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Presentismo e passaggio del tempo

Riguardo al presentismo, ciò che rimane da vedere è come questa teoria possa dare una definizione coerente del passaggio del tempo. In che senso possiamo dire che il tempo passa se esiste solo il presente?

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Ecco un primo abbozzo di risposta: ogni istante che viene ad esistere possiede la proprietà Presente. Successivamente, quando smette di possederla smette di esistere. Tutti gli eventi che tale istante contiene cominciano e smettono di esistere con lui. Volendo, possiamo anche evitare di trattare il Presente come una proprietà. Diciamo semplicemente che gli istanti vengono ad esistere e smettono di esistere l’uno dopo l’altro.

Questa caratterizzazione intuitiva del passaggio del tempo e del divenire in una teoria presentista va incontro ad almeno tre problemi. Per prima cosa, reintroduce in una nuova forma il problema della velocità dello scorrere del tempo. Ci si può infatti chiedere: per quanto tempo esiste un istante? O formulato altrimenti: quanto dura un istante? Se assegniamo all’istante una determinata durata temporale rischiamo di produrre una risposta sia circolare che arbitraria; se diciamo per esempio che l’istante dura dieci millisecondi potremmo chiederci non solo cosa giustifichi questa risposta ma anche cosa cambierebbe se ne durasse, mettiamo, undici. Allora il presentista potrebbe essere tentato di rispondere che l’istante ha una durata infinitesimale, non ulteriormente scomponibile, quella che potremmo intendere come la minima durata temporale possibile. A questo punto però, oltre a chiedersi su che basi poggi questa risposta, è dubbio se il presentismo sia compatibile con la nostra esperienza cosciente in prima persona. Come abbiamo già accennato, tra i motivi principali per accettare una teoria dinamica del tempo c’è il fatto che la nostra esperienza del mondo e il nostro “senso interno” sembrano testimoniare a favore di un carattere temporale, dinamico, della realtà e di noi stessi. Ma come potrebbe tale carattere dinamico essere ottenuto attraverso l’apparire e scomparire di istanti di tempo di durata infinitesimale? Come si originerebbe un’esperienza cosciente temporalmente estesa da istanti di durata quasi nulla? In sostanza, imboccando questa via il presentista perderebbe le motivazioni maggiori a suo favore.

Secondo problema: gli istanti vengono reintrodotti, e in una maniera se possibile ancora più misteriosa visto che dovrebbero essere entità che nascono e si originano dal nulla senza una ragione apparente. Il presentista potrebbe sostenere che si tratta di una caratteristica primitiva della realtà, non ulteriormente analizzabile, ma è dubbio se questa risposta sia soddisfacente.

Terzo problema: gli eventi contenuti in ciascun istante risulterebbero tra loro completamente scollegati. Se infatti ogni istante cessa di esistere una volta esauritosi, allo stesso modo cessano di esistere gli eventi in esso contenuti. Poi un altro istante

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viene in essere, ma tutti i nuovi eventi e tutto ciò che vi è coinvolto non esistevano prima, poiché secondo questa impostazione del presentismo esiste un solo istante alla volta. Che collegamento c’è allora tra i diversi istanti se, potremmo dire, ognuno di essi ricrea l’universo ex novo? Ogni istante sembrerebbe essere una sorta di mondo conchiuso e a sé stante. È probabilmente questa concezione del divenire in una teoria presentista che motiva molte delle critiche che sono state mosse. Si capisce infatti perché la realtà del passato e concetti come quello di causazione diventino problematici in un modello che vede ogni istante fare capolino e poi subito dopo sparire per sempre, senza che questo processo trovi una spiegazione e senza che tra i vari istanti vi sia altro collegamento che quello che a tale processo rimanda.

Questa concezione del divenire e del passaggio del tempo deve allora essere rifiutata. Eppure, era tale concezione a sembrare più naturale per una teoria del tempo per la quale esiste solo il presente.

Le versioni del presente che ammettono l’esistenza di più di un istante hanno il vantaggio di poter spiegare con maggiore facilità in cosa consista il passaggio del tempo: non sarà altro che lo scorrere lungo la linea degli istanti di quelle caratteristiche o proprietà che rendono in qualche modo metafisicamente privilegiato l’istante presente. Esempi di queste caratteristiche sono: l’essere l’unico istante concreto, essere l’istante metafisicamente primitivo o avere il massimo grado di realtà. La tabella della sez. precedente riassume schematicamente il modo in cui per tali versioni di presentismo l’ontologia è legata alla concezione del passaggio del tempo e la determina.

Ci siamo già soffermati abbastanza sui problemi di cui soffrono queste teorie, per cui ci è chiaro che, anche se riescono più facilmente nel difficile compito di dare una formulazione precisa del passaggio del tempo e del divenire, è preferibile respingerle.25 Ma allora che altre alternative abbiamo se tanto la versione del presentismo che ammette l’esistenza di un solo istante, quanto quelle dotate di un inventario ontologico più ampio, non ci soddisfano? Esiste una terza via?

Il punto sta adesso nel notare che, tutte le volte (ormai numerose) nelle quali si è insistito sulla necessità di espellere dalla propria teoria del tempo gli istanti, ciò che in fondo si intendeva non era certo il volersi limitare all’esistenza di uno solo di essi. Infatti, dire che esiste un solo istante invece che molti è ancora voler rispondere a una

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Sempre in riferimento alla tabella, il fatto che per alcune versioni del presentismo sia vuota la casella in corrispondenza della colonna riguardante il passaggio del tempo indica semplicemente che tale versione, per come è formulata, non implica di principio nessuna concezione particolare di esso, e che è compatibile con proposte diverse.

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domanda del tipo “Quanti istanti esistono?”; cioè, è ancora ammettere gli istanti nella propria ontologia. In pratica, piuttosto che avere la linea degli istanti nella sua interezza ne avremmo un solo punto alla volta. Siamo ancora chiusi in un’impostazione che, come abbiamo visto, è per principio ostile al presentista. Per uscirne bisogna rifiutarsi di rispondere alla domanda stessa e riuscire a formulare una concezione del passaggio del tempo senza ricorrere alla nozione di istante.

Per vedere come ciò possa esser fatto ci rivolgiamo a Tallant (2010):

“Il presentista può negare che ci sia una cosa chiamata tempo, e dunque a un primo sguardo può negare che il tempo passi. Per essere più chiari può essere utile fare un paragone con la teoria B del tempo. La teoria B afferma che la realtà del tempo consiste nell’esistenza di relazioni fisse e permanenti di ‘prima di’ e ‘dopo di’. Quindi, secondo questo pensiero, il ‘tempo’ potrebbe essere identificato con una dimensione, o con una rete di B-relazioni. Se sei un presentista, la tua ontologia non include nessuna ‘rete di relazioni’ o ‘dimensione del tempo’. Quindi, se il teorico B può trattare il tempo come una cosa (come una rete o come una dimensione), il presentista non può trattare il tempo come una tale cosa. […] Un presentista che non crede in una cosa, il tempo, crede comunque che le cose cambino” (pag. 136)

In questo passaggio breve ma molto denso si trovano tutti gli elementi teorici di cui abbiamo bisogno. Non abbiamo ancora illustrato con precisione le caratteristiche della teoria B; per ora sappiamo solo che si tratta di una teorica statica del tempo e che nega sia il passaggio del tempo che il divenire. Questo ci è sufficiente per capire cosa intenda Tallant quando ne parla come di una teoria che concepisce il tempo come una dimensione o una rete di relazioni. Possiamo capirlo sia perché è piuttosto logico pensare che di una dimensione, concetto prettamente spaziale, non abbia senso dire che passi o che divenga, e sia perché tutte le volte che abbiamo incontrato una teoria A che concepiva il tempo come una linea di istanti abbiamo visto che risultava essere estremamente problematica o inadatta a caratterizzare il passaggio del tempo. Non possiamo quindi non trovarci d’accordo con Tallant. Anche Mulder (2016, pag. 46) è in sintonia: “L’affermazione fondamentale dell’eternalismo [cioè, della teoria B] è che il tempo è la linea del tempo”. Questa connessione ci risulta ormai più che chiara.

Tallant propone quindi al presentista di rifiutare in toto quella impostazione e sostiene che, così facendo, smetterà anche di considerare il tempo come una cosa. Non si deve più pensare il tempo come un’ulteriore cosa componente dell’ontologia come i

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tavoli, le sedie o gli atomi. Il tempo non è l’ennesima voce da aggiungere alla lista ontologica. In questo senso, si può capire perché Tallant affermi che per il presentista il tempo non esista e che, quindi, non passi. Questo non significa altro che, per il presentista, non c’è una cosa chiamata “tempo” la quale passa; ci sono delle cose chiamate “autobus” che passano (solitamente in ritardo), ma non ha senso concepire il tempo allo stesso modo. Ma che per il presentita il tempo in questo senso non esista e quindi non passi non significa che tutto sia immutabile o che non esista divenire. Al contrario, proprio smettendo di concepire il tempo come una cosa si apre al presentista uno scenario inedito:

“Io credo comunque nella ‘realtà del tempo’, posto che con tale espressione non si intenda nient’altro che le cose cambiano, e attraverso questi cambiamenti nuove cose vengono all’esistenza. Questo sembra essere abbastanza per la realtà del tempo. […] Il tempo non passa dato il presentismo. Il cambiamento occorre in oggetti individuali e, come è stato mostrato, è perfettamente sensato chiedere quanto velocemente avvenga qualche cambiamento di un dato oggetto rispetto a ogni altro. Questo, tuttavia, è tutto ciò che si può dire. Fortunatamente, è anche tutto ciò di cui abbiamo bisogno per preservare il presentismo, una teoria dinamica del tempo” (Tallant 2010, pag. 139-140)

Dire che il tempo non esiste ma è reale sembra proprio un gioco di parole da filosofi. In realtà, se si pensa al fatto che per l’ontologia di matrice quineana esistere vuol dire, semplificando, comparire nel catalogo di ciò che costituisce l’universo, il tempo può benissimo non esistere in quel senso e, tuttavia, essere reale, dove tale realtà consiste semplicemente nel cambiare e nel divenire delle cose. Tutto ciò che abbiamo sono dunque cose che cambiano le une rispetto alle altre, e solo di questi cambiamenti relativi ha senso chiedere a che velocità avvengano. In questo modo ci siamo liberati in un colpo solo del problema della velocità dello scorrere del tempo e del Presente come proprietà.

Ora però, se questa strada è davvero promettente, non è meno vero che necessita di ulteriori sviluppi. Prima di tutto occorre domandarsi se abbia ancora senso parlare di presentismo, visto che il presente non gioca più nessun ruolo particolare. Tallant (2010, pag. 139) sostiene che tutto ciò di cui una teoria ha bisogno per essere dichiarata presentista è lo slogan “Tutto ciò che esiste, esiste adesso”. Non è tuttavia immediatamente chiaro come anche solo tale slogan possa essere implementato

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nell’impostazione qui proposta. Si tratta di un punto sul quale abbiamo già insistito: se si vuole puntare ancora sulla centralità della nozione di presente, occorre senz’altro ridefinirla completamente.

Ad ogni modo, è senz’altro vero che la proposta di Tallant è più che sufficiente a delineare una teoria dinamica del tempo. Come possa essere sviluppata nel dettaglio è un altro conto, ma ciò che si è detto qui potrà bastare a far vedere come un modo nuovo e alternativo di intendere la realtà del tempo sia possibile.

2.4 Conclusione

Se dovessimo riassumere brevemente il risultato della nostra disanima della teoria presentista potremmo dire che essa, se vuole rendere conto adeguatamente del passaggio del tempo e del divenire, è costretta a trasformarsi fino a, in un certo senso, perdersi.

Abbiamo notato prima di tutto che la forza del presentismo consiste nella sua semplicità al livello ontologico, e nel fatto che possa fare a meno di parlare di entità dallo status ontologico dubbio o quantomeno difficilmente definibile come gli istanti. Inoltre, il problema non è solo che è difficile rispondere a una domanda del tipo “Cosa sono gli istanti?”, ma anche che, come abbiamo avuto modo di constatare più volte, la concezione del tempo come somma – linea – di istanti non è adeguata a caratterizzare ciò che più immediatamente è associato all’idea di tempo e che il teorico A dovrebbe difendere: la dinamicità. Il presentista deve quindi lasciar perdere la linea del tempo, e a maggior ragione la postulazione di entità supplementari (ersatz, istanti vuoti, entità ex- concrete ecc.)

Come pensare allora la realtà del tempo? Possiamo dire che una volta terminato tutto il lavoro di pulitura dalle concezioni scomode o inadeguate, il compito del presentista – e più in generale del teorico A – ricomincia da zero. Se infatti ci siamo sbarazzati degli istanti, la nozione di presente non può più essere legata a quella della simultaneità. Si può allora continuare a parlare ancora di presentismo, se non vi è più una proprietà Presente che si applica a una classe di istanti uniti dalla relazione di simultaneità? Si è visto come dei tentativi di pensare in modo nuovo la realtà del tempo siano stati fatti e, a questo punto, scegliere di conservare l’etichetta “presentismo” diventa una questiona puramente terminologica, e quindi di poco interesse.

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CAPITOLO TRE: Spazio e tempo: dalla teoria di Newton a

quella di Einstein