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L'interesse ambientale nella conferenza di servizi

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Academic year: 2021

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Indice

Introduzione

Capitolo 1

Conferenza di servizi: origini ed evoluzione dell’istituto

1.1 Semplificazione amministrativa e conferenza di servizi p. 4 1.2 Origini e tipologie di conferenze di servizi p. 7

1.3 Le modifiche all’istituto: la legge 340/2000 p. 14

1.4 La legge 15/2005 p. 21

1.5 La legge 122/2010 p. 29

Capitolo 2

Profili interpretativi dell’istituto: natura giuridica, funzione e partecipazione dei privati alla conferenza

2.1 Le prime riflessioni dottrinali sulla natura giuridica della conferenza di servizi

p. 33

2.2 La conferenza di servizi come modello procedimentale p. 39

2.3 La funzione dell’istituto p. 43

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2 Capitolo 3

Il procedimento amministrativo

3.1 Premessa p. 55

3.2 La natura del rapporto procedimentale: apporti dottrinali

p. 55

3.3 Procedimento e processo p. 59

3.4 Le origini della legge sul procedimento amministrativo p. 63 3.5 Il principio del giusto procedimento e la partecipazione

degli interessati p. 65

3.6 Strumenti di attuazione della partecipazione al procedimento amministrativo

- L’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento - Accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento

p. 69

Capitolo 4

Semplificazione amministrativa e tutela ambientale

4.1 Premessa p. 79

4.2 Ambiente e tutela ambientale p. 79

4.3 Gli interessi ambientali nel procedimento amministrativo

p. 84 4.4 Esempi di deroghe alla semplificazione in materia

ambientale

- L’attività consultiva della Pubblica Amministrazione - Le valutazioni tecniche in ambito ambientale

- La Segnalazione Certificata di Inizio Attività - Il silenzio assenso

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3 Capitolo 5

La tutela degli interessi ambientali nella conferenza di servizi

5.1 Il ruolo della conferenza di servizi nella tutela ambientale

p. 105

5.2 La Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) p. 106 5.3 L’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) p. 117 5.4 Atri esempi di conferenza di servizi in ambito

ambientale

- Il procedimento per la realizzazione di impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti

- La costruzione e l'esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili

p. 125

Capitolo 6

Le prospettive di riforma della legge 124/2015

6.1 Premessa p. 137

6.2 La “Riforma Madìa”: uno sguardo d’insieme p. 137 6.3 Le novità in materia di SCIA e di autotutela

amministrativa

p. 144

6.4 Una nuova figura di silenzio assenso: l’art 17bis p. 148 6.5 La delega in materia di conferenza di servizi p. 156

Conclusioni p. 162

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4 CAPITOLO I

Conferenza di servizi: origine ed evoluzione

dell’istituto

1.1 Semplificazione amministrativa e conferenza di servizi

La conferenza di servizi può essere definita come un modulo procedimentale finalizzato alla valutazione contestuale di una pluralità di interessi pubblici coinvolti in un procedimento amministrativo, tendente a semplificare l'acquisizione, da parte della pubblica amministrazione, di intese, concerti, nulla-osta o assensi comunque denominati, mediante convocazione di apposite riunioni collegiali anche finalizzate all'emissione di un provvedimento amministrativo. Nelle intenzioni del legislatore essa può essere considerata come un

istituto di semplificazione del procedimento amministrativo di carattere generale1 e come uno strumento di coordinamento,

diretto a soppesare ed aggregare la pluralità degli interessi

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5

coinvolti in un determinato procedimento, ma può anche avere valore provvedimentale, nei casi in cui l’accordo raggiunto in sede di conferenza, vada a sostituire a tutti gli effetti gli atti richiesti2.

L’istituto è disciplinato dagli art da 14 a 14-quinquies della legge 241/90 ed è stato modificato molte volte nel corso degli anni.

La legge 241/90 si inserisce nell’ambito del progetto di semplificazione amministrativa, dedicando ad essa un intero capo, il IV, rubricato proprio “Semplificazione dell’attività amministrativa”.

Tale normativa “pur senza assurgere al rango di legge generale

sul procedimento amministrativo, fissa alcuni canoni fondamentali dell’azione della Pubblica amministrazione, traducendo per la prima volta in concreti precetti legislativi i principi di legalità, imparzialità e buon andamento della Pubblica Amministrazione (..)3.

I principali istituti di semplificazione introdotti, accanto alla conferenza di servizi, sono l’autocertificazione, la denuncia di inizio attività e il silenzio assenso.

2 G. SPINA, La semplificazione amministrativa come principio dell’essere

e dell’agire dell’amministrazione Edizioni Scientifiche Italiane, 2013, p.82

3 M.A. SANDULLI (a cura di) Il Procedimento Amministrativo tra

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La necessità di una semplificazione del nostro sistema amministrativo, è risultata fortemente sentita sin dall’inizio del secolo scorso. Nei circa sessanta progetti di riforma della pubblica amministrazione, redatti fra il 1918 e il 1992, oltre un terzo di questi contenevano proposte dirette alla semplificazione dell’azione amministrativa. Tuttavia, sono state pochissime le proposte di riforma che hanno avuto un seguito e hanno riguardato, in gran parte, specifici procedimenti. La semplificazione dell’azione amministrativa finisce per assumere rilievo crescente, nell’ambito degli interventi normativi, solo negli anni 90. Oltre alla già citata legge 241/90, hanno contribuito a snellire l’azione amministrativa anche le leggi c.c.d.d. Bassanini e in particolare la legge delega 59/19974, la quale reca “delega al

Governo per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa”.

La richiamata legge delega indica i principi generali cui attenersi nel conferire funzioni e compiti a regioni ed enti locali, in attuazione della semplificazione amministrativa. “Conferimento” da attuare, in particolare, in base al principio costituzionale del decentramento amministrativo, di cui all’art

4 A. FIORITTO, G. CIAGLIA, La conferenza di servizi, in AA.VV. Lezioni

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7

5 Cost. e nell’osservanza del principio di sussidiarietà dell’art 4 della legge delega stessa.

Sempre quest’ultimo articolo, al terzo comma, indica poi una serie di principi fondamentali, ai quali l’intera attività oggetto della delega deve attenersi. Tra questi ricordiamo il principio di efficienza e di economicità, il principio di responsabilità ed unicità dell’amministrazione, che permette l’identificabilità in capo ad un unico soggetto dei compiti e delle funzioni oltre che delle responsabilità relativi all’attività da esso svolta. Degni di nota anche il Principio di omogeneità, con l’attribuzione di funzioni omogenee allo stesso livello di governo e principio di adeguatezza, per garantire l’idoneità dell’amministrazione a garantire l’esercizio delle funzioni.5

1.2 Origini e tipologie di conferenza di servizi

L’art 14 della legge 241/90, com’è stato autorevolmente rilevato in dottrina, prevede, nella sua formulazione originaria, “un modello, per così dire, “puro” di conferenza di

servizi” nel quale il legislatore “si era in sostanza limitato a dare riconoscimento sul piano del diritto positivo a quel

5 G. SPINA, La semplificazione amministrativa come principio dell’essere

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8

modello di conferenza di servizi che, in un periodo risalente, era stato sperimentato nella prassi amministrativa”6.

Ad incidere fortemente sul modello originario di conferenza, è stata la disciplina di settore sviluppatasi a partire dagli anni Ottanta. In particolare, il modello derogatorio alle ordinarie regole di semplificazione per la tutela di quegli interessi definiti “sensibili”, nasce proprio nell’ambito delle discipline settoriali delle conferenze di servizi ambientali7: esempio

emblematico è costituito dalla l. n. 441/1987, la quale prevedeva un’apposita conferenza in tema di impianti di smaltimento di rifiuti, che rappresenta a tutti gli effetti il “precursore” della conferenza di servizi generale prevista dall’art. 14 della l. 241/908. Esistono, poi, altri esempi di

conferenza di servizi in ambiti settoriali (legge istitutiva dell’Enel, n. 1643 del 1962; in materia urbanistica, l’art. 81 della legge n. 616 del 1977, poi abrogato dall’art. 4, d.P.R. m. 383 del 1994; legge 29 maggio 1989, n. 205, sui mondiali di calcio).

6 D. D’ORSOGNA- F. DEGNI, in N. PAOLANTONIO- A. POLICE-

A.ZITO, La Pubblica Amministrazione e la sua azione. Saggi critici sulla legge 241/90, Torino 2005

7 R. MUSONE, La Conferenza di Servizi in Materia Ambientale, Aracne

Editrice S.r.l., 2013

8 P. DELL’ANNO – E. PICOZZA, Trattato di diritto dell’ambiente, Padova

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La legge generale sul procedimento amministrativo ha, dunque, esteso l’efficacia di un istituto già vitale in settori specifici, per poi modificarne, con vari interventi normativi, (la legge n. 127/1997, le leggi n. 340/2000, n. 15/2005, n 122/2010) taluni tratti caratteristici. In base alla tradizionale lettura delle norme che disciplinano l’istituto, si delineano nella legge 241/90 due diverse tipologie di conferenza di servizi: una conferenza c.d. “istruttoria” e una “decisoria”.

Alla prima si ricorre nel caso in cui venga ritenuto opportuno effettuare un esame dei vari interessi pubblici coinvolti in un determinato procedimento amministrativo, in maniera contestuale.

Si fa invece ricorso alla conferenza c.d. “decisoria” quando l’amministrazione procedente abbia l’esigenza di acquisire intese, concerti, nulla osta o assensi, di altre amministrazioni pubbliche o di altri uffici della stessa, necessari per l’emanazione di un provvedimento finale9.

L’indizione della conferenza di servizi istruttoria spetta alla P.A. procedente deputata all’adozione del provvedimento finale.

La dottrina ha molto discusso circa la facoltatività o l’obbligatorietà di detta indizione. Sembra, tuttavia, che

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l’inciso “di regola”, che figura al primo comma dell’art. 14 faccia indubbiamente propendere per la prima soluzione, sembrando renderla uno strumento ordinario di esercizio della funzione amministrativa, la cui deroga necessita di specifica motivazione. La conferenza è indetta dal responsabile del procedimento ove competente per l’adozione del provvedimento, ovvero da quest’ultimo su proposta del responsabile art. 6, lett. c) della legge n. 241 del 1990. A conforto della tesi della facoltatività si segnala, in particolare, la decisione n. 5249 del 2004 della Sez. VI del Consiglio di Stato: “L’indizione della conferenza di servizi resta pur sempre una facoltà dell’amministrazione, non rivenendosi l’ipotesi dell’indizione obbligatoria prevista dal comma 2 del medesimo art. 14, che verte nell’ambito di un procedimento amministrativo in cui devono intervenire atti o provvedimenti da parte di altre amministrazioni pubbliche”10. A questa

conferenza devono essere convocate tutte le pubbliche amministrazioni coinvolte nel procedimento necessario per l’adozione del provvedimento finale, e possono partecipare anche quelle che, in base ad una valutazione effettuata dalla P. A. procedente, non siano strettamente necessarie ma

10 MASSIMO RAGAZZO, La conferenza di servizi: esiti della riforma

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comunque opportune. Secondo la giurisprudenza la mancata convocazione dei soggetti interessati comporta la nullità della decisione finale. (cfr. TAR Veneto Sez. III n.248/201 e n. 1537/2000). Viceversa non implica la nullità del provvedimento finale la mancanza dei soggetti che non siano portatori di un interesse diretto ed attuale (cfr. TAR Lazio Sez. I del 14/11/2000).

Per quanto concerne la conferenza dei servizi “decisoria” il legislatore ha optato per l’obbligatorietà della convocazione della stessa, sottraendola alla discrezionalità amministrativa. L’art. 14, comma 2, infatti, recita: “(...)la conferenza di servizi è sempre indetta quando l'amministrazione procedente deve acquisire intese, concerti, nulla osta o assensi comunque denominati di altre amministrazioni pubbliche e non li ottenga, entro trenta giorni dalla ricezione, da parte dell’amministrazione competente, della relativa richiesta. La conferenza può essere altresì indetta quando nello stesso termine è intervenuto il dissenso di una o più amministrazioni interpellate”, oppure deve essere convocata, anche su richiesta dell'interessato, dall'amministrazione competente per l'adozione del provvedimento finale (...) quando l'attività del privato sia subordinata ad atti di consenso, comunque denominati, di competenza di più amministrazioni pubbliche (...)”.

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La giurisprudenza amministrativa ha poi avuto modo di precisare che, l'utilizzo del modulo procedimentale della conferenza di servizi decisoria, non altera le regole che presiedono, in via ordinaria e generale l'individuazione delle autorità emananti, con la conseguenza che il ricorso va notificato a tutte le amministrazioni che, nell'ambito della conferenza , hanno espresso pareri o determinazioni che la parte ricorrente avrebbe avuto l'onere di impugnare autonomamente, se fossero stati emanati al di fuori del peculiare modulo procedimentale in esame (Consiglio Stato, Sez. IV, 2 maggio 2007, n. 1920).

Del tutto innovativa è poi la previsione, introdotta ad opera della l. n. 340/2000, di una conferenza di servizi “preliminare” che può essere convocata su istanze o progetti che siano di particolare complessità. La convocazione avviene su motivata e documentata richiesta dell'interessato, prima della presentazione di una istanza o di un progetto definitivi, al fine di limitare l’insorgere di possibili ostacoli in un momento successivo. In tale caso la conferenza si pronuncia entro trenta giorni dalla data della richiesta e i relativi costi sono a carico del richiedente.

Altro caso di utilizzo della conferenza di servizi preliminare, è quello delle procedure di realizzazione di opere pubbliche e di interesse pubblico, per le quali la conferenza si esprime sul progetto preliminare al fine di indicare quali siano le

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condizioni per ottenere, nell’ottica del progetto definitivo, le intese, i pareri, le concessioni, le autorizzazioni, le licenze, i nullaosta e gli assensi, comunque denominati, richiesti dalla normativa vigente.

Le amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute, si pronunciano, in tale sede, per quanto riguarda l'interesse da ciascuna tutelato, sulle soluzioni progettuali prescelte.

Nel caso in cui non emergano elementi preclusivi della realizzazione del progetto, le suddette amministrazioni indicano, entro quarantacinque giorni, le condizioni e gli elementi necessari per ottenere gli atti di consenso.

Qualora sia richiesta una valutazione d’impatto ambientale, la conferenza di servizi si esprime entro trenta giorni dalla conclusione della fase preliminare di definizione dei contenuti dello studio d'impatto ambientale, secondo quanto previsto in materia di VIA. Non arrivando ad una conclusione entro novanta giorni dalla richiesta, la conferenza di servizi si esprime comunque entro i successivi trenta giorni, esprimendosi sulle condizioni per la elaborazione del progetto e dello studio di impatto ambientale. In tale fase, la suddetta autorità esamina le alternative e, sulla base della documentazione disponibile, verifica l'esistenza di eventuali elementi di incompatibilità e, qualora tali elementi non

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sussistano, indica nell'ambito della conferenza di servizi le condizioni per ottenere, in sede di presentazione del progetto definitivo, i necessari atti di consenso.

Nel caso delle procedure di realizzazione di opere pubbliche e di interesse pubblico, il responsabile unico del procedimento trasmette alle amministrazioni interessate il progetto definitivo, redatto sulla base delle condizioni indicate dalle stesse amministrazioni nel corso della conferenza di servizi sul progetto preliminare, e convoca la conferenza tra il trentesimo e il sessantesimo giorno successivi alla trasmissione.

In caso di affidamento mediante appalto concorso o concessione di lavori pubblici, l'amministrazione aggiudicatrice convoca la conferenza di servizi sulla base del solo progetto preliminare, secondo quanto previsto dalla legge 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni.11

1.3 Le modifiche all’istituto: la legge 340/2000

Con la l.340/2000 si dà alla materia della conferenza di servizi una disciplina organica e sistematica dopo il complesso aggiornamento legislativo degli anni Novanta. In particolare

11 A. MARGHERINI La conferenza dei servizi dopo la l. 24/11/2000 n.

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lo scopo di questa riformulazione è stato quello di rendere più rapida la conclusione della procedura, andando ad assicurare una decisione sul progetto presentato e prospettando soluzioni alternative in presenza di dissensi o pareri negativi da parte di amministrazioni regolarmente convocate. La conferenza di servizi decisoria, è stata fortemente rimaneggiata dalla novella del 2000, in particolare l’accento è stato posto sull’obbligatorietà della convocazione, sottraendola alla discrezionalità amministrativa; l’art 14 comma 2 recita infatti: “ La conferenza di servizi è sempre indetta quando l’amministrazione procedente deve acquisire intese, concerti, nulla osta o assensi comunque denominati di altre amministrazioni pubbliche e non li ottenga, entro trenta giorni dalla ricezione, da parte dell'amministrazione competente, della relativa richiesta. (…) “ .

Decisamente innovativa è anche la previsione del criterio maggioritario per l’adozione della determinazione finale, stabilendo, all’art 14-ter, c.1 che “La conferenza di servizi

assume le determinazioni relative all'organizzazione dei propri lavori a maggioranza dei presenti”. Vengono poi eliminati sia

la facoltà dell’amministrazione procedente di assumere la determinazione di conclusione positiva del procedimento, dandone comunicazione al Presidente del Consiglio dei Ministri, sia il potere sospensivo di quest’ultimo. A livello organizzativo viene finalmente dettata, all’art 14-ter, c.3, una

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regolamentazione per il procedimento, lo svolgimento e l’organizzazione della conferenza, partendo dalla fissazione del termine per l’adozione della decisione finale:12 “Nella prima

riunione della conferenza di servizi, o comunque in quella immediatamente successiva alla trasmissione dell'istanza o del progetto definitivo ai sensi dell'articolo 14-bis, le amministrazioni che vi partecipano determinano il termine per l'adozione della decisione conclusiva. I lavori della conferenza non possono superare i novanta giorni, salvo quanto previsto dal comma 4. Decorsi inutilmente tali termini, l'amministrazione procedente provvede ai sensi dei commi 6-bis e 9 del presente articolo.” Nella fissazione del termine,

dunque, si dovrà tener conto che i lavori della conferenza non possono superare i novanta giorni, esclusi però i casi in cui sia richiesta la VIA. In tali ipotesi, la conferenza di servizi si esprimerà solo dopo aver acquisito la valutazione medesima. In caso di ritardo nell’acquisizione della VIA, l'amministrazione competente si esprimerà direttamente in sede di conferenza di servizi, e questa dovrà concludersi nei trenta giorni successivi al termine predetto. Tuttavia, a richiesta della maggioranza dei soggetti partecipanti alla conferenza di servizi, il termine di trenta giorni può subire una

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deroga di altri trenta giorni nel caso in cui si renda palese la necessità di approfondimenti istruttori. Decorsi inutilmente tutti i termini suddetti, l'amministrazione procedente assumerà come esecutive le determinazioni di conclusione del procedimento sulla base delle posizioni espresse in sede di conferenza dei servizi, salvo il ricorso a particolari procedure, in caso di dissenso.

Se la documentazione presentata non risulti completa o sufficientemente chiara ai fini della decisione, in sede di conferenza di servizi possono essere richiesti, per una sola volta, ai proponenti dell'istanza o ai progettisti chiarimenti o ulteriori produzioni documentali. Se questi ultimi non sono forniti in detta sede, entro i successivi trenta giorni, si procede comunque all'esame del provvedimento.

Con la l. 340/2000 sono state specificate anche le modalità di partecipazione alla conferenza. In particolare l’amministrazione convocata partecipa alla conferenza di servizi attraverso un solo rappresentante che deve essere legittimato dall'organo competente, ad esprimere in modo vincolante la volontà dell'amministrazione su tutte le decisioni di competenza della stessa. Viene considerato acquisito l'assenso dell'amministrazione il cui rappresentante non abbia espresso definitivamente la volontà dell'amministrazione rappresentata e non abbia notificato all'amministrazione procedente, entro trenta giorni dalla data di ricezione della

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determinazione di conclusione del procedimento, il proprio motivato dissenso, ovvero nello stesso termine non abbia impugnato la determinazione conclusiva della conferenza di servizi.

Il provvedimento finale sostituisce, a tutti gli effetti, ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti, o comunque invitate a partecipare, alla conferenza e se concernente opere sottoposte a VIA è pubblicato, a cura del proponente, unitamente all'estratto della predetta VIA, nella Gazzetta Ufficiale o nel Bollettino regionale in caso di VIA regionale e in un quotidiano a diffusione nazionale. Dalla data della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale decorrono i termini per eventuali impugnazioni in sede giurisdizionale da parte dei soggetti interessati.

Dunque, le determinazioni concordate nella conferenza tra tutte le amministrazioni intervenute sostituiscono, come espressamente affermato a livello legislativo, gli atti tipici che sarebbero stati necessari per la conclusione del procedimento. Tale provvedimento finale rimane formalmente nella disponibilità dell’amministrazione procedente, non essendo la conferenza un organo collegiale perfetto. Per questo sarebbe forse più corretto parlare di decisione concordata, o, meglio ancora di decisione pluristrutturata, anche perché da un punto

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di vista strutturale la conferenza di servizi costituisce un particolare modulo procedimentale avente natura di “accordo amministrativo”, tale per cui non può imputarsi alla sola amministrazione procedente, ma a tutte quelle partecipanti. Altro aspetto rilevante riguarda la nuova disciplina del dissenso manifestato in sede di Conferenza dalle amministrazioni coinvolte. In base, infatti, alla legge n. 340/2000, il dissenso, a pena di inammissibilità, deve recare le specifiche indicazioni delle modifiche progettuali necessarie per essere considerato assenso (c.d. "dissenso costruttivo") e non è mai ostativo, né sospensivo del provvedimento. Il dissenso non può quindi essere puro e semplice, ma deve essere accompagnato dall’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto idonee a giustificarlo, oltre che corredato di soluzioni progettuali positive ai fini dell’assenso finale. Nel caso in cui una o più amministrazioni abbiano espresso nell'ambito della conferenza il proprio dissenso sulla proposta dell'amministrazione procedente, quest’ultima, nel termine perentorio di novanta giorni, come indicato dall'articolo 14-ter, comma 3, assume comunque la determinazione di conclusione del procedimento sulla base della maggioranza delle posizioni espresse in sede di conferenza di servizi, e tale decisione è immediatamente esecutiva. Precedentemente la giurisprudenza per superare il problema della presenza di dissensi non motivati o poco motivati, ammetteva la validità

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della decisione finale seppur difforme al dissenso espresso, purché adeguatamente motivata. ( Cons. di Stato Sez. V 15/04/1999 n.139; TAR Piemonte Sez. II 22/02/2001 n.542). La novella, con l’adozione del principio della maggioranza, in alternativa a quello dell’unanimità, ribadisce la necessità che una volta convocata, la conferenza porti alla produzione di un provvedimento sostitutivo di quello di competenza dei singoli. Eccezione a tale meccanismo si ha qualora il motivato dissenso sia espresso da un'amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute, la decisione è qui rimessa al Consiglio dei Ministri, ove l'amministrazione dissenziente o quella procedente sia un'amministrazione statale, ovvero ai competenti organi collegiali esecutivi degli enti territoriali, nelle altre ipotesi. Il Consiglio dei ministri o gli organi collegiali esecutivi degli enti territoriali deliberano entro trenta giorni dalla presentazione dell’istanza, salvo che il Presidente del Consiglio dei ministri o il presidente della giunta regionale o il presidente della provincia o il sindaco, valutata la complessità dell'istruttoria, decidano di prorogare tale termine per un ulteriore periodo non superiore a sessanta giorni.

Qualora il dissenso sia espresso da una regione, le determinazioni di competenza del Consiglio dei ministri sono adottate con l'intervento del presidente della giunta regionale

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interessata, al quale si invia a tal fine la comunicazione di invito a partecipare alla riunione, per essere ascoltato, senza diritto di voto.

Procedura, questa, già esistente nel vecchio sistema, particolarmente onerosa e difficilmente praticabile, anche perché i tempi si allungano di molto, a discapito della auspicabile rapida conclusione della conferenza dei servizi.13

1.4 La legge 15/2005

Seppure non strutturali come le modifiche introdotte dalla legge 340/2000, quelle introdotte dalla legge 15/2005, contribuiscono fortemente a completare il quadro organico disegnato dal previgente assetto legislativo.

In particolare, tale legge, ha inciso fortemente su quella particolare tipologia di conferenza di servizi che è la conferenza c.d. “preliminare”, la quale, come si è già evidenziato, risponde all’esigenza di adattare l’istituto alla complessità di alcuni progetti specifici, aventi ad oggetto la realizzazione di opere pubbliche o di interesse pubblico.

13 A. MARGHERINI La conferenza dei servizi dopo la l. 24/11/2000 n.

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Si tratta di conferenza di tipo “predecisorio”, utile in quanto “le amministrazioni esprimono un avviso anticipato sulla possibilità di prestare l’assenso finale, autovincolandosi a non esprimere ex post ragioni di dissenso non emerse in sede di progetto preliminare”.14

La legge di riforma del 2005 ha esteso e precisato l’ambito di applicazione di questo tipo di conferenza, ricomprendendovi anche i progetti di insediamenti produttivi di beni e servizi. In relazione ai presupposti, poi, la presentazione della richiesta di indizione da parte del soggetto interessato non necessita più dell’allegazione del progetto preliminare: a questo, infatti, può sostituirsi un mero studio di fattibilità, che attesti l’effettiva complessità dell’opera del privato (art. 14-bis, comma 1).

Sempre con la legge di riforma del 2005, è stato aggiunto il comma 3-bis, estendendo l’applicazione della procedura del dissenso di cui all’art. 14-quater, comma terzo, all’ipotesi in cui la conferenza riguardi opere interregionali e un’amministrazione preposta “alla tutela del vincolo ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico artistico, della salute o della pubblica incolumità”.

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Anche la conferenza di servizi di tipo “decisorio” è stata sottoposta a revisione dalla legge in questione.

Mentre l’originaria formulazione dell’art. 14 prevedeva la facoltatività dell’indizione della conferenza decisoria, l’art. 9 della legge 340/2000 ha introdotto la regola dell’obbligatorietà e su questa la legge del 2005 è intervenuta con dei correttivi. L’art. 8 della legge di riforma del 2005 ha chiarito, prima di tutto, l’esatto momento dal quale comincia a decorrere il termine previsto per l’obbligatoria indizione della conferenza di servizi, precisando che il termine, divenuto di trenta e non più di quindici giorni, decorre dalla ricezione della richiesta di indizione da parte dell’amministrazione competente, anziché dall’inizio del procedimento, come prima era affermato in via generica.

Oltretutto, la precedente disciplina non era chiara sul dato se l’obbligatorietà dell’indizione della conferenza fosse legata alla circostanza che le amministrazioni non si fossero pronunciate in alcun modo nel termine prescritto dalla legge, ovvero se la previsione scattasse anche nel caso in cui una risposta espressa di tipo negativo, vi fosse stata entro il termine. Il nuovo comma 2 precisa, in maniera opportuna, che il dissenso preventivo, al di fuori della conferenza, rende il ricorso alla stessa meramente facoltativo: quindi, in caso di mancata risposta, l’indizione rimane obbligatoria, mentre in caso di dissenso espresso, essa è facoltativa. In quest’ultimo

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caso, alla conferenza di servizi viene riconosciuta, dunque, la funzione di sede di possibile mediazione e composizione dei conflitti tra amministrazione procedente e amministrazione dissenziente.

L’art. 8, lett. b) della legge 15/2005 ha abrogato il periodo finale dell’art. 14, comma 3, legge 241/90, sanando in questo modo un conflitto normativo sorto a seguito della legge 340/2000, la quale prevedeva, infatti, una deroga rispetto al meccanismo di indizione della conferenza di servizi in materia di lavori pubblici. In quest’ambito doveva applicarsi la normativa di settore, rappresentata dalla legge 109/94: tuttavia, la medesima legge stabiliva l’abrogazione della disciplina speciale in materia di lavori pubblici, mantenendo solo quanto previsto in tema di convocazione della conferenza di servizi ex art. 14, comma 3, legge 241/90. La modifica apportata dalla legge del 2005, supera i problemi di coordinamento posti dalla precedente disciplina in ordine alle modalità di convocazione della conferenza di servizi, riportando ordine e coerenza normativa nei diversi settori di applicazione.

La legge di riforma ha ben sottolineato la differenza logica e cronologica, tra la fase dell’indizione da quella della convocazione precisando, con il nuovo art 14ter, che “la prima riunione della conferenza di servizi è convocata entro quindici giorni, ovvero, in caso di particolare complessità dell’istruttoria, entro trenta giorni dall’indizione”.

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La convocazione delle amministrazioni interessate deve pervenire, anche per via telematica o informatica, non più con dieci, ma con almeno cinque giorni di anticipo rispetto alla data della prima riunione (art. 14-ter, comma 2).

L’adozione della decisione conclusiva deve, invece, essere presa nel termine solito di novanta giorni (art. 14-ter, comma 3).15

La legge 15/2005 ha poi introdotto il concetto di “posizioni prevalenti” (art. 14-ter, comma 3, che richiama i commi 6-bis e 9 del medesimo articolo), con il quale si assiste al passaggio da una logica di tipo “quantitativo-formale” ad una di tipo “qualitativo-sostanziale”.

Si è cercato di correggere alcuni difetti connessi al criterio precedente, come la difficoltà di scelta del metodo di calcolo della maggioranza in presenza di amministrazioni di diversa rilevanza istituzionale e dimensioni (voto pro capite, voto pesato, ecc.), nonché lo svilimento delle ragioni delle amministrazioni dissenzienti dotate di primaria rilevanza, soccombenti a causa delle rigidità del metodo puramente maggioritario.

Il nuovo criterio presenta dei margini di incertezza ma è da ritenere che, per stabilire quali siano le posizioni prevalenti, si

15 B. ACCETTURA, La conferenza di servizi: le novità introdotte dalla

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possa far riferimento al potere che, in base alle leggi di settore, ciascuna delle amministrazioni avrebbe nel condizionare l’esito del procedimento.

In conseguenza della riforma del titolo V della Costituzione, la legge del 2005 ha modificato anche la disciplina dei dissensi in seno alla conferenza di servizi (art. 14-quater), andando a riconfigurare l'assetto delle funzioni e dei compiti demandati agli enti territoriali. Si introduce, al riguardo, una specifica ipotesi di dissenso regionale, che si differenzia da quella del dissenso espresso da un’amministrazione statale, estendendosi all'intera area di materie costituzionalmente attribuite alla competenza, legislativa ed amministrativa, delle regioni.

Nel caso in cui il dissenso provenga da amministrazioni preposte alla tutela di interessi c.d. sensibili, si distinguono varie ipotesi:

- nel caso in cui il contrasto riguardi solo amministrazioni statali, la soluzione sarà rimessa al Consiglio dei ministri; - nel caso in cui il contrasto sorga tra un'amministrazione statale ed una regionale, ovvero tra amministrazioni regionali (appartenenti a due diverse regioni), la valutazione sarà rimessa alla Conferenza Stato-Regioni;

- in caso di contrasto tra un'amministrazione statale ed una locale, oppure un'amministrazione regionale ed una locale, la soluzione è rimessa alla Conferenza Unificata.

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27

Nelle ipotesi in cui il dissenso incida su competenze regionali (la legge non distingue tra competenze legislative o amministrative):

- qualora il contrasto sorga tra un'amministrazione statale ed una regionale, oppure tra amministrazioni regionali (ossia, appartenenti a due diverse regioni), la valutazione sarà rimessa alla Conferenza Stato-Regioni;

- qualora il contrasto riguardi un'amministrazione statale ed una locale o un'amministrazione regionale ed una locale, la soluzione sarà riservata alla Conferenza Unificata.

Se la decisione (in relazione sia ad interessi sensibili, sia a materie regionali) è riservata ad una delle due Conferenze (Stato-Regioni oppure Unificata), qualora nei novanta giorni successivi non si pervenga ad una soluzione, è prevista un’ulteriore fase che si svolgerà, a seconda dei casi:

- davanti al Consiglio dei ministri, nelle ipotesi in cui si verta su competenze statali ai sensi degli artt. 117 e 118 Cost.; in questi casi, il tempo previsto per la definizione della questione è di 30 giorni;

- dinanzi alla "competente Giunta regionale" negli altri casi. In queste ultime ipotesi, se non si perviene ad una soluzione nei successivi trenta giorni, si rimetterà la questione al Consiglio dei ministri, che delibera, però, con la partecipazione dei Presidenti delle regioni interessate.

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28

Come ipotesi residuale, è previsto poi, che "in caso di dissenso tra amministrazioni regionali, i commi 3 e 3-bis (ossia in presenza di qualsiasi dissenso concernente interessi sensibili oppure materie strettamente regionali) non si applicano nelle ipotesi in cui le regioni interessate abbiano ratificato, con propria legge, intese per la composizione del dissenso ai sensi dell'art. 117, comma 8, della Costituzione, anche attraverso l'individuazione di organi comuni competenti in via generale ad assumere la determinazione sostitutiva in caso di dissenso". Con la riforma risultano valorizzate le sedi di raccordo rappresentate dalla Conferenza Stato-regioni e dalla Conferenza unificata, in coerenza con il nuovo disegno costituzionale che riconosce agli enti territoriali e allo Stato pari dignità istituzionale.16 Traendo ispirazione dai principi di

leale cooperazione e sussidiarietà, si fa dunque uso di quei modelli di concertazione istituzionale, sperimentati negli ultimi anni. Tuttavia tali meccanismi di superamento del dissenso, si sono rivelati macchinosi e di difficile operatività pratica.17

16 B. ACCETTURA op.cit.

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29

1.5 La legge 122/2010

Nel 2010 ci sono state rilevanti modifiche di semplificazione procedimentale che hanno coinvolto anche l’istituto della conferenza di servizi. Tali modifiche sono state apportate alla l. n. 241 del 1990 ad opera del decreto legge 31 maggio 2010, n.78 (“Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria

e di competitività economica”, c.d. Decreto “anticrisi”),

convertito poi con modifiche, nella legge 30 Luglio 2010, n.122. Con riguardo alla conferenza di servizi, va ricordato che l’art 49 della suddetta legge, modifica l’art 14 della l. 241/90, il quale ora dispone che l’amministrazione procedente, qualora si ritenga opportuno un esame contestuale degli interessi pubblici coinvolti in un procedimento amministrativo, può indire (e non più “indice di regola”, come nella precedente formulazione) la conferenza di servizi. Viene così conferita maggiore discrezionalità all’amministrazione con riguardo alle modalità operative con le quali procedere nella valutazione dei vari interessi coinvolti.

A norma del comma 2 del medesimo articolo 14, si prevede, a seguito della riforma, un nuovo caso di indizione facoltativa della conferenza di servizi decisoria, “nei casi in cui è

consentito all’amministrazione procedente di provvedere direttamente in assenza delle determinazioni delle amministrazioni competenti”. Secondo la Relazione al disegno

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di legge di modifica del suddetto comma 2 dell’articolo 14 della legge 241/90, le ragioni che hanno portato all’integrazione, vanno ricercate nel chiarimento che, in talune fattispecie, l’eventuale assenza delle determinazioni delle amministrazioni chiamate a pronunciarsi, entro 30 giorni in via ordinaria, non obbliga la pubblica amministrazione procedente ad indire la conferenza di servizi, nei casi in cui esistano espresse previsioni normative che consentano alla amministrazione procedente di prescinderne. Si introduce così una vera e propria ipotesi di sostituzione, come quella prevista nel regolamento sullo sportello unico (articolo 4, d.p.r. 20 ottobre 1998, n. 447, nel quale si attribuisce, al Comune la possibilità di adottare direttamente gli atti autorizzativi, qualunque essi siano).18

Vengono poi introdotte altre nuove disposizioni in tema di lavori della conferenza di servizi, all’art 14 ter della l. 241/90, con particolare attenzione al coordinamento tra tale strumento di semplificazione ed altri istituti giuridici (SCIA, autorizzazione paesaggistica, VIA, ecc.). Rilevante risulta la disposizione del nuovo comma 7 dell’art 14ter, con il quale il legislatore del 2010 dispone che l’assenso dell’amministrazione vada ritenuto come acquisito, nel caso in

18 E. MORO, “La riforma della Conferenza dei servizi introdotta con la

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cui il rappresentante della stessa, all’esito dei lavori della conferenza, non abbia espresso definitivamente la volontà dell’amministrazione rappresentata. Disposizione, questa, da leggere assieme a quella prevista dal comma dell’art 14-quater, in base al quale, nell’ottica di una maggiore efficienza della conferenza di servizi, il dissenso di uno o più rappresentanti delle amministrazioni regolarmente convocate, deve essere motivato congruamente, non può riguardare questioni connesse che non costituiscono oggetto ella conferenza medesima e deve recare specifiche indicazioni circa le modifiche progettuali necessarie ai fini dell’assenso. La riforma del 2010 ha aggiunto anche, tra le amministrazioni richiamate nell’art 14-quater, quelle preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, della salute e della pubblica incolumità.19

Con la legge del 2010, cambiano nuovamente le regole per il superamento del dissenso espresso dalle amministrazioni con riguardo alla tutela degli interessi sensibili. Si stabilisce la rimessione della decisione al consiglio dei ministri, nel caso in cui l’amministrazione dissenziente o procedente sia statale, ovvero ai competenti organi collegiali esecutivi degli enti

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territoriali, nelle altre ipotesi.20 L'eliminazione del sistema

delle Conferenze autonomiche riguarda anche la residuale tipologia di dissenso, cioè quello manifestabile da una Regione o una Provincia autonoma, in una materia di propria competenza, casi nei quali è il Consiglio dei Ministri a deliberare, in esercizio del proprio potere sostitutivo, con la partecipazione del Presidente delle Regioni o delle Province autonome coinvolte. Sul punto la Corte Costituzionale, con la sentenza n.179/2012, ha dichiarato “l’illegittimità costituzionale dell’art 49, comma 3, lettera b), del decreto legge 31 maggio 2010, n.78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 Luglio 2010, n. 122, nella parte in cui prevede che, in caso di dissenso espresso in sede di conferenza di servizi da una Regione o da una Provincia Autonoma, in una delle materie di propria competenza, ove non sia stata raggiunta, entro il breve temine di trenta giorni, l’intesa, il Consiglio dei ministri delibera in esercizio del proprio potere sostitutivo con la partecipazione dei Presidenti delle Regioni o delle Province autonome interessate”21

20 R. MUSONE op.cit.

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33 CAPITOLO II

Profili interpretativi dell’istituto: natura

giuridica, funzione e partecipazione dei privati

alla Conferenza

2.1 Le prime riflessioni dottrinali sulla natura giuridica della Conferenza di servizi

Dopo aver delineato le tappe fondamentali relative all’introduzione e all’evoluzione della conferenza di servizi nel nostro ordinamento, possiamo ora soffermarci sul dibattito dottrinale circa la sua natura giuridica.

Certamente la questione della dibattuta natura della conferenza, risente della genericità dell’espressione “conferenza di servizi”, utilizzata dalla legge, in quanto “il

termine conferenza richiama semplicemente l’idea di riunione allo scopo di sviluppare una discussione su temi che gli intervenuti stimano di comune interesse”, invece, “il termine servizi si riferisce genericamente a strutture organizzative di diversa dimensione e diverso livello, dai semplici uffici, articolazioni interne di amministrazioni, ad amministrazioni prese nella loro complessità”. Tale indeterminatezza potrebbe

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legislatore di non pregiudicare l’indagine sulla natura giuridica dell’istituto. 22

Sin dalla fine degli anni Cinquanta, in dottrina, erano emerse opposte concezioni a riguardo, taluni accostando l’istituto ai consorzi amministrativi e ai comitati interministeriali e altri inquadrandolo come strumento di collaborazione non organica.23

Con il tempo sono venute a configurarsi almeno tre principali ricostruzioni teoriche per l’inquadramento della conferenza di servizi:24

 Conferenza come strumento tipizzato per la conclusione di un accordo fra amministrazioni;

 Conferenza come organo autonomo;  Conferenza come modulo procedimentale.

La prima tesi, sostenuta negli anni Novanta da una buona parte della dottrina, fa leva sulla formulazione dell’art 15, c 1, della l 241/90, nella sua versione originaria, laddove, con riferimento alla conclusione di accordi fra amministrazioni, si stabilisce che questi possono essere sempre conclusi in vista

22 F.G. SCOCA, Analisi giuridica della conferenza di servizi, in Dir. Amm.

, 1999

23 F. BENVENUTI, C. STOPPANI in AA.VV, Coordinamento e

collaborazione nella vita degli enti locali, Milano ,1961

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35

dello svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune. Guardando in quest’ottica alla determinazione finale della conferenza, questa viene ad identificarsi in una figura particolare di accordo organizzatorio, analoga a quella prevista dall’art 15, con cui è quindi in rapporto di specie a genere25.

La ricostruzione teorica c.d. “organicistica”, invece, aveva ricevuto consensi per lo più in passato, nei primi anni Novanta per poi essere ripresa successivamente, dopo le modifiche apportate alla conferenza di servizi dalla l. 340/2000.

In particolare, con il riconoscimento del meccanismo maggioritario di adozione della determinazione finale, sembrava si potesse assimilare la conferenza ad un vero e proprio organo collegiale, sebbene imperfetto.

Aderendo alla tesi che conferisce alla conferenza natura di organo amministrativo collegiale, i provvedimenti adottati dalla conferenza sono da ritenersi esclusivamente imputabili a quest'ultima, legittimata, così, passivamente, in maniera autonoma in sede processuale. Il ricorrente, in questo caso, dovrà chiamare in giudizio la conferenza di servizi stessa, e non l'amministrazione procedente o le amministrazioni decidenti. Ciò finirebbe col privare i membri della conferenza della possibilità di vedere riconosciuti, in ambito processuale,

25 E. STICCHI DAMIANI, La conferenza di servizi, in Aa. Vv., Scritti in

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i motivi di dissenso espressi in quella sede, strettamente collegati alla soggettività amministrativa dei soggetti che siedono in conferenza, rappresentando altrettante autonome amministrazioni e/o uffici.26

A sostegno di tale ricostruzione è stata di recente apposta l’obbligatorietà della convocazione, che, come ha avuto modo di evidenziare Soricelli “costituisce un connotato inconfondibile

della sua collegialità come predeterminazione legale della composizione di interessi”. Tale posizione è da considerare non

univoca, dal momento che la dottrina si mostra incerta se ritenere la conferenza di servizi un organo perfetto o imperfetto ed in altri casi propende apertamente per quest’ultima ipotesi, quale organo anomalo, non istituzionale, disciplinato da regole che risultano incompatibili con quelle proprie degli organi collegiali.27

E’ poi possibile riscontrare nel dettato stesso della legge una critica alla tesi organicistica, laddove il riconoscimento positivo della facoltà dell’amministrazione dissenziente di poter agire giudizialmente per veder riconosciuto il proprio dissenso, elimina radicalmente la riconducibilità della

26 Tar Calabria, Reggio Calabria, sez. I, 30 dicembre 2009, n. 1359 27 G. CORSO – F. TERESI, Procedimento amministrativo e accesso ai

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conferenza di servizi nel novero degli organi collegiali, dove una simile facoltà è da escludere.

Anche la giurisprudenza della Corte Costituzionale ha avvallato l’inaccoglibilità della tesi organicistica con alcune importanti decisioni, attraverso le quali si è pronunciata a favore della qualificazione della conferenza di servizi quale istituto generale dell’attività amministrativa, legittimo a livello costituzionale, in quanto rispettoso del riparto di competenze tra Stato e autonomie locali.

La Corte, in particolare, nel caso del presunto contrasto tra la c.d. legge su Roma Capitale e l’art 12828 nel 1993, ha ritenuto

che la conferenza di servizi, non alterando l’ordine legale delle competenze, non può considerarsi invasiva della competenza degli enti locali. Mentre, nel caso di incostituzionalità della legge regionale della Lombardia n.42 del 198929, la Consulta

ha ritenuto i gruppi di valutazione previsti dalla legge, come inadatti ad offrire le garanzie che invece venivano assicurate dalla conferenza di servizi a tutte le amministrazioni partecipanti, in quanto mezzo generale dell’autorità amministrativa.30

28 C.Cost , 8 febbraio 1993, n.62, in Foro amm. , 1993 29 C.Cost, 10 marzo 1996, n.79, in Giur. Cost. , 1996 30 D. D’ORSOGNA, op.cit.

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38

Come ha osservato Comporti, “ogni considerazione sul profilo

funzionale dell’istituto (…) appare a questo punto superflua, in quanto discendente dai rilievi svolti in ordine al profilo strutturale” e in tal senso inquadra la conferenza di servizi

come “strumento di raccordo, di reciproco coordinamento e di

comune valutazione, anche rimanendo intoccate le competenze proprie di ciascun ente”.31

I principi affermati dalla Corte Costituzionale sono rivolti sicuramente a valorizzare e tutelare lo svolgimento delle funzioni pubbliche in un quadro di pluralismo autonomistico. Questi principi non vengono contraddetti dalla qualificazione della conferenza di servizi come “organo misto” 32 : tale

qualificazione, non assunta dalla Consulta in senso tecnico, non implica, infatti, lo spostamento delle competenze delle amministrazioni partecipanti, ad un organo comune. La stessa giurisprudenza costituzionale ha, infatti, escluso che tale spostamento si verifichi, in quanto il favore mostrato dalla Corte Costituzionale nei confronti della conferenza di servizi, riposa proprio nel “contemperamento fra le necessità della

concentrazione delle funzioni in un’istanza unitaria e le

31 G. COMPORTI, Conferenze, cit. p. 227

32 C. Cost, 31 gennaio 1991, n.37, in Le Regioni, 1992;

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esigenze connesse alla distribuzione delle competenze fra gli enti che vi partecipano”.33

2.2 La Conferenza di Servizi come modulo procedimentale

Sebbene anche in tempi recenti non siano mancate posizioni fedeli alla tesi organicistica, è stata ritenuta più persuasiva, dalla dottrina più recente, confortata anche dalla giurisprudenza costituzionale, l’idea di dare alla conferenza di servizi il rilievo di “metodo procedimentale”34.

Con la conferenza di servizi, si introduce, infatti, un modo di amministrare innovativo rispetto all’atteggiarsi tradizionale dell’agire amministrativo. Il suo obiettivo primario è da ravvisare “nel coordinamento dei poteri, nel momento del loro

concreto esercizio, strumentale alla composizione dei vari interessi pubblici, ottenuta attraverso la loro valutazione complessiva e contestuale”35, più che nell’accelerazione o

snellimento del procedimento36. Soluzione, questa, originale

33 F.G.SCOCA, Analisi giuridica, cit., p.258 34 C. Cost. , n.79, 1996, cit.

35 F.G. SCOCA, op.cit. , cit. , p.262

36 S. CASSESE, L’arena pubblica, Rivista trimestrale di diritto pubblico,

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40

poiché consente una ricucitura, a livello procedimentale, del frazionamento delle competenze e della distribuzione degli interessi pubblici.

Inoltre, la tesi del modulo procedimentale poggia anche sulla base di una puntuale confutazione delle argomentazioni fondanti le altre ricostruzioni teoriche.

Tra le motivazioni addotte, si sottolinea anzitutto come lo stesso legislatore già dai primi anni Novanta e in particolare con l’art. 1 della l. n. 537/1993, in tema di interventi correttivi di finanza pubblica, abbia identificato la conferenza di servizi come un istituto alternativo e sostitutivo di una lunga serie di collegi soppressi o da sopprimere. Così “nel decretare il

superamento della stagione della collegialità (in funzione di coordinamento), in sostanza, il legislatore mostrava contestualmente di voler sancire l’inadeguatezza del modulo organizzativo del collegio a rassodare intorno a sé un istituto innovativo quale la conferenza di servizi”.37

A questo si aggiunge il fatto che l’istituto non può essere ritenuto né un organo temporaneo, in quanto le funzioni da esso esercitate sono prive del carattere della temporaneità, né un organo permanente, mancando il requisito della stabilità.38

37 D’ORSOGNA – DEGNI , in PAOLANTONIO – POLICE – ZITO (a cura

di), La Pubblica Amministrazione e la sua azione. Torino, 2005

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41

Anche la riconduzione della conferenza di servizi alla figura di organo straordinario viene esclusa, per il carattere “fisiologico” e non “patologico” della scelta della sua convocazione, che appunto non è volta a rimediare a situazioni di disfunzionalità delle amministrazioni partecipanti.39

La tesi organicistica vede poi crollare la base normativa su cui si fondava, essendo stato rimodellato, con la l. n. 15/2005, in senso qualitativo - sostanziale il criterio deliberativo maggioritario. In tal modo si è evidenziato il fraintendimento che era venuto a crearsi a seguito dell’acquisita accezione quantitativo – numerica del criterio stesso, che era stata ritenuta non come requisito per l’attivazione del meccanismo di superamento del consenso, ma come rigido criterio per stabilire il quorum volto all’approvazione delle determinazioni finali.40

A favore della tesi della conferenza di servizi come modulo procedimentale, si è anche espresso il Consiglio di Stato, ribadendone tale natura e sottolineando come la conferenza non costituisca un ufficio speciale della Pubblica Amministrazione autonomo rispetto ai partecipanti; per

39 R. MUSONE , op.cit.

40 D. D’ORSOGNA, La conferenza di servizi: il funzionamento, in SCOCA,

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42

questo motivo, la notifica del ricorso contro l’atto finale della conferenza, deve essere portata a conoscenza delle amministrazioni partecipanti e non anche alla conferenza stessa, considerata un organo inesistente.41

Nel 2003, sempre il Consiglio di Stato ha evidenziato come la conferenza di servizi, per la sua particolare natura, consenta ai soggetti interessati a vario titolo al provvedimento finale, di rendere noto il proprio punto di vista, in base allo schema della partecipazione funzionale e ogni apporto qui, mantiene la propria autonomia. Nella decisione si sottolinea, poi, come la conferenza di servizi possa essere inquadrata come “strumento

procedimentale di emersione e comparazione di interessi pubblici, destinata a sintetizzarsi nel provvedimento finale e non un vero e proprio organo collegiale, ove le singole manifestazioni di volontà si fondono in una”.42

Anche il Tar Toscana, nel 2004, ha avuto modo di precisare che la conferenza di servizi non ha una soggettività giuridica autonoma, ma è uno strumento procedimentale di coordinamento di amministrazioni che comunque mantengono la propria autonomia soggettiva.43

41 C.d.S. , sez. IV, 9 luglio 1999, n.1193 42 C.d.S , sez V, 25 gennaio 2003, n.349 43 Tar Toscana, decisione n.1162, 2004

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43

Sebbene, dunque, la tesi che esclude il carattere di organo sia la più convincente, si ritiene comunque che il funzionamento della Conferenza di servizi vada regolato utilizzando analogicamente le norme disciplinanti gli organi collegiali, fatta salva la presenza di norme ad hoc.

Coerentemente con ciò, la convocazione della conferenza deve avvenire con un congruo anticipo, valutando il numero delle Pubbliche Amministrazioni partecipanti e la complessità del procedimento; I singoli rappresentanti delle varie PP.AA. devono ottenere l’autorizzazione ad esprimere la volontà dell’ente e l’oggetto dell’ordine del giorno deve essere chiaro, senza possibilità di mutarlo, se non con l’assenso di tutte le amministrazioni convocate; nel verbale, inoltre, devono palesarsi le ragioni che hanno portato all’indizione della conferenza e le motivazioni che hanno legittimato i singoli rappresentanti.

2.3 La funzione dell’istituto

In quanto modulo procedimentale volto all’adozione di un provvedimento amministrativo e alla valutazione contestuale di interessi pubblici differenti, la conferenza di servizi non può non essere considerata come un istituto avente una principale funzione di coordinamento. Ciò è riscontrabile tanto in sede di conferenza decisoria, laddove le determinazioni concordate

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44

possono sostituire intese e concerti, atti, questi, ritenuti tradizionalmente di coordinamento, quanto in sede di conferenza istruttoria, laddove ritroviamo una ricognizione informale di distinti interessi pubblici.

Il grande rilievo concreto del coordinamento dei diversi poteri, all’interno della conferenza di servizi, può cogliersi solo rendendosi conto del grande cambiamento che si produce sulla modalità d’agire dell’amministrazione con il passare ad una valutazione contestuale dei vari aspetti di interesse pubblico. Tale concetto è stato efficacemente sintetizzato dalla dottrina:

“la differenza non sta affatto nella sede della valutazione o nelle sue forme esteriori; risiede invece nel criterio delle valutazioni, le quali, se compiute separatamente, si orientano necessariamente verso l’assolutizzazione del singolo profilo di interesse pubblico; mentre, se compiute contestualmente, divengono valutazioni necessariamente comparative, di ponderazione equilibrata dei vari profili di interesse pubblico, l’uno con gli altri e l’uno contro gli altri considerato”.44

La conferenza appare, poi, come un modello giuridico capace di operare una sorta di congiunzione tra questa forma di coordinamento e le garanzie del procedimento. In tale istituto sembrano convergere sia i profili dell’acquisizione di tutti i

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fatti e degli interessi coinvolti, sia quelli relativi all’economicità, per il risparmio di tempo, di durata dell’impiego di mezzi e risorse, nella trattazione dei singoli affari. L’istituto gravita anche intorno al principio dell’efficacia, laddove esso si presuppone come istituto dotato della capacità di amplificare la possibilità di conseguire, attraverso una discussione informale, il perfezionamento di procedimenti anche molto complessi.

La conferenza sembra andare a toccare così, direttamente, le coordinate che ci vengono fornite dall’art 97 Cost.: l’efficienza, l’efficacia e l’economicità dell’azione, oltre che l’imparzialità, intesa come modalità con la quale la decisione viene assunta.45

In un simile quadro il risultato dovrebbe essere una decisione, il cui contenuto, sebbene formato in tempi celeri, tenda ad aumentare la capacità di soddisfazione di tutti gli interessi, anche quelli ritenuti secondari, attraverso la discussione diretta tra i rispettivi rappresentanti.

Si può arrivare allora a trovare la vera essenza dell’istituto, non tanto nell’accelerazione o nella semplificazione dei procedimenti, spesso interpretata riduttivamente come risolventesi nella compressione delle esigenze di valutazione

degli interessi in gioco, bensì nel fatto che ricompattare le

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competenze nell’esercizio dei vari poteri amministrativi, favorisce la valutazione contestuale di quegli interessi, siano essi pubblici o privati, interferenti nella concreta fattispecie.46

In base alla teoria della c.d. discrezionalità amministrativa, è stato evidenziato che l’apprezzamento discrezionale da parte della P.A. consiste “in una comparazione, qualitativa e

quantitativa degli interessi pubblici e privati che concorrono in una situazione sociale oggettiva, in modo che ciascuno di essi venga soddisfatto secondo il valore che l’autorità ritiene abbia nella fattispecie” 47 e dal momento che nessun interesse

pubblico esiste isolatamente, è necessario che si tenga conto anche degli altri interessi concorrenti e definiti secondari. La ragione di tale distinzione tra interessi primari e secondari, viene però meno nel momento in cui alla scelta discrezionale partecipano tutti i soggetti che hanno in cura detti interessi. E’ qui che si coglie la vera innovazione apportata dalla conferenza di servizi al tradizionale modo di operare della Pubblica Amministrazione. La conferenza, infatti, rompe la

“solitudine” dell’autorità tenuta a decidere nella dinamica

procedimentale, favorendo una valutazione unica, contestuale e globale di tutti quegli aspetti che possono essere di interesse

46 D. D’ORSOGNA, op.cit.

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47

pubblico. Ciò porta non più ad assolutizzare il singolo profilo di interesse pubblico di cui ciascuna autorità è portatrice, ma ad una ponderazione equilibrata e realmente comparativa dei vari profili interessati.

2.4 La partecipazione dei privati alla Conferenza di servizi

Altro aspetto della conferenza di servizi su cui emergono posizioni discordanti sia in ambito dottrinale che in ambito giurisprudenziale, riguarda la possibilità per i soggetti privati di partecipare ai lavori della conferenza.

Secondo una parte della dottrina la partecipazione dei privati sarebbe del tutto estranea alle finalità dell’istituto conferenziale. In particolare, la tesi che esclude tale possibilità (Scoca), sembra basarsi sulla considerazione che la conferenza, data la sua intrinseca funzione decisoria, sia aperta solo a soggetti rappresentanti interessi pubblici, che di regola vengono individuati prima e fuori dalla conferenza stessa. Secondo altri, in linea di principio, valutando le situazioni caso per caso, il privato portatore di interesse pubblico può partecipare alla conferenza istruttoria, in virtù del fatto che non sembra essere necessaria la rappresentazione dell’interesse da parte di un soggetto formalmente pubblico.

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48

Un esempio sono le associazioni di protezione ambientale, riconosciute dall’art. 18 della l. n. 349/1986, che pur non essendo enti pubblici, sono portatrici di un interesse pubblico, in base a riconoscimento legislativo.48

Tuttavia, per lungo tempo, il fatto che un’associazione perseguisse come fine statuario l’interesse diffuso di tutela dell’ambiente, non è stato considerato dalla giurisprudenza una motivazione valida a radicare nell’associazione posizioni di interesse legittimo49.

La situazione però muta con l’entrata in vigore della l. 241/90, il cui art 9 apre la strada alla partecipazione delle associazioni ambientaliste al procedimento amministrativo, andando ad attribuire tale possibilità anche ai portatori di interessi diffusi, costituiti in comitati o associazioni, e ai quali possa derivare un pregiudizio dal provvedimento.50

Già da tempo la dottrina ha poi rilevato che nulla esclude che anche i soggetti privati possano essere portatori di interessi pubblici e che l’accesso delle associazioni ambientaliste e dei privati in genere alla conferenza di servizi, possa essere

48 M. SANTINI, La conferenza di servizi, 2008

49 A. MAESTRONI, Associazioni ambientaliste e interessi diffusi, n

NESPOR – DE CESARIS (a cura di) Codice dell’ambiente, 2009

50 G. ARIOLLI, La partecipazione delle associazioni ambientaliste al

procedimento amministrativo. Articolo su rivista, in Dir. E giur. Agr. Al. e amb., 1993

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considerata espressione di quella generale trasformazione della concezione stessa dell’interesse pubblico, caratterizzata dal superamento graduale della contrapposizione con l’interesse privato. Oltretutto, proprio nel settore ambientale esistono numerose leggi che prevedono in maniera esplicita la partecipazione del privato alla conferenza di servizi, per poter fornire alle amministrazioni un quadro informativo esaustivo.51

Tuttavia, la l. 69/2009, pur ammettendo la presenza di privati ai lavori della Conferenza, ha ammesso la legittimazione partecipativa solo per determinate categorie di soggetti, escludendone altri, sebbene comunque portatori di interessi diffusi o collettivi, relativi all’opera su cui verte la conferenza. E’ stato osservato a tal proposito in dottrina che “le modifiche

apportate nel 2009 alla disciplina della conferenza di servizi, limitano la partecipazione a talune categorie di soggetti privati, così impedendo, a motivo della parzialità dell’ammissione, di superare la tesi che legittima, di norma, il solo intervento dei portatori di interessi pubblici ed, anzi,

51 G. CUGURRA, La conferenza di servizi: profili generali e aspetti

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50

suggerendo l’idea di una volontà legislativa di esclusione di quanti non espressamente indicati”52.

La questione sembra essere più problematica se riferita alla conferenza di servizi di tipo decisorio. Una simile apertura, già comunque riconosciuta a livello normativo in materia di Sportello Unico per le attività produttive, andrebbe di certo a collocarsi nella prospettiva di “democratizzazione” della Pubblica Amministrazione.53

Il giudice amministrativo si è espresso a favore di questa possibilità, sebbene ancora in alcune isolate decisioni, come quella del TAR Veneto n.3587 del 2006. Il Tribunale ha qui ritenuto che la partecipazione di un soggetto imprenditoriale, lamentata dalla parte ricorrente, fosse invece del tutto legittima per la sola e quanto mai significativa circostanza di essere titolare di un progetto corredato della dichiarazione di pubblica utilità, che lo collocava in una posizione differenziata rispetto agli altri consociati.

Esistono poi, a riguardo, una serie di argomenti che fanno protendere per la partecipazione dei privati, senza diritto di voto, certo, nell’ambito delle conferenze decisorie: ad esempio, la partecipazione viene considerata in linea con il principio di

52 S. TATTI, Il privato nella disciplina in tema di conferenza di servizi, in

Riv. Amm, 2011

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