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L’art 10 del T.U.B e la fine della specializzazione dell’attività bancaria

5. Il Testo Unico Bancario del 1993 (d lgs n 385/1993)

5.1. L’art 10 del T.U.B e la fine della specializzazione dell’attività bancaria

Nell’economia del presente lavoro, la norma-chiave della nuova architettura del sistema creditizio disegnata dal T.U.B., risulta essere l’art. 10125. Con esso, infatti, perde definitivamente di ogni consistenza la distinzione tra banche “commerciali” (le ex aziende, specializzate nella raccolta a breve termine) e banche “di investimento”126 (gli ex istituti di credito), e viene consacrato, nel terzo comma, il modello della banca universale.

La norma in esame, al primo comma, definisce l’attività bancaria in relazione all’esercizio congiunto della raccolta del risparmio e dell’esercizio del credito, senza distinzioni “temporali”. Ciò significa, in primo luogo, che si instaura un disciplina “a soggetto”: è banca l’impresa che esercita attività

125 “La raccolta del risparmio tra il pubblico e l’esercizio del credito costituiscono l’attività bancaria; essa ha carattere

di impresa. L’esercizio dell’attività bancaria è riservato alle banche. Le banche esercitano, oltre all’attività bancaria, ogni altra attività finanziaria, secondo la disciplina propria di ciascuna, nonché attività connesse o strumentali”. T.U.B., Art. 10.

126 Come già notato nel precedente Capitolo, i termini “banca commerciale” e “banca di

investimento” sono utilizzati in modo improprio, con riferimento all’ordinamento italiano. Qui si intende semplicemente sottolineare il passaggio da una forte settorializzazione dell’attività creditizia alla sua completa liberalizzazione, in direzione della realizzazione del modello della banca universale.

84 bancaria. Tuttavia, per definire completamente l’attività bancaria riservata alla banca, occorre fare riferimento anche all’art. 11, il quale, nel ribadire che la raccolta del risparmio è vietata a soggetti diversi dalle banche, precisa che non è considerata raccolta del risparmio tra il pubblico “la ricezione di fondi connessa

all’emissione di moneta elettronica (comma 2-bis) […] e la ricezione di fondi da inserire in conti di pagamento utilizzati esclusivamente per le prestazioni di servizi di pagamento

(comma 2-ter)”. Il divieto in parola, peraltro, “non si applica […] alle società, per

la raccolta effettuata ai sensi del codice civile mediante obbligazioni, titoli di debito od altri strumenti finanziari”. Di tal guisa, la nozione di “raccolta del risparmio riservata alle banche” si sostanzia, per sottrazione, nella raccolta di somme di denaro con

strumenti negoziali che consentano al risparmiatore di conservare la disponibilità delle stesse, anche utilizzandole mediante strumenti di pagamento127.

La definizione di banca e attività bancaria, peraltro, perde la peculiare qualificazione di “funzione di interesse pubblico”, riconosciuta in passato dalla vecchia legge bancaria; al contrario, al suo posto, ne viene sottolineato il “carattere di impresa”. È questa un’ulteriore conferma della volontà del legislatore di affermare la natura privatistica della banca, in conformità con quanto già disposto dalle leggi di attuazione delle direttive comunitarie. Non sembrano venire meno, tuttavia i profili di interesse pubblico connaturati

127 Cfr. BRESCIA MORRA, Commento all’art. 10, in PORZIO, BELLI, LOSAPPIO, FARINA,

85 all’attività bancaria, individuabili nel cospicuo complesso di norme relative alla “sana e prudente gestione” dell’impresa. In altre parole, dati gli accentuati profili di rischio dell’attività bancaria, è impossibile non ritenere che, nello svolgimento della stessa, non vengano coinvolti numerosi e variegati profili di rilevanza pubblicistica. Semplicemente, come si è già avuto modo di osservare nel secondo paragrafo, pur legittimando l’esercizio di controlli da parte dell’autorità di vigilanza, la rilevanza pubblicistica dell’attività in questione “non è tale da alterarne l’intrinseca sua natura, che resta privatistica”128.

L’emersione del carattere di imprenditorialità dell’attività bancaria evidentemente si riallaccia alla liberalizzazione delle operazioni finanziarie nella disponibilità della banca. Il comma 3 dell’art. 10 prevede infatti che, oltre all’attività istituzionale, le banche sono libere di esercitare qualunque altro tipo di attività finanziaria “secondo la disciplina propria di ciascuna”. Occorre, innanzitutto, per chiarire i termini della questione, individuare un appiglio normativo che riempia di contenuto la locuzione “ogni altro tipo di attività

finanziaria”. Invero, in nessuna disposizione della legge in esame è rinvenibile

un esplicito riferimento a cosa si intenda per attività finanziaria. Viene in soccorso, tuttavia, l’art. 1, comma 2, lett. f), che definisce le “attività [finanziarie] ammesse al mutuo riconoscimento”, e dunque le attività che le banche comunitarie possono svolgere in tutti i Paesi dell’Unione sulla base del

128 CAPRIGLIONE, Commento all’art. 10, in Id., Commentario al Testo Unico delle leggi in materia bancaria

86 principio dell’home country control. In particolare, è interessante il n. 7), il quale prevede “operazioni per proprio conto o per conto della clientela in: strumenti del mercato

monetario, cambi, strumenti finanziari a termine e opzioni, contratti su tassi di cambio e tassi di interesse, valori mobiliari”. L’unica attività, in definitiva, che risulta

espressamente preclusa alle imprese bancarie è la gestione collettiva di patrimoni, riservata dall’ordinamento alle Sgr – le quali, giova rammentarlo, fanno comunque spesso parte di gruppi creditizi129.

Orbene, è facile leggendo l’articolo 10, scorgere tutti gli elementi che si è visto essere caratterizzanti il modello della banca universale: un’impresa, per l’appunto, che oltre a svolgere l’attività tradizionale, istituzionalmente prevista e ad essa riservata, può competere a parità di condizioni con gli intermediari non bancari, fornendone i medesimi servizi. Prima dell’approvazione del Testo Unico, a dire il vero, si era formato un vivace dibattito attorno all’ipotesi che potesse essere operata una scelta legislativa tra questo modello e quello del gruppo creditizio. La questione non era peregrina, nella misura in cui, in Italia come in altri ordinamenti, era possibile, già prima della vigenza del Testo Unico, la seconda configurazione, mentre era normativamente esclusa la prima. In quel clima di “prudenza” nell’attuazione della liberalizzazione del mercato, di cui si è detto nel paragrafo precedente, era sembrato a molti che il gruppo creditizio consentisse una migliore separazione dei rischi connessi alle diverse attività

87 svolte dalle società del gruppo. Ad oggi, comunque, stante la formulazione dell’art. 10, il legislatore assume una posizione “neutra” rispetto alla scelta tra le due forme organizzative.

La questione, in buona sostanza, da problema di scelta della migliore forma giuridico-istituzionale, è degradata, con il T.U.B., a mera discrezionalità organizzativa dell’imprenditore130.

130 Cfr. ZUCCHELLI, L’evoluzione recente dei modelli organizzativi dele banche italiane, in ANOLLI,

BANFI, PRESTI, RESCIGNO (a cura di), Banche, servizi di investimento e conflitti di interesse, op. cit., pp. 97-101.

88 CAPITOLO III

Prospettive di ritorno alla specializzazione: interventi normativi post-crisi tra Stati Uniti ed Europa