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Prospettive di riforma dell'attività bancaria. Verso la separatezza tra banca commerciale e banca d'investimento

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DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Tesi di laurea in Diritto Bancario

Prospettive di riforma dell’attività bancaria.

Verso la separatezza tra banca commerciale

e banca d’investimento

Il candidato

Guido Parisi

Il relatore

Ch.ma Prof.ssa Michela

Passalacqua

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II INDICE

Introduzione...V

CAPITOLO I

Profili storici della specializzazione dell’attività bancaria negli Stati Uniti, in Italia e nel resto d’Europa

1. La separazione tra commercial e investment banks negli Stati Uniti: Glass-Steagall

Act del 1933……….1

2. Ripercussioni in Europa della crisi del 1929 e attività bancaria in Germania e Gran Bretagna (cenni)……….11 3. L’attività bancaria in Italia alla luce della Legge bancaria del 1936 (R.d.l. n. 375/1936)……….20

3.1. Aziende di credito e Istituti di credito: la specializzazione temporale (dal lato del passivo)………...28 3.2. La “costituzionalizzazione” della legge bancaria: natura giuridica della banca e tutela del risparmio………...32 4. Banca commerciale e banca di investimento alla luce degli interventi normativi degli anni Trenta del Novecento………37

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III CAPITOLO II

Ascesa del modello “banca universale” e Testo Unico Bancario del 1993

1. La teoria dei mercati finanziari efficienti e la “finanziarizzazione” dell’economia (cenni)…..………...41 2. La natura giuridica della “banca universale”: il superamento della teoria dell’ordinamento sezionale………47 3. Abrogazione del Glass-Steagall Act e liberalizzazione dell’attività bancaria negli Stati Uniti………..54 4. Creazione del mercato unico bancario (Direttive 1977/780/CE e 1989/646/CE) e applicazioni del modello “banca universale” in Gran Bretagna e Germania……….61 5. Il Testo Unico Bancario del 1993 (d. lgs. n. 385/1993)……….76 5.1. L’art. 10 del T.U.B. e la fine della specializzazione dell’attività bancaria………....………....…83

CAPITOLO III

Prospettive di ritorno alla specializzazione: interventi normativi post-crisi tra Stati Uniti ed Europa

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IV 1.1. Critiche al modello “banca universale”. Fallimenti di mercato e di regolazione. Il rischio sistemico: “too big to fail”...99 2. Stati Uniti: Dodd-Frank Act (2010) e la Volcker Rule...109 3. Regno Unito: Banking Reform Act (2013) e il ring-fencing...117 4. Il Rapporto Liikanen e la Proposta di regolamento COM/2014/43 della Commissione Europea...122 4.1. Riforme bancarie in Germania, Francia e Belgio (cenni)...130 5. La situazione italiana: proposte di legge della XVII Legislatura...134 6. Separazione giuridica o funzionale e fattibilità di un “ritorno all’antico”.145

Conclusioni...150 Appendice: Approfondimento su tre banche italiane “di interesse sistemico” (Intesa Sanpaolo, Unicredit, MPS)...155 Bibliografia e documentazione...162

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V Introduzione

Nel corso dell’ultimo decennio, il dibattito attorno alla necessità di riformare l’ordinamento del credito, in Italia e all’estero, è stato vivissimo. I fatti che hanno dato avvio a tali attenzioni nei confronti del sistema bancario sono ben noti e trovano il loro prius nell’avvento della crisi dei mutui subprime statunitensi. In quella circostanza, emersero in modo evidente le problematicità connesse all’esercizio da parte delle banche, accanto alle tradizionali funzioni di raccolta del risparmio ed erogazione del credito, dell’attività finanziaria più strettamente speculativa.

Dai mercati finanziari americani, la crisi si è ben presto propagata in tutti i Paesi occidentali, mettendo a rischio i maggiori sistemi creditizi del mondo. Essi si sono rivelati naturalmente predisposti al contagio, soprattutto a causa della loro interconnessione. Le più grandi banche del mondo sono state infatti definite too big to fail, per via delle dimensioni dei propri bilanci e per il fatto di essere ciascuna fortemente dipendente dallo “stato di salute” delle altre e del sistema economico nel suo complesso. Si sono così resi necessari, da parte degli Stati, numerosi interventi di salvataggio delle imprese maggiormente in affanno, con notevole dispendio di risorse pubbliche.

Accanto ai provvedimenti “emergenziali”, i legislatori nazionali e sovranazionali hanno parimenti avvertito l’esigenza di operare interventi di riforma dell’ordinamento del credito su due principali fronti: da un lato, si è

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VI dato avvio ad un complessivo ripensamento e rafforzamento degli apparati e degli strumenti di supervisione del sistema; dall’altro, si è pensato di impedire – o, quantomeno, limitare – alle imprese bancarie l’esercizio delle attività finanziarie più rischiose, predisponendo modelli di contingentamento dell’attività bancaria entro confini più stretti. Lo scopo precipuo del presente lavoro è di dar conto di questo secondo filone di interventi.

Il fil rouge lungo il quale si sviluppa la ricerca è quello dell’osservazione diacronica dell’attività bancaria nel corso del XX e XXI secolo. L’analisi prende avvio, nel primo Capitolo, dalla ricostruzione dei due modelli “storici” di impresa bancaria, cioè la banca commerciale e quella d’investimento (o

d’affari), così come risultanti dagli interventi normativi intercorsi, tra Stati

Uniti ed Europa, nella prima metà del Novecento, in reazione alla grave crisi economica del 1929. I due testi legislativi a cui è riservata maggiore considerazione sono il Glass-Steagall Act statunitense del 1933 e la legge bancaria italiana del 1936. Entrambi formalizzarono il principio di specializzazione dell’attività bancaria nei rispettivi ordinamenti: il primo, obbligando le banche americane a dismettere le proprie società subsidiaries che svolgessero attività di negoziazione di titoli mobiliari ed altri strumenti finanziari, oppure a dedicarsi unicamente a tali operazioni, senza poter raccogliere il risparmio ed effettuare impieghi a breve; la seconda, impedendo alle banche che raccogliessero depositi a vista o a breve di operare impieghi

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VII a lungo termine. In ragione di tale specializzazione “temporale”, quindi, la legge bancaria italiana distinse i soggetti creditizi in aziende ed istituti di credito.

Nel medesimo Capitolo, inoltre, si darà conto della situazione degli ordinamenti britannico e tedesco, avendo cura di dare risalto alla maggiore flessibilità delle rispettive discipline. La Gran Bretagna, invero, era caratterizzata da una forte specializzazione de facto, disponendo, tuttavia, di un apparato normativo e di vigilanza oltremodo scarno. Al contrario, la Germania aveva reagito alla Grande Depressione introducendo limiti prudenziali più stringenti sui capitali delle società e poteri di vigilanza più occhiuti in capo alle Autorità statali; ciononostante, era stato preservato il modello della banca mista-universale, una banca cioè non specializzata, attiva non solo nel comparto finanziario, ma anche – e soprattutto – nella partecipazione diretta nel capitale delle maggiori imprese industriali del Paese.

Nel secondo Capitolo, poi, saranno esaminate le evoluzioni delle normative statali e sovranazionali, nella direzione della liberalizzazione del mercato del credito, avvenute sul finire del Novecento. Infatti, sulla spinta delle teorie economiche cosiddette “neoclassiche”, che sostenevano la necessità per i mercati finanziari di cospicui interventi di deregulation, con il fine di aumentarne l’efficienza, i modelli “specializzati” della banca commerciale e della banca di investimento furono gradatamente soppiantati dal ritorno all’organizzazione polifunzionale dei soggetti creditizi. Così, la

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VIII e, soprattutto, considerata l’archetipo della banca moderna. La seconda parte della ricerca, dunque, si impernia essenzialmente su due punti: da un lato, è stato ripercorso il processo comunitario di armonizzazione delle normative nazionali in materia creditizia, che ha infine condotto alle nuove leggi bancarie degli Stati europei nel corso degli anni Novanta (tra le quali verrà dato ampio risalto al T.U.B. italiano, oltre a doverosi cenni alla disciplina britannica e a quella tedesca); dall’altro, si procederà ad esaminare il

Gramm-Leach-Bliley Act statunitense che, abrogando il Glass-Steagall Act, concedeva,

dopo sessant’anni, piena libertà sui mercati finanziari a tutte le imprese creditizie del Paese.

Il terzo ed ultimo Capitolo, dopo un breve excursus delle vicende che hanno coinvolto le banche, americane ed europee, nella crisi finanziaria del 2007-2008, darà conto delle riflessioni teoriche e degli interventi normativi concernenti l’individuazione – ed, eventualmente, la correzione – degli elementi di debolezza del sistema. In particolare, saranno esaminate le disposizioni statunitensi, britanniche, francesi e tedesche che hanno reintrodotto forme più o meno accentuate di specializzazione dell’attività bancaria. I due principali modelli normativi analizzati saranno la Volcker Rule americana e il ring-fencing del Regno Unito: la prima riprende alcuni elementi del Glass-Steagall Act, senza tuttavia spingersi fino a disporre la completa separazione giuridica delle imprese commercial da quelle investment. Il secondo, invece, si limita a disporre una separazione “funzionale” della taking deposit

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IX

entity dal resto del gruppo bancario. Sulla stessa lunghezza d’onda del

legislatore britannico, poi, si posizionano le riforme bancarie francesi e tedesche, le quali traggono ispirazione dal Rapporto Liikanen, stilato in sede europea nel 2012. Esse, tuttavia, al contrario del ring-fencing, isolano dal resto del gruppo creditizio le trading entities, prevedendo comunque numerose eccezioni al divieto di proprietary trading posto in capo alle banche di deposito. Accanto ad esse, infine, verrà fatto un brevissimo cenno anche alla legge bancaria belga.

Oltre alle riforme portate a termine, saranno presi in esame anche due disegni di legge rimasti incompiuti: il progetto di Regolamento COM/2014/43 della Commissione Europea, che intendeva introdurre un modello più marcato di separazione funzionale, e le proposte di legge della XVII Legislatura del Parlamento italiano. Relativamente a queste ultime verranno individuati tre gruppi: alcuni progetti, infatti, hanno adottato un approccio minimale, prefiggendosi come unico scopo l’aggiunta di un comma 3-bis all’art. 10 del T.U.B., il quale si limitava a disporre il divieto di negoziazione per proprio conto per tutte le imprese bancarie. Gli altri due gruppi di proposte, invece, pur distinguendosi tra loro per l’iter legislativo prescelto – legge ordinaria e delega legislativa – introducevano tutti una più articolata disciplina dell’attività bancaria. Era infatti imposta la separazione (giuridica) delle imprese in banche commerciali e banche d’affari – delle quali

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X era data accurata definizione normativa – ed erano previste sanzioni amministrative per le imprese che non vi si fossero adeguate.

A conclusione del lavoro, infine, verranno svolte alcune considerazioni generali sulla efficacia delle misure introdotte e sulla prospettabilità in futuro di ulteriori restrizioni all’attività bancaria, giungendo a ritenere impraticabile un ritorno sic et simpliciter alla completa separatezza tra il comparto commerciale e quello finanziario – così come delineato in molte leggi bancarie del Primo Dopoguerra. Pur essendo quei testi inarrivabili esempi di chiarezza normativa, il mondo che essi si occupavano di disciplinare presentava problemi diversi – e, probabilmente, meno complessi – di quelli dei nostri giorni. La finanziarizzazione dell’attività bancaria, si vuole dire, è diretta conseguenza della sempre più marcata globalizzazione ed interconnessione dei mercati, nei quali, peraltro, l’innovazione tecnologica gioca su due versanti, entrambi determinanti: da un lato, rende sempre più agevoli e immediati gli scambi; dall’altro, e conseguentemente, abbatte i costi delle operazioni, portando ad un progressivo azzeramento della redditività dell’attività tradizionale. L’impresa bancaria, insomma, sembra essere spinta naturalmente alla ricerca del profitto, nella direzione dei mercati finanziari, ed anche i tentativi di separazione maggiormente incisivi, quali la Volcker Rule, hanno dovuto riconoscere l’impossibilità di vietare totalmente alle banche di operarvi.

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1 CAPITOLO I

Profili storici della specializzazione dell’attività bancaria negli Stati Uniti, in Italia e nel resto d’Europa

1. La separazione tra commercial e investment banks negli Stati Uniti: Glass-Steagall Act del 1933

Per giungere ad una definizione di “banca commerciale” e di “banca di investimento” esaustiva, è imprescindibile partire da un esame della disciplina statunitense adottata negli anni ’30 del XX secolo per far fronte alle conseguenze della grave crisi finanziaria scoppiata nel Paese nel 1929. Tale disciplina, principalmente contenuta nel Banking Act del 1933, passato alla storia con il nome di Glass-Steagall Act (dai nomi del senatore e del deputato che lo avevano presentato alle rispettive Camere), si prefiggeva, in particolar modo, di “assicurare un uso più sicuro ed effettivo degli asset delle banche, di regolare il

controllo interbancario [ e ] di prevenire indebiti trasferimenti di fondi ad operazioni speculative”1.

Il Glass-Steagall Act ha rivestito un ruolo di primaria importanza nell’ambito della regolamentazione dell’attività bancaria, non solo all’interno dell’ordinamento statunitense (fino alla sua formale abrogazione, nel 1999)2. L’esigenza di introdurre un principio di separazione (almeno) funzionale delle

1 Così recita il preambolo della legge in esame. Glass-Steagall Act, H.R. 5661, 16 Giugno 1933.

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2 diverse attività bancarie di cui esso si fa portatore, infatti, si ritrova in alcuni coevi interventi normativi di altri Paesi del mondo3. È di tutta evidenza, d’altronde, anche al lettore meno informato, che il primato statunitense in materia finanziaria e bancaria (nel bene e nel male) è pressoché indiscutibile: buona parte delle riflessioni teoriche, delle innovazioni, sia sul piano giuridico che su quello economico, e delle più gravi crisi finanziarie del XX e XXI secolo hanno avuto quel Paese come luogo d’origine.

Il fatto storico da cui prende avvio l’intervento del legislatore statunitense del 1933, come accennato, è il crollo della Borsa di Wall Street dell’ottobre del 1929. Dalla fine della Prima Guerra Mondiale, il sistema economico americano aveva vissuto un periodo di costante crescita della produzione industriale e, in parallelo, dei mercati finanziari. La crescente domanda di finanziamenti all’industria, invero, si tradusse in un boom del mercato azionario: sui mercati borsistici anche i piccoli investitori acquistavano ingenti quantità di titoli azionari facendo ricorso al credito bancario4. Una tra le principali cause del crollo della borsa, tuttavia, fu proprio la crescita smodata della speculazione finanziaria rispetto all’economia reale, fatto che si concretizzò in un aumento del valore delle azioni non accompagnato da un proporzionale aumento delle vendite di beni

3 Ad esempio, secondo CASSESE, Lo Stato fascista, Bologna, Il Mulino, 2010, pp. 21 ss., “[…] è

massima la corrispondenza con scelte fatte fuori dall’Italia […] nel settore bancario e delle imprese pubbliche. La legge bancaria del 1936 ha molti tratti simili al Glass Steagall Act americano.”

4 Cfr. FONDERICO, Gli USA al salvataggio delle banche nella grande crisi del ’29, in Merc., conc., reg., fasc.

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3 e servizi5. La bolla azionaria effettivamente scoppiò nel celeberrimo Black

Thursday del 24 ottobre 19296, aprendo la strada, così, ad un lungo periodo di recessione che si protrasse per buona parte del decennio successivo.

Ciò che più importa in questa sede, ad ogni modo, è che, fin dai primi mesi successivi alla deflagrazione della crisi, il dibattito pubblico si concentrò sul ruolo rivestito dalle banche nelle vicende appena esposte. Il Banking and

Currency Committee del Senato aprì un’indagine, passata alla storia come Pecora Auditions (dal nome del magistrato italo-americano che presiedé la

commissione), per accertare, in particolare, eventuali condotte illecite degli intermediari. Dai lavori della commissione si trassero, soprattutto, tre evidenze di rilevanti ipotesi di conflitto di interessi in seno alle maggiori banche del paese: in primo luogo, alcuni intermediari avevano collocato presso i propri clienti nuove emissioni di azioni e obbligazioni di bassa qualità, omettendo di informare i sottoscrittori sull’elevato rischio di quei titoli. In secondo luogo, alcune banche commerciali avevano convertito prestiti ad elevato rischio di insolvenza in titoli collocati presso il pubblico nell’ambito di portafogli in gestione presso la stessa banca o intermediari da essa partecipati. In terzo luogo, alcuni intermediari partecipati (e anche dipendenti e amministratori in prima persona) avevano assunto posizioni

5 Cfr. DI TOMMASO, TASSINARI, Industria, governo, mercato. Lezioni americane, Bologna, Il Mulino,

2017, p. 49.

6 Per una descrizione dettagliata di quegli eventi e delle possibili cause profonde della crisi, cfr.

GALBRAITH, The Great Crash 1929, Boston, Houghton Mifflin, 1954, ed. it. Il grande crollo, Milano, RCS libri, 2002.

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4 speculative su titoli della banca capogruppo sulla base di informazioni riservate7. Il Committee, peraltro, concentrò la propria attenzione sulle (troppo) poco limpide attività della Chase National Bank e della National City

Company, le quali ben potrebbero, con gli odierni parametri di valutazione,

essere definite “banche universali”8. Lo scandalo della scoperta di una marcata commistione tra i distinti rami societari, quello investment e quello

retail, in una logica di massimizzazione dei profitti ben oltre il consentito,

spesso in frode ai propri clienti, fu così ampio, presso l’opinione pubblica, che il Glass-Steagall Act venne accolto con favore praticamente da tutto l’arco politico-istituzionale del Paese.

Il danno reputazionale si estese a tutto il sistema bancario statunitense, ancora prima che fossero note le risultanze delle Pecora Auditions. A più riprese, dal 1929 al 1934, si scatenò una bank run di dimensioni fino ad allora sconosciute: la crisi di fiducia si tradusse in una frenetica corsa agli sportelli, generando notevoli problemi di liquidità alle banche. Il numero di fallimenti

7 Cfr. PETRELLA, I servizi finanziari e la gestione dei conflitti di interesse negli Stati Uniti: un’analisi economica,

in ANOLLI, BANFI, PRESTI e RESCIGNO (a cura di), Banche, servizi di investimento e conflitti di interesse. Ricerca promossa dall'Associazione per lo Sviluppo degli Studi di Banca e Borsa, Bologna, Il Mulino, 2008, Cap. X, pp. 272-273. Per una descrizione più approfondita dei lavori del Committee, cfr. CERRI, Il Glass Steagall Act e il ruolo della legislazione “New Deal” nella regolamentazione del sistema bancario e finanziario americano - dalla Grande Depressione alla Grande Recessione, Tesi di Dottorato in Storia e Sociologia della Modernità, Università di Pisa, 2014, Cap. III, pp. 128-136.

8 La seconda delle due società, in particolare, era di fatto una holding articolata in un ramo, la National

City Bank, dedito al commercial banking; un secondo ramo, il City Farmers Loan and Trust Company, era una trust institution ; un terzo ramo, la National City Co., era la banca di investimento. Cfr. CERRI, Il Glass Steagall Act e il ruolo della legislazione “New Deal” nella regolamentazione del sistema bancario e finanziario americano - dalla Grande Depressione alla Grande Recessione, op. cit., pp. 132-136.

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5 bancari passò dai 5.600 del decennio precedente la crisi ai quasi 10.000 del periodo 1930-19339.

Al di là dei casi più eclatanti, di cui si è accennato poc’anzi, va osservato come la tendenza delle banche commerciali a non dedicarsi più esclusivamente all’attività tradizionale di raccolta del risparmio ed erogazione del credito fosse abbastanza diffusa nel sistema bancario americano dell’epoca. Agli inizi del XX secolo, la regolamentazione statunitense non contemplava restrizioni all’esercizio di attività finanziarie da parte delle banche. Fino alla legge del 1933, il legislatore americano tollerò tale commistione; anzi, per tutto il secondo decennio del ventesimo secolo, anche

in limine allo scoppio della crisi, si registrarono provvedimenti volti a

liberalizzare l’attività bancaria, in particolare con riguardo alle national banks10, relativamente alla negoziazione di strumenti finanziari e all’apertura di nuove filiali. Fu incoraggiata, inoltre, la creazione di banche polifunzionali o holding finanziarie, tramite la predisposizione di dipartimenti interni, preposti specificamente all’intermediazione finanziaria (in primo luogo, la negoziazione di azioni), nel caso delle società singole, ovvero attraverso la creazione di società affiliate ad hoc, nel caso dei gruppi societari11.

9 FONDERICO, Gli USA al salvataggio delle banche nella grande crisi del ’29, cit., p. 550.

10 Nel diritto commerciale statunitense il termine national bank sta ad indicare l’impresa bancaria di

rilevanza federale, con attività e filiali in due o più Stati membri dell’Unione.

11 Cfr. PHILLIPS, The Regulation and Supervision of Bank Holding Companies: An Historical Perspective, in

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6 Sotto la pressione di un contesto socio-politico che vedeva nella commistione tra commercial e investment banks uno dei principali fattori alla base dei dissesti finanziari del periodo, il Glass-Steagall Act, emanato il 16 giugno del 1933, fu, dunque, l’apice di un vero e proprio revirement normativo12.

Tale provvedimento impose, entro un anno dalla sua entrata in vigore, la netta separazione delle attività commerciali dalle attività di investimento delle banche membri del Federal Reserve System13. Le società affiliate alle banche commerciali dovevano essere dismesse entro il 16 giugno 1934; parimenti, entro la stessa data, ai dipartimenti finanziari interni fu imposto di limitare la propria attività alla compravendita di strumenti finanziari su ordine e per conto dei clienti, senza poter in alcun modo effettuare operazioni di proprietary

trading. Entro lo stesso periodo di un anno, le banche private (ossia quelle che

non erano membri del Federal Reserve System), furono obbligate a scegliere se cessare la loro attività di deposito o quella di negoziazione di titoli e, nel caso

12 “Durante gli ultimi due anni, il volume della legislazione che ha coinvolto le banche, direttamente

o indirettamente, è stato enorme, sia nel Congresso che nelle legislature statali, ed ha coperto un’estremamente ampia varietà di argomenti, trattando alcuni di essi in modo singolare e rivoluzionario”. WESTERFIELD, The Banking Act of 1933, in Journal of Political Economy, vol. 41, n. 6, 1933, p. 721.

13 Il Federal Reserve System fu istituito nel 1913 con il Federal Reserve Act – peraltro presentato al Senato

dal senatore Carter Glass, lo stesso del Banking Act del ’33 – in seguito alla crisi economica del 1907, per colmare il vuoto normativo all’epoca esistente nel settore creditizio. Il preambolo del Federal Reserve Act elenca le tre principali funzioni della FED, ossia: «to furnish an elastic currency», «to afford means of rediscounting commercial paper» e, infine, «to establish a more effective supervision of banking in the USA». A differenza delle coeve banche centrali europee, non si tratta di un’istituzione accentrata, ma di un “sistema di banche centrali” distrettuali, unite sotto la supervisione di un organismo di coordinamento, il Federal Reserve Board of Directors (denominato poi Board of Governors a partire dal 1935), con sede a Washington. Con un nuovo Banking Act, nel 1935, il sistema fu parzialmente riformato, attribuendo al Board le funzioni di vera e propria banca centrale, da cui dipendevano, secondo un criterio gerarchico, le banche centrali distrettuali. Cfr. BARONCELLI, La Federal Reserve, in Banca Centrale Europea, profili giuridici e istituzionali: un confronto con il modello americano della Federal Reserve, Fucecchio (Fi), European Press Academic Publishing, 2000, pp. 1-115.

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7 avessero optato per l’attività di deposito, avrebbero dovuto sottoporsi a periodici controlli da parte del Comptroller of the Currency14. Fu inoltre vietato l’interlocking (lett. “incastro”), ossia il doppio incarico, contemporaneamente, di funzionario, direttore o manager di una banca membro del sistema della Riserva Federale e di una società di intermediazione mobiliare. Infine, per ristabilire la fiducia dei risparmiatori nei confronti del sistema bancario, fu creato un doppio sistema di garanzia dei depositi: uno temporaneo, volto a rifondere fino ad un massimo di 2.500$ per ciascun depositante presso banche dichiarate fallite, e al quale erano chiamate a contribuire tutte le banche membri del Federal Reserve System; uno, invece, permanente, volto ad assicurare (parzialmente) i depositi presso le member banks15.

Il provvedimento in esame si segnala, con la stessa importanza, per un’altra serie di disposizioni volte a rafforzare i poteri di vigilanza della Federal

Reserve. Ciascuna Banca Centrale distrettuale era chiamata a vigilare sulla

natura dei prestiti e degli investimenti delle sue banche membri per accertare che non “[venisse] usato il credito bancario con intenti speculativi, o per negoziare

strumenti finanziari, titoli immobiliari o titoli su materie prime”16, potendo, in una simile evenienza, sospendere la banca che avesse erogato credito a fini speculativi dal diritto all’accesso al credito di ultima istanza (o, se questo fosse

14 La maggior parte delle banche private optò per rimanere investment bank. Una di queste fu Lehman

Brothers. J.P. Morgan, invece, passò al settore commercial, ma alcuni suoi ex soci decisero di restare nel settore finanziario, fondando la Morgan Stanley & Co.

15 Cfr. PRESTON, The Banking Act of 1933, in The American Economic Review, vol. 23, n. 4, 1933, pp.

590-592.

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8 stato già erogato, renderlo immediatamente esigibile). Inoltre, furono approntate misure che rafforzassero la responsabilità degli organi societari, con particolare riguardo ai consigli di amministrazione: questi dovevano essere composti da un numero compreso tra 5 e 25 membri, e ciascuno di essi era tenuto a possedere una quota azionaria della società non inferiore a 2500$, “nella speranza di dotare gli amministratori di una più elevata responsabilità

finanziaria e di un maggiore interesse nel successo della banca”17. All’autorità bancaria venne attribuito il potere di rimuovere, previo avvertimento, gli amministratori e i funzionari che avessero ripetutamente violato tali disposizioni, salvo il diritto degli stessi ad essere ascoltati dinanzi al Comptroller

of the Currency, per le banche nazionali, o al Federal Reserve Agent, per le banche

statali18. Ancora, fu impedito ad amministratori e funzionari di ottenere prestiti dalle banche presso le quali prestavano la propria attività, al fine di evitare che, tramite simili operazioni, venisse aggirato il divieto di attività speculative (fatto, peraltro, puntualmente accertato dalle Pecora Auditions)19; infine, fu predisposto un regime autorizzatorio per l’apertura di nuove filiali, con la condizione che il capitale societario non fosse inferiore a 500.000$20.

In buona sostanza, si può affermare che la legge bancaria del ’33 creò un sistema fortemente specializzato e indirizzato a proteggere l’attività

17 WESTERFIELD, The Banking Act of 1933, cit., p. 723.

18 Ibidem, p. 723.

19 Ibidem., p. 725.

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9 bancaria tradizionale dagli eccessi che avevano turbato l’economia americana nel decennio precedente: impedendo alle commercial banks lo svolgimento di attività finanziarie, e obbligando i gruppi bancari di più ampie dimensioni a scorporare o dismettere i rami che si occupavano di intermediazione mobiliare, venivano di fatto escluse le investment banks dal Sistema della Riserva Federale, e dunque, in particolare, dall’accesso al credito di ultima istanza. Si veniva a formare, così, un mercato del credito fortemente segmentato, con rilevanti poteri in capo alla FED in materia di vigilanza: le disposizioni di cui è stata fatta menzione segnano il passaggio da un sistema di vigilanza prudenziale – basato, quasi unicamente, sulla fissazione di determinati coefficienti patrimoniali in proporzione agli attivi in bilancio – a un sistema di vigilanza strutturale21, con vincoli all’entrata e all’uscita dal mercato, nonché all’espansione dell’attività22.

Il quadro normativo della disciplina dell’attività bancaria fu integrato, nel 1956, dal Bank Holding Company Act. Per quanto la legislazione degli anni ’30 si fosse sforzata di recintare l’esercizio dell’attività bancaria tradizionale, essa non era riuscita ad includere le bank holding company nella disciplina approntata23. A differenza della holding bancaria, che era stata obbligata a

21 Permanevano, e anzi furono rafforzati, comunque, dei minimi prudenziali di capitale: in

particolare, per le banche nazionali – ma solo per quelle che fossero state fondate a far data dal 16 giugno ’33 – fu richiesto un capitale minimo di almeno 50.000$ (200.000$ per le banche con sede nelle città più popolose); alle banche statali, parimenti, fu richiesto un capitale minimo di 25.000$ (poi 50.000$ dal 1936) per entrare – o per non essere estromesse – dal Sistema della Riserva Federale. Cfr. PRESTON, The Banking Act of 1933,cit., pp. 592-593.

22 Cfr. BRESCIA MORRA, Il diritto delle banche, Bologna, Il Mulino, 2012, Cap. VI, pp. 100-101.

23 Cfr. PHILLIPS, The Regulation and Supervision of Bank Holding Companies: An Historical Perspective, cit.,

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10 scorporare dal proprio gruppo le società affiliate di natura finanziaria, in questo caso si poneva il problema di un gruppo societario la cui società capogruppo fosse un’impresa industriale (intendendo genericamente, con tale espressione, l’impresa non bancaria) che detenesse la proprietà o il controllo, anche indirettamente, di una banca24. In questo modo poteva ben accadere (per quanto concerne la presente trattazione)25 che una holding detenesse, contemporaneamente, il controllo di una commercial bank e di un’impresa di investimento, o che essa stessa fosse una investment bank. Tale possibilità fu definitivamente esclusa dalla legge in esame, sottoponendo le

holding ad un regime autorizzatorio sotto l’egida della FED e,

conseguentemente, proibendo gli apparentamenti tra banche commerciali e imprese finanziarie26. La legge in esame, peraltro, si preoccupò di definire cosa il legislatore intendesse per “banca”27, chiarendo che a quel termine risponde unicamente l’impresa, “organizzata secondo la legge degli Stati Uniti, […]

che, allo stesso tempo, accetta le richieste di deposito […] o la restituzione [a vista] dei depositi […] ed esercita l’attività di erogazione di prestiti commerciali”28. Il sistema

24 Bank Holding Company (BHC) Act, 12 USC Ch.17, 9 Maggio 1956, §1841, lett. a).

25 La disciplina della separatezza tra banca e industria, argomento rilevantissimo nella letteratura

giuridica ed economica mondiale, è tema solo collaterale alla presente trattazione, e pertanto non può essere debitamente affrontato, se non per ricordare che la partecipazione delle banche al capitale delle imprese industriali e, specularmente, la partecipazione dell’industria al capitale delle banche funsero da “acceleratori” della crisi del ’29, e specialmente dei suoi riflessi nelle economie europee (vedi infra, § 2).

26 Fu tuttavia consentito che le holding detenessero il controllo di banche straniere, salvo il caso in

cui queste operassero tramite proprie filiali nel territorio degli Stati Uniti. Cfr. BHC Act, 12 USC Ch. 17, 9 Maggio 1956, §1841, lett. c) n. 2); Sec. 1842.

27 Cfr. BRESCIA MORRA, Il diritto delle banche op. cit., pp. 73-74.

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11 bancario statunitense così definito, dunque, si caratterizzava (e si caratterizzò per buona parte del secolo) per il fatto di non riconoscere, e anzi impedire, il modello “banca universale”.

2.Cenni alla regolamentazione dell’attività bancaria in Germania e Gran Bretagna in epoca di vigilanza strutturale

La crisi del 1929, lungi dal restare confinata al territorio statunitense, finì per diventare la prima vera grande crisi sistemica dell’Occidente a partire dalla seconda rivoluzione industriale. Non ne restò indenne, dunque, l’Europa, in special modo quella continentale, che iniziò, a partire dal 1931, a piegarsi sotto i colpi della deflazione29. La depressione del settore agricolo e di quello industriale, che avevano subìto la netta contrazione della domanda statunitense, misero in serio pericolo le banche del continente. Ai timori per la solvibilità delle imprese finanziate, si accompagnarono quelli per la liquidità degli istituti bancari; quantunque, infatti, la struttura delle banche europee variasse da stato a stato, esse, in particolare in Germania, Italia, Austria e Europa dell’Est, avevano strettissimi legami con le imprese non bancarie30.

I Paesi in parola, fino agli anni ’70 del XX secolo, a differenza delle economie anglofone, si caratterizzarono per la scarsa presenza, nel proprio tessuto produttivo, di intermediari finanziari non bancari31. Al contrario, in

29 CLAVIN, The Great Depression in Europe, 1929-1939, London, MacMillan, 2000, p. 110.

30 Cfr. Ibidem, cap. 5, pp.119-146.

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12 questi Paesi, le banche si erano sviluppate secondo il modello della “banca mista” (detta anche “di tipo tedesco”, in quanto nata in Germania): erano proprio esse, dunque, in luogo del mercato dei capitali (il quale ancora si trovava in uno stato poco più che embrionale), che assolvevano al difficile compito di raccordo tra domanda ed offerta di investimenti produttivi di lungo periodo32. La banca mista, potremmo dire, è stata una delle più significative realizzazioni, nella Storia, del modello di banca universale33: essa infatti raccoglieva il risparmio, erogava il credito (commerciale), dominava il (piccolo) mercato del credito mobiliare e, infine, come già accennato34, partecipava anche direttamente al capitale delle imprese industriali. Le imprese dunque, erano spinte a rivolgersi agli istituti bancari, piuttosto che direttamente ai mercati tramite azioni od obbligazioni, e, in quest’ultimo caso, sarebbero state comunque le banche a predisporre e gestire l’emissione dei titoli. Spesso, le imprese industriali si costituivano nelle forme della società

32 CESARINI, Note sulla banca mista, in Rivista di storia economica, fasc. 2, 2015, p. 289.

33 Occorre una precisazione. Sovente, in dottrina, le espressioni “banca mista” e “banca universale”

vengono indicate come sinonimi, e ciò potrebbe generare qualche confusione: esse infatti sono solo parzialmente sovrapponibili. Generalmente, quando ci si riferisce alla banca mista, è per porre l’accento sullo stretto legame che intercorre tra essa e l’industria; il termine “universale”, invece, vuole sottolineare l’attitudine della banca a svolgere attività finanziaria nel più esteso senso possibile, e dunque non solo con riferimento alle partecipazioni industriali; ciò apparirà più chiaro ed evidente nel Capitolo II, dove sarà descritta l’ormai pluridecennale tendenza espansiva (e innovativa) dei mercati finanziari. Può ben esistere, dunque, ed in effetti esiste in gran parte degli ordinamenti moderni, una banca universale che non sia mista: che sia separata, cioè, dall’industria (ma, come detto retro, sub nota 26, la separatezza tra la banca e l’industria non è oggetto della presente trattazione). Non vale invece il reciproco: la banca mista è, per sua natura, universale, nel senso che non si limita a svolgere l’attività bancaria tradizionale di provviste e impieghi a breve.

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13 per azioni solo strumentalmente, con il precipuo scopo di “accogliere” la banca finanziatrice nella compagine societaria35.

La crisi bancaria europea cominciò in Austria nel 1931. L’industria austriaca era fortemente dipendente dal credito bancario, e le banche erano proprietarie di un elevatissimo numero di quote delle società loro clienti36. Come detto, la depressione dell’industria si tramutò ben presto in una crisi di liquidità delle banche: nel maggio del 1931 dichiarò fallimento il Creditanstalt, la più grande banca del Paese. Nelle settimane seguenti, non vi fu una sola banca austriaca che potesse garantire solvibilità sufficiente ai propri clienti: il contagio tedesco, stanti gli stretti legami economici e finanziari tra i due Paesi, era praticamente inevitabile. Le riserve della Deutsche Reichsbank, la banca centrale tedesca, non furono sufficienti a evitare la temporanea chisura, a causa dell’illiquidità, di buona parte degli istituti del Paese37.

Il neo-insediato regime nazionalsocialista istituì, nel 1934, una commissione di inchiesta incaricata di approfondire le cause della crisi del sistema e di suggerire una proposta di riforma dell’ordinamento bancario, riforma che fu effettivamente promulgata il 5 dicembre del 1934. La crisi creditizia dell’estate del ’31, secondo la commissione, fu dovuta essenzialmente alla concessione di crediti troppo elevati a pochi grandi

35 Cfr. KOCKA, Impresa e organizzazione manageriale nell'industrializzazione tedesca, in CHANDLER,

Evoluzione della grande impresa e management: Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania, Giappone, Torino, Einaudi, 1986, p. 245

36 CLAVIN, The Great Depression in Europe, 1929-1939, op. cit., p.121.

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14 complessi industriali e commerciali; la commissione, soprattutto, segnalò la necessità di una “vigilanza unitaria e statale di tutti i fattori dell’economia creditizia”38.

La legge tedesca del 1934 estese la vigilanza della Reichsbank a “tutte le

aziende che compiono operazioni di banca o di risparmio”39, precisando, in particolare, che con “operazioni di banca e di risparmio” dovessero intendersi: “la raccolta

e gli impieghi di somme di denaro, con o senza interessi; la compravendita di titoli per conto terzi; la custodia e l’amministrazione di titoli per conto terzi; la prestazione di avalli e garanzie a favore di terzi”40. Alle “aziende che compiono operazioni di banca” (e cioè le banche commerciali private) vengono inoltre equiparati i vari tipi di istituti di credito di interesse locale, capillarmente presenti nei Länder tedeschi nelle forme della cassa di risparmio e della cooperativa di credito41. Come detto, la legge in esame si occupò di uniformare il meccanismo di vigilanza da parte della Banca centrale del Reich, istituendo un unitario procedimento di autorizzazione e di divieto di esercizio per le “aziende”. L’autorizzazione era altresì necessaria per l’apertura di nuove filiali o uffici, sia nel territorio nazionale che all’estero. Fu, inoltre, rafforzata la vigilanza sull’omogeneità, in senso temporale, di provviste e impieghi. La commissione aveva suggerito che dovesse essere sancito il principio per cui gli impeghi a breve termine fossero investiti a breve termine; tuttavia, parte dei depositi avrebbe potuto

38 ORTINO, La legislazione bancaria degli anni Trenta negli Stati Uniti e in Svizzera, Germania e Belgio, in

AA. VV., Banca e industria fra le due guerre – Le riforme istituzionali e il pensiero giuridico, Collana di ricerche economico-finanziarie promossa dal Banco di Roma, Bologna, Il Mulino, 1981, p. 376.

39 Reichsgesetz über das Kreditwesen, 5 Dicembre 1934, §1, comma 1.

40 Id., 5 Dicembre 1934, §1, comma 1, lett. a)-d).

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15 essere impiegata in investimenti a più lunga scadenza42. A tale scopo, la legge del ’34 previde un limite massimo di investimenti in azioni, partecipazioni industriali e obbligazioni non quotate proporzionale all’ammontare dei depositi, il 40% dei quali doveva essere liquido o liquidabile in un tempo massimo di 90 giorni43.

Come si può facilmente dedurre dalle disposizioni appena esaminate, anche in Germania viene approntato un sistema di vigilanza strutturale (integrato da vincoli prudenziali), finalisticamente orientato ad evitare crisi di liquidità delle “aziende”. Allo stesso tempo, sono evidenti le differenze con la coeva legislazione statunitense: soprattutto, la legge tedesca del ‘34 non mette in discussione il modello della banca mista (e, dunque, universale) perché non sancisce, né prevede, una classificazione “funzionale” delle banche, limitandosi, invero, ad una più occhiuta vigilanza sulle singole attività. Non si ebbe dunque la separazione tra attività commerciali e attività finanziarie, che continuarono a poter essere svolte, indistintamente, da ogni impresa bancaria autorizzata.

Tale assetto non mutò con l’instaurazione del regime democratico (per quanto concerne la Repubblica Federale): per tutto il Novecento, e a maggior ragione in seguito alla liberalizzazione del mercato avvenuta sul finire del secolo, il “modello tedesco” costituì la più completa realizzazione della banca

42 ORTINO, La legislazione bancaria degli anni Trenta negli Stati Uniti e in Svizzera, Germania e Belgio, cit.,

p. 378.

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16 universale: ne sono un chiaro esempio le Kreditwesengesetze (trad., leggi bancarie) susseguitesi nel corso della storia della Germania Federale (segnatamente, nel 1961, nel 1976 e nel 1980). Esse non solo hanno mantenuto il modello misto (provvedendo, anzi, ad ampliare il novero delle attività consentite all’impresa bancaria)44, ma hanno anche allentato i vincoli di vigilanza strutturale. Nel 1961, ad esempio, la Banca Centrale fu privata del potere discrezionale di negare l’autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria “per esigenze locali o dell’economia generale”; inoltre, furono eliminati i vincoli alla partecipazione delle banche in istituzioni finanziarie specializzate, consentendo le holding finanziarie con la banca come capogruppo45.

Occorre precisare, tuttavia, che, nonostante i tre gruppi di banche sopracitati (banche commerciali private, casse di risparmio e cooperative di credito) fornissero l’intera gamma di servizi bancari e finanziari, esisteva, fino ad epoca recente, un certo grado di specializzazione “di fatto”, che vedeva le banche commerciali (generalmente di rilevanza nazionale) più attive nell’intermediazione finanziaria, mentre le altre due categorie (con operatività spesso ridotta a singoli Land) erano maggiormente dedite alle attività tradizionali46.

44 Peraltro, la denominazione di Kreditinstitute (trad., istituzione creditizia) spetta anche a soggetti che

esercitano solo attività finanziarie. BRESCIA MORRA, Il diritto delle banche , op. cit., p. 70.

45 BARZAGHI, La Repubblica Federale Tedesca, in AA. VV., Sistemi creditizi a confronto, Aspetti strutturali

e tendenze evolutive dei sistemi creditizi e finanziari di Stati Uniti, Repubblica Federale Tedesca, Francia e Regno Unito, Roma, Servizio studi della Camera dei Deputati, 1988, pp. 72-73.

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17 Il sistema bancario britannico possedeva delle caratteristiche del tutto peculiari. L’attività bancaria nel Regno Unito si caratterizzava per la netta separazione tra banche commerciali e intermediari finanziari47; una separazione, tuttavia, sancita unicamente dalla prassi48. Non vi era infatti alcuna legge che vietasse alle banche commerciali le attività finanziarie49; la specializzazione funzionale tra i diversi intermediari bancari dipendeva unicamente dal rispetto del principio della self-regulation50, ossia le disposizioni di autoregolamentazione dettate dalle associazioni a cui le banche appartenevano. L’effettività del sistema della self-regulation si basava sulla minaccia di una pubblica censura da parte degli organismi di autogoverno del sistema bancario, i quali avevano anche il potere di espellere le banche dalle associazioni di appartenenza51.

Si può sinteticamente affermare che la commercial bank inglese di inizio Novecento, lungi dall’essere paragonabile al modello statunitense pre-crisi, o

47 Nella letteratura del Secondo Dopoguerra, per indicare la banca dedita esclusivamente all’attività

tradizionale, si parla di “modello inglese”, in contrapposizione a quello tedesco della banca mista-universale. Cfr. MURÈ, voce Credito industriale e mobiliare, in Enc. dir., XI, Milano, Giuffrè, 1962, §3.

48 “Non esisteva, fino all’approvazione del Banking Act del 1979, una definizione di banca, così come non esisteva

alcuna norma che distinguesse i diversi tipi di attività bancaria […]. In linea di principio non vi era alcuna norma in grado di limitare l’azione delle istituzioni bancarie, ma solo disposizioni relative a specifici ambiti operativi, come i movimenti di capitale, la negoziazione di valute o gli scambi di titoli”. BONAIUTI, Il Regno Unito, in AA. VV., op. cit., p. 171.

49 Per tali ragioni, nell’esaminare il sistema inglese, saranno trascurati i riferimenti alle conseguenze

della crisi del 1929: non perché, sul piano economico, monetario, politico e sociale, non vi furono ripercussioni in Gran Bretagna (tutt’altro: cfr. CLAVIN, The Great Depression in Europe, 1929-1939, op. cit., Cap. 5), ma perché, sul piano legislativo, non si registrarono int

erventi rilevanti, in materia di (de)specializzazione dell’attività bancaria, fino agli anni ’70. D’altro canto, come già anticipato, una specializzazione “di fatto” già esisteva fin dall’Ottocento.

50 BONAIUTI, Il Regno Unito, cit., in AA. VV., op. cit., p. 157.

51 HALL, The evolution of financial regulation and supervision in the UK: why we ended up with the financial

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18 a quello centroeuropeo, non fu mai troppo coinvolta nel finanziamento dell’industria: i mercati finanziari britannici assunsero dimensioni “sistemiche” ben prima delle istituzioni creditizie del Paese, in modo del tutto autonomo da esse, e i due sistemi continuarono a viaggiare su binari paralleli fin quasi all’alba del XXI secolo52. Le grandi banche commerciali53 del Regno Unito si caratterizzavano per l’omogeneità temporale (a breve termine) di attivi e passivi54, e ricoprivano un ruolo primario nel sistema monetario del Paese. Esse sono infatti definite clearing banks (trad., banche di compensazione) dalla dottrina inglese, perché tramite esse la Banca d’Inghilterra controllava la liquidità del sistema, rifornendole della moneta che esse avrebbero poi distribuito, tramite operazioni interbancarie, al sistema bancario secondario55; questo era formato da istituti di (relativamente) minori dimensioni, impegnati, a differenza delle clearing banks, in operazioni di merchant banking: non solo, cioè, raccolta di depositi e erogazione di prestiti a breve, ma anche (e soprattutto) provviste e impieghi a medio e lungo termine, oltre ad attività di reperimento di capitali per le imprese, di gestione di patrimoni per conto terzi, di consulenza finanziaria56. Nulla vietava, come detto, alle banche commerciali di dedicarsi a simili

52 Cfr. COLLINS, Money and Banking in the UK: A History, London, Routledge, 1988, Capp. 3 e 4.

53 Segnatamente, National Westminster, Midland, Lloyds e Barclays. BONAIUTI, cit., in AA. VV., op.

cit., p. 158.

54 COLLINS, Money and Banking in the UK: A History, op. cit., p. 92.

55 BANK OF ENGLAND, The Role of the Bank of England in the Money Market, in Bank of England

Quarterly Bulletin, n.1, marzo 1982, pp. 86-88. Per l’estensione, a partire dagli anni ’80, dei soggetti bancari ammessi a detenere depositi presso la Banca Centrale, cfr. Ibidem, pp. 89-90.

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19 attività: fatto che puntualmente avvenne a partire dagli anni ’70, quando esse iniziarono a trasformarsi in grandi gruppi polifunzionali57.

Anche sotto il profilo della vigilanza, il sistema inglese era totalmente informale: soltanto le clearing banks erano tenute a conformarsi alle direttive della Banca Centrale in cambio di alcuni privilegi, quali la possibilità di mantenere riserve occulte in bilancio o di non dover dichiarare l’ammontare dei profitti, o la tolleranza della formazione di cartelli per la determinazione del tasso di interesse dei depositi; le banche del sistema secondario, invece, non sottostavano ad alcun obbligo di vigilanza, non avendo alcun contatto diretto con la Bank of England58. Un cambio di tendenza si ebbe solo con il

Banking Act del 1979, con il quale il legislatore britannico si preoccupò di dare

una definizione di impresa bancaria, peraltro confermando, sotto il profilo delle attività consentite, l’assetto “liquido” sancito dalla prassi59, e di istituire un regime autorizzatorio all’esercizio dell’attività bancaria esteso a tutte le banche del Paese.

Un sistema siffatto, dunque, poteva essere definito “puro”60, cioè specializzato, solo nella misura in cui si guardasse alla specializzazione di fatto

57 Barclays, ad esempio, nel 1985 era ormai una holding di rilevanza globale, e si componeva, oltre al

ramo di domestic banking, di un’altra decina di società, tra cui: Barclays Merchant Bank, Barclays Futures, Barclays Bank Finance Company, Barclays Unit Trusts and Insurance, Barclays Property Investment Management. Le denominazioni sociali non lasciano dubbi sui mutati interessi societari del gruppo. Cfr. COLLINS, Money and Banking in the UK: A History, op. cit., Cap. 12, sub tav. 12.5.

58 La Banca d’Inghilterra, tuttavia, si riservava il potere di adottare provvedimenti vincolanti per tutto

il sistema bancario in situazioni di emergenza. Cfr. BONAIUTI, Il Regno Unito, cit., p. 172.

59 Sono definite imprese bancarie (deposit-taking business) le imprese che prestano a terzi il denaro

ricevuto in deposito o compiono qualunque altra attività finanziandola, in tutto o in parte, con il denaro ricevuto in deposito. Banking Act 1979, C37, 4 Aprile 1979, Part 1, § 1, n.2, lett. a)-b).

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20 (prima della legge bancaria del ’79) delle quattro maggiori banche del Regno. Lungi dal poter essere definita pienamente “strutturale”, peraltro, la vigilanza della Bank of England, così come disegnata dalla legge del ’79, si limitava, oltre all’autorizzazione suddetta, ad alcuni obblighi informativi in capo ai soggetti vigilati, e al potere della Bank di revocare l’autorizzazione all’impresa che avesse fornito false o inesatte informazioni61. È interessante notare, tuttavia, che, prima di procedere alla revoca, alla Bank era dato il potere di adottare provvedimenti vincolanti, a contenuto discrezionale, “nell’interesse dei depositanti, con lo scopo di salvaguardare il patrimonio dell’impresa”62, potendo anche interferire con le scelte gestionali della banca63.

3. L’attività bancaria in Italia alla luce della Legge bancaria del 1936 (R.d.l. n. 375/1936)

Non è possibile comprendere appieno la portata riformatrice della legge bancaria italiana del ’36 senza almeno accennarne le premesse storiche e giuridiche: come si dirà poco più avanti, è nelle operazioni di “irizzazione” dell’economia italiana, di poco precedenti alla legge che verrà esaminata, che vanno individuate le scelte più incisive nella futura configurazione della banca italiana quale banca essenzialmente pubblica.

61 Banking Act 1979, C37, 4 Aprile 1979, Part 1, § 6, n. 1, lett. a).

62 Id., C37, 4 Aprile 1979, Part 1, § 8, n. 2.

63 “A direction under this section […] may: prohibit the institution from dealing with or disposing of its assets in any

manner specified in the direction; prohibit it from entering into any transaction or class of transaction so specified; prohibit it from soliciting deposits either generally or from persons who are not already depositors; require it to take certain steps or pursue a particular course of action”. Id., C37, 4 Aprile 1979, Part 1, § 8, n. 2, lett. a)-d).

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21 Tra fine Ottocento e gli anni ’30 del XX secolo, il modello “tedesco” della banca mista ebbe larga fortuna anche nel nostro Paese64. I ritardi nello sviluppo industriale dell’Italia, in rapporto a Paesi quali la Gran Bretagna, si concretizzavano (come, del resto, in tutta l’Europa continentale) nell’incapacità delle imprese di muoversi autonomamente nella raccolta di capitale. Anche in Italia, dunque, il settore creditizio viene in soccorso della domanda di finanziamenti industriali tramite partecipazioni dirette, obbligazioni, collocamenti65. Nel 1930, ad esempio, nelle mani della Banca Commerciale Italiana si concentra il controllo di più di un quarto del capitale delle grandi industrie del Paese, e in analoga condizione versa il Credito Italiano66. Volendo individuare, anche per l’Italia dell’epoca, un “sistema bancario secondario”, si può guardare al fitto reticolo di casse di risparmio e banche popolari, con dimensione regionale (ma spesso anche solo provinciale); se le grandi banche avevano una spiccata vocazione finanziaria (potendo, d’altronde, contare su notevoli fondi propri, sovente foraggiati, come accennato, dalla partecipazione nella compagine societaria di alcuni grandi gruppi industriali), casse di risparmio e banche popolari erano

64 Sulle caratteristiche della banca mista italiana di inizio Novecento, cfr. CESARINI, Note sulla banca

mista, intervento al seminario “Dalla banca mista all’economia mista” (Università di Napoli Federico II, 19 maggio 2015), in Riv. stor. econ., n. 2, 2015, pp. 289-293.

65 Sono impegnate nel finanziamento dell’industria in particolare le quattro più grandi banche

commerciali del Paese, il Banco di Roma, la Banca Commerciale Italiana, la Banca Italiana di Sconto (BIS), il Credito Italiano. Tali banche sono inoltre largamente partecipate dai maggiori gruppi industriali del Paese (ad es., FIAT e Ansaldo). Cfr. GALANTI, Le banche, in GALANTI, D’AMBROSIO, GUCCIONE, Storia della legislazione bancaria, finanziaria e assicurativa dall’Unità d’Italia al 2011, Collana storica della Banca d’Italia, Venezia, Marsilio, 2012, pp. 62-63.

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22 essenzialmente dedite alla raccolta del risparmio67 (caratteristiche inverse, dunque, a quelle dell’ordinamento britannico)68.

Orbene, già prima degli anni ’30, il sistema bancario italiano era stato ripetutamente afflitto da gravi problemi di instabilità, dovuti, da un punto di vista prettamente giuridico, a una regolamentazione disorganica e confusionaria69 (e carente sotto l’aspetto della vigilanza, sia micro che macroeconomica) che vedeva, ad esempio, tutte le banche assoggettate al Codice del commercio, e dunque al diritto comune; solo alle casse di risparmio, poi, erano imposti vincoli sulle modalità di impiego dei capitali (l. 5546/1888)70, né, tantomeno, vi erano riferimenti alle relazioni tra la banca e l’impresa industriale; infine, coesistevano – fino al 1926 – tre diversi istituti di emissione (segnatamente, Banca d’Italia, Banco di Napoli e Banco di Sicilia). A riordinare tali assetti era intervenuto il R.d.l. 1511/1926, intitolato alla “tutela del risparmio”: venne introdotto un sistema di vigilanza prudenziale, che si sostanziava nell’obbligo di riserve di liquidità superiori a quelle previste, per le società di capitali di diritto comune, dal Codice di

67 BELLI, Le leggi bancarie del 1926 e del 1936-1938, in AA. VV., Banca e industria tra le due guerre – Le

riforme istituzionali e il pensiero giuridico, Collana di ricerche economico-finanziarie promossa dal Banco di Roma, Bologna, Il Mulino, 1982, p. 222-232.

68 Sul “sistema secondario” inglese, vedi retro, p. 18.

69 Cfr. CONTI, Fallimenti di mercato e fallimenti di regolazione prima della legge bancaria del 1936, in Merc.

conc. reg., n. 3, 2011, par. 1.

70 SCATAMACCHIA, La “Repubblica delle banche” – Evoluzione e crisi di un sistema di vigilanza,

1894-1974, in Contemporanea, n. 4, 2012, p. 596. Sullo stesso tema, cfr. CONTI, Fallimenti di mercato e fallimenti di regolazione prima della legge bancaria del 1936, cit., par. 1; GALANTI, Le banche, op. cit., §§. 2-5; BELLI, Le leggi bancarie del 1926 e del 1936-1938, cit., pp. 224-232; la dottrina indicata nella presente nota fornisce un dettagliato resoconto dei prodromi della legge bancaria del ’36. CONTI, in particolare, sottolinea (p.523) come, prima degli anni ’30, i maggiori fattori di instabilità fossero imputabili non alle banche di maggiori dimensioni, ma proprio a casse di risparmio e banche popolari, sulle quali si addensavano le maggiori carenze normative.

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23 commercio, e nella fissazione di un limite massimo di fido per ogni singolo cliente; tali disposizioni furono accompagnate dalla previsione di poteri autorizzatori all’ingresso, sovrapposti tra Ministero delle Finanze e Banca d’Italia; infine, fu istituito un “ufficio di vigilanza” presso la Banca d’Italia con poteri ispettivi e di controllo71. A tale regime venivano assoggettate (ad eccezione delle casse di risparmio) tutte le banche del Regno: con “banche”, però, venivano intese solo quelle che raccoglievano il risparmio tramite i depositi, e non quelle che limitavano la raccolta a prestiti obbligazionari a medio-lungo termine72. Nulla si disponeva, inoltre, in materia di organizzazione funzionale: il modello della banca mista, in particolare, non veniva in alcun modo intaccato.

Le difese erette nel 1926 attorno alla banca italiana non ressero all’onda d’urto della crisi del 1929: tra il 1930 e il 1931, contemporaneamente alla crisi delle banche austriache e tedesche, si trovarono a dover ricorrere al credito di ultima istanza della Banca d’Italia due delle più grandi banche del Paese (Credito Italiano, Banca Commerciale73). Con due convenzioni tra le due banche, il governo e la Banca d’Italia74, le partecipazioni industriali da esse possedute vennero trasferite in mano pubblica75. Si tratta di un passaggio

71 BELLI, Le leggi bancarie del 1926 e del 1936-1938, cit., pp. 207-208.

72 Sugli ulteriori provvedimenti della l.b. del 1926, cfr. COSTI, L’ordinamento bancario, Bologna, Il

Mulino, 2012, pp. 42-46.

73 Anche il patrimonio del Banco di Roma, comunque, risultava dissestato, al punto da non riuscire

a fornire alle autorità vigilanti l’esatta quantificazione dei crediti immobilizzati. Sulla situazione patrimoniale delle banche citate, cfr. IRI., Studio sui problemi del risanamento bancario (cd. Rapporto Menichella), in Archivio Storico IRI, 1933, pp. 1-25.

74 20 febbraio 1931 per il Credito Italiano, 31 ottobre dello stesso anno per la Banca Commerciale.

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24 storico fondamentale per la futura configurazione del sistema creditizio italiano. Tale momento segna l’inizio di un’imponente operazione di “pubblicizzazione” di tutte le istituzioni bancarie e di larga parte delle imprese industriali, che vede tra i maggiori protagonisti Alberto Beneduce e Donato Menichella, e che caratterizzerà la vita economica nazionale per oltre mezzo secolo. In quegli stessi anni, infatti, (tra il 1931 e il 1933) vengono istituiti l’Istituto Mobiliare Italiano (IMI) e l’Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI)76: il primo, configurato come ente di diritto pubblico con personalità giuridica propria, eroga credito a medio termine all’industria manifatturiera77, spostando così, per il futuro, il rischio di credito industriale in capo all’amministrazione pubblica78. Il secondo, in un primo momento previsto come ente pubblico temporaneo79, vede confluire nel suo patrimonio le partecipazioni industriali delle banche in crisi rilevate negli anni precedenti dallo Stato80, e acquisisce in blocco tutte le partecipazioni di controllo in

76 Informalmente conosciuti, appunto, come “enti Beneduce”.

77 L’IMI viene affiancato da CREDIOP (Consorzio di Credito per le Opere Pubbliche), ICIPU

(Istituto di Credito per le Imprese di Pubblica Utilità) e Istituto per il credito navale: sono i primi (e i principali) Istituti di credito speciale (da non confondere con gli istituti di diritto pubblico sub nota 77 – vedi infra nel paragrafo), e saranno consacrati come categoria autonoma del sistema creditizio dalla l. bancaria del ’36. Cfr. CESARINI, Alle origini del credito industriale: la gestione dell’IMI dalla costituzione ai provvedimenti per l’autarchia (1931-1938), in AA. VV., op. cit., pp. 82-83.

78 Nello statuto dell’IMI vengono indicate, quali attività dell’istituto, la concessione di mutui garantiti

di durata non superiore a dieci anni e l’assunzione di partecipazioni azionarie non di controllo. Al capitale dell’Istituto partecipavano la Cassa depositi e prestiti, l’INPS e gli Istituti di credito di diritto pubblico (Banco di Napoli, Banco di Sicilia, Istituto S. Paolo e le casse di risparmio – essi rientreranno, poi, nella categoria delle Aziende di credito nella l.b. del ‘36), nessuno dei quali era stato coinvolto nella crisi bancaria. Cfr. SARACENO, Salvataggi bancari e riforme negli anni 1922-1936, in AA. VV., op. cit., pp. 29-31.

79 L’IRI è reso ente pubblico permanente di gestione nel 1937.

80 Più precisamente, dall’Istituto di Liquidazioni, l’ente strumentale, controllato dalla Banca d’Italia,

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25 imprese industriali, agricole e immobiliari ancora possedute dalle banche. In conseguenza di tale operazione, peraltro, le stesse banche (Credito Italiano, Banca Commerciale, Banco di Roma) finiscono sotto il controllo dell’IRI, in quanto a loro volta controllate da holding finanziarie finite in mano all’Istituto81. L’IRI diventa così il più grande gruppo industriale del Paese, detenendo il controllo di più del 50% del capitale azionario italiano. È interessante notare che tutti gli “enti Beneduce” si finanziano, oltre al fondo di dotazione e a contributi dello Stato, solo con l’emissione di prestiti obbligazionari sul mercato.

È in questo intricato contesto, dunque, che si inserisce la legge bancaria del 12 marzo del 193682. Tale provvedimento “fotografa” l’ormai completata opera di pubblicizzazione e riorganizzazione del sistema industriale e creditizio. La fortuna della legge del ’36 travalica l’esperienza del regime fascista: se, in quel primo periodo, essa si pose quale “conferma” legislativa dell’atteggiamento dirigista del regime in campo economico, bastarono, nel Secondo Dopoguerra, pochi aggiustamenti e “depurazioni” delle norme più marcatamente corporativistiche per renderla compatibile con il nuovo

81 Cfr. SARACENO, Salvataggi bancari e riforme negli anni 1922-1936, cit., pp. 29-31, e GIOTTI, La

gestione dell’IRI dalla costituzione alla vigilia della trasformazione in ente permanente, in AA. VV., op. cit., pp. 182-183.

82 L’iter legislativo della legge bancaria è particolarmente tortuoso: pur indicando, per convenzione,

il R.d.l. 375/1936 quale “legge bancaria”, è solo con la L. 7 Marzo 1938, n. 141 che si completa il disegno normativo, convertendo non solo il decreto legge del ’36, ma anche diversi altri provvedimenti approvati nei due anni successivi a parziale modifica o integrazione del decreto originario. Cfr. GALANTI, Le banche, op. cit., p. 84 sub nota 215.

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26 ordinamento repubblicano83. L’intervento del legislatore del 1936 si impernia essenzialmente su due punti: da un lato predispone un penetrante sistema di vigilanza strutturale, dall’altro lato suddivide gli enti creditizi in Aziende di credito ed Istituti di credito84. Prima di scendere nel dettaglio di siffatta suddivisione, essenziale nell’economia della presente trattazione, occorre accennare al primo “pilastro”, per evidenziarne la formula particolarmente flessibile.

Innanzitutto, la funzione creditizia, consistente nella “raccolta del risparmio sotto ogni forma e nell’esercizio del credito” veniva considerata “di interesse pubblico” in tutto il suo articolarsi85. A sovrintendere a tale funzione, venne istituito l’Ispettorato per la difesa del risparmio e l’esercizio del credito, alle dipendenze di un Comitato dei Ministri (specificamente quelli delle finanze, dell’agricoltura e delle corporazioni), presieduto dal Capo del Governo86. A capo dell’Ispettorato, tuttavia, fu posto il Governatore della Banca d’Italia87; degli uffici della Banca centrale l’Ispettorato si avvalse,

83 Cfr. COSTI, La legge bancaria del 1936, in Banca imp. soc., n. 3, 2012, p. 349. e CANTARO, DELLA

ROCCA, La cultura giuridica sulla riforma bancaria (1925-1940), in AA. VV., op. cit., pp. 272-275. Sulla “costituzionalizzazione” della legge bancaria vedi infra, § 3.2.

84 Una terza parte della legge, parzialmente ancora in vigore, quella più strettamente di politica

monetaria, “definì la Banca d'Italia istituto di diritto pubblico e le affidò definitivamente la funzione di emissione […]; gli azionisti privati vennero espropriati delle loro quote, che furono riservate a enti finanziari di rilevanza pubblica; alla Banca fu proibito lo sconto diretto agli operatori non bancari” (dal Sito internet della Banca d’Italia – Sez. Storia – Dall’istituzione della Banca d’Italia alla legge bancaria del 1936).

85 R.d.l. 12 Marzo 1936, n.375, art. 1. Sul punto, e sulla configurabilità di un “ordinamento sezionale”,

vedi infra, § 3.2.

86 Id., artt. 2 e 12.

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