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L’obiettivo generale di questa tesi era una difesa della realtà del divenire. Esaminando quella teoria filosofica, la teoria A, che si propone di difendere la realtà del passaggio del tempo e del divenire nel dibattito contemporaneo abbiamo visto che essa muove da alcuni presupposti che le rendono irraggiungibile il suo stesso scopo. I due

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maggiori tra questi presupposti sono gli istanti concepiti come entità e la proprietà Presente. Concependo il tempo come una somma di istanti, esso viene concepito come una sostanza. Una sostanza, però, è qualcosa di sempre uguale a se stessa, e se il passaggio del tempo è concepito alla maniera di un cambiamento di proprietà temporali il risultato è che la sostanza-tempo possiederà proprietà incompatibili (e si arriva al paradosso di McTaggart). Inoltre, pensando il passaggio del tempo e il divenire nei termini di cambiamento di proprietà li si concepisce come un qualsiasi altro fenomeno. Sarà allora lecito chiedersi quanto velocemente si svolga tale fenomeno: è evidente che, se questa domanda è posta riguardo al passaggio del tempo stesso, si arriverà a un esito contraddittorio.

La versione della teoria A che meglio di tutte può risolvere questi problemi è il presentismo, poiché in alcune sue versioni esso fa a meno sia delle proprietà temporali che degli istanti concepiti come sostanze. Se è così, però, sorge anche la necessità di ripensare in modo nuovo il divenire.

L’obiezione più stringente che si può fare al presentismo non è di natura metafisica ma fisica, e proviene dalla teoria della relatività speciale. Dopo aver chiarito in che senso nella relatività non si possa più parlare di un tempo assoluto, si è mostrato come sia la relatività della simultaneità il maggior ostacolo al mantenimento di un’impostazione A-teoretica standard in uno scenario relativistico. Questo perché la teoria A standard concepisce il presente come una classe di eventi tra loro simultanei e di estensione globale. La simultaneità globale è però relativa al sistema di riferimento nella teoria einsteiniana. Questa caratteristica della teoria è stata sfruttata da Putnam e Rietdjik per sviluppare un argomento pro-eternalismo. Abbiamo visto che ci sono più modi in cui il teorico A può rispondere a questo argomento, anche se le risposte più promettenti richiedono di abbandonare la simultaneità globale e di pensare il divenire come locale e legato al sistema di riferimento.

Se la teoria A appare incompatibile con una teoria fisica, non sarebbe allora meglio abbandonarla definitivamente in favore della teoria B? Presa in considerazione questa possibilità non ci è rimasto che respingerla: l’universo blocco, statico e immutabile della teoria non solo non è tanto più compatibile con la relatività di quanto non lo sia la teoria A, ma è anche nettamente incompatibile con la natura transitoria delle nostre esperienze coscienti.

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Infine, la radice della tendenza a pensare il tempo come una cosa è stata individuata in un modello dell’ontologia che fa capo alla questione del che cosa c’è come impostata da Quine.

Se dovessi quindi riassumere il lavoro d’analisi di questa tesi in un solo punto d’arrivo, potrei dire che consiste nel constatare la necessità di ripensare il tempo nel suo carattere dinamico, comprendendo che la sua rappresentazione nelle teorie fisiche (relativistiche o meno), che lo pone in una ulteriore dimensione che si aggiunge a quelle spaziali, è appunto una rappresentazione, che nel suo carattere puramente formale non può caratterizzare esaustivamente il tempo. Come riassume efficacemente Reichenbach (1928):

“La filosofia della scienza ha esaminato il problema del tempo in misura molto minore rispetto al problema dello spazio. Il tempo è stato generalmente considerato come uno schema di ordine simile a quello dello spazio ma più semplice, poiché ha solo una dimensione. […] Il trattamento del tempo in maniera analoga a quello dello spazio è stato dannoso. Si è posta attenzione solo ai problemi che non riguardavano il tempo, invece che alle sue caratteristiche speciali. Queste caratteristiche si manifestano nel fatto che l’ordinamento temporale è possibile in un regno che non conosce ordine spaziale, e cioè il regno dell’esperienza psichica di un essere umano individuale” (pag. 109-110)

Anche un filosofo il cui lavoro è profondamente legato alla scienze fisiche come Reichenbach riconosceva quindi che, se vogliamo caratterizzare adeguatamente il tempo, è necessario fare qualcosa di più che pensarlo come un’ulteriore dimensione del mondo fisico.

Per questo però potrebbe essere necessario allontanarsi dall’impostazione quineana dominante in filosofia analitica che intende l’ontologia come una semplice domanda su cosa esiste. Quasi un secolo fa il filosofo neo-kantiano Ernst Cassirer, nel suo libro La

teoria della relatività di Einstein (1921), rilevava che la relatività speciale e quella

generale dovevano mostrarci come i concetti di “oggetto” e di “cosa” fossero inadeguati a caratterizzare l’oggettività per come essa è intesa nelle stesse scienze fisiche:

“Qualunque cosa significhi tale oggettività, essa non può in nessun caso coincidere con quella che, secondo la visione ingenua del mondo, è la sua realtà concreta, la realtà degli oggetti sensibili della percezione” (pag. 20)

178 E riguardo la teoria della relatività egli affermava:

“È evidente che la sua negazione dell’oggettività fisica dello spazio e del tempo deve necessariamente significare qualcosa di diverso e di più profondo dell’idea che spazio e tempo non sono cose nel senso del ‘realismo ingenuo’. Una tale concezione, infatti, dobbiamo essercela lasciata alle spalle già sulla soglia della scienza fisica, ossia già quando ne abbiamo formulato i primi giudizi e proposizioni. Spazio e tempo condividono con tutti gli altri concetti autenticamente fisici il non essere concetti di cosa, ma puri concetti di misura” (pag. 21)

Stando così le cose, allora, il confronto tra immagine manifesta e immagine scientifica del tempo non può limitarsi a una dichiarazione della veridicità della seconda e della illusorietà della prima. Si deve invece capire in che modo le due immagini caratterizzino il tempo e perché nell’immagine fisico-scientifica del mondo un determinato concetto possieda lo stesso nome – “tempo” – che ha un concetto dell’immagine manifesta col quale si attribuisce dinamicità all’esperienza e al mondo stesso.

Si può perciò dire che sia la teoria A che la teoria B sono teorie imperfette, che non possono sopravvivere nella loro forma attuale. Tuttavia, tra le due quella più promettente è sembrata la teoria A, per il semplice fatto che cerca di difendere la realtà del divenire, la cui negazione è del tutto incompatibile con la natura della coscienza.

Molti filosofi con simpatie per il presentismo si rendono conto della necessità di ripensare criticamente in cosa consista il passaggio del tempo, e che le proprietà temporali non sono il modo migliore per esprimerlo. C’è ragione di pensare che è lungo queste direttrici che si muoverà nei prossimi anni la filosofia del tempo. La negazione della realtà del divenire continua a non essere un’opzione plausibile.

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