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La "cultura del whistleblower" quale strumento di prevenzione della corruzione amministrativa

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Academic year: 2021

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(1)

U

NIVERSITÀ DI

P

ISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

TESI DI LAUREA

LA “CULTURA DEL WHISTLEBLOWER” QUALE STRUMENTO DI

PREVENZIONE DELLA CORRUZIONE AMMINISTRATIVA

Candidata:

Relatore:

Francesca Fusani Chiar.ma Prof.ssa Luisa Azzena

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INDICE

Introduzione……….3 Capitolo primo: Gli strumenti amministrativi di contrasto alla corruzione……5

1. Fenomenologia della corruzione: un problema culturale………5 2. La lotta alla corruzione nella Legge 190/2012: “criminal e

preventional law”……….8

3. Il ruolo dell'Anac nel sistema di prevenzione della corruzione………...13 4. I piani per la prevenzione della corruzione………....18 5. Il Responsabile della prevenzione della corruzione…………...23 6. I codici di comportamento………..26 7. La nuova disciplina della trasparenza………...30 Capitolo secondo: Le origini del Whistleblowing ……….34 1. La cultura della prevenzione nell’esperienza anglosassone di Usa e Regno Unito………... 34

2. Il False Claim Act………...35

3. I primi interventi a favore dei dipendenti pubblici: dal Lloyd-La

Follette Act al Civil Service Reform Act……….……...39

4. Il Whistleblower Protection Act e le recenti modifiche……...40 5. L’estensione delle tutele ai dipendenti privati: il Sarbanes-Oxley

Act………..43

6. Il Whistleblowing nel Regno Unito………....47 7. Il Public Concern at Work e la “cultura della segnalazione”....51 8. Il quadro legislativo internazionale: una definizione operativa di

whistleblowing………..53

9. Il whistleblowing negli strumenti internazionali in materia di corruzione: la disciplina settoriale dell’Unione Europea e dell’OCSE...55

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10. Segue: la Convenzione di Merida………..61

Capitolo terzo: Il whistleblowing nell’ordinamento italiano……….66 1. Genesi della disciplina italiana: prima della legge 190/2012…66 2. L’art 54-bis del D.Lgs. 165/2001: il contributo fornito dalle linee guida ANAC e dal Piano Nazionale Anticorruzione alla definizione delle tutele a favore del whistleblower……….……….71 3. Segue: l’oggetto della tutela………..……….77

4. Le procedure di segnalazione e il ruolo del Responsabile della prevenzione della corruzione……….84 5. Le novità introdotte dalla Legge 30 novembre 2017, n.179…...91 6. Criticità e profili aperti dell’istituto………96 Conclusioni……….…….103 Bibliografia………..105

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INTRODUZIONE

Parlare della corruzione e degli strumenti di prevenzione della stessa, presuppone la conoscenza del “male” che si intende curare. La corruzione è anzitutto un fenomeno culturale, che oltre a causare i ben noti dissesti all’economia nazionale e mondiale, crea danni morali, che possono sfociare financo in una sfiducia dei cittadini nelle istituzioni pubbliche. È per questo motivo che, sia a livello internazionale che a livello dei singoli stati, è sentita la necessità di prevedere strumenti efficaci di contrasto della stessa.

Il nostro ordinamento ha sempre basato la sua politica di contrasto alla corruzione, sugli strumenti repressivi, tipici del diritto penale, trascurando gli strumenti di diritto amministrativo, la cui efficacia per la prevenzione dei fenomeni di corruttela, è da sempre sottolineata nelle convenzioni internazionali sulla corruzione. Nonostante la c.d. “Legge anticorruzione” si inserisca in una cornice di adeguamento del nostro Paese agli obblighi assunti convenzionalmente, non si può tacere che essa abbia comportato una rivoluzione nella lotta alla corruzione, prevedendo un collegamento tra un approccio penale alla repressione dei fenomeni corruttivi e un approccio preventivo tramite la promozione dei principi dell’etica pubblica e della trasparenza dei profili decisionali della pubblica amministrazione. La riforma ha rappresentato inoltre una prima apertura del nostro ordinamento all’istituto di derivazione anglosassone del whistleblowing, che affonda le sue radici nella tradizione di Common law, quale strumento di prevenzione della corruzione. In una prospettiva comparatistica, nella seconda parte, verranno analizzate le due legislazioni, di Usa e Regno Unito, nelle quali si sviluppa il fenomeno, ponendo l’accento sulle caratteristiche che l’istituto ha assunto in questi due Paesi.

Nell’ultimo capitolo analizzeremo la disciplina italiana sul tema, partendo dalla normativa introdotta ad opera della Legge Severino, che nonostante si sia rivelata insoddisfacente, rappresenta comunque una prima apertura indiretta del

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nostro Paese alla cultura della segnalazione. Da ultimo, verranno esposte le novità previste ad opera della Legge 179/2017, che dopo un travagliato iter parlamentare, ha introdotto la prima legge ad hoc sul whistleblowing.

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CAPITOLO 1: Gli strumenti amministrativi di contrasto alla

corruzione

Sommario: 1.1. Fenomenologia della corruzione: un problema culturale 1.2. La

lotta alla corruzione nella Legge 190/2012: “criminal e preventional law” 1.3. Il ruolo dell'Anac nel sistema di prevenzione della corruzione 1.4. I piani per la prevenzione della corruzione 1.5. Il Responsabile della prevenzione della corruzione 1.6. I codici di comportamento 1.7. La nuova disciplina della trasparenza.

1.1. Fenomenologia della corruzione italiana: un problema culturale

Nelle analisi e negli studi condotti sul tema della corruzione, sono seguiti principalmente tre approcci per spiegare il fenomeno e la sua diffusione1. Il primo approccio, di matrice economica, considera le scelte sottese al pagamento o all'accettazione di tangenti, come il risultato di un calcolo di convenienza, compiuto tenendo conto sia dei costi, sia dei vantaggi attesi, confrontati con il costo delle alternative disponibili2. A ciascuno di questi paradigmi sono riconducibili alcune macrovariabili, delle quali si può fornire una rappresentazione sintetica attraverso la seguente formula: C=M+D-T-A, dove il livello di corruzione(C) si associa alla presenza di posizioni monopolistiche di rendita(M) e all'esercizio di poteri discrezionali(D) ed è inversamente collegato al grado di trasparenza(T) e di accountability(A) o responsabilizzazione degli agenti, a sua volta dipendente dalla circolazione di

1

Vannucci A., L’evoluzione della corruzione in Italia: evidenza empirica, fattori facilitanti, politiche di contrasto, in Astrid, pag 3.

2 Becker G. S., Crime and Punishment. An Economic Approach, in Journal of Political

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informazioni e dall'efficacia dei controlli istituzionali3.

Una diversa prospettiva, di matrice socio-culturale, parla di “costi morali” per descrivere in modo sintetico l’effetto di tutte quelle variabili, quali convinzioni personali, tradizione, senso civico ecc.., che incidono sulla propensione degli individui a ricorrere alla corruzione. Secondo questa impostazione, la corruzione è tanto meno diffusa quando la forza delle convinzioni personali è favorevole al rispetto del sistema di valori che sostiene il rispetto della legge4. Il livello di corruzione di ciascun paese è influenzato dalla commistione di questi due fattori , che lungi dall’essere considerate alternative, dovrebbero suggerire, in sede di elaborazione di un’accorta politica di contrasto, di porre mano a misure che rendano efficace non solo la repressione del fenomeno ma anche la sua prevenzione5.

Negli ultimi anni, è emersa una terza prospettiva di analisi, di matrice neo-istituzionalista, che considera la rilevanza delle strutture interne alle reti di corruzione. Il consolidarsi di informali “strutture di governo”, rende possibile l’adempimento nelle transazioni illecite, di modo da creare stabilità agli scambi occulti e alimentando la propensione e la fiducia dei soggetti che partecipano al

pactum sceleris6.

Si è soliti poi affermare, che il fenomeno assume nella scena pubblica un andamento carsico, in quanto, avendo la natura di contratto a prestazione corrispettive7, è difficile che i due soggetti coinvolti nello scambio corrotto, palesino all’esterno quest’ultimo, essendo entrambi interessati all’utilità che sta alla base dello stesso8.

L’“oscurità”9

della corruzione è quindi un ostacolo alla conoscenza stessa del fenomeno e della sua diffusione.

3

Mattarella B. G., Pelissero M., La legge anticorruzione. Prevenzione e repressione della corruzione, Giappichelli, 2013, pag.38.

4 Vannucci, A., op.cit., pag 3. 5

“Commissione per lo studio e l’elaborazione di proposte in tema di trasparenza e prevenzione della corruzione nella pubblica amministrazione”, istituita con decreto 23 dicembre 2011 dal Ministro per la pubblica amministrazione e la trasparenza, pag 21.

6 Vannucci A., op.cit., pag 4.

7 Mattarella B.G., Pelissero M., La legge anticorruzione. Prevenzione e repressione della

corruzione, op.cit. pag. 119.

8 Circa la convergenza degli interessi vedi Cass. Pen.,Sez.VI, 17 febbraio 2010, n.10996,in

CED Cass., n.245687.

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A tal fine, analizzando alcune fonti di informazioni, possiamo avere qualche indicazione circa le caratteristiche quantitative e soprattutto qualitative, che il fenomeno ha assunto nel nostro Paese. Per quanto riguarda le statistiche giudiziarie, bisogna subito segnalare che esse ci offrono una visione parziale della situazione, in quanto il dato statistico rappresenta solamente l’ampiezza della “corruzione perseguita”10

.

Agli stessi esiti si perviene, considerando i mezzi di comunicazione. Le vicende giudiziarie che emergono tramite la stampa, i telegiornali e il web, sono soltanto quelle che, per le loro caratteristiche hanno suscitato maggiore attenzione nei mass media11.

Un ultimo indice che possiamo utilizzare per stimare la diffusione del fenomeno e per capire anche quali siano le caratteristiche della corruzione nell’esperienza italiana, è quello che considera sondaggi e rilevazioni statistiche, che misurano la percezione degli intervistati.

Secondo l'ultima classifica stilata dall' O.n.g. Transparency International, l'Italia si colloca al 54° posto nel mondo (su 180 paesi) e a livello continentale, non è più fanalino di coda d'Europa, posizionandosi al 25° posto su 31 Stati, per indice di percezione della corruzione. Le posizioni scalate dal 2012, anno dell'approvazione dellaLegge n.190/2012, ad oggi sono diciotto, di cui quindici da quando è stata creata l'Autorità Nazionale Anticorruzione12. Quello che implicitamente suggerisce la classifica, è che la reputazione internazionale del nostro Paese sia tutt'altro che positiva, viziata sicuramente da un'immagine stereotipata in cui gli italiani sono dipinti come un popolo dedito più al vizio che alle virtù, negli affari come nella vita privata. D'altra parte, i numerosi scandali che si sono succeduti in questi ultimi anni non hanno certo aiutato a trasformare lo stereotipo negativo in un parere più equilibrato e scevro da

10

Vannucci, A., op. cit., pag 4.

11

Vannucci, A., op. cit., pag 7.

12 Cfr. Transparency International, Corruption Perception Index, 2018.

Il CPI o Indice di Percezione della Corruzione è un indice che determina la percezione della corruzione nel settore pubblico e nella politica in numerosi paesi del mondo, attribuendo a ciascun Paese un voto che varia da 0(massima corruzione) a 100(assenza di corruzione). Si tratta di un indice composito, ottenuto sulla base di varie interviste/ricerche somministrate ad esperti e uomini d'affari. La metodologia viene modificata ogni anno al fine di riuscire a dare uno spaccato sempre più attendibile alle varie realtà locali.

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preconcetti e pregiudizi a volte infondati13.

Ad ogni modo, se gli investitori internazionali e gli uomini d'affari che con le loro risposte fotografano l'Italia come una nazione in balia della corruzione, non diversamente la pensano gli stessi cittadini italiani. Secondo i dati dell'ultimo Barometro Globale della Corruzione, pubblicato nel 2016, che raccoglie le risposte di un campione di 1.500 italiani, solamente il 4% di questi ha l'impressione che la corruzione si sia ridotta negli ultimi quattro anni14. Nello stesso senso, nella prima relazione della Commissione Europea15 sulla lotta alla corruzione si afferma che il 97% degli intervistati ritiene che in Italia la corruzione sia molto diffusa; la stessa relazione evidenziava poi che gli stessi intervistati 9 volte su 10 giudicavano la “cultura economica” italiana gravemente affetta dal morbo della corruzione.

Sulla necessità che la lotta alla corruzione faccia perno sul piano culturale ed educativo, prima ancora che su quello normativo o repressivo, si è espresso anche il Groupe of States against Corruption(c.d. GRECO) che nel “Quarto Report di Valutazione dell'Italia” suggerisce che “la lotta alla corruzione deve

diventare una questione di cultura e non solo di regole; ciò richiederà un approccio a lungo termine, un'istruzione continua in tutti i settori della società come componente indispensabile della strategia anticorruzione e un inequivocabile impegno politico”16. Seppur non si voglia cadere nella tentazione di riferirci allo stereotipo italiano affetto da “familismo amorale”17

, non si può comunque negare che “il fattore culturale” rappresenti con grande probabilità l'elemento che più incide nella diffusione così elevata di comportamenti corruttivi e, allo stesso tempo, che sia anche il fattore su cui è più complicato intervenire.

13 Si pensi alla vicenda giudiziaria “Mani pulite” intercorsa negli anni '90. 14 Global Corruption Barometer, consultabile sul sito www.transparency.org. 15

Eu Anti-Corruption Report, Cap. “Future steps”, pag.15.

16 Fourth evaluation round, Corruption prevention in respect of members of parliament, judges

and prosecutors, GRECO, 2017.

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1.2. La lotta alla corruzione nella Legge 190/2012: “criminal e preventional

law”

Parlare in termini generali del fenomeno della corruzione e degli strumenti giuridici per contrastarla, non è un compito agevole, dato che non è un problema che riguarda solo la scienza giuridica e che, inoltre, è un fenomeno diffuso su più livelli. Il progressivo abbattimento delle frontiere nazionali, ha portato in ordine a tali condotte, da un lato la maggior facilità di una loro esplicazione transnazionale, da un altro, l'esigenza di un efficace contrasto, dimensionato sul contesto della cosiddetta globalizzazione. Il contrasto alla corruzione è infatti funzionale allo sviluppo dei popoli, sia sul piano interno ai singoli stati, sia su quello internazionale internazionale, motivo per cui diversi atti multilaterali adottati dalle organizzazioni internazionali si sono occupate del fenomeno18.

Nonostante le indicazioni provenienti da diversi organismi ed organizzazioni internazionali19, che da diverso tempo suggerivano l'esigenza di adottare misure e programmi, innanzitutto volti a implementare una funzione di prevenzione della corruzione, l'attenzione del nostro legislatore si è sempre concentrata sul versante della repressione del fenomeno. Gli strumenti tipici del diritto penale, si sono rivelati insufficienti, proprio per il carattere sistemico della corruzione e per le difficoltà a far emergere il fenomeno, data la sua natura di contratto a prestazioni corrispettive. Questi meccanismi di omertà poi, spesso coinvolgono non solo le parti del sinallagma ma anche altri componenti dei medesimi uffici di cui fa parte il corrotto, che per paura di ritorsioni sia da parte dei colleghi che da parte dei superiori, evitano di segnalare le loro conoscenze sugli altrui illeciti comportamenti.

Ponendo l’attenzione su quest’ultimo aspetto, possiamo affermare che un’efficace normativa anticorruzione, dovrebbe prevedere al suo interno, misure incisive che incoraggino i soggetti estranei al pactum sceleris( i c.d.

whistleblowers), a denunciare l’altrui corruzione.

18 Fraschini G., Parisi N., Rinoldi D., Il whistleblowing. Nuovo strumento di lotta alla

corruzione, Bonanno Editore, 2011, pag.16.

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La legge 6 novembre 2012, n.190, in attuazione della “Convenzione delle

Nazioni Unite contro la corruzione” del 31 ottobre 2003 e della “Convenzione penale sulla corruzione di Strasburgo” del 17 gennaio 1999, persegue, nelle

intenzioni del legislatore, l’obiettivo di assicurare una più efficace attività di prevenzione e di contrasto della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione. Nonostante la riforma si collochi in uno specifico contesto di adeguamento del nostro Paese alle pressioni provenienti dalle organizzazioni internazionali, di cui anche l'Italia fa parte, non si può negare che un ruolo importante hanno giocato anche la consapevolezza che il fenomeno corruttivo continuasse ad essere presente in seno alla pubblica amministrazione e la circostanza che non vi fosse una normativa organica in tema di lotta alla corruzione.

La necessità di un approccio organico al fenomeno corruttivo, ha imposto di travalicare i confini del diritto penale con l'obiettivo di affiancare agli strumenti di lotta unicamente repressivi anche quelli relativi alla prevenzione della

malpractice politica e amministrativa. A tal proposito si è detto che “l'obiettivo

di restituire qualità e autorevolezza alla pubblica amministrazione (centrale e periferica), passa, dunque, anche per il contrasto alla corruzione, da intendere peraltro in senso ampio, in essa ricomprendendo anche episodi che- sebbene inidonei ad integrare la fattispecie penale- sono comunque espressione di

maladministration20.

La Legge 190/2012(recentemente modificata dal D.Lgs. 25 giugno 2016, n.97), recante “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e

dell'illegalità nella pubblica amministrazione”, si muove essenzialmente lungo

tre linee direttrici: la prevenzione e la repressione della corruzione e la diffusione della cultura della legalità. Si può dire che il secondo aspetto riguardi un intervento dinanzi ad un fatto già concretizzatosi nella specie, mentre il primo e l'ultimo mirano a combattere, o meglio, a prevenire il fenomeno ab

origine, cercando di evitare che la fattispecie penale possa realizzarsi21.

20 Ciò è quanto affermato da Patroni Griffi F., nella prefazione al rapporto della Commissione

per lo studio e l'elaborazione di proposte in tema di trasparenza e prevenzione della corruzione nella pubblica amministrazione, in www.funzionepubblica.gov.it.

21 Nico A.M., La corruzione nella prospettiva dei doveri costituzionali degli affidatari di

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Ma quali sono le caratteristiche della politica di prevenzione previsti dalla legge?

In primo luogo si può dire che il legislatore ha dato molto spazio alla corruzione amministrativa e poco a quella politica: la trasparenza a cui si ambisce è infatti quella amministrativa, ignorandosi il tema del finanziamento della politica; nello stesso senso, potenzia i codici di comportamento dei dipendenti pubblici ma continua a non prevederne per i politici22.

In secondo luogo si concentra sulla corruzione dei pubblici funzionari, lasciando in disparte la corruzione privata. I due ambiti però sono spesso collegati, in quanto certi reati commessi da privati sono spesso il presupposto o il postulato della corruzione della pubblica amministrazione23.

Infine, ulteriore caratteristica che emerge, è la tendenza all'uniformizzazione delle amministrazioni. La legge infatti, si rivolge a tutte le amministrazioni previste dall'art 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165(c.d. Testo unico sul pubblico impiego), precisando che le disposizioni di prevenzione della corruzione sono attuazione diretta del principio di imparzialità di cui all'art 97 della Costituzione24. In questo senso il legislatore non si è posto il problema del riparto della potestà legislativa25, riconducendo tutte le previsioni precedenti al comma 59, al principio di imparzialità, come se al solo legislatore statale spettasse l'attuazione dello stesso. Per le Regioni e gli Enti Locali, peraltro, la legge prevede che in sede di Conferenza unificata saranno valutate le eventuali misure di flessibilità, compresa l'indicazione dei termini per gli adempimenti, finalizzate soprattutto a tener conto delle specificità organizzative delle diverse realtà amministrative26. Si tratta però, più che di un adattamento, di una sollecitazione all'attuazione della disciplina. In disparte a questi difetti, possiamo dire che la presente legge ha il pregio di avere come obiettivo la lotta alla corruzione, sotto molteplici punti di vista, il primo dei quali è il collegamento tra l'approccio penalistico alla repressione dei

22 Mattarella B.G., La prevenzione della corruzione in Italia, in Giornale Dir. Amm., 2013, 2,

123(Commento alla normativa), pag 1.

23

Mattarella B.G., op.cit.

24 Comma 59, art 1, legge 190/2012. 25 Di cui all'art 117 della Costituzione.

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fenomeni di corruttivi e tipico del nostro sistema, con un approccio alla prevenzione della corruzione, tramite la promozione dei principi di etica pubblica, una piena trasparenza dell'azione amministrativa e la formazione dei pubblici dipendenti che lavorano nella stessa pubblica amministrazione. Si può così affermare la “doppia anima” della Legge anticorruzione, in cui al tradizionale approccio penalistico e repressivo, viene affiancata l'ulteriore finalità di prevenzione27.

Inoltre, grazie ad essa, la nozione amministrativistica di corruzione, già presente in precedenti atti normativi, acquista piena cittadinanza nell'ordinamento e dà luogo ad una disciplina generale28. In questo senso, il concetto di corruzione “deve essere inteso in senso lato come comprensivo di

tutte quelle situazioni in cui, nel corso dell'attività amministrativa, si riscontri l'abuso da parte di un soggetto del potere a lui affidato al fine di ottenere vantaggi privati”29.

Con questo non si vuole affermare che prima di questa legge mancassero riferimenti normativi alla prevenzione della corruzione. Si trattava però di disposizioni episodiche, che non consentivano di identificare un sistema normativo né un apparato amministrativo ad hoc30.

Abbiamo detto che la corruzione è anzitutto un fenomeno culturale che interessa la morale personale e l'etica pubblica, per questo motivo siamo arrivati alla conclusione che tale malcostume va combattuto, non solo con strumenti repressivi ma anche con strumenti preventivi, siano rivolti, in definitiva, anche al diritto amministrativo.

Uno di questi, potrebbe essere il whistleblowing, istituto di origine anglosassone con il quale genericamente si intende l’attività di segnalazione di altrui condotte illecite, alle autorità preposte, sia interne che esterne all’ente di appartenenza(sia pubblico che privato), non nel proprio interesse individuale

27 Gargano G., La “cultura del whistleblower quale stumento di emersione dei profili

decisionali della pubblica amministrazione, in www.federalismi.it.

28 Mattarella B. G., op.cit. 29

In questo senso, la circolare del Dipartimento della Funzione pubblica n.1/2013.

30 Ad esempio la legge del 2003, che istituì l'Alto commissario per la prevenzione della

corruzione, art 1, legge 16 gennaio 2003, n.3, che ha attribuito funzioni in materia alla Commissione indipendente per la valutazione, l'integrità e la trasparenza(Civit).

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ma nell’interesse pubblico31

.

L'origine del termine è significativa, designandosi con essa la figura del poliziotto di strada inglese (il c.d. “Bobby”) che soffia nel proprio fischietto(letteralmente “to blow the whistle”), per richiamare l'attenzione sulla commissione di un fatto criminoso32.

La tutela di chi fornisce informazioni sulle pratiche corruttive negli uffici pubblici (o privati), è materia di cui si sono occupare soprattutto, come vedremo più avanti, le legislazioni di tradizione anglosassone ed è poi stata ripresa anche nei principali strumenti multilaterali in materia di corruzione, adottati dalle organizzazioni internazionali, tanto globali (Nazioni Unite), che settoriali (Unione Europea, Consiglio d'Europa, OCSE).

Il tema è stato timidamente introdotto nel nostro ordinamento ad opera della Legge anticorruzione, ma è stato recentemente oggetto di un lungo iter legislativo, che ha portato all'emanazione della prima legge italiana in materia di tutela del dipendente che segnala illeciti sul posto di lavoro33.

Alla prevenzione intesa come obiettivo perseguito, corrisponde nella legge, la previsione di un ampio ventaglio di misure di tipo non sanzionatorio-repressivo. Ai fini del presente elaborato, verranno esaminati quelli che ci servono per esaminare l'istituto del whistleblowing nell'ordinamento italiano.

1.3. Il ruolo dell'Anac nel sistema di prevenzione della corruzione

La Legge anticorruzione e i suoi primi provvedimenti attuativi34, hanno previsto

31 Considerazioni trasmesse ai Presidenti della Commissione giustizia e Commissione lavoro

della Camera dei Deputati, da parte del Presidente dell’ANAC Cantone R., in data 13 ottobre 2015, reperibili sul sito istituzionale dell’Autorità.

32 Gargano G., op. cit., pag 1. 33

Ci riferiamo alla Legge 179/2017, approvata lo scorso novembre.

34

In particolare, il d.lgs.235/2012, “Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive di governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi “; il d.lgs. 33/2013, “Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni”, titolo così sostituito dall’art 1, comma 1, d.lgs.97/2016; infine il d.lgs.39/2013, “Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell’articolo 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n.190”.

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misure di prevenzione della corruzione di carattere generale e di carattere specifico. Le prime sono destinate alla creazione di un contesto complessivo favorevole alla riprovazione collettiva e all'eliminazione di atti corruttivi, comportando quindi un'applicazione uniforme in tutte le amministrazioni pubbliche. Le seconde, invece, sono misure che, sia pure introdotte in via generale dalla legge, necessitano di essere applicate in modo differenziato in ciascuna pubblica amministrazione35.

Una politica anticorruzione ha bisogno però anche di organi che si preoccupino di elaborarla ed implementarla. Allo scopo, i primi quattro commi della legge, si preoccupano di determinare quali organizzazioni, a livello centrale, siano investite dei compiti relativi alla prevenzione della corruzione.

Il primo organo disciplinato, è l'Autorità nazionale anticorruzione. L'idea della necessità di un'autorità preposta alla lotta alla corruzione, era già presente anche prima della presente riforma. Con la legge 3/2003 infatti, venne istituito l'Alto commissario per la prevenzione e il contrasto della corruzione e delle altre forme di illecito nella pubblica amministrazione, che anche se nelle intenzioni doveva svolgere funzioni di controllo, finì per diventare un mero organismo di analisi del fenomeno della corruzione e fu soppresso nel 2008.

Le sue funzioni furono trasferite al Servizio anticorruzione e trasparenza(Saet), costituito nell'ambito del Dipartimento della funzione pubblica. L'apporto dello stesso, a causa della mancanza di poteri effettivi e di esigui mezzi a disposizione, si rivelò poco più che nominale.

L'art 1, comma 2, nella sua versione originaria, invididuava nella Civit36 (poi trasformata in Anac dal d.l. n.101/2013, convertito dalla legge n.125/2013) l'organo titolare delle funzioni di Autorità nazionale anticorruzione, assegnandole compiti di varia natura.

In particolare, in capo ad essa sono previsti due tipi di competenze. Quelle con rilevanza esterna, in un’ottica di collaborazione con gli organismi stranieri, regionali e internazionali competenti in questa materia(comma 2, lettera a); e quelle con rilevanza interna, dettagliatamente descritte.

In primis, l’approvazione del Piano nazionale anticorruzione, predisposto dal

35 Merloni F., op.cit., pag.8. 36 Costituita con D.Lgs. 150/2009.

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Dipartimento della funzione pubblica(comma 2 lettera b), attribuzione con la quale assumeva non solo una funzione di controllo del piano redatto dal DFP ma che comportava anche l’esercizio di un’amministrazione attiva da parte della stessa.

Nell’ottica un’efficace attività di prevenzione poi, si prevede il compito di analizzare le cause e i fattori della corruzione, individuando anche gli strumenti di prevenzione e contrasto più idonei a tal fine(comma 2 lettera c). La legge inoltre, sottolinea l’importanza della cooperazione interistituzionale per un’azione integrata di contrasto ai fenomeni corruttivi e prevede ad esempio la possibilità, da parte dell’Autorità, di esprimere pareri sia obbligatori che facoltativi, sugli atti di direttiva e di indirizzo , nonché sulle circolari del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione emanati in tale ambito(comma 2 lettera d)L’Autorità deve poi svolgere un’attività di vigilanza circa l’effettiva applicazione e l’efficacia delle misure che le singole amministrazioni devono adottare, potendo anche impiegare poteri ispettivi a tal fine(comma 2 lettere f, f-bis e comma 3). L'esercizio del potere ispettivo, previsto dal comma 3, è strumentale alle funzioni di controllo e vigilanza previste nelle precedenti disposizioni. Inoltre da una lettura combinata delle stesse, si evince che il controllo esercitato dall'Autorità può riguardare sia profili di merito, quanto quelli di legittimità37.

La norma poi, attribuisce all'Anac, a seguito dei controlli espletati, il potere di ordinare alle amministrazioni di adottare atti e comportamenti oppure la rimozione degli stessi. Peraltro non ci sono indicazioni circa le sanzioni in caso di inadempimento delle prescrizioni. A tale riguardo, l'Autorità ha fatto presente al Governo e al Parlamento dell'opportunità di fornire di specifiche sanzioni tale potere38.

Esistono comunque dei casi in cui l'Anac è specificatamente dotata del potere di irrogazione di sanzioni, ad esempio in caso di mancata adozione del Piano triennale di prevenzione della corruzione, dei Piani triennali di trasparenza e dei Codici di comportamento (art 19 comma 5 d.l.90/2014).

Sempre nella prospettiva di un’azione integrata di contrasto della corruzione e

37 Mattarella B. G., Pelissero M, op.cit., pag.75. 38 Cfr. Delibera Anac n.146 del 18 novembre 2014.

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di una collaborazione interistituzionale, al comma 2 lettera g, si prevede che l’Autorità trasmetta annualmente alle Camere, una relazione sull’attività di contrasto della corruzione, che rappresenti la situazione delle amministrazioni sia centrali che locali(comma 2, lettera g).

L'assetto originario delineato dalla Legge anticorruzione, ha subito delle modifiche, prima ad opera dell'art 5 del d.l. 101/2013, convertito con la L.125/2013, che ha trasferito i compiti della Civit, all'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (Aran)39, con il dichiarato scopo di permettere all'Anac di concentrare le sue attività sulla trasparenza e sulla corruzione. Le restanti funzioni in materia di qualità dei servizi pubblici sono passate al Dipartimento della funzione pubblica.

Il percorso che ha portato alla progressiva creazione di una vera autorità indipendente con funzioni di prevenzione, regolazione e sanzione dei fenomeni di corruzione, è continuato con il più incisivo intervento ad opera dell'art 19 del d.l.90/2014, convertito in L.114/2014, che ha soppresso l'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici(AVCP)40 e ha trasferito mezzi e competenze della stessa, all'Autorità nazionale anticorruzione. Quest'ultima, viene così ad assumere le responsabilità in ordine alla vigilanza sui contratti pubblici.

Il collegamento della materia dei contratti pubblici con quella dell'anticorruzione, influenza fortemente l'attività dell'Autorità, caratterizzata non soltanto dalla concentrazione in capo ad un medesimo organismo delle predette missioni, ma soprattutto dall'attribuzione alla stessa di competenze molto eterogenee tra loro. La necessità di prevedere meccanismi di aggiudicazione dei contratti di appalto, è fatta propria dalla Convenzione di Merida, che richiede agli stati di prevedere misure necessarie per creare sistemi appropriati di stipulazione degli appalti pubblici che siano basati sulla trasparenza, sulla concorrenza e su criteri obiettivi per l'assunzione delle decisioni e che siano efficaci, per prevenire la corruzione41. Da ciò discende che

39 Agenzia istituita con D.Lgs. 29/1993, nell'ambito di una generale privatizzazione del rapporto

di lavoro pubblico, con il compito istituzionale di rappresentare tutte le amministrazioni nella contrattazione collettiva nazionale di lavoro.

40 Tale Autorità era stata istituita con la L.109/1994, rinominata e le sue attribuzioni ridefinite

con l'art 6 del D.Lgs.163/2006.

(18)

il collegamento tra le due discipline è frutto di un intreccio tra ordinamento nazionale e diritto internazionale. L'attività dell'Autorità, non si fonda quindi solo su decisioni interne allo stato ma è una risposta istituzionale a una strategia globale, in linea con le previsioni internazionali42.

Le modifiche del 2014 hanno poi eliminato le incertezze circa il riparto di competenze fra Anac e Dipartimento della funzione pubblica, trasferendo alla prima tutte le attribuzioni in materia di prevenzione della corruzione ai sensi dei commi 4,5, e 8 della L.190/2012. In questo modo viene superata la struttura “bicefala”, concentrando in capo ad un unico ente, le mansioni in materia di anticorruzione e trasparenza43.

Se con il primo intervento44, si è cercato di colmare il deficit di autonomia ed indipendenza che contrassegnava i precedenti organismi, con il d.l. 2014, si è intervenuti sul piano funzionale, assegnando all'Autorità quei poteri sanzionatori, la cui mancanza aveva contribuito a rendere inefficaci i precedenti organismi.

Regolare, vigilare, sanzionare, amministrare, sono queste le funzioni che sono state accumulate all'Autorità nell'arco di poco tempo. Questo ha determinato la nascita di un soggetto in possesso di molteplici funzioni di intervento, in grado di accordare interessi pubblici potenzialmente confliggenti.

Se da un lato l'Anac è chiamata a svolgere un'azione di vigilanza e prevenzione degli illeciti, dall'altro, con il tempo, ha sviluppato anche competenze para-normative o di c.d. Soft regulation, volte a colmare vuoti normativi o di intervento interpretativo. Come vedremo nel capitolo dedicato alla disciplina del whistleblowing, quest'ultimo tipo di competenza è stata impiegata proprio per fornire indicazioni circa gli snodi più problematici dell'istituto.

A seguito delle citate modifiche apportate dal decreto legge 24 giugno 2014, n.90(convertito nella legge 11 agosto 2014, n.114), l'Anac ha anche assunto un generale potere di regolazione in relazione alla tutela del dipendente pubblico

42 Cfr. Il rapporto della Commissione per lo studio e l'elaborazione di proposte in tema di

trasparenza e prevenzione della corruzione nella pubblica amministrazione, istituita con decreto 23 dicembre 2011.

43 Cfr. Canaparo P., L'anticorruzione e la trasparenza: le questioni aperte e la delega sulla

riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, in federalismi.it, n.1, 2016.

(19)

che segnala condotte illecite. Esso si inquadra in quello di indirizzo sulle misure di prevenzione della corruzione, potere che, prima della suddetta riforma, era previsto in capo al Dipartimento della funzione pubblica.

Quanto fin qui espresso ha fatto sì che l'Autorità adottasse un atto di regolazione di portata generale, consistente nelle Linee guida45, con il quale ha dettato una disciplina volta a incoraggiare le segnalazioni dei whistleblowers. L'esercizio di competenze normative di soft regulation, si giustifica con la previsione di meccanismi partecipativi e di controllo, che costituiscono un “modello sperimentale di legittimazione dal basso”46

. Ciò significa che all'adozione di atti regolatori, corrisponde un sensibile rafforzamento delle garanzie procedimentali. Ad esempio, si prevede l'obbligo di sottoporre le bozze delle delibere regolatorie ad una preventiva consultazione tra i portatori degli interessi collettivi47.

Le linee guida poi, sono anche sottoposte all'attività consultiva del Consiglio di Stato. Questa prassi, è solo un aspetto del circuito collaborativo nel quale l'Anac svolge le sue funzioni. È previsto infatti un rapporto costante con le Assemblee rappresentative, che si articola attraverso l'attività di segnalazione degli atti maggiormente rilevanti in termini di impatto sul settore regolato, le audizioni dinanzi alle competenti Commissioni parlamentari ed infine l'attività di referto annuale alle Camere circa l'attività svolta dall'Autorità stessa48.

1.4. l piani per la prevenzione della corruzione

Uno degli aspetti fondamentali dell'organizzazione amministrativa della prevenzione della corruzione, è la pianificazione e programmazione delle misure preventive, che si sostanzia nell'adozione di piani anticorruzione. Queste misure sono adottate in attuazione dell'adempimento di obblighi e

45 Ci si riferisce alle Linee guida emanate a seguito della Determinazione n.6 del 28 aprile

2015, disponibili in www.anac.it

46

In tal senso Nicotra I. A., L’Autorità nazionale anticorruzione. Tra prevenzione e attività regolatoria, pag. 30, Giappichelli, 2016

47 Art 213, II comma, D.Lgs. n.50/2016

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raccomandazioni elaborati in sede internazionale, come la Convenzione Onu contro la corruzione, che all'art 5 demanda agli Stati di mettere a punto “politiche di prevenzione efficaci e coordinate” oppure il GRECO, che nel rapporto sull'Italia nel 2009 aveva osservato che quest'ultima mancava di un programma anticorruzione coordinato.

Il modello di prevenzione adottato dalla Legge anticorruzione, riprende quello previsto dal D.Lgs.231/200149, che prevede l'introduzione della responsabilità penale - formalmente “amministrativa”- per omesso apprestamento delle cautele organizzative idonee ad impedire la commissione di reati da parte dei dipendenti o amministratori. Si tratta di una prevenzione non solo di matrice privatistica, ma affidata ad una responsabilità imprenditoriale di organizzazione che consiste: nella valutazione e gestione del rischio corruzione, nel

monitoraggio delle aree e attività a rischio, nella formazione dei dipendenti, nell'elaborazione di best practices e di codici etici, nella trasparenze ed infine anche nel whistleblowing50.

L'idea di fondo alla base del D.Lgs. 231, viene ripresa anche nel settore pubblico: come nel settore privato, anche nelle amministrazioni pubbliche sono necessarie misure organizzative concrete che prevengono comportamenti e decisioni corruttive, assistite da forme di responsabilità in caso di commissione di illeciti51.

A tal fine, con la riforma del 2012, è stato adottato un modello organico di prevenzione che si sviluppa su due gradi: il Piano nazionale anticorruzione(d’ora in poi PNA), redatto e predisposto dall'Anac52

e i Piani triennali di prevenzione della corruzione (d’ora in poi PTPC), adottati a livello periferico presso ogni singola amministrazione dall'organo di indirizzo politico,

49“Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle

associazioni anche prive di responsabilità giuridica, a norma dell'articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n.300”.

50

Nell'ultimo capitolo vedremo che proprio nel D.Lgs. 231/2001, alcuni autori hanno individuato il “seme” del whistleblowing. In particolare Armone G., Whistleblowing e ordinamento italiano: possibili percorsi normativi, in Fraschini G., Parisi N., Rinoldi D., Il whistleblowing. Nuovo strumento di lotta alla corruzione, Bonanno Editore, 2009, pagg 117 e ss.

51

Merloni F. op.cit., pag.17.

52 Originariamente redatto dal DFP, seguendo le linee di indirizzo del Comitato

interministeriale ed approvato dall'Anac, poi, dalla novella legislativa del 2014, solo da quest'ultima.

(21)

su proposta del Responsabile della prevenzione della corruzione (RPC).

La necessità che ciascuna amministrazione debba prevedere al proprio interno piani organizzativi in funzione di prevenzione della corruzione, nel senso anche di una responsabilizzazione dell'organizzazione stessa, era stata avanzata dalla Commissione Garofoli durante i lavori preparatori della legge. Si riteneva necessario altresì, che questo importante strumento di prevenzione, rientrasse in un sistema più organico di prevenzione della corruzione, affidato all'Autorità, con l'elaborazione di linee guida che le singole amministrazioni avrebbero dovuto seguire nell'elaborazione e nell'approvazione dei rispettivi piani.

Ciascuna amministrazione, deve quindi elaborare e trasmettere all'Anac un “piano di prevenzione della corruzione che fornisce un diverso livello di

esposizione degli uffici al rischio di corruzione ed indica gli interventi organizzativi volti a prevenire il medesimo rischio” e “procedure appropriate per selezionare e formare, in collaborazione con la Scuola superiore della pubblica amministrazione, i dipendenti chiamati ad operare in settori particolarmente esposti alla corruzione, prevedendo, negli stessi settori, la rotazione di dirigenti e funzionari”.

Nonostante il comma 5 dell’art 1 faccia riferimento alle sole amministrazioni centrali, non sembrano esservi dubbi che anche le amministrazioni regionali e locali debbano elaborare i propri piani (si vedano i commi 6 e 60 dell’art 1 )53

. L'ambito di applicazione della normativa, è poi esteso anche agli enti pubblici, ai soggetti di diritto privato in mano pubblica, alle società partecipate ed a quelle da esse controllate, anche in considerazione del fatto che, molto spesso, è proprio in queste che si annidano i casi più gravi di illegalità e dell'importanza di questi in termini di assorbimento di risorse pubbliche.

A seguito delle novità apportate alla legge 190/2012 dal D.Lgs. 97/201654, il nuovo comma 2-bis dell'art 1 della legge 190/2012, prevede che tanto le pubbliche amministrazioni quanto gli “altri soggetti di cui all'art 2-bis, comma

2, del D.Lgs. n.33/2013”, siano destinatari delle indicazioni contenute nel PNA,

53 Mattarella B.G., op.cit., pag 3. 54

Recante “Revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza, correttivo della legge 6 novembre 2012, n.190 e del decreto legislativo 14 marzo 2013, n.33, ai sensi dell'articolo 7 della legge 7 agosto 2015, n.124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”.

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ma secondo un regime differenziato: mentre le prime sono tenute ad adottare dei veri e propri PTPC, i secondi devono adottare “misure integrative di quelle

adottate ai sensi del decreto legislativo 8 giugno 2001, n.231”.

Per quanto riguarda il contenuto dell'attività di pianificazione, essa si basa principalmente sul monitoraggio dei settori maggiormente a rischio, effettuato tramite il c.d. Risk-based approach55, in modo da poter programmare gli interventi organizzativi funzionali a scoraggiare l'insorgere di nuove condotte illecite e da rendere più agevole l'individuazione di quelle già poste in essere. Questo approccio basato sulla valutazione del rischio, è in linea con la clausola di invarianza contenuta nella legge anticorruzione, in base alla quale le amministrazioni devono far fronte alla prevenzione della corruzione con le risorse umane e strumentali che già posseggono.

La pianificazione centrale e a livello decentrato si aggiornano e si affinano continuamente. I singoli piani hanno infatti una durata triennale ma vengono aggiornati annualmente, a seconda delle esigenze sorte e dei risultati ottenuti in sede applicativa e nel caso in cui sopravvengano nuove normative o prassi. Con la delibera n.1208 del 22 novembre 2017, l'Autorità ha approvato in via definitiva l'Aggiornamento 2017 al PNA, in continuità con le indicazioni elaborate negli anni precedenti (PNA 2013, Aggiornamento 2015, PNA 2016)56. Come ricordato dall'Anac57, il PNA individua “in relazione anche alla

dimensione e ai diversi settori di attività degli enti, i principali rischi di corruzione e i relativi rimedi”. Nell'ultimo aggiornamento, l'Autorità ha così

deciso di rivolgere particolare attenzione a specifiche tipologie di amministrazioni e settori di attività, quali le Autorità di sistema portuale, i commissari straordinari e le istituzioni universitarie. La scelta di questi settori, non si è basata solo sull'attività di vigilanza espletata dall'Anac, ma anche sulle indicazioni provenienti dal “basso” e cioè dalle singole amministrazioni.

Il Piano si struttura in tre sezioni: nella prima sono indicati gli obiettivi strategici e le azioni previste, nella seconda sono esposte le misure di

55

Mattarella B.G., Pelissero M., op.cit., pag 98.

56 Il primo PNA, valido per il trienno 2013-2016, è stato approvato dall'Autorità con Delibera

Civit n.72/2013 su proposta del Dipartimento della funzione pubblica.

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prevenzione da attuare58 a livello periferico e nella terza sono contenute spiegazioni circa gli obblighi di comunicazione all'Anac e sulla gestione dei dati raccolti.

Per quanto riguarda l'applicazione delle strategie a livello decentrato, il piano fornisce delle linee di indirizzo per l'adozione dei PTPC. L'Autorità raccomanda di tenere conto delle situazioni specifiche che caratterizzano le varie amministrazioni e di coordinare i seguenti piani con gli altri strumenti di pianificazione già esistenti59.Per comprendere le criticità e le note positive dell'attività di pianificazione, possiamo brevemente passare in rassegna il monitoraggio effettuato nell'ultimo biennio60. Dall'analisi di un campione di 577amministrazioni, afferenti a diversi comparti, è risultato un progressivo miglioramento sia in termini quantitativi (con riferimento alla propensione della singole amministrazioni ad aggiornare i piani), sia qualitativi (con riferimento al contenuto degli stessi), nota positiva che conferma ciò che era stato rilevato anche nel precedente monitoraggio. L'andamento però non è omogeneo in tutte le amministrazioni, in quanto il trend positivo è apprezzabile solo in alcuni comparti, quale quello sanitario. Altri settori, come quello dei ministeri, denotano invece un trend negativo.

Nota negativa da sottolineare, è che le informazioni riguardanti il processo di approvazione dei Piani continuano a non essere sufficientemente chiare. In particolare, non sono esplicitate le modalità di coinvolgimento degli organi di indirizzo politico amministrativo. Anche la consultazione pubblica, presupposto dell'adozione del Piano, è ancora poco diffusa. Per quanto riguarda l'attività di monitoraggio, si è sottolineato che il sistema è ancora carente: molte amministrazioni non hanno individuato correttamente tempi e responsabili e più della metà dei Piani esaminati contiene riferimenti generici al sistema di monitoraggio. Si è anche lamentato uno scarso coordinamento con gli strumenti di programmazione, quale il Piano della performance, infatti solo un terzo dei PTPC contiene gli obiettivi strategici e strutturali in materia di prevenzione

58

Tra queste indica anche la tutela dei whistleblowers.

59 Ad esempio con il piano della performance.

60 L'analisi dei PTPC riferiti al triennio 2017-2019, è stata fatta con la collaborazione

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della corruzione. È stata riscontrata inoltre, una scarsa considerazione del contesto esterno, vale a dire le dinamiche socio-territoriali, elemento che ha un ruolo di impatto sulla valutazione del rischio della corruzione61.

1.5. Il Responsabile della prevenzione della corruzione

Sul versante organizzativo, la principale novità introdotta dalla Legge Anticorruzione, è costituita dall'introduzione in ciascuna amministrazione della figura del Responsabile della corruzione (d’ora in avanti, semplicemente, “RPC”). Il comma 7 dell'art 1 pone in capo all'organo di indirizzo politico il compito di individuare l'RPC tra i dirigenti di ruolo di prima fascia in servizio, specificando che, per gli enti locali, viene individua nel Segretario, salvo diversa e motivata determinazione. La legge pone un criterio di carattere generale, esprimendo un criterio di preferenza ma non contiene una regola rigida, ammettendo, con l'espressione “di norma”, una certa flessibilità che consente di fare diverse scelte in rapporto alle esigenze gestionali dell'organizzazione62.

La previsione della nomina di un dirigente di prima fascia, è strettamente collegata alle responsabilità assegnate alla figura. Si esclude la nomina di dirigenti esterni, di quelli con incarichi di diretta collaborazione e quella di dirigenti provenienti dalle aree di rischio. Per quanto riguarda quest'ultima figura infatti, potrebbe esservi una contaminazione dei ruoli, in quanto potrebbe essere nominato Responsabile della prevenzione, il dirigente responsabile dell'Ufficio Procedimenti Disciplinari. Questa situazione pare infatti realizzare un conflitto d'interesse e quindi di incompatibilità. Si sottolinea infatti che “la

funzione del responsabile di cui alla l.n.190 del 2012 ha carattere squisitamente preventivo, a differenza della funzione dell'U.P.D., il quale, come noto, ha competenza in ordine all'accertamento dell'illecito disciplinare e

61 Aggiornamento 2017 al Piano Nazionale Anticorruzione, pagg.49-53. 62 Cfr. Circolare n.1/2013 del Dipartimento della Funzione pubblica, pag.5.

(25)

all'irrogazione delle conseguenti sanzioni”63.

La legge non specifica poi la durata dell'incarico; considerato però che il suddetto incarico si aggiunge a quello dirigenziale, si deve dedurre che il termine sia coincidente con la durata di quello principale.

La figura in questione è strettamente collegata all'introduzione dei piani di prevenzione della corruzione, di cui si dice subito: per assicurarne l'efficacia, il legislatore ha ritenuto infatti di introdurre nelle amministrazioni un soggetto che abbia un forte interesse alla loro elaborazione e applicazione e che, quindi si adopererà a tal fine.

Il comma 8 dell'art 1, gli affida infatti la predisposizione del PTPC, che dovrà poi essere approvato dall'organo di indirizzo entro il 31 Gennaio di ogni anno. Questo compito è particolarmente complesso, in quanto dietro alla redazione del piano vi è tutta una serie di attività propedeutiche, quali l'analisi del contesto, la valutazione dei rischi, individuazione delle misure volte a prevenirli. Il Responsabile dovrà poi verificare la sua effettiva attuazione e l'idoneità alla prevenzione della corruzione, proponendo eventualmente anche delle modifiche nel caso vi sia un mutamento nell'organizzazione o nell'attività di amministrazione, ovvero nel caso in cui siano accertate significative violazioni delle prescrizioni64. Vedremo poi nell'ultimo capitolo, la sua funzione in relazione allo strumento di prevenzione del whistleblowing; possiamo subito anticipare che, nella predisposizione del piano il Responsabile deve anche considerare l'adozione di questa misura.

La legge gli affida ulteriori funzioni, quali “definire procedure appropriate per

selezionare il personale e formare i dipendenti destinati ad operare in settori particolarmente esposti alla corruzione”(art 1, comma 8), “verificare, d'intesa con il dirigente competente, l'effettiva rotazione degli incarichi negli uffici preposti allo svolgimento delle attività nel cui ambito è più elevato il rischio che siano commessi reati di corruzione”(art 1, comma 10, lettera b),

“individuare il personale da inserire nei percorsi di formazione sui temi

dell'etica e della legalità”(art 1, comma 10, lettera c)65

.

63 Ibidem, pag. 7. 64 Comma 10 lettera a.

(26)

Si deve segnalare, che ex art 43 del D.Lgs. 33/2013, il RPC è anche Responsabile della trasparenza, discendendone che gli competono tutte le incombenze relativa a questo ambito. La nuova dicitura della figura, a seguito della novella, è infatti “Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza (RPCT)”.

Il D.Lgs. 39/201366ha conferito al RPC, compiti di vigilanza in ordine all'applicazione della normativa sull'incompatibilità ed inconferibilità degli incarichi. Si tratta di un articolato sistema di vigilanza sull'osservanza delle disposizioni contenute sia in questo decreto legislativo, sia nella legge anticorruzione, che fa capo sia al Responsabile della prevenzione di ciascuna amministrazione (per ciò che concerne la vigilanza interna) e all'Autorità nazionale anticorruzione (per ciò che riguarda la vigilanza esterna)67. Nello specifico, all'RPC è attribuito il compito di contestare al dipendente interessato, la presunta esistenza di una delle situazioni richiamate nel decreto e al contempo segnalare all'Anac, all'AGCM e alla Corte dei Conti, affinché esplichino i relativi controlli.

Da ultimo, l'art 15 del D.P.R. 62/2013, onera l'RPC di diffondere la conoscenza dei codici di condotta e sovraintendere alla loro attuazione nell'amministrazione, pubblicando i risultati e trasmettendoli all'ANAC.

All'ampio ventaglio di compiti affidati dalla legge al RPC, è legato un regime di responsabilità particolarmente gravoso, che ha una triplice natura: dirigenziale, disciplinare ed amministrativo-contabile. Essa si attiva quando “all'interno” dell'amministrazione, viene commesso un “reato di corruzione”68

. In questo caso, sorge la responsabilità dirigenziale e disciplinare, “oltre che per il danno

erariale e all'immagine della pubblica amministrazione”, a meno che non provi

di aver predisposto il piano per la prevenzione della corruzione e di aver curato la sua attuazione.

corsi strumentali alla formazione dei dipendenti pubblici in tema di legalità e di etica, con particolare riferimento a quelli che operano nelle aree di rischio.

66“Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche

amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell'articolo 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n.190”.

67

Nicotra I. A., op. cit., pag.118.

68 Cfr. Mattarella B.G., op.cit., pag.3, “espressione che nell'intenzione del legislatore è

probabilmente generica, ma che – trattandosi di norme sanzionatorie – la giurisprudenza potrebbe intendere nel senso penalistico , più restrittivo”.

(27)

Da quanto abbiamo appena descritto, emerge un assetto che onera il RPC di complesse mansioni, alle quali viene affiancato un regime particolarmente gravoso di responsabilità, che peraltro non è adeguatamente bilanciato neppure in termini di retribuzione69.

1.6. I codici di comportamento

I codici di comportamento rispondono all'esigenza di garantire standard di correttezza più elevati rispetto a quelli assicurati dalle norme penali. Infatti, è vero che i fenomeni di corruzione confliggono con i principi dell'etica pubblica, ma, d'altra parte, è anche vero che anche apparati non corrotti potrebbero non basare la propria azione in base ai principi dell'etica pubblica. Si tratta di misure ispirate ad un ideale di “buona amministrazione”, inteso come nozione tale da ricomprendere “la stabilità dell'impiegato, la sua indipendenza da ogni influsso

politico, le sue promozioni regolai per anzianità e per merito”70.

La legge 190/2012, con l'intento di chiarire la natura dei codici di condotta quale fonte che individua doveri di comportamento giuridicamente vincolanti71, ha modificato l'art 54 del T.U. sul pubblico impiego, recante la disciplina dei codici di comportamento.

Una delle novità più importanti, riguarda le finalità stesse dei codici: oltre ad assicurare la qualità dei servizi resi ai cittadini, con essi si intende perseguire, in linea con gli obiettivi dell'intera riforma, “la prevenzione dei fenomeni di

corruzione, il rispetto dei doveri costituzionali di diligenza, lealtà, imparzialità e servizio esclusivo alla cura dell'interesse pubblico”72. Con questa aggiunta, si crea un collegamento tra i due aspetti, collegamento che trae ispirazione dalle indicazioni provenienti da alcune organizzazioni internazionali. Da tempo

69

Cfr Martines F., La legge 190/2012 sulla prevenzione e repressione dei comportamenti corruttivi nella Pubblica amministrazione, Federalismi.it, n.5, 2015, l'autore osserva che la necessità di una retribuzione aggiuntiva sarebbe pienamente giustificata.

70 Mattarella B.G., Pelissero M., op.cit., pag 212.

71 Nella Commissione per lo studio e l'elaborazione di proposte in tema di tema di trasparenza

e prevenzione della corruzione nella pubblica amministrazione, si è sottolineato che uno dei deficit della precedente disciplina fosse proprio la questione circa il rilievo da ascrivere alla violazione delle norme del Codice in ordine alla responsabilità del dipendente, pag.58.

(28)

infatti, queste ultime hanno evidenziato che i due piani sono interconnessi e l'adozione di standard di qualità dei servizi pubblici è indicata proprio tra le misure di prevenzione73.

Cambia anche la procedura di approvazione del codice nazionale: viene approvato con D.P.R., previa deliberazione del Consiglio dei ministri su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e previa intesa in sede di conferenza unificata74.

La previsione che senza dubbio ha carattere più innovativo, è quella contenuta nel nuovo comma 3, art 54, il quale stabilisce che d'ora in poi la violazione dei doveri enunciati nei codici di comportamento “compresi quelli relativi

all'attuazione del Piano di prevenzione della corruzione”, è fonte di

responsabilità disciplinare, acquisisce cioè un preciso rilievo giuridico. Viene pertanto modificato il precedente assetto, secondo il quale l'inosservanza delle norme del codice di comportamento esponeva il dipendente al potere disciplinare dell'amministrazione solo nel caso in cui tali norme fossero state fatte proprie dai contratti collettivi. A riguardo, sono sorti problemi interpretativi, a causa del coordinamento con l'art 55 comma 2 del D.Lgs 165/2001, che continua a prevedere un rinvio alla negoziazione collettiva per la determinazione tanto delle infrazioni quanto delle sanzioni.

È da escludere quell'interpretazione della dottrina che, valorizzando quest'ultima disposizione, esclude che le norme dei codici possano avere una cogenza per sé, ma che debbano continuare ad essere recepite dai contratti collettivi per poter avere rilevanza75, perché si pone in contrasto con la portata innovativa della riforma. Si deve allora preferire un’interpretazione che dia valore al testo riformato, ciò anche in forza di altre disposizioni, quali il medesimo articolo all'ultima parte del comma 3, in cui si dispone che “violazioni gravi o reiterate del codice comportano l'applicazione della

sanzione di cui all'articolo 55-quater, comma 1”, cioè la sanzione disciplinare.

73 Cfr. Raccomandazione OCSE “on Improving Ethical Conduct in the Public Service Including

Principles for Managing Ethics in the Public Service”, del 1998.

74

Nella precedente disciplina veniva approvato dal Dipartimento della Funzione pubblica, sentite le confederazioni sindacali maggiormente rappresentative.

75 In questo senso Giagulo U., Il codice di comportamento dei dipendenti pubblici: atto terzo,

(29)

Si può dire, allora, che non residua alcun dubbio circa l'obbligatorietà dei doveri stabiliti dai codici; la contrattazione collettiva, quindi, disciplina solamente i profili delle sanzioni e dei relativi procedimenti76.

Il codice attualmente in vigore è quello approvato con D.P.R. 62/2013.

Per quanto riguarda la struttura, non è molto diverso da quello precedente, presentando solamente 17 articoli, a fronte dei 14 di quello precedente. Dal punto di vista contenutistico invece, all'art 1 si nota subito la prima differenza sostanziale: mentre il codice del 2000 forniva delle “specificazioni

esemplificative”, quello in vigore detta dei “doveri minimi di diligenza, lealtà, imparzialità e buona condotta che i pubblici dipendenti sono tenuti ad osservare”, sottolineando in questo modo il carattere cogente della disciplina.

L'art 2 si occupa poi di stabilire l'ambito di applicazione, indicando le stesse amministrazioni che devono adottare un codice proprio ex art 54 comma 5. Relativamente al personale, esso è direttamente applicabile a quello contrattualizzato, mentre per i dipendenti in regime di diritto pubblico avrà valore di mero principio.

La vera novità è però contenuta all'art 3, che impone l'applicazione del codice anche a soggetti che non hanno un rapporto di lavoro subordinato con la pubblica amministrazione77. Per questo motivo, le amministrazioni sono obbligate ad inserire nei contratti delle clausole di risoluzione o decadenza del rapporto, al fine di rendere cogenti i doveri del codice anche per queste categorie.

Venendo alla disciplina dei codici di comportamento delle singole amministrazioni, il nuovo art 54 comma 5, impone a ciascuna di esse di redigere un proprio codice che integra e specifica il codice di comportamento nazionale. Nonostante non ci siano indicazioni in tal senso, si deve ritenere che il soggetto chiamato ad approvare il codice sia l'organo di indirizzo. Con il riferimento ad una “procedura aperta alla partecipazione”, non si è voluto reintrodurre il coinvolgimento della contrattazione collettiva, bensì è da

76 Merloni F., Codici di comportamento, In: Libro dell'anno di diritto 2014, Treccani. 77

“collaboratori o consulenti, con qualsiasi tipologia di contratto o incarico e a qualsiasi titolo, ai titolari di organi e di incarichi negli uffici di diretta collaborazione delle autorità politiche, nonché nei confronti dei collaboratori a qualsiasi titolo di imprese fornitrici di beni o servizi e che realizzano opere in favore dell'amministrazione”.

(30)

intendersi come una sorta di consultazione pubblica che coinvolga anche i cittadini78.

Lo stesso comma 5 poi, attribuisce ai codici delle singole amministrazioni il compito di integrare e specificare i precetti stabiliti da quello nazionale. In una prospettiva di prevenzione della corruzione, il codice di condotta adottato da ogni amministrazione, costituisce una delle misure organizzative di attuazione delle strategie di contrasto alla corruzione individuate nel PTPC. Secondo l'art 8 del codice nazionale, il dipendente pubblico, dovendo adeguarsi alle prescrizioni contenute nel piano di prevenzione della corruzione dell'ente nel quale presta servizio, nell'ottica di una collaborazione con il Responsabile della prevenzione della corruzione, “segnala al proprio superiore gerarchico

eventuali situazioni di illecito nell'amministrazione di cui sia venuto a conoscenza”, fermo restando l'obbligo di denuncia all'Autorità giudiziaria79. Tuttavia, dalla lettera della disposizione non è chiaro se la segnalazione di illeciti al proprio superiore gerarchico sia prevista in termini di obbligo o di mera facoltà. Dalla lettura combinata dell'art 8 e dell'art 16, relativo alla responsabilità conseguente alla violazione del codice, si deve considerare come doverosa la segnalazione di illeciti da parte del dipendente pubblico, in quanto consente l'emersione e l'accertamento anche di fenomeni corruttivi e non solo di malamministrazione, in tempi più brevi rispetto all'accertamento da parte del giudice80.

Il comma 6 dell'art 54, si occupa della disciplina dei cosiddetti controlli circa l'applicazione dei codici di comportamento e individua nelle strutture di controllo interno, i dirigenti responsabili e gli uffici disciplinari, i soggetti chiamati a vigilare sull'attuazione sia del codice nazionale, che di quelli delle singole amministrazioni. Al comma 7, si aggiunge che “le pubbliche

amministrazioni verificano annualmente lo stato di applicazione dei codici e organizzano attività di formazione del personale per la conoscenza e la corretta applicazione degli stessi”. Si tratta infatti di un controllo di “secondo grado”, in

quanto volto a verificare il funzionamento di uno strumento a sua volta di

78 Cfr. Merloni F., op.cit. 79Art 8 D.P.R. 62/2013.

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