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Genesi della disciplina italiana in materia di whistleblowing: prima della legge 190/

CAPITOLO 3: Il Whistleblowing nell'ordinamento italiano

3.1. Genesi della disciplina italiana in materia di whistleblowing: prima della legge 190/

Se dovessimo tradurre in italiano il termine inglese whistleblowing, dovremmo constatare che nel lessico italiano non esiste una parola semanticamente equivalente a quella angloamericana162. Il termine non trova neanche una traduzione adeguata in italiano, perché manca il riconoscimento socio-culturale del concetto corrispondente, che in ambito internazionale, come abbiamo potuto constatare, viene invece valorizzato da tempo. Come vedremo nel seguente Capitolo, una prima apertura indiretta del nostro Paese al tema della tutela del dipendente che segnala illeciti, si è avuta nell’ambito di una riforma normativa di prevenzione della corruzione163. Prima di questa riforma, nell’ordinamento giuridico italiano era possibile rinvenire alcune disposizioni che in maniera indiretta e talvolta disorganica, trattano il fenomeno.

Le principali prescrizioni sull'argomento, sono rinvenibili in ambito penale. Il nostro sistema prevede specifici obblighi di denuncia solo in capo ai pubblici ufficiali164, mentre gli obblighi previsti per il cittadino comune sono

162Accademia della Crusca “Che cosa significa e come si traduce la parola inglese

whistleblower”, reperibile in www.accademiadellacrusca.it.

163 Nicotra I. A., op., cit., pag. 194.

limitatissimi, in quanto quest'ultimo ha l'obbligo di denunciare solo delitti molto gravi, che attentano alla sicurezza dello stato, oppure alla sicurezza individuale165. Lo scopo di queste disposizioni, tuttavia, non è quello di tutelare il soggetto denunciante, bensì di garantire l'efficace funzionamento dell'amministrazione della giustizia, assicurando che le notizie di reato pervengano tempestivamente all'organo competente. Queste previsioni si sono dimostrate inidonee a incentivare e persuadere i destinatari a riferire episodi illeciti di cui sono venuti a conoscenza; in poche occasioni i casi di omessa denuncia sono giunti all'autorità giudiziaria, sia a causa della difficoltà di dimostrare che il soggetto fosse a conoscenza di un episodio di corruzione, sia in virtù dell'esiguità della sanzione comminata.

Altro riferimento all'ambito penalistico, lo troviamo nella norma che appresta la tutela al c.d “testimone di giustizia”, la quale garantisce al dichiarante non solo misure di protezione, connesse a concreti rischi per l'incolumità individuale, ma anche il riconoscimento di provvidenze economiche e persino la possibilità di ottenere il cambio di generalità166.

La norma, nata in particolar modo per garantire i testimoni di reati commessi in ambito mafioso, non indica i reati cui si riferisce il contributo del dichiarante e in astratto è applicabile per qualsiasi tipo di reato, finanche quelli in materia di pubblica amministrazione. Anche se in passato è stato utilizzato per la protezione di testimoni di fatti corruttivi167, è difficile ipotizzare in concreto, un così grave rischio per l'incolumità individuale tale da giustificare il suo ricorso. Bisogna considerare che, le norme sul whistleblowing in senso stretto sono soltanto quelle riferite ai soggetti che agiscono esclusivamente di propria iniziativa; è questo il profilo che distinguerebbe tale figura dal quella di un

l'incaricato di pubblico servizio (art 362 c.p.).

165 In particolare, solo in tre casi il cittadino ha un obbligo di denunciare: delitti contro la

personalità dello stato(art 364 c.p.), sequestro di persona a scopo di estorsione(d.l. 15-1- 1991, n°8 con in l. 15-3-1991, n°82 “Nuove norme in materia di sequestri di persona a scopo di estorsione e per la protezione dei testimoni di giustizia nonché la protezione e il trattamento sanzionatorio di coloro che collaborano con la giustizia”) e, in alcuni casi, detenzione di armi(art 697 c.p.).

166 Art 16-bis, introdotto dalla normativa relativa ai c.d pentiti di mafia(d.l n°8/1991, come

convertito in legge n°82/1991), dalla legge n°45/2001.

167 Ci si riferisce al famoso caso giudiziario in cui venne apprestata protezione ad una testimone

che riferì del pagamento di un'ingente somma di denaro per corrompere dei magistrati che avevano deciso sulla controversia IMI-SIR.

comune testimone o collaboratore di giustizia; inoltre, la tutela del

whistleblower è finalizzata a salvaguardare la sua posizione professionale, la

sua carriera e il suo rapporto di lavoro, più che l'integrità fisica che assume rilievo assolto nel caso del collaboratore di giustizia o del testimone168.

In ambito giuslavoristico si poteva trovare un riferimento indiretto al tema all'art 1 dello Statuto dei lavoratori, il quale, nel rispetto dell'art 21 della Costituzione, assicura al lavoratore la libertà di manifestare il proprio pensiero, libertà che secondo l'interpretazione comune, può essere allargata anche alla denuncia di condotte illecite o illegittime riscontrate durante lo svolgimento dell'attività lavorativa. L'ordinamento però prevede che possano essere poste limitazioni per via negoziale alle libertà del dipendente: in particolare l'art 2104 del c.c., il quale configurerebbe una sorta di diritto di obbedienza, prescrive al dipendente di conformarsi alle disposizioni impartite dal datore circa l'esecuzione e la disciplina del lavoro. Inoltre, l'art 2105 del c.c fa divieto al prestatore di lavoro di “trattare affari, per conto proprio o di terzi, in

concorrenza con l'imprenditore” e di “divulgare notizie attinenti all'organizzazione e ai metodi di produzione dell'impresa”, o di “farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio”.

Alla luce di vari orientamenti giurisprudenziali, però, il divieto non è incondizionato, ma è mirato a prevenire che imprese concorrenti possano essere favorite dalla divulgazione di notizie. Allo stesso modo anche gli obblighi di obbedienza e di lealtà non sono assoluti ma circoscritti ai casi in cui le disposizioni impartite dal datore di lavoro siano legittime. In caso di violazione da parte del lavoratore degli obblighi imposti dalle disposizioni di legge si fa luogo all'applicazione di una sanzione disciplinare ovvero, nei casi più gravi all'intimazione del licenziamento. Qualora il comportamento del lavoratore di violazione del segreto aziendale possa essere considerato lecito, in quanto rivolto alla tutela di situazioni di pubblico interesse, il licenziamento intimato dal datore sarà considerato illegittimo e dunque il datore di lavoro è tenuto a reintegrarlo nel posto di lavoro169. Come si nota dalla lettura dello statuto dei lavoratori, il lavoratore è protetto dall'ingiusto licenziamento ma non da altre

168 Gandini F., op.cit.

tipologie di ritorsione, quali il trasferimento, il demansionamento, la mancata promozione e il mobbing.

Passando ad ambiti più specifici, nel settore finanziario, l'art 149, comma 3 del d.lgs. 24 Febbraio 1998, n°58 (“Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria”) fissa in capo al collegio sindacale delle società il compito di comunicare senza indugio alla Banca d'Italia e alla Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB) tutte le irregolarità e le violazioni riscontrate nella fase di vigilanza. Per altro, l'anno precedente la CONSOB aveva esteso al Collegio sindacale delle società quotate la competenza a ricevere segnalazioni anche dagli impiegati( e non solo dai soci)170. Inoltre il d.lgs. 21 novembre 2007, n°231(“Attuazione della direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo nonché della direttiva 2006/60/CE che ne reca misure di esecuzione”), prevede per alcune categorie di soggetti171, l'obbligo di denunciare all'Unità di Informazione Finanziaria172, le operazioni finanziarie sospette che potrebbero configurare ipotesi di riciclaggio di denaro o finanziamento del terrorismo. Per quanto riguarda la procedura, è previsto che le segnalazioni effettuate dagli intermediari finanziari, dai professionisti e dalle società di revisione, transitino attraverso specifiche figure173- ossia il titolare dell'attività finanziaria (oppure il legale rappresentante o un suo delegato) e gli ordini professionali – le quali, una volta verificatene la fondatezza e la rilevanza, le trasmettono all'Unità senza comunicare il nominativo del segnalante. È garantita quindi la massima riservatezza dell'identità degli individui segnalanti. Ulteriore compito di queste figure presso le quali transitano le segnalazioni, è custodire le generalità del soggetto e comunicarle all'Unità di Informazione Finanziaria, alla Guardia di Finanza e alla Direzione investigativa antimafia nel caso in cui queste ultime le richiedano per lo svolgimento delle loro attività investigative.

170 Direttiva CONSOB n.DAC/RM/97001574 del 20/02/1997.

171 I destinatari dell'obbligo di segnalazione sono individuati agli artt 10, comma 2, 11, 12, 13 e

14 del d.lgs.231/2007.

172

Istituita dal d.lgs. 231/2007.

173 Ai sensi dell'art 43 i professionisti possono trasmettere la propria segnalazione anche

direttamente all'Unità di Informazione Finanziaria, senza passare per gli ordini professionali.

Sebbene non si possa negare la rilevanza del complesso di norme che abbiamo analizzato finora, la genesi della disciplina concernente la tutela del dipendente che segnala illeciti, è da ricercare altrove. In particolare, alcuni autori174 hanno individuato il seme del whistleblowing nel D.lgs. 8 giugno 2001, n°231, recante la “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell'art 11 della legge 29 settembre 2000, n°300”. Tale decreto, introducendo la responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato posti in essere nel suo interesse o a suo vantaggio da soggetti che rivestono posizioni apicali e da persone sottoposte alla loro direzione o vigilanza, ha previsto l'esonero da tali responsabilità nel caso in cui l'ente si doti di modelli organizzativi e di gestione che prevedano “obblighi di informazione nei confronti dell'organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli”175. Quando si parla di “obblighi informativi”, essi ricomprendono

sicuramente comportamenti non conformi che: o costituiscono essi stessi reati; o, violando regole organizzative volte a prevenire la loro commissione, incidono sull'organizzazione e fanno suonare un campanello d'allarme interno all'azienda. Da ciò si comprende che il primo soggetto interessato a coltivare la prassi delle segnalazioni interne è l'ente che ambisca a ottenere i benefici previsti dalla legge suddetta. Nello stesso senso, l'OCSE, nelle raccomandazioni da rivolgere agli Stati per combattere la corruzione, rileva la possibilità che il

reporting aziendale passi attraverso meccanismi interni, che costituiscono un

primo livello di protezione del whistleblower. La valorizzazione dei rapporti interni all'azienda comporta anche un'integrazione e un arricchimento della disciplina del rapporto di lavoro, discendendone la conseguenza che, esaltando i rapporti interni, il decreto ha configurato apertamente il dovere informativo come eccezione o bilanciamento rispetto agli obblighi di fedeltà e correttezza del lavoratore nei confronti del datore di lavoro, sanciti dal già citato art 2105 c.c.; il lavoratore è sotto questo profilo “servitore di due padroni”: il dovere di lealtà verso l'azienda e il suo management e il dovere di informazione verso

174 Si veda Armone, G., Whistleblowing e ordinamento italiano: possibili percorsi normativi,

op.cit.

l'organismo preposto a controllare il management, e indirettamente verso la collettività. Si può concludere affermando che la prassi della segnalazione interna all'impresa è stata uno dei passaggi decisivi per il diffondersi non soltanto del fenomeno del whistleblowing ma della cultura della prevenzione176.

3.2. L'art 54-bis del D.lgs. 165/2001: il contributo delle linee guida ANAC e