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La natura giuridica della “banca universale” e il superamento della teoria dell’ordinamento sezionale

Come si è già avuto modo, a più riprese, di ricordare, a partire dagli anni ’70 gli ordinamenti bancari dei Paesi che, nella stagione delle riforme degli anni ’30, avevano visto l’introduzione di stringenti meccanismi di specializzazione dell’attività e di vigilanza strutturale, affrontavano ora un processo di liberalizzazione del mercato e, conseguentemente, di

19 ONADO, «Smoke gets in your eyes». L’innovazione finanziaria e l’informazione: storie di «fallimenti» del

mercato e dei regolatori, in Analisi giur. econ., n. 1, 2013, p. 36.

20 LEWIS, Le operazioni "fuori bilancio" e l'innovazione finanziaria nel settore bancario, cit., p. 55.

48 despecializzazione. Lo scioglimento di alcuni dei vincoli allo svolgimento dell’attività bancaria aveva consentito alle imprese bancarie, soprattutto nei Paesi in cui gli intermediari non bancari erano meno sviluppati22, di “dismettere i panni” del tradizionale mestiere di raccolta di provviste e erogazione di impieghi (soprattutto, a breve), e di dedicarsi anche alle attività di natura più strettamente finanziaria.

Nei Paesi in cui la legge non lo ha espressamente impedito (si fa riferimento, segnatamente, agli Stati Uniti, dove fu necessaria l’esplicita abrogazione del Glass-Steagall Act)23, l’allentamento dei vincoli di specializzazione ha consentito l’adozione del modello della banca universale, dovendo considerarsi come tale la banca in grado di svolgere operazioni finanziarie di qualunque durata – breve, medio e lungo termine – e dedicarsi sia all’attività tradizionale, sia alle altre (nuove) forme di intermediazione presenti sul mercato24. La banca universale, dunque, potrebbe essere intesa come “evoluzione” del modello della banca mista di tipo tedesco25, in quanto non solo assume partecipazioni in imprese non finanziarie, ma compie anche operazioni di credito mobiliare e negoziazione di titoli26; da tali

22 Si parla, in proposito di differenza tra ordinamenti market-oriented e ordinamenti bank-oriented,

identificando rispettivamente i primi con i sistemi statunitense e anglosassone, e i secondi con i sistemi dell’Europa centrale e del Giappone. Cfr. NARDOZZI, Il mondo alla rovescia, op. cit., p. 78.

23 Si veda infra, § 3.

24 FERRETTI, VEZZANI, I processi di crescita e la struttura organizzativa, in ONADO, La banca come

impresa, Bologna, Il Mulino, 2004, pp. 495-496.

25 Si veda retro, Cap. I.

26 L’unica attività preclusa a un’impresa siffatta risulta essere – almeno nell’ordinamento italiano – la

gestione collettiva del risparmio, riservata ad imprese non bancarie. Cfr. FERRETTI, VEZZANI, I processi di crescita e la struttura organizzativa, op. cit., p. 496.

49 considerazioni, peraltro, discende anche che la banca universale è tipicamente un’impresa di grandi dimensioni27.

L’ampliamento dei settori operativi, tuttavia, è stato negli anni realizzato anche tramite il modello del gruppo polifunzionale, nel quale le diverse attività fanno capo ad istituzioni finanziarie distinte, ma collegate tra loro da rapporti di partecipazione. Il gruppo creditizio è dunque caratterizzato da una pluralità di imprese giuridicamente autonome ed economicamente distinte, sottoposte, tuttavia, alla direzione unitaria di un’impresa capogruppo, che ne esercita l’effettivo controllo tramite la partecipazione nel capitale delle imprese “figlie”28. Se in alcuni Paesi l’organizzazione dell’impresa secondo il modello “gruppo creditizio” o “banca universale” è frutto di una scelta libera dell’intermediario, in Italia, fino all’entrata in vigore del T.U.B., il gruppo creditizio ha rappresentato la scelta obbligata per l’ampliamento dell’operatività della banca, a causa del divieto per le aziende di credito di esercitare attività a lungo termine29. Ancora nel 1989, la Banca d’Italia sottolineava l’importanza dei gruppi polifunzionali, nella misura in cui essi conciliano “il perseguimento della diversificazione [dei settori operativi] con il criterio

prudenziale di mantenere tendenzialmente separati i rischi connessi agli investimenti nelle

27 Il punto non è affatto secondario: nella letteratura post-crisi del 2008, la dimensione dei gruppi

bancari “di interesse sistemico” è individuata come uno degli aspetti maggiormente problematici nel quadro del settore creditizio moderno. Si veda infra, Cap. III.

28 Cfr. PROTO, I conglomerati finanziari, Torino, Giappichelli, 2002, pp. 3-6.

50

attività innovative”30. Con l’entrata in vigore del Testo Unico Bancario, tuttavia, la dicotomia tra la banca universale e il gruppo creditizio si avvia ad un sostanziale superamento31; ad oggi, infatti, può essere definita “banca universale” anche la holding avente una banca come capogruppo (e perciò detta mista)32.

Il diffondersi del fenomeno della banca universale, comunque, riaccese i riflettori, nella dottrina dell’ultima parte del Novecento, sul problema della corretta qualificazione giuridica della banca. È da ricordare, infatti, che le misure di specializzazione introdotte negli anni ’30 avevano finito per assegnare alla banca la funzione di interesse pubblico della tutela del risparmio; in alcuni ordinamenti, peraltro, tale principio era stato rafforzato da operazioni di “pubblicizzazione” delle imprese bancarie. Orbene, la dottrina del Secondo Dopoguerra, se aveva ormai da tempo abbandonato i dubbi sul carattere di impresa degli istituti bancari, a prescindere dalla natura pubblica o privata dell’istituto33, continuava però a qualificare, talvolta,

30 BANCA D’ITALIA, Intermediazione finanziaria non bancaria e gruppi bancari plurifunzionali: le esigenze di

regolamentazione prudenziale, in Temi di discussione, n. 113, 1989, p. 167.

31 Al tema sarà dato ampio spazio infra, nei §§ 5 ss.

32 È definita pura la holding in cui la società capogruppo è una finanziaria che gestisce direttamente le

partecipazioni di controllo, ma delega l’attività operativa alle imprese controllate; è detta, invece, mista la holding in cui la capogruppo è una banca che, dunque, svolge anche ruoli operativi. Nel secondo caso, il modello organizzativo consente alla capogruppo di esercitare, sia direttamente sia tramite le controllate, le attività bancarie e finanziarie: si realizza, in sostanza, un maggiore grado di “integrazione verticale” tra le appartenenti al gruppo, tale da poter parlare, de facto, di un’unica impresa. Cfr. PROTO, I conglomerati finanziari, op. cit., pp. 34-36.

33 Cfr. COSTI, L’ordinamento bancario, op. cit., pp. 248-250. “Si è ormai consolidata l’opinione che non

costituisca elemento essenziale del concetto di impresa il perseguimento di uno scopo di lucro, essendo sufficiente, a tal fine, l’astratta economicità della gestione”. Ibidem, p. 249.

51 l’attività bancaria come esercizio di pubblico servizio in senso oggettivo34. La dottrina prevalente, tuttavia, ebbe cura di affermare che la legge bancaria si limitava a considerare la tutela del risparmio quale “funzione di pubblico interesse”, non già un servizio pubblico. In questo contesto, funzione è usata nel senso di “situazione soggettiva rilevante, oltre che per il suo essere attribuita, anche

per il contenuto che assume nel suo esercizio, e ciò, se la situazione soggettiva è attribuita ad un soggetto privato, in quanto essa è rilevante anche per gli aspetti del suo esercizio che coinvolgano interessi pubblici”35.

La più matura riflessione giuridica sull’ordinamento bancario precedente alle riforme di fine secolo, dunque, considerava l’attività bancaria quale impresa-funzione, vincolata, cioè, almeno parzialmente, al raggiungimento di obiettivi di interesse pubblico, e perciò soggetta al sindacato sul merito delle scelte operative da parte delle autorità pubbliche. Si affermava, in sostanza, come già illustrato nel Capitolo precedente, la sussistenza di un ordinamento sezionale.

34 M. S. Giannini definisce tale conclusione letteralmente “una papera” indotta da un certo filone

della giurisprudenza penale che, tra gli anni ’60 e gli anni ’80, aveva ritenuto, in ragione di siffatta qualificazione dell’attività bancaria, anche per le imprese private, che “qualsiasi amministratore o qualsiasi agente responsabile di una banca può essere imputato di reati propri del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio”. Un atto normativo degli anni ’80 (segnatamente, il D.p.r. n. 350 del 1985) si era così preoccupato di ribadire che l’attività bancaria “ha carattere di impresa, indipendentemente dalla natura pubblica o privata degli enti che la esercitano” (art. 1, comma 1). Nel riaffermare la natura di impresa della banca, l’intento della disposizione in parola era non tanto quello di “ribadire l’ovvio”, quanto, piuttosto, quello di contrastare il citato indirizzo giurisprudenziale che, come si vedrà subito, aveva equivocato la locuzione “funzione di interesse pubblico” – contenuta nell’art. 1 della l. bancaria – leggendovi, invece “esercizio di pubblico servizio”. Cfr. GIANNINI, Problemi della banca come impresa, intervento tenuto presso l’Associazione nazionale aziende ordinarie di credito, 17 novembre 1981, in Banca borsa, n. 1, 1981, p. 392; COSTI, L’ordinamento bancario, op. cit., p. 249.

52 L’avvento della banca universale, tuttavia, unitamente alle più generali riflessioni sulla necessità di liberalizzare i mercati finanziari, spianò la strada alla riconduzione (si intende, parziale) dell’attività bancaria nell’alveo delle imprese di diritto comune. Soggetti, dunque, di natura preferibilmente privata36, il cui statuto giuridico postula il diritto di impresa, e cioè la libertà nella determinazione delle scelte imprenditoriali37. A tale mutamento di prospettiva si è accompagnato, necessariamente, quello relativo alla rimodulazione della natura delle Autorità creditizie, da organi abilitati ad un controllo discrezionale sui soggetti bancari, volto a mantenere gli stessi sui binari del perseguimento del pubblico interesse, a organi “neutri” rispetto alle scelte imprenditoriali delle banche38. I poteri oggi sussistenti in capo alle Autorità di vigilanza, infatti, sono poteri di controllo sulla correttezza e sulla trasparenza nei rapporti contrattuali con la clientela, da un lato, e sul rispetto dei principi della libera concorrenza, dall’altro. Da un punto di vista “macro”, poi, la nuova vigilanza prudenziale, come si è già accennato, impone il rispetto di vincoli sul capitale societario, finalizzati alla salvaguardia della stabilità del sistema nel suo complesso39.

L’apertura alle regole del libero mercato e della concorrenza, in buona sostanza, ha determinato il tramonto di quella ricostruzione del sistema

36 O, nell’esperienza italiana, anche enti pubblici economici in condizioni di piena concorrenza con

le imprese private.

37 Cfr. COSTI, L’ordinamento bancario, op. cit., pp. 258-259.

38 Cfr. TORCHIA, Il controllo pubblico della finanza privata, Padova, Cedam, 1992, p. 244.

39 Si parla, in proposito di “sana e prudente gestione dell’impresa bancaria”. Cfr. ONADO, La

53 creditizio che lo qualificava quale ordinamento sezionale40. La sottrazione all’Autorità di vigilanza della determinazione delle dimensioni operative degli enti creditizi, invero, conduce necessariamente a considerare tramontata l’epoca del mercato amministrato41, in quanto incompatibile con i principi di tutela della libera concorrenza42. Non vi sono più, infatti, imprese “funzionalizzate” e non si tratta più, di conseguenza, di un ordinamento soggettivamente definito: l’avvento del gruppo polifunzionale ha attenuato la tradizionale distinzione tra settore mobiliare e settore del credito – e, anche, settore assicurativo – ponendo importanti problemi di identificazione dei confini della vigilanza. Di conseguenza, “dire che l’ordinamento sezionale è oggi

composto non solo dalle banche, ma anche da tutte le componenti il gruppo, […] significa ammettere un ordinamento sezionale in cui l’elemento della soggettività è talmente aperto

[…] da trascolorare nell’indeterminatezza”43.

Poste tali premesse di carattere generale, si tratta ora di scendere nel dettaglio delle esperienze giuridiche dei singoli ordinamenti: sarà doveroso volgere lo sguardo, in primo luogo, agli Stati Uniti, che conclusero, all’alba

40 Cfr. CLARICH, Per uno studio sui poteri normativi della Banca d’Italia, in Banca impresa soc., n. 1, 2003,

pp. 59-60, per cui “la crisi di questa teoria, negli ultimi anni, corrispondeva ad un’evoluzione complessiva del sistema bancario, che perdeva sempre più il carattere di chiusura che giustificava l’idea dell’ordinamento sezionale”. MATTARELLA, Il potere normativo della Banca d’Italia, in DE SIERVO (a cura di), Osservatorio sulle fonti 1996, Torino, Giappichelli, 1996, p. 233.

41 Cfr. TORCHIA, Il controllo pubblico della finanza privata, op. cit., pp. 198-202.

42 “Gli ordinamenti sezionali stanno alle autorità indipendenti come il diavolo all’acqua santa: gli ordinamenti

sezionali sono espressione dell’economia verticale autoritaria; le autorità amministrative indipendenti sono strumenti per realizzare la democrazia anche in campo economico attraverso il contraddittorio orizzontale ad armi pari”. MERUSI, Democrazia e autorità indipendenti, Bologna, Il Mulino, 2000, p. 49. Sul mutato ruolo della Banca d’Italia e, in generale, sui nuovi rapporti tra autorità di vigilanza e soggetti vigilati, si veda più nel dettaglio infra, nel corso del Capitolo.

43 GALANTI, Norme delle autorità indipendenti e regolamento del mercato: alcune riflessioni, in BANCA

54 del terzo millennio, la stagione del Glass-Steagall Act – e che daranno origine, da lì a un decennio, alla crisi dei sub-prime – per poi passare all’avvento del Mercato unico europeo e alla sua realizzazione concreta in alcuni dei principali Stati dell’odierna Unione.

3. Abrogazione del Glass-Steagall Act e liberalizzazione