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Un nuovo argomento contro la teoria B

Ci proponiamo adesso di sviluppare un nuovo argomento contro la teoria B che muova dall’esperienza e, più in particolare, da quella che è stata prima vagamene definita “struttura temporale della coscienza”. Senza aver qui l’ambizione di chiarire in maniera esaustiva in che senso la vita di coscienza possa dirsi temporale, mi limiterò a prenderne in considerazione due aspetti.

Il primo è la durata delle esperienze coscienti. Sia che gli episodi della nostra vita cosciente siano di natura statica, o dinamica, o falsamente dinamica (ammesso che ciò abbia senso), si può senz’altro concordare sul fatto che essi abbiano una durata e cioè, detto banalmente, che essi abbiano un inizio e una fine. Il teorico B sostiene di poter accomodare facilmente questo fatto all’interno della sua teoria. Dopotutto, intendendo l’intervallo che separa l’inizio e la fine di un episodio di coscienza come un semplice intervallo temporale (o spazio-temporale che sia), esso può essere inserito facilmente in un universo blocco. Anche nell’universo statico del teorico B vi sono distanze tra eventi.

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Questo ci porta al secondo aspetto della temporalità della coscienza: poiché la vita di coscienza conosce uno sviluppo temporale – più semplicemente: c’è un cambiamento delle esperienze nel corso del tempo – i diversi vissuti di coscienza non possono mai

coesistere.

Questo punto necessita di un breve chiarimento. Partiamo dal fatto che, per utilizzare la terminologia di Husserl, nel caso delle esperienze coscienti, considerate qui sotto il loro aspetto qualitativo, il percipi coincide con l’esse.48 Prendiamo come esempio il caso di un dolore al braccio: per un’esperienza di questo tipo il fatto che essa sia “percepita”, o meglio, provata e vissuta, coincide con la sua esistenza. Questo può essere inteso a significare semplicemente che quando ci riferiamo a queste esperienze, e diciamo che esistono, tutto ciò che intendiamo è che qualcuno le sta provando, le sta vivendo in prima persona. Un dolore non provato è semplicemente inesistente.

Ora, poniamo che io stia provando del dolore al braccio e che tramite un massaggio esso sia progressivamente sostituito da una sensazione più neutra, finché poi subentrano il sollievo e un certo piacere. Sia il teorico A che il teorico B possono facilmente concordare sul fatto che queste tre diverse esperienze (dolore, neutralità, sollievo) hanno una durata e che ognuna va a sostituire la precedente. Se la teoria B è vera, però, tutte queste esperienze esistono ugualmente nell’universo blocco. C’è un senso preciso in cui, per il teorico B, queste esperienze coesistono: non sono simultanee, esse coesistono nella realtà statica dell’universo blocco preso nel suo insieme. Tuttavia, se un’opzione del genere può essere possibile, almeno in linea di principio, per oggetti materiali privi di coscienza, non lo è per la nostra vita di coscienza. Essa, per così dire, testimonia direttamente contro la realtà dell’universo blocco.49 E questo perché le nostre esperienze coscienti non coesistono le une con le altre; se così fosse non le vivrei in successione ed esse non avrebbero nessuna durata. Non avrebbero né cominciamento, né sviluppo e nemmeno cessazione. Dovrebbero invece essere vissute da me tutte assieme, in un modo tale per cui dovrei vivere insieme l’interezza della mia vita cosciente. È vero che ci è difficile immaginare in cosa consisterebbe una vita cosciente di questo genere, in cui le esperienze non si susseguono ma sono invece vissute tutte assieme nella loro diversità (e apparente mutua esclusività). D’altra parte, è verso una concezione di questo tipo che spinge la teoria B quando dice che tutti gli eventi coesistono nell’universo

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Husserl parla a questo proposito di oggettualità immanenti: “…per tali oggettualità l’essere coscienti nell’originale coincide con l’essere, il percipi con l’esse” (Husserl 1966, pag. 91).

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blocco; e se dell’universo blocco devono far parte anche le nostre esperienze coscienti, allora tutte dovrebbero essere da me vissute insieme.

Tutti concordano sul fatto che la nostra vita di coscienza non consista in niente di simile. Per riprendere l’esempio del dolore, quando ad esso subentra la sensazione neutra esso smette di esistere. E posso sapere che esso ha cessato di esistere poiché, se non lo avesse fatto, lo proverei ancora. La durata e la successione sono generalmente considerate dai teorici B due caratteristiche della realtà che facilmente concordano con la loro teoria (poiché essa si fonda sulle relazioni d’ordine tra eventi). Ma questa concordanza si rompe in pieno nel caso delle esperienze coscienti, tanto che l’argomento contro la teoria B può essere così riassunto:

(1) Se la teoria B fosse vera tutte le esperienze coscienti coesisterebbero nell’universo blocco.

(2) Se tutte le esperienze coesistessero esse non avrebbero durata (cioè un inizio e una fine) né si succederebbero.

(3) Le nostre esperienze coscienti avvengono in successione e hanno una durata.

(C) La teoria B è falsa.

Naturalmente il teorico B ha in serbo una risposta abbastanza immediata all’argomento precedente, che gioca sul modo in cui noi, come individui, facciamo parte dell’universo blocco.

Obiezione 1: “Qui si sta presupponendo erroneamente che vi sia un qualche cosa

come un Sé unitario, o un unico soggetto d’esperienza50, che sia comune a tutti i diversi istanti della vita cosciente. Ma se la teoria B è vera, non ha senso parlare di un unico soggetto. Bisogna invece pensare ogni soggetto cosciente come esso stesso composto di parti temporali. Per cui avremo che la parte temporale in t1 fa

esperienza del dolore, la parte in t2 fa esperienza della sensazione neutra e un’altra

parte in t3 fa esperienza del sollievo.51 Ad ogni diversa parte corrisponde una diversa

esperienza, e non c’è nessun soggetto d’esperienza che sia comune alle diverse parti così che, anche se tutte le esperienze coesistono, esse non sono vissute insieme”.

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La nozione di soggetto d’esperienza è efficacemente chiarita da Strawson (1994): “Non ci può essere esperienza senza soggetto d’esperienza, perché l’esperienza è necessariamente per qualcuno o per qualcosa” (pag. 129). “Consideriamo un’esperienza di dolore. Se c’è un’esperienza di dolore deve ovviamente esserci qualcuno o qualcosa che prova quel dolore. Non può esserci solo un contenuto d’esperienza” (pag. 132).

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Credo che a dispetto delle apparenze una tale frammentazione del soggetto d’esperienza non faccia che peggiorare la situazione per il teorico B. Poniamo ad esempio che io coincida con la parte temporale in t3 che esperisce la sensazione di

sollievo. Nell’universo blocco sia la parte temporale che l’esperienza sono eterne. Cosa dovrei esperire allora? Dovrei esperire una sensazione di sollievo che non muta, per l’eternità. Da sempre e per sempre sarei limitato all’esperienza che faccio in t3, che non

avrebbe né una durata, poiché esistendo eternamente non avrebbe senso dire che comincia e finisce, né sarebbe preceduta o seguita da altre, poiché la parte temporale che io sono è confinata a un unisco istante.

In altre parole, spezzettare il soggetto d’esperienza non è d’aiuto. Il risultato è che al posto di un unico soggetto che dovrebbe vivere eternamente tutte insieme le sue esperienze ne avrei una miriade, ognuno dei quali ne vive eternamente una sola. Quale delle due opzioni sia peggiore e più lontana dalla realtà è una scelta che lasciamo al lettore.

Il teorico B potrebbe però ribattere che l’esperienza di durata e successione è generata dal fatto che le diverse esperienze – o meglio, i loro “sostrati fisici” nel cervello – si influenzino e abbiano relazioni causali.

Obiezione 2: “L’esperienza in t1 causa e determina la natura di quella in t2, la quale

ha tra le sue componenti una memoria a breve termine dell’esperienza precedente. Questo dà l’impressione che vi sia un flusso di coscienza e che le diverse esperienze si sostituiscano e cessino di esistere, ma in realtà ogni esperienza continua a esistere eternamente per la sua parte temporale nell’universo blocco”.

Il problema di questa risposta è che dalla prima affermazione non segue la seconda. Nello scenario dell’universo blocco che un evento ne causi un altro vuol semplicemente dire che, preso un evento e1 e un altro evento e2 immediatamente successivo, la natura

del secondo dipende da quella del primo secondo una legge causale, presumibilmente una legge fisica. Nel mio caso avrei che ci sono delle leggi che, data l’esperienza fatta dalla parte temporale in t1, determinerebbero il contenuto dell’esperienza fatta dalla

parte temporale in t2, memoria a breve termine compresa. Perché mai da questo

dovrebbe seguire qualcosa di simile alla nostra esperienza cosciente? Perché mai dovrei avere un alternarsi di esperienze? Le diverse parti temporali rimangono confinate al loro istante, e così le loro esperienze. Il fatto che io possa trovare una legge causale che stabilisce dei rapporti tra queste parti non cambia assolutamente niente.

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A questo punto il teorico B potrebbe avanzare un’estrema obiezione, e cioè che abbiamo frainteso l’affermazione per cui non c’è un unico soggetto d’esperienza:

Obiezione 3: “Quando si è detto che non c’è un unico soggetto ciò che si intendeva

dire è che il soggetto d’esperienza non va concepito come una sostanza. Concepirlo come una molteplicità di sostanze limitate a parti temporali è però altrettanto sbagliato. Il soggetto non è un oggetto, non è una cosa. Piuttosto, il soggetto consiste nel flusso stesso dell’esperienza e nell’alternarsi delle diverse fasi della vita cosciente. Ciò che si voleva dire è che quando parliamo di un Sé parliamo di questo stesso processo e non di una sostanza stabile che vi soggiace”.

Potrei concordare col contenuto di questa risposta dal sapore vagamente buddhista. Non vedo però come possa essere d’aiuto al teorico B, perché la sua proposta estrema lungi dal negare la realtà del divenire la presuppone radicalmente e, soprattutto, la presuppone per le esperienze coscienti.

A quanto pare, quindi, la nostra vita di coscienza rimane un ostacolo fondamentale e probabilmente insormontabile per la teoria B. La possibilità dell’universo blocco è messa fuori gioco non dai contenuti dell’esperienza, ma dalla sua struttura temporale. Infatti, nell’argomento esposto sopra non si è fatto ricorso né a esperienze di processi fisici che dovrebbero rappresentare il passaggio del tempo, né alla proprietà Presente o alla sua estensione globale, né alla simultaneità e nemmeno a esperienze dinamiche. Un teorico B, seguendo per esempio Dainton (2011), potrebbe affermare che un risultato di questo tipo è triviale e poco interessante:

“Diciamo che i contenuti [di un’esperienza] sono banalmente dipendenti dal passaggio del tempo se esso li porta ad esistere nella stessa maniera in cui porta tutto il resto a esistere. Diciamo invece che tali contenuti sono non-banalmente dipendenti dal passaggio del tempo se esso non solo li porta ad esistere ma contribuisce essenzialmente anche al loro carattere dinamico, in maniera tale che tali contenuti possono esistere solo in un mondo in cui c’è tale passaggio. […] Ma riguardo alle loro qualità o proprietà intrinseche, il contenuto delle esperienze nell’universo [del teorico A] è indistinguibile dalle loro controparti in un universo blocco dove non c’è passaggio del tempo” (pag. 414)

Qui non abbiamo discusso la questione se il contenuto delle esperienze, e in particolare delle esperienze dinamiche, sia compatibile con la teoria B. L’argomento è

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vasto e complesso e non rientra direttamente nel quadro della tesi, che riguarda invece più specificamente il divenire. Però anche ammettendo (senza concederlo) che tutto il contenuto delle singole esperienze coscienti sia compatibile con la teoria B, da ciò non segue che l’esperienza cosciente così come si struttura in noi – cioè con una durata e una successione – sia possibile in un universo blocco in cui tutto è statico e nulla diviene. Si tratta di un risultato banale? Se anche fosse, vorrebbe dire che la teoria B è banalmente falsa.