli si muove lo raggiungerà prima, mentre l’altro segnale luminoso, dal quale si allontana, lo raggiungerà dopo poiché deve percorrere più strada. Quindi, quegli eventi che O calcolerà essere simultanei, non lo saranno per O’.

Il risultato è la relatività della simultaneità: i giudizi che riguardano la simultaneità tra eventi sono sempre relativi a un sistema di riferimento. Tuttavia, messa in questo modo la relatività della simultaneità potrebbe apparire come un risultato banale. Dopotutto, non era forse ovvio che O’ fosse raggiunto per primo da un segnale luminoso visto che si muoveva nella direzione opposta alla sua? In un certo senso sì, è ovvio. Infatti non è propriamente da questo che deriva la relatività della simultaneità.

Poniamo che i segnali emessi non siano fulmini che colpiscono gli alberi ma dei corpi sferici lanciati contro gli osservatori. Stabiliamo che questi corpi si muovano a una velocità di 30 km/h. O, l’osservatore fermo, riceverà entrambi i corpi nello stesso momento, e sapendo che la distanza dalla quale essi sono stati lanciati è la stessa calcolerà facilmente che sono stati lanciati simultaneamente. O’, invece, si muove verso uno dei due corpi con una velocità di 1 km/h. Non è forse vero che anche in questa situazione egli riceverà i due segnali in momenti diversi? Sì, però l’importante è notare come per O’, dal momento che è in movimento, anche le velocità dei due corpi saranno diverse. Il corpo sferico verso il quale si muove lo raggiungerà prima perché doveva percorrere meno distanza. Allo stesso tempo però, per O’ quel corpo si muoverà più velocemente; nello specifico, si muoverà alla velocità di 31 km/h. Di contro, l’altro corpo lo raggiungerà dopo poiché doveva percorrere più distanza, e si muoveva anche più lentamente (29 km/h). Eseguendo i calcoli si potrebbe facilmente vedere che anche per O’ gli eventi che hanno messo in moto di due corpi sono simultanei. Qui non c’è quindi nessuna simultaneità relativa.

Tuttavia, nel caso della luce questo gioco di somma e sottrazione delle velocità non può essere eseguito, perché la velocità della luce è costante in tutti i sistemi di riferimento. Sia l’osservatore che si muove che quello fermo registrano la stessa

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È chiaro che utilizzando l’espressione “nel momento in cui” qui si è barato; si starebbe infatti già presupponendo una simultaneità assoluta. A voler essere precisi si dovrebbe dire: in quel momento a cui più tardi, tramite un calcolo, O attribuirà la simultaneità dei due eventi.

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velocità per entrambi i segnali luminosi. È per questo che i loro giudizi differiscono riguardo la simultaneità.

Quindi, possiamo così scrivere il primo principio fondamentale della teoria della relatività:

(1) La velocità della luce è costante; cioè, è la stessa in ogni sistema di riferimento32

A questo principio se ne aggiunge un secondo, finora utilizzato implicitamente:

(2) Le leggi fisiche sono le stesse in ogni sistema di riferimento

Questo principio serve a impedire eventuali congetture sul diverso comportamento che la luce assumerebbe nei diversi sistemi di riferimento. Si potrebbe infatti pensare che se osservatori fermi o osservatori in movimento registrano lo stesso valore della velocità della luce, questo è da ascrivere a un diverso comportamento della luce nei diversi casi. Invece, adottando questo principio Einstein vuole escludere proprio spiegazioni di questo tipo.

Abbiamo visto in che modo da questi due principi ne consegua la relatività della simultaneità:

RELATIVITÀ DELLA SIMULTANEITÀ: I giudizi di simultaneità tra eventi non sono gli stessi in ogni sistema di riferimento

Ci si può a questo punto già fare un’idea del perché una teoria A possa trovarsi in pericolo in uno scenario relativistico. Per una teoria A nella sua formulazione standard è fondamentale il Presente come proprietà. Questa proprietà viene attribuita a una certa classe di eventi sulla base di una simultaneità assoluta. Mancando questa simultaneità assoluta, manca anche il criterio con cui attribuire la proprietà Presente.

Vedremo come in generale la teoria A non potrà conservare nello spazio-tempo relativistico sia un criterio di simultaneità assoluta, sia un presente globale; dovrà necessariamente rinunciare a una delle due nozioni teoriche originariamente fondamentali per essa. Tra le due, è chiaramente preferibile conservare la simultaneità assoluta, poiché permette di assegnare la proprietà Presente a una classe di eventi in

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È da precisare che tutta la nostra discussione riguarderà esclusivamente i sistemi di riferimento inerziali, cioè quei sistemi di riferimento che si muovono di moto rettilineo uniforme.

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maniera invariante tra sistemi di riferimento; anche se non globale, quindi, avremmo comunque una nozione di presente ben definita e che può considerarsi oggettiva fisicamente parlando. La domanda che sorge spontanea è ovviamente: date le osservazioni fatte appena sopra, com’è possibile mantenere la simultaneità assoluta in uno scenario relativistico? La risposta è ben poco sorprendente: cambiando il criterio col quale si stabilisce la simultaneità. Secondo la definizione data sopra (sez. 4.4), la simultaneità è una relazione che si stabilisce tra eventi tra i quali non intercorre nessun intervallo temporale. Il teorico A potrebbe argomentare che questa definizione era adatta per la teoria newtoniana ma è invece inadeguata a caratterizzare lo scorrere del tempo nella relatività. Potrebbe quindi proporre un nuovo criterio per stabilire relazioni di simultaneità assoluta. I problemi posti alla teoria A dalla relatività speciale non sono quindi per forza insormontabili. Altra questione sarà quella di vedere se sia invece una teoria B a essere favorita dalla teoria einsteiniana.

La struttura geometrica dello spazio-tempo della relatività è stata elaborata da Hermann Minkowski. Si tratta di uno spazio-tempo quadrimensionale, a ogni punto di questo spazio sono associate quattro coordinate: (x, y, z, t). È qui importante ricordare che i punti di questo spazio-tempo rappresentano degli eventi. In conseguenza della relatività della simultaneità, non è possibile stabilire degli intervalli temporali invarianti tra sistemi di riferimento; inoltre, proprio come nello spazio-tempo neo-newtoniano, anche le distanze spaziali dipendono dal sistema di riferimento. Nello spazio-tempo di Minkowski esiste però un intervallo tra eventi che tutti i sistemi di riferimento registrano come identico, ed è quello che viene chiamato intervallo invariante

relativistico. Dati due eventi p e q, l’intervallo invariante relativistico tra di essi può

essere calcolato nel modo seguente:

Per chiarire le caratteristiche di tale intervallo possiamo sfruttare il modo in cui lo spazio-tempo relativistico è rappresentato graficamente, e cioè quelli che vengono chiamati diagrammi di Minkowski.

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Come valeva per i diagrammi utilizzati per rappresentare lo spazio tempo neo- newtoniano, le linee dritte rappresentano la storia di oggetti che si muovono di moto rettilineo uniforme, mentre quelle curve rappresentano oggetti che accelerano. Le linee inclinate di 45° rappresentato la traiettoria di oggetti che si muovono alla velocità della luce, e poiché essa è una velocità limite non potranno mai esserci linee con una maggiore inclinazione.

Più in particolare, preso ogni evento è possibile individuare la sopra raffigurata struttura a cono. Il cono inferiore, detto cono di luce passato, rappresenta l’insieme dei segnali luminosi che raggiungono l’evento, mentre l’altro cono, detto cono di luce, rappresenta la traiettoria dei segnali luminosi che partono da quell’evento. All’interno del cono di luce passato sono contenuti tutti gli eventi dai quali si sono potuti originare segnali che possono raggiungere l’evento al centro del cono di luce; viceversa, il cono di luce futuro contiene tutti gli eventi sui quali l’evento dato può influire direttamente. In un certo senso, il cono di luce e il suo interno rappresentano l’insieme di eventi coi

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quali un evento dato può entrare in una relazione causale. Tutti gli eventi che giacciono all’esterno dei coni, in quello che è detto altrove assoluto, sono esclusi da questo rapporto causale poiché per entrare in rapporto con l’evento al centro del cono dovrebbero emettere segnali causali che viaggiassero a una velocità maggiore di quella della luce. L’asse temporale contiene tutti quegli eventi che un osservatore immobile al centro del cono di luce calcolerebbe essere contemporanei all’evento da cui si origina il cono.

A queste tre differenti regioni dello spazio-tempo – superficie del cono di luce, interno del cono, altrove assoluto – sono associati tre tipi di intervallo relativistico (d’ora in poi solo Intervallo) differente.

 Intervallo di tipo tempo: si stabilisce con tutti gli eventi nella regione di spazio- tempo all’interno del cono di luce; I(p, q) > 0; la separazione temporale tra i due eventi è maggiore di quella spaziale

 Intervallo di tipo luce: si stabilisce con tutti gli eventi che giacciono sulla superficie del cono di luce; I(p, q) = 0; la separazione temporale tra i due eventi è identica a quella spaziale: “Un raggio di luce non fa esperienza degli eventi come separati nello spazio-tempo, poiché la loro separazione temporale e quella spaziale si annulla a vicenda” (Rickles 2016, pag.71)

 Intervallo di tipo spazio: si stabilisce con tutti gli eventi nella regione di spazio- tempo esterna al cono di luce; I(p, q) < 033; la separazione spaziale tra i due eventi è maggiore di quella temporale.

Come abbiamo già sottolineato, l’Intervallo tra eventi è lo stesso in ogni sistema di riferimento. Da questo ne consegue che anche la suddivisione dello spazio-tempo nelle suddette tre diverse regioni è un elemento invariante della teoria (e vedremo come il teorico A può sfruttare questa invarianza a suo vantaggio).

Per concludere la nostra breve disamina della teoria della relatività dobbiamo domandarci: in questa teoria, cosa misurano gli orologi? Nella teoria di Newton poteva aver senso affermare che gli orologi misuravano la distanza temporale oggettiva che

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Poiché abbiamo scelto di esprimere l’Intervallo attraverso una formula che faceva uso di radice quadrata, nel caso dell’intervallo di tipo spazio il valore dell’Intervallo con un numero immaginario.

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intercorreva tra gli eventi. Nella relatività questa distanza oggettiva è assente. La risposta alla domanda su cosa misurino gli orologi può allora essere fornita da quella che è chiamata ipotesi dell’orologio:

IPOTESI DELL’OROLOGIO: gli orologi misurano gli Intervalli lungo le loro traiettorie

Nella relatività, ciò che gli orologi misurano è la lunghezza dell’Intervallo che intercorre tra due eventi. La lunghezza di tale misurazione sarà direttamente proporzionale alla lunghezza dell’Intervallo. Un orologio che si muovesse alla velocità della luce effettuerebbe sempre una misurazione di valore zero, mentre tra eventi separati da un Intervallo di tipo spazio non può ovviamente essere eseguita nessuna misurazione. In un certo senso, possiamo dire che gli orologi misurano la lunghezza dei cammini nello spazio-tempo (ed è proprio col fatto che alcuni cammini siano più lunghi di altri che si può spiegare il famoso paradosso dei gemelli).

Riassumiamo così le osservazioni fatte in questa sezione:

“Diversamente dallo spazio-tempo [neo-newtoniano], lo spazio-tempo di Minkowski non può essere foliato in piani di simultaneità; infatti, la nozione stessa di ‘eventi simultanei’ non ha più nessun contenuto. La struttura a cono di luce rimpiazza in qualche modo la foliazione. Poiché non c’è un tempo assoluto [nel senso di intervalli temporali invarianti], di certo gli orologi non possono misurarlo. Ma gli orologi devono star misurando qualcosa […] Secondo l’ipotesi dell’orologio, questo qualcosa è l’Intervallo” (Maudlin 2012, pag. 76).

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CAPITOLO QUATTRO: L’argomento di Putnam-Rietdjik