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La prima legge del moto

È arrivato il momento di confrontarci con la fisica. In particolare, ciò che ci interessa è capire il ruolo che il concetto di tempo svolge in alcune teorie fisiche, e se tale concetto renda la teoria più o meno ospitale a quello di passaggio del tempo e del divenire. Questo poiché, per quanto possa sembrare paradossale, il modo in cui il tempo è stato inteso dalla fisica ha offerto sia ai fisici che ai filosofi più di una possibilità di negare sia il passaggio del tempo sia del divenire. Di più: spesso è stato negato che il tempo stesso sia reale26. Quest’ultima affermazione è stata fatta in relazione alle teorie fisiche sulla gravità quantistica, cioè sul tentativo di conciliare le due teorie, apparentemente in contrasto, della relatività generale e della meccanica quantistica. Ora, non è su queste teorie che cadrà la nostra attenzione. Ci concentreremo invece sulla

teoria della relatività speciale, proposta da Albert Einstein in un articolo del 1905 e che

costituisce ancora oggi la base delle teorie fisiche dello spazio-tempo. Questa scelta non è però motivata solamente dall’influenza e dall’importanza sia storica che attuale della teoria presa in esame, ma anche dal fatto che proprio su tale teoria si basa uno degli argomenti principali contro la realtà del passaggio del tempo.

Il nostro percorso non partirà però direttamente dalla relatività. Muoveremo i nostri passi dalla concezione dello spazio e del tempo propria di Newton. Cercheremo di capire perché la sua teoria è stata generalmente considerata più ospitale per una teoria dinamica del tempo rispetto alla relatività. Dobbiamo chiederci, in altre parole, perché la teoria di Newton sembri spingere di più verso una teoria A mentre la relatività verso la teoria B.

Prima di cominciare, però, potrebbe essere legittimo chiedersi perché si sia scelta la fisica come termine di confronto e non un’altra scienza empirica. Perché, per esempio, non la biologia? Dopotutto, non in ogni scienza il tempo è inteso allo stesso modo. Perché quindi preferire il confronto con una determinata scienza, la fisica, invece che

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Teorie di questo tipo sono state chiamate teorie dell’errore temporale. Per un’introduzione filosofica a questo tipo di teorie e a come possa essere interpretata la loro affermazione dell’irrealtà del tempo si vedano Baron e Miller (2015) e Tallant (2018). Per un’esposizione divulgativa di come queste idee siano connesse alle teorie fisiche sulla gravità quantistica si veda Rovelli (2014, in particolare cap. 7; 2017).

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con un’altra? La motivazione di questa scelta è la seguente: la fisica è l’unica scienza che oggigiorno può rivendicare il ruolo di scienza universale. La fisica – o meglio, la fisica fondamentale – ha la pretesa di essere la scienza la più generale possibile nel senso che il tipo di entità di cui essa parla sono le entità di cui ogni cosa nell’universo è composta, e alle leggi che essa individua e stabilisce è sottoposto tutto ciò che esiste. Sul posto particolare che la fisica occupa nella gerarchia del sapere scientifico poggia la dottrina filosofica che prende il nome di fisicalismo, che ormai sembra diventata una vera e propria ortodossia in filosofia analitica. Essa è solitamente intesa come una dottrina inerente a ciò che esiste nel mondo; come spiega efficacemente Stoljar (2017):

“Il fisicalismo è la tesi per cui tutto è fisico o, come potrebbe metterla un filosofo contemporaneo, che tutto sopravviene27 sul fisico. La tesi è solitamente intesa come una tesi metafisica, parallela alla tesi attribuita al filosofo greco antico Talete, che tutto è acqua, o all’idealismo del filosofo del diciottesimo secolo George Berkeley, per cui tutto è mentale”.

“Verso la fine del diciannovesimo secolo, quasi tutti i filosofi di professione erano idealisti di una qualche tipo; cioè, sostenevano che il mondo è in qualche senso fondamentale spirituale o mentale, invece che essere fondamentalmente fisico o materiale. [...] il contrasto tra allora e adesso non potrebbe essere più estremo. Ben lontano dall’essere visto con disprezzo professionale, il materialismo è diventato qualcosa come un’ortodossia nella filosofia analitica degli anni sessanta e, da quel momento, è rimasto tale. Filosofi come Quine, Smart, Lewis, Armstrong, Fodor e molti altri sono tutti materialisti” (Stoljar 2010, pag. 2)

La fisica è dunque intesa come quella scienza che indaga la struttura fondamentale dell’universo sulla quale, per così dire, tutto il resto si appoggia. Secondo il fisicalismo qualsiasi entità o fenomeno che vi sia nell’universo è in ultima istanza composto, o in qualche modo derivato, dalle entità e dai fenomeni fondamentali di cui parla la fisica. Vediamo quindi come la fisica abbia, in questo senso, un ruolo centrale non solo nel sapere scientifico ma anche in quello filosofico.

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“La metafisica è ontologia. L’ontologia è lo studio più generale di ciò che esiste. Le prove di ciò che esiste, quantomeno nel mondo fisico, sono fornite solamente dalle ricerche empiriche. Quindi, l’oggetto proprio della maggior parte della metafisica è una dettagliata analisi delle nostre migliori teorie scientifiche (e specialmente delle teorie fisiche fondamentali) con l’obiettivo di determinare ciò che esse implicano riguardo la costituzione del mondo fisico” (Maudlin 2007, pag. 104)

Se è allora così alta l’influenza della fisica fondamentale sul sapere contemporaneo, compreso quello filosofico, il confronto non può essere evitato, specie se notiamo come sul tema del tempo sia stata proprio la fisica, e in particolare quella relativistica, a rilanciare la riflessione filosofica.

La nostra scelta è quella di partire dalla teoria di Newton; il nostro obiettivo è capire perché una certa concezione del tempo sembri particolarmente congeniale per una teoria A.

Attraverso le sue tre leggi del moto Newton si proponeva di costruire una teoria fisica universale, cioè una teoria che spiegasse il comportamento di tutti i corpi, senza distinzione di sorta:

“Newton cancella la distinzione [aristotelica] tra fisica celeste e fisica terrestre, postulando un singolo insieme di principi che spieghino il comportamento di entrambe” (Maudlin 2012, pag. 5).

È proprio da queste tre leggi che emerge più chiaramente il concetto di tempo col quale egli ha operato e il ruolo che esso svolge nella sua teoria.

La prima legge del moto è la seguente:

LEGGE I: Ogni corpo persevera nel suo stato di riposo o di moto uniforme lungo una linea retta, finché non costretto a modificare questo stato da una forza a lui impressa

Come abbiamo già anticipato, questa legge si applica senza distinzione di sorta a tutti i corpi. Inoltre, e anche questo è un distacco netto dalla fisica aristotelica, non ascrive ai corpi nessun movimento particolare. Nella fisica elaborata da Aristotele era caratteristica dei gravi, per esempio, quella di possedere un movimento naturale, loro proprio, verso il centro dell’universo, che nella fisica aristotelica coincideva con il

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centro della Terra. Per Netwon invece i corpi non possiedono di per sé nessuna tendenza a un movimento specifico. Al contrario, in assenza di forze esterne che agiscono su di essi, mantengono il loro stato attuale. Ora, dal fatto che i corpi non abbiamo nessuna particolare tendenza al movimento e che la prima legge del moto si applichi a tutti i corpi, ne segue un’altra contraddizione della fisica aristotelica, e cioè che lo spazio non abbia un centro né in generale dei punti privilegiati. Non ci sono, in altre parole, punti o regioni dello spazio verso cui i corpi tendano naturalmente a muoversi.

Abbiamo quindi già ottenuto una prima informazione fondamentale sulla concezione dello spazio propria della teoria di Newton: lo spazio non ha un centro né regioni privilegiate. La prima legge del moto ha tuttavia ancora molto da dirci.

Notiamo innanzitutto come in essa si parli di “linee rette”. Per poter utilizzare in maniera fondata questa nozione geometrica abbiamo bisogno di altre due: quella di continuità di una linea e la distinzione linee rette e linee curve. La componente più fondamentale della struttura geometrica di uno spazio è quella che viene chiamata

topologia. In maniera certo semplificata ma sufficientemente chiara per i nostri scopi

potremmo dire che la topologia è l’organizzazione geometrica più fondamentale dei punti di uno spazio. I fatti geometrici riguardanti la continuità delle linee sono specificati proprio all’interno della topologia. La distinzione tra linee curve e linee rette è invece data all’interno di quella che si chiama struttura affine di uno spazio. Più nello specifico, per Newton lo spazio in cui i corpi si muovono ha la struttura geometrica di uno spazio euclideo. Due caratteristiche importanti della struttura affine di tale spazio sono specificate nei primi due postulati della geometria euclidea. Il primo afferma che, presi due punti qualsiasi, è possibile tracciare una linea retta che li connetta; il secondo afferma che è possibile estendere qualsiasi linea retta finita (segmento) indefinitamente. Infine, per poter determinare le distanze tra i punti e quindi per poter effettuare misurazioni dei movimenti dei corpi è necessaria quella che si chiama struttura metrica. La differenza tra queste tre strutture può forse essere chiarita attraverso la seguente immagine28, che esemplifica le trasformazioni loro proprie:

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A ogni modo, quello che più ci interessa è aver chiarito la natura dello spazio secondo Newton: lo spazio come una sorta di arena o contenitore tridimensionale che possiede la struttura geometrica dello spazio euclideo. I corpi si muovono all’interno di questo spazio.

La prima legge del moto parla di una differenza tra corpi in movimento e corpi a riposo. Come si fa a stabilire quali corpi siano a riposo e quali siano in movimento? Bisogna certamente far riferimento ai punti dello spazio euclideo tridimensionale, ma non solo. Per poter parlare di movimento o riposo bisogna potersi riferire allo stato dei corpi in momenti diversi o, in altre parole, bisogna vedere come cambiano nel tempo i rapporti tra i corpi e lo spazio che li contiene. Potrei per esempio dire: “Un corpo si trova a riposo se in momenti diversi occupa lo stesso punto dello spazio”. Di quale presupposto teorico ho però bisogno per dire una cosa del genere? Devo poter reidentificare in ogni momento quali sono gli stessi punti dello spazio. Ad esempio, poniamo che io affermi che una palla da biliardo si trovi nel punto di coordinate (x, y, z) e, in seguito a un’osservazione successiva, stabilisca che è a riposo. Come ho fatto a stabilirlo? Evidentemente, posso stabilirlo in maniera fondata solo se posso continuare ad attribuirle le coordinate (x, y, z). La teoria di Newton ha quindi bisogno di punti

spaziali che persistono nel tempo. Solo con questo presupposto è possibile affermare

che alcuni corpi sono fermi nello spazio mentre altri si muovono. Diremo quindi che un corpo si trova in uno stato di riposo assoluto se occupa lo stesso punto dello spazio

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durante un certo periodo di tempo. Per quanto riguarda l’aggettivo “assoluto” qui impiegato, per ora è sufficiente dire che fa riferimento al fatto che il corpo possa dirsi a riposo rispetto allo spazio euclideo tridimensionale e non semplicemente a un altro corpo qualsiasi; stato, quest’ultimo, che si potrebbe definire quindi di riposo “relativo”.

Questo basti per quanto riguarda i corpi a riposo. Passiamo ora ai corpi in movimento. La prima legge parla di moto uniforme lungo una linea retta o, per usare una terminologia più moderna, di moto rettilineo uniforme. Per quanto riguarda l’andamento rettilineo del moto, abbiamo già visto come esso può essere fondato: attraverso la specificazione di una struttura affine dello spazio. È essa che determina a quali traiettorie corrispondano delle linee dritte. Un moto uniforme è invece un movimento che copre le stesse distanze negli stessi intervalli di tempo. Qui sono naturalmente centrali le espressioni “stesse distanze” e “stessi intervalli”. Per poter parlare di moto uniforme bisogna che si possano stabilire distanze nello spazio, e per questo serve una metrica spaziale. C’è però bisogno anche di qualcos’altro: una metrica temporale. Bisogna cioè poter misurare quanto tempo passa da quando il corpo si trova in una certa posizione a quando il corpo si trova in un’altra. Ed ecco che quindi fa la sua comparsa nella storia della idee la concezione del tempo come linea di istanti: affinché si possano stabilire misure degli intervalli di tempo si deve, in certo senso, poter misurare quanto sono lunghi i diversi segmenti di quella dimensione lineare che è il tempo. Il tempo della teoria di Newton è quindi concepito come una dimensione lineare, dotata di una direzione (il tempo scorre dal passato verso il futuro) e della quale si possono effettuare misurazioni.

Sull’influenza di questa concezione del tempo nel dibattito filosofico contemporaneo abbiamo già speso abbastanza parole. Quello che è importante notare qui è come essa derivi direttamente dalla prima legge del moto. In particolare, essa deriva dalla necessità di poter paragonare intervalli temporali ed è quindi necessaria per poter sensatamente parlare di un moto uniforme.

Un’analisi dettagliata della prima legge del moto ci ha quindi fornito un’immagine abbastanza precisa di cosa siano spazio e tempo per Newton. Lo spazio è uno spazio euclideo tridimensionale, fatto di punti che persistono nel tempo e all’interno del quale trovano la loro posizione i corpi. Il tempo è una linea che ha la caratteristica di possedere una direzione. Il tempo infatti scorre (e abbiamo già visto quanti problemi pone la concezione del tempo come una linea alla tesi stessa del suo “scorrimento”). Più

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precisamente, per Newton il tempo in se stesso scorre uniformemente, senza essere influenzato dai corpi né da niente di esterno.

Il problema immediato di una concezione del genere è naturalmente quello di rendere conto delle entità di cui parla. Sembra infatti che né lo spazio euclideo tridimensionale né la dimensione temporale siano rinvenibili al livello empirico. Come stabilire dopotutto, se un corpo ha mantenuto la stessa posizione rispetto allo spazio in se stesso? Quello che noi possiamo verificare tramite l’osservazione è se esso abbia mantenuto la sua posizione relativa ad altri corpi, per esempio a quelli immediatamente circostanti. Dei punti dello spazio euclideo tridimensionale che tutto contiene, però, non ci è data alcuna evidenza diretta. Discorso analogo vale per la dimensione temporale. Io posso misurare quanta distanza abbia percorso un corpo in un intervallo che fa riferimento a un orologio, sia esso naturale o artificiale. Ma come posso misurare un intervallo del tempo in se stesso? Nessun orologio può effettuare misurazioni dirette di quel tempo che, secondo Newton, scorre ovunque uniformemente. Vedremo come proprio riguardo alla sua concezione dello spazio e del tempo si basino alcune delle critiche principali di natura concettuale alla teoria di Newton. Provvisoriamente, possiamo provare a difendere la sua concezione, mostrando come sia più intuitiva di quanto si pensi, con la seguente citazione:

“Può sembrare che Newton stia postulando delle entità bizzarre, fantasmatiche e poco familiari, ma la maggior parte della gente concepisce il mondo fisico in termini di spazio e tempo assoluti [cioè secondo la concezione di Newton]. Per esempio, artigiani e scienziati tentano continuamente di produrre orologi più accurati e precisi. Ma cosa significa per un orologio essere accurato? Ciò che vogliamo è che ogni successivo ticchettio dell’orologio occorra a uguali intervalli di tempo, o che la seconda lancetta di un orologio si muova nel suo cerchio a un ritmo costante. Ma “uguale” o “costante” rispetto a cosa? Rispetto al passaggio del tempo stesso […] In maniera simile, la nostra comprensione quotidiana del mondo lo concepisce in termini di spazio assoluto. Nessuno è confuso per esempio, se sente dire he l’orbita della Terra è un ellisse col sole a uno dei due fuochi. Ogni figura del sistema solare in un libro di scienze conterrà un disegno dell’orbita dei pianeti. Ma questo disegno cosa dovrebbe rappresentare esattamente? In ogni momento la terra si trova in un determinato posto. L’orbita è in qualche modo la collezione di tutti i posti che la terra occupa nel corso di un anno. Ma

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questo implica che i posti che la terra occupa in tempi diversi siano tutte parti di un comune spazio tridimensionale” (Maudlin 2012, pag. 16)

3.2 Dallo spazio e tempo newtoniani allo spazio-tempo neo-