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Creazione del mercato unico bancario (Direttive 1977/780/CEE e 1989/646/CE) e applicazioni del modello “banca

universale” in Germania e Gran Bretagna

Detto delle vicende statunitensi, occorre fare qualche cenno alle trasformazioni dei mercati finanziari avvenute in Europa e al rilevantissimo ruolo che ha ricoperto, in tale processo, la Comunità Europea. Come è ben noto, invero, a partire dalla fondazione della CEE, e ancora nella nostra epoca, obiettivo primario del legislatore europeo è stato, ed è tuttora, quello di una progressiva integrazione delle singole economie nazionali europee nell’ottica della garanzia delle libertà fondamentali riconosciute dal diritto comunitario. Tra di esse, nell’art. 67 del Trattato CEE, era sancita la libertà di circolazione dei capitali. A norma della citata disposizione, gli Stati membri si impegnavano a sopprimere gradatamente “le restrizioni ai movimenti dei capitali

appartenenti a persone residenti negli Stati membri, e parimenti le discriminazioni di trattamento fondate sulla nazionalità o la residenza delle parti, o sul luogo del collocamento

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dei capitali”67. Fondamentale, nella costruzione teorica del mercato unico dei capitali, fu la pubblicazione, nel 1971, del cosiddetto rapporto Werner, approvato dal Consiglio della CEE, che proponeva l’istituzione di un’unione economica e monetaria basata sulla totale convertibilità delle valute, l’eliminazione delle fluttuazioni dei cambi e la completa liberalizzazione dei movimenti di capitale; a tale scopo, già nell’anno successivo, viene creato, senza tuttavia mai diventare operativo, il Fondo Europeo di Cooperazione Monetaria, il primo embrione della futura Banca Centrale Europea68.

Gli interventi normativi europei in materia, peraltro, facevano leva sulla progressiva internazionalizzazione degli investimenti e delle operazioni delle imprese bancarie del Continente, che si accompagnavano ad un già avanzato processo di liberalizzazione e integrazione del mercato delle merci e dei servizi. Non bastava più, infatti, nei rapporti tra banche europee, un sistema di semplice corrispondenza bancaria per far fronte, ad esempio, ad operazioni quali la preparazione di studi di mercato, l’assistenza in caso di fusioni o affiliazioni, l’intermediazione nell’acquisto di partecipazioni o l’analisi di titoli di borsa stranieri, ma occorreva invece costituire uffici di rappresentanza, o vere e proprie filiali estere, o stabilire accordi di cooperazione69.

67 Trattato che istituisce la Comunità economica europea, art. 67, comma 1.

68 Cfr. GALANTI, Le banche, in GALANTI, D’AMBROSIO, GUCCIONE (a cura di), Storia della

legislazione bancaria, finanziaria e assicurativa dall’Unità d’Italia al 2011, Collana storica della Banca d’Italia, Venezia, Marsilio, 2012, pp. 136-138.

69 Cfr. IMMENGA, La creazione di un mercato bancario europeo, in UBERTAZZI (a cura di), La

63 Un processo di graduale armonizzazione delle normative di settore nazionali, dunque, si poneva a completamento del processo di creazione del mercato unico europeo. Tale armonizzazione doveva realizzarsi secondo tre direttrici principali: in primo luogo, fu prevista la creazione di un sistema unitario di autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria; in secundis, si rendeva necessario garantire la libertà di costituire sedi secondarie in tutti i Paesi membri, eliminando le possibili discriminazioni poste dalle legislazioni nazionali nei confronti delle banche straniere; infine, fu introdotto il principio dell’Home country control, in virtù del quale la vigilanza bancaria sul gruppo “transfrontaliero” è affidata allo stato in cui la banca ha la sede principale, e si estende anche alle sedi secondarie costituite all’estero70.

Dalla panoramica, svolta nel precedente Capitolo, sugli ordinamenti creditizi di alcuni dei principali Stati europei, emerge chiaramente come la situazione di partenza fosse di estrema differenziazione, sia in termini di regolamentazione dell’attività bancaria, sia con riferimento ai poteri dell’Autorità di vigilanza. Si contrapponevano, innanzitutto, il modello organizzativo “puro” della banca inglese a quello “misto”, proprio del sistema tedesco, e, nel mezzo, il sistema italiano, specializzato dal lato della raccolta, ma “aperto” – solo in linea teorica – dal lato del credito. Allo stesso tempo, tuttavia, l’ordinamento inglese era praticamente privo di un corpo normativo di riferimento, poggiando unicamente sul principio della self-regulation, senza

64 prevedere, peraltro, un regime autorizzatorio; l’ordinamento tedesco e quello italiano, invece, potevano contare su un apparato legislativo – e, conseguentemente, su un sistema di controllo amministrativo – di dimensioni ragguardevoli. Anch’essi, però, divergevano tra loro soprattutto per la natura dell’autorizzazione all’attività – discrezionale in Italia, solo formale (dal 1961)71 in Germania.

La prima direttiva bancaria (n. 780 del 1977) ebbe il compito di mediare tale stato di cose, utilizzando un approccio di “armonizzazione minimale”72, riservando ad interventi successivi disposizioni più pervasive73. Essa, invero, si limitò a dare una definizione di ente creditizio (“un’impresa la cui attività

consiste nel ricevere depositi o altri fondi rimborsabili dal pubblico e nel concedere crediti per proprio conto”)74 e a predisporre un regime autorizzatorio comune. Con riferimento ad esso, l’art. 3 della Direttiva stabilisce che “gli enti creditizi devono aver ricevuto un’autorizzazione prima di iniziare l’attività”75; tale autorizzazione deve essere concessa al verificarsi di “condizioni di applicazione

generale fissate dalle regolamentazioni nazionali”, e comunque quando siano

verificate “l’esistenza di fondi propri distinti; l’esistenza di fondi propri minimi

71 Si veda retro, Cap. I, § 3, p. 16.

72 Cfr. PORZIO, L’art. 28 della legge bancaria e l’armonizzazione delle legislazioni nazionali in materia bancaria,

in UBERTAZZI (a cura di), La concorrenza bancaria, Milano, Giuffrè, 1985, pp. 30-31.

73 “Per l’importanza delle differenze [tra gli ordinamenti degli Stati membri] non è possibile porre in essere con

un’unica direttiva le condizioni regolamentari richieste per un mercato comune degli enti creditizi; […] occorre quindi procedere per tappe successive”. Considerando n. 3, Dir. CEE 12 Dicembre 1977, n. 780.

74 Dir. CEE 12 Dicembre 1977, n. 780, Art. 1. Il Considerando n. 5 della Direttiva chiarisce che “altri

fondi” possono essere intesi, a titolo d’esempio, “l’emissione continua di obbligazioni e di altri titoli comparabili”.

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sufficienti; la presenza di almeno due persone […] che possiedano l’onorabilità necessaria o l’esperienza adeguata” ad esercitare l’attività creditizia76. La Direttiva, dunque, delinea un’autorizzazione priva di discrezionalità, situandosi in una linea mediana tra gli Stati che non ponevano limiti legali all’ingresso nel mercato e i Paesi che invece prevedevano un potere discrezionale di autorizzazione. I primi – segnatamente, il Regno Unito – introdussero, per la prima volta, un sistema di controlli (formali) all’ingresso nel mercato, nel modo in cui si è detto nel Capitolo precedente77; i secondi – tra cui la Francia e l’Italia78 dovettero rimodulare i poteri delle proprie Banche centrali, “allentando” i rispettivi margini di discrezionalità. Tra i due estremi si poneva il sistema tedesco, il quale, risultando già adeguato alle disposizioni della Direttiva, non necessitò di particolari provvedimenti attuativi79. Il testo della Direttiva, tuttavia, adottando una definizione di ente creditizio così generale, evitava di prendere posizione in ordine alla scelta della figura di banca universale, o di quella di banca “pura”, quale modello di riferimento80.

76 Ibidem, Art. 3, comma 2.

77 Si veda retro, Cap. I, § 3, a proposito del Banking Act del 1979, il quale, lo si ricorderà, si limitava

ad introdurre alcuni obblighi informativi in capo alle banche e limitati poteri di controllo discrezionale, da parte della Bank of England, nei confronti dei soggetti vigilati.

78 Sui ritardi nel recepimento della direttiva nel nostro Paese si veda infra nel Capitolo.

79 PORZIO, L’art. 28 della legge bancaria e l’armonizzazione delle legislazioni nazionali in materia bancaria,

op. cit., p. 29.

80 Cfr. GIACALONE, Verso l’Europa delle banche. Origini e sviluppi della normativa comunitaria nel settore

bancario, in Foro it., n. 4, 1989, pp. 85-87. “In seno al gruppo di lavoro [per la preparazione del testo della Direttiva] gli esperti della Commissione, quelli tedeschi ed olandesi intendevano sancire la nozione di Universal bank; gli italiani ed i francesi propendevano per il mantenimento della specializzazione creditizia.” Ibidem, p. 87, sub nota n. 12.

66 Se con la “prima direttiva banche” le istituzioni europee si limitarono a poche disposizioni di coordinamento, nel corso degli anni ’80 il percorso verso la completa e definitiva integrazione bancaria europea fu estremamente più incisivo. Infatti, nel giugno 1985, la Commissione pubblicò il “Libro bianco sul completamento del mercato interno”, ribadendo la necessità del mutuo riconoscimento delle regolamentazioni e delle tecniche nazionali riguardanti i servizi finanziari: affinché la libertà di insediamento e la libera prestazione dei servizi bancari in tutta la Comunità potessero esplicarsi compiutamente, occorreva una maggiore armonizzazione dei sistemi bancari e di vigilanza.

Ad opinione della Commissione, il riconoscimento reciproco dei sistemi esteri, invero, in presenza di imprese dotate di facoltà operative diverse nei differenti Stati membri, avrebbe potuto provocare distorsioni nella concorrenza e pericoli per la stessa stabilità di singole istituzioni creditizie e del sistema nel suo complesso81. Nell’ottica dell’attuazione del mercato interno, dunque, occorreva sopprimere tutte le barriere che ne impedivano il completamento: non solo quelle tariffarie, ma anche quelle fisiche, fiscali e, soprattutto tecniche. Con riferimento al sistema creditizio, soprattutto queste ultime meritano attenzione, in quanto la Commissione

81 Cfr. GODANO, Aspetti dell’integrazione bancaria nel nuovo quadro normativo comunitario, in Foro it., n. 4,

67 propone, tramite il riconoscimento reciproco, l’eliminazione delle “regole

nazionali che abbiano effetti restrittivi eccesivi e ingiustificati sulla libera circolazione”82. A tali riflessioni dà seguito, innanzitutto, l’Atto Unico Europeo del 1986, il quale per la prima volta formalizza, all’art. 8A, la nozione di “mercato interno”83 quale “spazio senza frontiere interne, nel quale è assicurata la libera

circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali”84. Così facendo, il Trattato in parola “imprime rinnovato impulso ad un processo di liberalizzazione che si

trascinava piuttosto stancamente”85, prevedendo un termine (segnatamente, il 31 Dicembre 1992) entro il quale le istituzioni devono adottare le misure necessarie alla creazione del mercato interno86. Il principio del mutuo riconoscimento, ora corredato di un termine finale per la sua introduzione, viene sancito, per la materia bancaria, dalla cosiddetta “seconda direttiva banche”, relativa al coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative riguardanti l’accesso all’attività degli enti creditizi e il suo esercizio (Direttiva n. 646 del 1989).

Nei Considerando del provvedimento si legge che “l’impostazione adottata

consiste nell’armonizzazione […] necessaria per pervenire ad un reciproco riconoscimento delle autorizzazioni e dei sistemi di vigilanza prudenziale che consenta il rilascio di

82 NICOSIA, L’unificazione del mercato bancario europeo – La seconda direttiva di coordinamento, Roma, ABI

– Bancaria Editrice, 1988, p. 22.

83 I Trattati precedenti all’A.U.E., invero, parlavano solo di “mercato comune”. Cfr. TIZZANO, La

“seconda direttiva banche” e il mercato unico dei servizi finanziari, in Foro it., n. 4, 1990, pp. 423-424.

84 Atto Unico Europeo, 28 Febbraio 1986, Art. 8A.

85 TIZZANO, La “seconda direttiva banche” e il mercato unico dei servizi finanziari, cit., p. 424.

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un’unica autorizzazione valida in tutta la Comunità e l’applicazione del principio della vigilanza da parte dello Stato membro d’origine”87; la normativa introdotta, inoltre, vincola gli Stati membri alla vigilanza “affinché non vi sia alcun ostacolo a che le

attività [svolte in Stati diversi, …] possano essere esercitate allo stesso modo che nello Stato membro d’origine”88. Operativamente, ciò ha conseguenze tutt’altro che irrilevanti: con l’attuazione della Direttiva, infatti, una banca avente la sede principale, ad esempio, in Germania, non solo ha diritto ad operare in Italia senza dover richiedere l’autorizzazione alla Banca d’Italia, ma può operare in territorio italiano in base alle tecniche consentite e alle norme in vigore nel proprio Paese d’origine89.

Proprio a causa delle resistenze, in particolare del nostro Paese, rispetto ad un possibile allargamento della definizione di ente creditizio, fu scelto di mantenere la definizione contenuta nella Direttiva del 197790. Tuttavia, fu comunque disposta, in allegato al testo della Seconda Direttiva, una lista delle attività che gli enti creditizi autorizzati potevano svolgere in tutti gli Stati membri: segnatamente, oltre alla raccolta di depositi e l’erogazione di crediti, furono ammessi leasing, pagamenti, garanzie, operazioni finanziare sia per conto della clientela che per proprio conto91, servizi di brokerage e

87 Direttiva CEE 15 Dicembre 1989, n. 646, Considerando n. 4.

88 Ibidem, Considerando n. 16.

89 Cfr. NICOSIA, L’unificazione del mercato bancario europeo – La seconda direttiva di coordinamento, op. cit.,

p. 25.

90 Cfr. GODANO, Aspetti dell’integrazione bancaria nel nuovo quadro normativo comunitario, cit., p. 106, e

TORCHIA, Il controllo pubblico della finanza privata, op. cit., pp. 205-206.

91 In particolare: strumenti del mercato monetario, futures e options, derivati su tassi di cambio e tassi

69 intermediazione finanziaria, gestione e consulenza in materia di portafoglio, emissione e gestione di mezzi di pagamento92. La corrispondenza tra soggetti e attività creditizie, dunque, non è più obbligata e determinata nei dettagli, ma può assumere una diversa configurazione a seconda delle scelte degli operatori, a cui non si impone né lo svolgimento di tutte le operazioni riconducibili alla categoria di attività creditizia, né lo svolgimento esclusivo di quelle attività (la raccolta e il risparmio) che qualificano gli operatori come soggetti bancari93.

Resta da dire che, sul piano del contenuto dell’attività di vigilanza, la Direttiva in esame, in coerenza con quanto detto finora relativamente alla liberalizzazione delle attività, non poteva non continuare in direzione dell’implementazione di un sistema di controlli prudenziali, fissando, in particolare, un livello di capitale minimo unico per tutti i Paesi membri. Bisogna peraltro ricordare che, negli stessi anni – precisamente, nel 1988 – era stato emanato, in seno al Comitato di Basilea della Banca dei Regolamenti Internazionali, l’Accordo sul capitale delle banche94, il cui scopo era quello di introdurre, nei sistemi creditizi dei Paesi membri della BRI, un modello uniforme di vigilanza, fondato sulla previsione di coefficienti minimi di capitalizzazione. Il principale di questi era quello di solvibilità individuale, il

92 Direttiva CEE 15 Dicembre 1989, n. 646, Allegato – Elenco delle attività che beneficiano del mutuo

riconoscimento, nn. 1-14.

93 Cfr. TORCHIA, Il controllo pubblico della finanza privata, op. cit., pp. 204-207.

70 quale prevede che il patrimonio di una banca debba essere pari per lo meno all’8% del totale dell’attivo ponderato per il rischio95. Basilea 1 fu immediatamente recepito dalla Comunità Europea con la Direttiva 89/647/CEE, intitolata alla solvibilità degli enti creditizi, di pochi giorni successiva alla “seconda direttiva banche”.

L’attuazione e il recepimento delle direttive in materia bancaria non comportò il medesimo “sforzo di adattamento” da parte di tutti i legislatori nazionali: se l’Italia faticò molto, durante tutti gli anni ’80, a stare al passo dell’operazione di armonizzazione delle istituzioni europee, altri ordinamenti, come più volte ricordato, possedevano già “in casa” molte delle caratteristiche di un mercato aperto e concorrenziale.

In Germania, infatti, non era mai stato messo in discussione il modello di banca universale: ciò non significava, tuttavia, che il mercato del credito tedesco fosse meno regolato di quello dei sistemi che avevano introdotto forme di specializzazione. La legge bancaria del 1934, che aveva introdotto per la prima volta un sistema di vigilanza a livello federale, fu sostituita in un primo momento nel 1962 e poi modificata nel 1976, nel 1985 e nel 1990, tuttavia non fu mai messa in discussione l’impostazione della regolamentazione delle banche attraverso un ufficio federale di vigilanza, indipendente dalla Banca Centrale, ma vincolato ad una stretta cooperazione

95 Cfr. BASEL COMMITTEE, International convergence of capital measurement and capital standards (updated

71 con essa96. Fin dalla legge del ’34, e poi di nuovo con la riforma del ’62, l’obiettivo della stabilità del sistema creditizio fu perseguito tramite la fissazione di stringenti limiti prudenziali relativamente ad un certo equilibrio nelle scadenze tra attività e passività: è il cosiddetto “principio di liquidità”, che limita la concessione di prestiti a lungo termine alla disponibilità di fondi di pari scadenza. Inoltre, il volume dei prestiti e delle anticipazioni erogati da un lato, e delle cambiali, azioni quotate e titoli di altri istituti di credito posseduti dalla banca dall’altro, non possono eccedere il 60% dei depositi97. Già prima dell’intervento europeo, dunque, il sistema tedesco non limitava il campo di operatività delle banche: entro i limiti prudenziali delineati dalla legge e dalle Autorità creditizie, infatti, i soggetti bancari erano liberi di dedicarsi a qualunque attività ed impegnarsi in qualsiasi settore finanziario. In tale stato di cose, orbene, l’adeguamento alla prima Direttiva fu questione puramente formale: la definizione di ente creditizio elaborata in sede europea era sostanzialmente coincidente con quella tedesca. Nel 1985, peraltro, si procedette a rimuovere uno dei pochi poteri discrezionali rimasti in capo all’Autorità di vigilanza – ma mai utilizzato fin dagli anni ’60 – la quale, fino ad allora, poteva regolare con decreto i livelli dei tassi di interesse98. Del resto, nemmeno le successive riforme della legge bancaria,

96 KREGEL, Banca universale, riforma del sistema bancario statunitense e concorrenza finanziaria nella Comunità

europea, in Moneta e credito, n. 179, 1992, p. 294.

97 DEUTSCHE BUNDESBANK, Principles Concernig the Capital Resources and Liquidity of Credit

Institutions, in Annual Report, 1962, pp. 97-98.

72 avvenute segnatamente nel 1990, 1993 e 1994, apportarono sostanziali modifiche, limitandosi a formalizzare il principio dell’home country control introdotto dalla seconda Direttiva. L’unico effetto “sostanziale” dei provvedimenti degli anni ’90 sulla legislazione tedesca fu, a detta di molti osservatori, lo spostamento dei poteri di vigilanza dal livello nazionale a quello sovranazionale99.

Ben diversa era, invece, la situazione dell’ordinamento britannico, il quale, come già osservato nel precedente capitolo, conobbe per la prima volta un corpo normativo di regole in materia soltanto nel 1979, proprio su spinta della Direttiva n. 780. Prima di allora, il sistema britannico era caratterizzato da una forte segmentazione de facto tra deposit e merchant banks; in secondo luogo, un ulteriore forte elemento di stabilità era dato dal favor della Banca d’Inghilterra alla formazione di cartelli tra le maggiori banche del Paese per la determinazione dei tassi di interesse100. La presenza nel sistema di banche universali, o comunque l’organizzazione del mercato secondo principi di libera attività di impresa era sì astrattamente possibile, nella misura in cui nessuna norma lo impediva, ma risultava di fatto impraticabile.

Tuttavia, sull’onda della tendenza internazionale alla “apertura dei mercati”, a partire dagli anni ’70 si registrò un progressivo cambio di rotta, nella direzione di una graduale liberalizzazione dell’ordinamento del credito.

99 Cfr. Ibidem, p. 113: “La KWG, nella sua forma attuale, è largamente un prodotto delle linee-guida

europee”.

73 Il primo passo fu l’istituzione, nel 1971, del Competition and Credit Control da parte della Banca d’Inghilterra. Tale programma fu adottato con l’intento di favorire la competitività interna, in particolare tramite l’abolizione dei cartelli sui tassi di interesse, in cambio di un allentamento dei vincoli di liquidità richiesti alle grandi clearing banks101.

Il Banking Act del 1979, poi, si propose di fornire una base legale al tradizionale sistema di controlli della Bank of England: la novità più importante di tale intervento normativo fu la previsione, in ossequio al principio dell’autorizzazione all’attività introdotto dalla prima Direttiva, di una license, fornita dalla BoE alle banche, dalla quale risultavano però esonerate le grandi

clearing banks, che venivano automaticamente riconosciute102. Nonostante tale prima “formalizzazione” legislativa, comunque, sopravvivevano molti elementi del vecchio “club system”103.

I poteri della Banca d’Inghilterra furono rafforzati con la successiva legge bancaria del 1987. Nel nuovo Banking Act, innanzitutto, fu eliminata la distinzione tra licensed e recognized banks, sottoponendo indistintamente tutti gli istituti bancari al medesimo regime autorizzatorio. Alla Bank vennero inoltre assegnati maggiori poteri ispettivi, associati a sanzioni anche penali per i casi

101 BANK OF ENGLAND, Evolution of the UK banking system, in Quarterly Bulletin, n. 4, 2010, p. 327.

102 Il Banking Act del ’79, invero, operava una distinzione tra licensed bank, ovvero, in buona sostanza,

le banche del sistema secondario, per le quali veniva introdotto l’obbligo di autorizzazione all’ingresso nel mercato, e le recognized banks, ossia le maggiori banche di deposito, le quali, come suggerisce la stessa denominazione, erano direttamente riconosciute all’atto dell’entrata in vigore della legge bancaria, e godevano di alcuni privilegi sul piano degli obblighi informativi dell’Autorità di vigilanza. Per la distinzione tra sistema bancario primario e secondario, si veda retro, Cap. I, § 2.

74 di misreporting (false o incomplete informazioni)104. Nemmeno in tale occasione, tuttavia, fu introdotta una definizione di “banca” o “ente creditizio”, dal momento che la legge parla quasi esclusivamente di deposit-

taking business. Ancora una volta, dunque, sebbene il Paese si fosse dotato –