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Delitto di tortura, un reato non ancora sanzionato in Italia.

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Indice

CAPITOLO 1. ... 9 L’origine della tortura e la sua problematica definizione ... 9 1 Radici millenarie della tortura. ... 10 2 Il Medioevo e l’affermazione dell’ordalia. ... 11 3 Nuova concezione della tortura, da pena giudiziaria a trattamento inumano. ... 13 3.1 Nuova concezione della tortura, da pena giudiziaria a trattamento inumano: l’illuminismo e la grande svolta italiana di Beccaria. ... 14 3.2 Nuova concezione della tortura, da pena giudiziaria a trattamento inumano: il sistema penale e la nascita delle carceri. . 15 4 Conflitti mondiali e orrori del secolo scorso. ... 18 4.1 Periodo post bellico. ... 19 5 Problematiche sulla definizione della tortura. ... 19 5.1 Forme di tortura praticate nel mondo. ... 20 5.2 Tortura come frutto di organizzazione e l’attività dell’Amnesty International. ... 21 6 Definizione di tortura nella normativa internazionale dei diritti dell’uomo. ... 22 6.1 L’intensità del dolore e delle sofferenze. ... 24 6.2 L’intenzione e lo scopo. ... 25 6.3 L’autore del reato di tortura. ... 26 6.4 Le sanzioni legittime. ... 27 7 Definizione di tortura nel diritto umanitario e nei Tribunali ad hoc. 29 CAPITOLO 2. ... 32 1 Le prime attività della Comunità internazionale. ... 33 2 Le Nazioni Unite e la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo. ... 34 3 Le Nazioni Unite e le Convenzioni regionali. ... 36

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3 3.1 Le Nazioni Unite e le Convenzioni regionali: Convenzione americana relativa ai diritti dell’uomo. ... 37 3.2 Le Nazioni Unite e le Convenzioni regionali: carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli. ... 39 4 I diritti della persona umana e il diritto internazionale. ... 40 4.1 I diritti della persona umana e il diritto internazionale: i diritti procedurali dell’individuo per l’applicazione delle norme sui diritti umani. ... 42 5 La nascita di strumenti ad hoc contro la tortura. ... 43 5.1 La nascita di strumenti ad hoc contro la tortura: Convenzione contro la Tortura e altre Pene o Trattamenti Crudeli, Inumani e Degradanti. ... 44 5.2 La nascita di altri strumenti ad hoc contro la tortura. ... 46 6 I Tribunali penali internazionali. ... 47 6.1 I Tribunali penali internazionali: le varie categorie di crimini internazionali dell’individuo. ... 50 CAPITOLO 3. ... 52 1 Brevi cenni sull’origine della CEDU. ... 53 2 Articolo 3 della CEDU, la previsione convenzionale contro la tortura. ... 54 2.1 Articolo 3 della CEDU e tecnica di protezione c.d. par ricochet. ... 56 3 La previsione in negativo dell’articolo 3 e gli obblighi positivi a carico degli Stati. ... 57 3.1 Obblighi positivi a carico degli Stati: obbligo di inchiesta e individuazione dei responsabili. ... 59 3.2 Obblighi positivi a carico degli Stati: elementi probatori. ... 59 3.3 Obblighi positivi a carico degli Stati: obbligo procedurale di inchiesta e le sue caratteristiche. ... 60 3.4 Obblighi positivi a carico degli Stati: l’assenza di un ricorso effettivo e la natura della sua autorità competente. ... 65 4 Articolo 3 della CEDU e la CPT. ... 67

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4 5 Esecuzione delle sentenze come modalità di conformità degli obblighi strumentali al divieto di tortura e di maltrattamenti individuati dalla Corte. ... 69 5.1 Esecuzione della sentenza e decisioni di organi del potere esecutivo o del potere giurisdizionale. ... 72 6 Articolo 3 della Convenzione: le condotte vietate. ... 74 6.1 Il criterio della soglia di gravità e il suo discusso superamento. ... 76 7 Articolo 3 della Convenzione: la sanzione penale e le pene vietate. ... 78 7.1 La CEDU e la pena di morte: il caso Soering. ... 80 8 Condizione della detenzione in ambito europeo. ... 83 8.1 Condizione della detenzione in ambito europeo: condizioni di salute. 84 8.2 Condizione della detenzione in ambito europeo: l’isolamento. ... 84 9 I trattamenti vietati: l’interrogatorio di persone arrestate ed attività della polizia. ... 85 9.1 I trattamenti vietati: abusi all’interno del carcere. ... 87 9.2 I trattamenti vietati: trattamento medico. ... 88 CAPITOLO 4. ... 90 1 Il riconoscimento costituzionale del divieto di tortura. ... 91 2 La necessaria introduzione del reato di tortura nel nostro Paese come attuazione degli obblighi internazionali: raccomandazioni del Comitato dei diritti umani. ... 93 2.1 La necessaria introduzione del reato di tortura nel nostro Paese come attuazione degli obblighi internazionali: raccomandazioni del Comitato contro la tortura. ... 95 2.2 La necessaria introduzione del reato di tortura nel nostro Paese come attuazione degli obblighi internazionali e la relativa individuazione e introduzione delle sanzioni penali. ... 98 3 Divieto di tortura: unico reato imposto costituzionalmente al quale non corrisponde una adeguata disciplina. ... 100

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5 3.1 Divieto di tortura: unico reato imposto costituzionalmente al quale non corrisponde una adeguata disciplina. Le possibili cause dell’inerzia italiana a) la tortura non ci riguarda: ... 101 3.2 Divieto di tortura: unico reato imposto costituzionalmente al quale non corrisponde una adeguata disciplina. Le possibili cause dell’inerzia italiana: b) si hanno già delle norme repressive che disciplinano la tortura: ... 104 3.3 Divieto di tortura: unico reato imposto costituzionalmente al quale non corrisponde una adeguata disciplina. Le possibili cause dell’inerzia italiana: c) la salus rei publicae: ... 106 3.4 Divieto di tortura: unico reato imposto costituzionalmente al quale non corrisponde una adeguata disciplina. Le possibili cause dell’inerzia italiana: d) la legittima difesa o per stato di necessità 108 3.5 Divieto di tortura: unico reato imposto costituzionalmente al quale non corrisponde una adeguata disciplina. Le possibili cause dell’inerzia italiana: e) il reato di tortura è un reato manifesto: ... 109 3.6 Divieto di tortura: unico reato imposto costituzionalmente al quale non corrisponde una adeguata disciplina. Le possibili cause dell’inerzia italiana: f) le problematiche relative alla politica migratoria: ... 110 4 L’importanza di avere il reato di tortura nel nostro ordinamento. 112 5 La tortura e i tentavi di introdurre nel nostro ordinamento il relativo reato ad hoc: DDL n. 1677 del 1989. ... 114 5.1 La tortura e i tentavi di introdurre nel nostro ordinamento il relativo reato ad hoc: DDL n.4087 del 1997. ... 115 5.2 La tortura e i tentavi di introdurre nel nostro ordinamento il relativo reato ad hoc: DDL n.3691 del 1998, DDL n. 582 del 2001 e DDL n.1237 del 2008. ... 117 5.3 La tortura e i tentavi di introdurre nel nostro ordinamento il relativo reato ad hoc: DDL n. 1282. ... 122 5.4 La tortura e i tentavi di introdurre nel nostro ordinamento il relativo reato ad hoc: DDL 1608 del 2002 e DDL n.895 del 2006. . 124 6 Introduzione del reato di tortura nel codice penale italiano, disegno di legge n. 849. ... 127

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6 6.1 Introduzione del reato di tortura nel codice penale italiano, disegno di legge n. 849: differenze tra il Testo della proposta di legge n.2168 e il Testo della Commissione. ... 129 7 Le critiche al decreto legge sull’introduzione del reato di tortura nel nostro ordinamento penale. ... 132 8 Delitto di tortura, un reato tuttora mancante nel nostro ordinamento. ... 134 8.1 Delitto di tortura, un reato tuttora mancante nel nostro ordinamento: rischio di nuove condanne per l’Italia. ... 136 CAPITOLO 5. ... 138 1 Un chiaro “episodio” di tortura nel nostro Paese e della inefficacia del nostro sistema sanzionatorio in relazione al reato di tortura. ... 139 2 Avvenimenti nella caserma di Bolzaneto: i fatti indicati nella sentenza. ... 141 2.1 Avvenimenti nella caserma di Bolzaneto: l’esito giudiziario. 144 3 Avvenimenti all’interno della scuola Diaz: i fatti indicati nella sentenza. ... 145 3.1 Avvenimenti all’interno della scuola Diaz: le considerazioni del tribunale e la risposta giudiziaria. ... 148 4 Le motivazioni del necessario intervento della Corte di Strasburgo. Violazioni dirette dell’articolo 3 della CEDU. ... 151 4.1 Le motivazioni del necessario intervento della Corte di Strasburgo. Il superamento della “soglia minima di gravità” e la qualificazione delle condotte. ... 153 4.2 Le motivazioni del necessario intervento della Corte di Strasburgo. La violazione degli “obblighi positivi”. ... 155 4.3 Le motivazioni del necessario intervento della Corte di Strasburgo. La violazione degli “obblighi procedurali”. ... 157 4.4 Le motivazioni del necessario intervento della Corte di Strasburgo. L’assenza nel codice penale di una norma incriminatrice della tortura. ... 158 5 Sentenza della Corte europea in relazione ai “fatti genovesi”. . 159

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7 5.1 Sentenza della Corte europea in relazione ai “fatti genovesi”: l’esito della Corte. ... 161 5.2 Sentenza della Corte europea in relazione ai “fatti genovesi”: i terzi intervenienti ... 165 6 Il tentativo di “conciliazione amichevole” del Governo italiano per evitare un’ulteriore condanna da parte della Corte europea. ... 166 CAPITOLO 6. ... 169 1 La situazione carceraria in Italia e le regole minime O.N.U. ... 170 1.1 Situazione carceraria in Italia e le regole di detenzione per l’Europa. ... 174 2 Il conflitto tra trattamento penitenziario e diritti fondamentali. La sua origine e la sua evoluzione. ... 176 2.1 Il conflitto tra trattamento penitenziario e diritti fondamentali. Il riconoscimento ai detenuti di diritti tutelabili in sede giudiziaria. ... 178 3 La responsabilità dello Stato e dei suoi organi per violazione delle norme poste a tutela dei detenuti. ... 180 4 L’attuale realtà carceraria italiana e europea. ... 181 4.1 L’attuale realtà carceraria italiana e europea. Le violazioni dei diritti fondamentali: la violenza fisica. ... 182 4.2 L’attuale realtà carceraria italiana e europea. Le violazioni dei diritti fondamentali: i regimi speciale di detenzione. ... 184 4.3 L’attuale realtà carceraria italiana e europea. Le violazioni dei diritti fondamentali: le perquisizioni personali. ... 187 4.4 L’attuale realtà carceraria italiana e europea. Le violazioni dei diritti fondamentali: le limitazioni alla socialità del detenuto. ... 188 4.5 L’attuale realtà carceraria italiana e europea. Le violazioni dei diritti fondamentali: la durata del trattamento penitenziario, l’ergastolo e la detenzione di soggetti in età avanzata o in precarie condizioni di salute. ... 190 5 Le condizioni di fatto delle detenzione. ... 191 5.1 Le condizioni di fatto delle detenzione: due casi di specie. 194

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8 6 La Magistratura di Sorveglianza come garante dei diritti dei detenuti e la sua composizione. ... 199 6.1 Il Magistrato di Sorveglianza e il controverso carattere di vincolatività delle sue decisioni. ... 201 6.2 Il Magistrato di Sorveglianza, il contenuto delle disposizioni da questo impartite e la possibilità di disporre un risarcimento a favore dei detenuti per le lesioni subite. ... 203 7 La necessità di una protezione effettiva ed adeguata dei diritti dei detenuti e l’intervento della Corte EDU. ... 208 8 Le decisioni del legislatore italiano in relazione alla problematica del sovraffollamento: deflazione processuale. ... 210 8.1 Le decisioni del legislatore italiano in relazione alla problematica del sovraffollamento: “ripensamenti” sulla custodia cautelare. ... 214 9 Lo “straniero” e il carcere in Italia. Le iniziative legislative. ... 217 9.1 Lo “straniero” e il carcere in Italia. La detenzione amministrativa nei Centri di identificazione ed espulsione. ... 221 9.2 Lo “straniero” e il carcere in Italia. La detenzione amministrativa nei Centri di identificazione ed espulsione: la legittimità costituzionale. ... 223 9.3 Lo “straniero” e il carcere in Italia. La detenzione amministrativa nei Centri di identificazione ed espulsione: la legittimità convenzionale. ... 224 CONCLUSIONI. ... 227 RIFERIMENTI GIURISPRUDENZIALI. ... 231 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI ... 237

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CAPITOLO 1.

L’origine della tortura e la sua problematica

definizione

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SOMMARIO: 1. Radici millenarie della tortura. – 2. Il Medioevo e

l’affermazione dell’ordalia. – 3. Nuova concezione della tortura, da pena giudiziaria a trattamento inumano. - 3.1 Nuova concezione della tortura, da pena giudiziaria a trattamento inumano: l’illuminismo e la grande svolta italiana di Beccaria. - 3.2 Nuova concezione della tortura, da pena giudiziaria a trattamento inumano: il sistema penale e la nascita delle carceri. – 4. Conflitti mondiali e orrori del secolo scorso. – 4.1 Periodo post bellico. – 5. Problematiche sulla definizione della tortura. – 5.1 Forme di tortura praticate nel mondo. – 5.2 Tortura come frutto di organizzazione e l’attività dell’Amnesty International. – 6. Definizione di tortura nella normativa internazionale dei diritti dell’uomo. - 6.1 L’intensità del dolore e delle sofferenze. - 6.2 L’intenzione e lo scopo. - 6.3 L’autore del reato di tortura. - 6.4 Le sanzioni legittime. - 7. Definizione di tortura nel diritto umanitario e nei Tribunali ad hoc.

1 Radici millenarie della tortura.

L’origine della tortura risale al XX secolo a. C.1, periodo in cui gli

antichi Egizi utilizzavano metodi crudeli, quali frustate e bastonate, per punire o far confessare il soggetto qualificato come reo. Successivamente con i Greci e in particolar modo con i Romani, la pratica della tortura si affermò ampliamente, infatti, essa veniva in primo luogo applicata nei confronti degli schiavi in quanto, a differenza degli uomini liberi, per loro non valeva il giuramento come modalità di convalida della loro credibilità.

In secondo luogo, durante l’assolutismo imperiale la tortura fu estesa come pratica usata sui rei di lesa maestà, sui maghi e sui soggetti considerati come bugiardi.

In un secondo momento la tortura divenne un vero e proprio strumento giudiziario, in quanto, nel diritto romano, la confessione era necessaria per la formulazione dell’accusa.

In tale contesto, il tormentare il presunto reo, per conoscere la verità, implica un sottinteso ma forte rapporto tra la verità intesa come bene e la falsità intesa come male2; proprio a causa di tale duplicità, era plausibile l’interpretazione della tortura come atto praticato anche

1 RIVISTA FOCUS.IT, La storia della tortura.

2 FRANCO CARDINI, Storia della tortura giudiziaria , Tortura “in universo del

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“pro reo” ovvero, si partiva dalla concezione che in assenza di chiare prove, la forza d’animo dimostrata dall’imputato nel sostenere la sofferenza pur di far trionfare la verità, fosse essa stessa una prova. Nonostante tale concezione fosse largamente accettata come strumento per giungere alla verità, vi sono state alcune posizioni discordanti tra cui quella del famoso giurista Ulpiano il quale sosteneva che: “La tortura è uno strumento fragile e rischioso,

incapace spesso di condurre alla verità: molti difatti riescono a sopportare i tormenti grazie alla loro forza d'animo o alla loro robustezza fisiologica, in tal modo che non c'è verso d'estorcere loro la verità; altri, al contrario, temono la sofferenza al punto tale da esser pronti anche a mentire pur d'evitarla"3.

In ambito giuridico, la tortura è costituita dall’insieme di coercizioni e di tormenti fisici e psichici con i quali si vuole indurre l’imputato a confessare; in Europa tale pratica probatoria rimase in vigore fino alla seconda metà del XVIII secolo, nonostante la nascita di numerose controversie in relazione alla legittimità morale e alla funzionalità del suo utilizzo.

Le prime pratiche di tortura consistevano nella flagellazione, con fruste formate da lunghe cinghie di pelle di bue che recidevano la pelle del reo come una lama; nel marchiare a fuoco la fronte degli schiavi che avevano provato a fuggire e nel periodo dell’imperatore Costantino, lo schiavo accusato di aver sedotto un uomo o una donna libera era costretto ad ingerire piombo fuso. Un particolare tipo di tortura in ambito giuridico ma privo di intenti probatori, consisteva nell’infliggere ai condannati a morte, prima dell’esecuzione della pena capitale, pene preliminari aventi una funzione sia di aggravante che in particolar modo di esempio deterrente.

2 Il Medioevo e l’affermazione dell’ordalia.

Durante il periodo dell’Alto Medioevo, la tortura fu sostituita dall’ordalia, come la prima anche quest’ultima condivideva la concezione del rapporto tra coscienza soggettiva d’innocenza o di colpevolezza e capacità di sopportare prove e sofferenze.

3FRANCO CARDINI, MARINA MONTESAN, La lunga storia dell'inquisizione:

luci e ombre della "leggenda nera". Treccani, La cultura italiana. www.treccani.it

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L’ordalia, infatti, costituiva un modo cruento per provare la colpevolezza del reo in quanto, in caso di non chiarezza delle prove, solo chi riusciva a tenere nel palmo della mano un ferro rovente o a immergere il braccio in un paiolo di acqua bollente, dimostrava la propria innocenza. A partire dalla fine del XII secolo, quando in Europa occidentale si affermò il Corpus Iuris Giustinianeo4, con il ritorno dell’applicazione del diritto romano, si ebbe nuovamente l’applicazione della tortura come mezzo probatorio.

L’interrogatorio sotto tortura denominato come “quaestio” fu ammesso, sin dal duecento, in numerosi esempi di procedura laica e fu menzionato con certezza e chiarezza per la prima volta nel “Liber

iuris civilis (1228)”.

Successivamente la questio fu legittimata, in relazione ai processi inquisitori, nella Bolla ad exstirpanda per opera di papa Innocente IV, poi ratificata dal papa Alessandro IV e infine rafforzata dal papa Clemente IV.

Il papa Alessandro IV autorizzò anche i religiosi a concedersi reciprocamente l'assoluzione nei casi in cui il contatto con la tortura comportasse un'infrazione dei divieti canonici relativi al principio secondo il quale Ecclesia abhorret a sanguine5, noto anche come

“editto fantasma”, all’interno del quale era contenuta un’affermazione sulla legislazione ecclesiastica relativa alla medicina e alla chirurgia asserendo che quest’ultima sarebbe vietata ai chierici sulla base del fatto che la “chiesa aborre dal sangue”.

Nel corso del Trecento la tortura fu poi estesa ad altre e differenti procedure; i giuristi Accursio, Baldo, Bartolo espressero la loro posizione favorevole in relazione al radicamento e alla generalizzazione della pratica che fu ampiamente regolata; si doveva evitare, infatti, di provocare una mutilazione permanente o la morte del presunto reo. In età Tardo Medievale e Rinascimentale furono promulgati numerosi trattati sulla tortura come, ad esempio, il De tormentis e il De indiciis et tortura di F. Dal Bruno che legittimava e regolava tale pratica.

4 Corpus iuris civilis o Corpus iuris Iustinianeum (528-533) raccolta di materiale normativo e materiale giurisprudenziale di diritto romano.

5 DESHAIES EM, DIRISIO D, POPP AJ, Medieval management of spinal

injuries: parallels between Theodoric of Bologna and contemporary spine surgeons, in Neurosurg Focus, vol. 16, nº 1, 2004.

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Nel 1532 l’imperatore Carlo V emanò la Constitutio criminalis

Carolina, la quale costituì un punto fermo nella storia dell’adozione

della tortura nell’Europa moderna; il legislatore, attraverso tale norma ne confermava la legittimità e la conformità e, soprattutto, indicava la necessaria e funzionale corretta applicazione della tortura per il perseguimento della verità.

3 Nuova concezione della tortura, da pena

giudiziaria a trattamento inumano.

Nel diritto comune la tortura rappresentava uno strumento processuale, inserito all’interno dell’ordine giudiziario (c.d. ordo

iudiciarius), di cui ci si avvaleva per la ricerca della verità e che era

circondato da opportune cautele attinenti ai presupposti e alle modalità di esperimento che ne assicuravano, come risultato, la confessione che il reo non aveva voluto rendere in un primo momento e la sua utilizzabilità6. La ratio dell’utilizzo di tale pratica,

per i giuristi del diritto comune, consisteva nella necessità di reprimere adeguatamente i delitti in quanto l’interesse pubblico alla punizione dei delinquenti era considerato prevalente rispetto l’ingiustizia e l’inumanità della tortura7.

Un primo aspetto sintomatico dell’affermarsi di una differente interpretazione del concetto di tortura si evidenzia in relazione a due scritti del seicento all’interno dei quali si hanno due visioni contrapposte della pratica in esame.

Mentre nel Practica rerum criminalia di Benedict Carpzov del 1635, nonostante la consapevolezza che i gravi abusi e l’utilizzo di altri mezzi coercitivi davano spesso luogo a false confessioni rese solamente per sottrarsi alle brutalità che il soggetto stava subendo, si afferma che la tortura dovesse essere utilizzata anche nei confronti di chi sembrava essere innocente; nel Cautio criminalis seu de processibus contra

sagas di Friedrich Von Spee del 1632 si afferma la concezione della

sua inutilità.

6 ALESSI, voce Processo penale, in Enciclopedia del diritto. Milano 1987. p. 377.

7 MARCHETTI, Testis contra se. L’imputato come fonte di prova nel processo

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Il vero e decisivo cambiamento del concetto di tortura si ha con il De

tortura ex foris Christianorum proscribenda del 1704 di Christian

Thomasius, che costituisce il punto di partenza di una delle battaglie di civiltà giuridica affrontate dall’illuminismo.

In tale opera, Thomasius, dopo un accurato studio sulla tortura e sulle regole di diritto esistenti che la disciplinavano, sottoponeva la pratica in esame ad una serrata critica “secondo i principi della ragione e

dell’equità” sottolineando inoltre, la sua ingiustizia e la sua inutilità8.

Secondo l’autore infatti, le ragioni dell’abolizione della tortura come mezzo di prova si fondano su cinque capisaldi:

1)ingiustizia della tortura: la tortura è una forma anticipata di pena inflitta a chi non si sa ancora se colpevole o meno;

2)inutilità della tortura: questa non è un valido e sicuro mezzo di accertamento della verità in quanto può portare sia ad una falsa confessione e quindi alla condanna di un innocente, che all’assoluzione del colpevole che ha resistito ai supplizi;

3)inumanità della tortura: la crudeltà e l’inumanità di tale pratica giudiziaria;

4)inciviltà della tortura: essa rappresenta una vendetta del sovrano per affermare e consolidare il proprio potere, in quanto essa non sarebbe consentita in uno “stato civile”;

5)la tortura costituisce violazione del principio giusnaturalistico di autodifesa9.

3.1 Nuova concezione della tortura, da pena giudiziaria a trattamento inumano: l’illuminismo e la grande svolta italiana di Beccaria.

Con l’illuminismo, mutò radicalmente la concezione della tortura, Cesare Beccaria infatti, nella sua grande opera del 1764 Dei delitti e

delle pene, riprendendo l’opera di Thomasius, condannò la tortura

come prassi inutilmente crudele sostenendo che: “Se un delitto è

certo, inutili sono i tormenti, perché inutile è la confessione del reo; se è incerto, non devesi torturare un innocente perché tale è secondo le leggi un uomo i cui delitti non sono provati”10.

8 CATTANEO, Delitto e pena nel pensiero di Christian Thomasius, Milano 1769. Pp. 158-176.

9 A. ESPOSITO, proibizione della tortura, pp. 51-52.

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15 Beccaria, infatti, privilegiando il carcere al patibolo, scrive: «Non è il terribile ma passeggero spettacolo della morte di uno scellerato, bensì il lungo e stentato esempio di un uomo privo di libertà, che, divenuto bestia di servigio, ricompensa colle sue fatiche quella società che ha offesa, che è il freno più forte contro i delitti»11.

Il condannato che espia sul patibolo suscita una «compassione

mescolata al disprezzo», piuttosto che «il salutare terrore che la legge pretende ispirare»12. L’autore, si batte con decisione per la

secolarizzazione della giustizia, in quanto sostiene che i crimini non devono più essere concepiti come peccati, ma soltanto come infrazioni sociali: «Io non parlo che dei delitti che emanano dalla

natura umana e dal patto sociale, non dei peccati, dei quali le pene, anche temporali, debbono regolarsi con altri principi che quelli di una limitata filosofia».

La posizione di Beccaria quindi, si contrappone con quella assunta in precedenza dagli altri autori in relazione alla tortura; durante l’illuminismo, infatti, si affermò sempre più la visione negativa della tortura che rese possibile il rifiuto dell’applicazione di tale tecnica probatoria. Il primo paese a rifiutare la tortura come mezzo probatorio fu la Prussia nel 1740 con Federico II, seguita dall’Austria e infine dalla Francia che in seguito alla rivoluzione francese affermava i diritti dell’uomo anche se sospetto criminale. 3.2 Nuova concezione della tortura, da pena giudiziaria a trattamento inumano: il sistema penale e la nascita delle carceri. Nonostante l’inizio dell’affermarsi della nuova concezione di tortura, le pene corporali13 furono la forma di punizione comune fino alla fine

del’700. In tale periodo storico, il sistema penale e la pena erano intesi come strumento di controllo sociale in quanto la sociologia

11 LAURA CUPPINI, La pena di morte: crimine di Stato? Dossier. Cesare

Beccaria e la pena di morte in Italia. Dossier dell’istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino.

12 CORRIERE DELLA SERA, Per Beccaria vittoria a metà su tortura e pena di

morte.

13 FOUCAULT, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Torino 1976, pp. 37-75: La fustigazione, la mutilazione erano prescritte frequentemente, le esecuzioni capitali pubbliche erano avvenimenti abituali.

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penale legava la comminazione di pene corporali sempre più severe al carattere di classe e all’aumento costante dei crimini14.

Infatti, le pene corporali erano considerate il metodo più efficiente per il mantenimento della struttura sociale esistente e per la difesa dell’ordine di una classe contro il disordine dell’altra15; questo perché il supplizio costituiva sia la sopraffazione del condannato che l’ammonimento destinato agli spettatori della pubblica esecuzione16.

Indipendentemente dalle diverse teorie sullo scopo della pena (retribuzione, intimidazione e conservazione), la ratio della pena- supplizio era individuata nell’idea giusnaturalista dell’uguaglianza tra delitto e pena17 in quanto si giustificava la pena corporale, atroce ed

infamante, ritenendo che la qualità della reazione pubblica dovesse essere almeno uguale alla qualità del crimine commesso, si richiama, quindi, la legge del taglione.

Con l’affermarsi del pensiero giuridico illuminista, si è visto, il sorgere del c.d. problema penale che si occupa anche della qualità della pena, infatti le tre principali ideologie penalistiche del tempo - l’utilitaristica, l’umanitaria e la proporzionalistica – nonostante la loro diversa interpretazione dello scopo della pena, avvertirono l’esigenza di mitigare le pene18. Riprendendo, infatti, l’idea di Beccaria sopracitata,

che indica “non vi è libertà ogni qualvolta le leggi permettono che, in

alcuni eventi, l’uomo cessi di essere persona e diventi cosa”19 si

sottolinea l’importanza e la volontà di porre al centro della questione “pena” la dignità della persona.

L’input razionalista e umanitario, insito nelle dottrine della pena sopraelencate, portò alla formazione di un nuovo assetto del sistema giuridico delle sanzioni in quanto, delle cinque principali forme di pena – esecuzione capitale, pena corporale, pena pecuniaria, bando e detenzione – la reclusione appare come la “più umana” e, al tempo

14 PAVARINI, Lo scopo della pena, in Introduzione al sistema penale, vol. 1 Torino, 1997, p. 292.

15 S’iniziò ad affermare una sorta di funzione della pena sia general preventiva che special preventiva. 16 FOUCALT, Splendore dei supplizi, Sorvegliare, cit. p. 34-75. 17 Per Ferrajoli ci sarebbe stata tale ratio dal codice di Hammurabi fini a Kant e a Hegel, Diritto cit. pp. 384-385. 18 TARELLO, Storia della cultura giuridica moderna cit. p. 389. 19 BECCARIA, Dei delitti e delle pena cit. XXIII.

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stesso, la più funzionale perché graduabile quantitativamente in relazione alla gravità del reato commesso20.

In conclusione, gli illuministi ritengono che la gradualità, la certezza e l’uniformità siano elementi necessari della pena e che il ricorso alla detenzione debba essere necessario. In relazione a tale concezione, le codificazioni del’700 e dell’800 fissarono la prevalenza della detenzione sulle altre forme punitive21, trasformando così

l’incarcerazione, quale forma di segregazione coatta utilizzata soprattutto per la detenzione preventiva o casa di correzione per vagabondi e mendicanti, in sanzione penale. Il diffondersi della pena detentiva ha come conseguenza lo spostamento del problema relativo al rispetto della dignità ed integrità fisica dell’individuo dalla pena al modo di esecuzione della stessa. È di fondamentale importanza, inoltre, indicare come per i riformisti della fine del’700 e dell’inizio del’800, la detenzione carceraria non sia di per sé inumana, brutale o atroce ma tali sono alcuni aspetti della vita in carcere.

Il sovraffollamento, le precarie condizioni igieniche delle carceri e l’inevitabile abbrutimento della personalità dei detenuti diedero luogo ad un vasto movimento riformatore proiettato verso la creazione di un “carcere ideale” caratterizzato dalla disciplina e dalla risocializzazione del detenuto in quanto il carcere, è considerato “strumento di reintegrazione, il contrario della pena che annienta

perché macchina di disciplina”22. Alla fine del XIX secolo infatti, si

assiste ad un miglioramento delle condizioni di vita all’interno delle carceri in quanto si è dato luogo ad un ammodernamento e ampliamento degli istituti penitenziari, miglioramento delle condizioni igienico sanitarie e dell’alimentazione dei detenuti e soprattutto si è attuata una graduale eliminazione delle catene e di altri strumenti coercitivi utilizzati per assicurare la disciplina in quanto lesivi della persona privata della propria libertà. In conclusione però, nonostante i miglioramenti attuati in tal ambito e la speranza di attuare un “carcere ideale”, si è costatato “il tramonto del mito della risocializzazione” del detenuto che ha determinato un 20 V. nota 19 21 PADOVANI, L’utopia punitiva, Milano 1977 p.21.

22 PAVARINI, Concentrazione e diffusione del penitenziario, in La questione

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“pessimismo penalogico”23 ed ha dato luogo a nuove teorie penalistiche, come ad esempio, quella “riduzionista” che enuncia il fallimento della pena utile e della funzione del carcere24.

La tortura giudiziaria, le pene corporali, le condizioni della detenzione, il trattamento dei detenuti e l’umanità della pena detentiva hanno caratterizzato non solo il problema dell’utilizzo della tortura nel corso dei secoli, ma hanno anche interessato la giurisprudenza dell’ultimo secolo, soprattutto in seguito alle numerose brutalità attuate contro gli esseri umani, specie nel periodo relativo alle due guerre mondiali.

4 Conflitti mondiali e orrori del secolo scorso.

Lo scorso secolo è considerato come uno dei più terribili a causa del frequente ricorso alle tecniche di tortura. Durante il primo conflitto mondiale 1914-1918, la popolazione turca pose in essere degli atti efferati nei villaggi armeni, le donne dopo esser state violentate erano sottoposte a crudeli pratiche come il taglio dei seni, l’asportazione delle sopracciglia o delle unghie, mentre agli uomini erano amputati arti.

Nella nuova Unione Sovietica 1919-1950 invece, molti preti furono bruciati vivi e agli ufficiali che si opponevano venivano recisi i testicoli, cavati gli occhi o sfregiato il volto. Tali pratiche furono anche ampliamente adottate durante il secondo conflitto mondiale nei confronti di prigionieri di guerra tedeschi.

Dal 1933 al 1954, i nazisti trasformarono la tortura in una pratica di massa attraverso la nascita dei campi di sterminio in cui venivano deportati ebrei, omosessuali, zingari e dissidenti politici.

Durante il periodo nazista, i prigionieri non erano sottoposti solamente a lavori disumani e a torture ma spesso erano anche usati come cavie umane per atroci esperimenti medici quali sterilizzazione, 23 PAVARINI, Lo scopo della pena, in Introduzione al sistema penale, Torino 1997 p. 309. 24 PAVARINI, Lo scopo della pena, cit. p. 311.“abbiamo confidato che la pena

potesse in alcune occasioni essere una medicina, un rimedio in grado di guarire. Oggi sappiamo che è solo un male, che oltre ad uccidere il corpo sofferente del condannato, non è capace di arrestare l’epidemia criminale. Per il resto, finché non saremo capaci di liberarci della necessità di punire, conviene agire in una strategia riduzionista per limitare il danno delle sofferenze legali”.

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19 castrazione, congelamento e raffreddamento prolungato del corpo ed esperimenti genetici. 4.1 Periodo post bellico. La pace successiva al secondo conflitto bellico, non abolì radicalmente l’utilizzo della tortura; durante la Guerra Fredda, infatti, gli USA ossessionati dalla presunta presenza di spie, crearono il c.d. Kubark ovvero un vero e proprio manuale sull’interrogatorio di controspionaggio basato sul modello delle tre “D”: dependency, debility, dread (dipendenza, debilitazione, terrore).

Attraverso tale sistema, per far confessare i prigionieri si manipolavano le funzioni vitali con privazioni sensoriali (es. assenza di luce), indebolimento fisico, utilizzo di droghe e tormenti vari.

Così la tortura divenne un metodo globale nonostante la crescente attività delle Nazioni Unite e in particolare dell’organizzazione non governativa dell’Amnesty International di reprimerla.

Come, infatti, negli anni 80 sosteneva Leonardo Sciascia «Non c’è

Paese al mondo che ormai ammetta nelle proprie leggi la tortura, ma di fatto sono pochi quelli in cui polizie, sotto polizie e criptopolizie non la pratichino. Nei Paesi scarsamente sensibili al diritto – anche quando se ne proclamano antesignani e custodi – il fatto che la tortura non appartenga più alla legge ha conferito al praticarla occultamente uno sconfinato arbitrio. Che può essere sconfitto solo facendolo venire alla luce».

5 Problematiche sulla definizione della tortura.

Il termine tortura deriva dal latino “torquere” che indica il torcimento del corpo; dal suo significato etimologicamente di carattere generico è passato ad indicare l’azione di torcimento del corpo all’interno della quale rientra qualsiasi forma di coercizione fisica applicata all’imputato o ad altro soggetto processuale con lo scopo di ottenere una confessione o un’altra dichiarazione altrimenti non ottenibile25.

In generale, per tortura si intende qualsiasi forma di coercizione fisica o psichica esterna all’ambito giudiziario o qualsiasi sevizia intesa sia come mera brutalità che come pena corporale.

25DANIELE SCAGLIONE, Tortura in “universo del corpo” Treccani, la cultura

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Contro la tortura, ampliamente vietata dal diritto internazionale in quanto violazione tra le più gravi dei diritti fondamentali dell’uomo, si sono pronunciate più volte le organizzazioni internazionali.

L'art. 1 della Convenzione contro la tortura, approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1984, definisce tortura "ogni atto per mezzo del quale un dolore o delle sofferenze acute, sia

fisiche che mentali, vengono deliberatamente inflitte a una persona da agenti della pubblica amministrazione o su loro istigazione o comunque da altre persone che agiscono in posizione ufficiale […]. Questo termine non si estende al dolore o alle sofferenze che conseguono unicamente da sanzioni legittime e sono inerenti a queste sanzioni od occasionate da esse".

Tale definizione, nonostante sia stata oggetto di molte critiche e dia luogo a numerose problematiche, è quella che ha ottenuto il più ampio riconoscimento a livello mondiale, alla fine del 1998, infatti, la Convenzione era stata ratificata da 122 paesi.

Ai sensi di tale articolo, stabilire che il reato di tortura sia imputabile solo ad esponenti delle pubbliche amministrazioni o a persone che agiscono in posizione ufficiale, esclude la possibilità di perseguire coloro che pongono in essere tale reato nonostante non rientrino all’interno di tale classificazione.

Inoltre l’enunciato, sembra escludere qualsiasi forma di punizione contemplata dalla legislazione di un paese; ne consegue così che possano definirsi come lecite sia le pene corporali previste dall’ordinamento di uno stato, sia le modalità di esecuzione della pena capitale e l’attesa nei bracci della morte.

Su quest'ultimo punto in particolare autorità giudiziarie nazionali hanno dato interpretazioni diverse: per es. il Privy Council, l'organismo giudiziario supremo per tutti i paesi aderenti al Commonwealth, ha fissato in 3 anni il tempo massimo di permanenza in carcere di un condannato a morte, sentenziando che un'attesa più lunga costituisce una forma di punizione non legittima. 5.1 Forme di tortura praticate nel mondo. A causa dell’antico origine e della grande diffusione delle tecniche di tortura è particolarmente complesso dar luogo ad una classificazione delle modalità attraverso le quali tali tecniche vengono praticate; una

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prima distinzione può essere attuata distinguendo la tortura fisica da quella psichica.

Con la prima si fa riferimento alle percosse a mani nude o tramite strumenti contundenti, all’inflizione di scosse elettriche, ai soffocamenti, alle bruciature, alla privazione del sonno, all’estrazione violenta di denti o all’amputazione di altre parti del corpo o all’utilizzo di farmaci o droghe.

Con la seconda si fa riferimento all’inscenamento di una finta esecuzione della vittima, o alla costrizione di assistere alle sevizie inflitte ad un familiare.

Vi sono però dei casi che prescindono dalla distinzione precedentemente attuata, ad esempio, si può far riferimento all’isolamento totale il quale consiste nell’estraniare, allontanandolo, il detenuto dagli altri carcerati. Il soggetto confinato in isolamento, spesso, è rilegato in spazi estremamente piccoli che lo costringono ad assumere una posizione eretta o ancora è confinato in luoghi non illuminati o eccessivamente illuminati sottoponendo così il detenuto ad un ulteriore pena. Al soggetto rilegato in isolamento, inoltre non è consentito l’utilizzo dei servizi igienici. Tra le più comuni forme di tortura è, inoltre, molto diffuso lo stupro il quale non rappresenta solo un atto di violenza ma anche un atto di umiliazione della donna. 5.2 Tortura come frutto di organizzazione e l’attività dell’Amnesty International.

Spesso la tortura viene applicata con un elevato grado di organizzazione che fa presumere come esistano delle vere e proprie scuole di addestramento internazionale a causa della diffusione a livello globale delle tecniche utilizzate26.

Il 60% delle persone entrate in cura presso il Centro per la riabilitazione delle vittime della tortura di Copenaghen è stato seviziato in presenza di medici27; questi ultimi, in tali circostanze,

hanno il compito di identificare i punti deboli sui quali si possono

26ANNAMARIA VERDE. La tortura nel mondo contemporaneo. Tortura in

“universo del corpo” Treccani, la cultura italiana.

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concentrare le torture e di tenere sotto controllo le funzioni vitali della vittima affinché non muoia; essi hanno inoltre il compito di farla rinvenire quando perde coscienza, di somministrarle cure al solo scopo di prepararla a nuove sedute di tortura.

Nel 1996 Amnesty International ha denunciato casi di tortura in 125 paesi; nel 1997 in 117 paesi; nel 1998 l'organizzazione per i diritti umani ha nuovamente rilevato l'uso della tortura in 125 paesi.

Di questi ultimi, 33 sono africani (esclusi i paesi del Maghreb), 21 sono americani, 22 sono asiatici, 31 sono europei, 18, infine, sono mediorientali o maghrebini.

Per quanto riguarda, invece, la tipologia della vittima non è delineabile in modo preciso in quanto sono sottoposti a forme di tortura, generalmente, leader sindacali, attivisti per i diritti umani, esponenti di minoranze politiche o etniche. Ma torture e maltrattamenti spesso sono inflitti a persone accusate di reati comuni, oppure a richiedenti asilo.

6 Definizione di tortura nella normativa

internazionale dei diritti dell’uomo.

Un’analisi della definizione di tortura e di trattamenti inumani, crudeli o degradanti è funzionale per comprendere la portata degli strumenti, posti in essere a livello internazionale, che ne affermano il divieto e che indicano quali sono gli oneri che gravano sui paesi che hanno ratificato le convenzioni e che hanno tra le loro finalità la violazione di tali attività. Chiarire il significato del termine tortura è inoltre fondamentale per impedire agli Stati di utilizzare strumenti ambigui o di discostarsi dal divieto di tortura28. Una prima definizione completa di tortura è indicata all’interno della Dichiarazione sulla protezione di tutte le persone sottoposte a forme di tortura e altre pene o trattamenti inumani, crudeli o degradanti del 1975. All’art.1 di tale convenzione si indica che "torture means any act

by which severe pain or suffering, whether physical or mental, is intentionally inflicted by or at the instigation of a public official on a person for such purposes as obtaining from him or a third person

28 CARMELO DANISI, divieto e definizione di tortura nella normativa

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information or a confession, punishing him for an act he has committed or is suspected of having committed, or intimidating him or other person. It does not include pain or suffering arising only from, inherent in or incidental to lawful sanctions to the extent consistent with the Standard Minimum Rules for the Treatment of Prisoners”. 2. Torture constitutes an aggravated and deliberate form of cruel, inhuman or degrading treatment or punishment”29.

In base a tale definizione, quindi, sin dall’inizio la tortura appare come grave trattamento inumano, inflitto intenzionalmente per il raggiungimento di particolari scopi; nonostante le varie differenti interpretazioni su tale termine, l’art 1 della Dichiarazione costituisce il punto di partenza per la stesura della definizione contenuta nella Convention Against Torture c.d. CAT.

Il disaccordo in ambito di tale definizione, tra i vari stati membri, si concentrò in particolar modo sul secondo comma dell’articolo uno in relazione alla necessaria gravità del trattamento inumano per essere considerato come tortura.

Alcuni stati membri, inoltre, avrebbero voluto escludere il riferimento ai trattamenti inumani e degradanti considerando così solamente la tortura in senso stretto; altri, come la Svizzera, avrebbero voluto includere all’interno del termine tortura ogni trattamento crudele, inumano e degradante. Il compromesso finale fu raggiunto su un testo proposto dalla Svezia, adottato dalla Assemblea Generale il 10 dicembre 1984, nel quale il riferimento ai trattamenti crudeli, inumani e degradanti fu garantito dalle disposizione inserite all’interno dell’articolo 16. L’articolo 16 infatti, prende in considerazione tutti quegli atti che “do not amount to torture” dando così luogo ad un continuum in relazione all’intensità delle sofferenze inflitte e in base al quale la tortura viene considerata come la forma più grave di trattamenti inumani, crudeli e degradanti.

È però, ampiamente diffusa la concezione che, oltre alla relativa severità della sofferenza inflitta alla vittima, il criterio fondamentale che da luogo ad una distinzione chiara tra trattamento degradante e un atto di tortura sia in particolar modo la presenza di uno scopo. In seguito alle controversie relative alla definizione di tortura, la versione finale dell’articolo uno primo comma della CAT afferma che: “Ai fini della presente Convenzione, il termine “tortura” indica

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qualsiasi atto mediante il quale sono intenzionalmente inflitti ad una persona dolore o sofferenze forti, fisiche o mentali, al fine segnatamente di ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso o è sospettata di aver commesso, di intimorirla o di far pressione su di lei o di intimorire o far pressione su una terza persona, o per qualsiasi altro motivo fondato su qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o sofferenze siano inflitte da un agente della funzione pubblica o da ogni altra persona che agisca a titolo ufficiale, o su sua istigazione, o con il suo consenso espresso o tacito. Tale termine non si estende al dolore o alle sofferenze risultanti unicamente da sanzioni legittime, inerenti a tali sanzioni o da esse cagionate”. In conformità a tale nuova e definitiva definizione,nonostante il fatto che la tortura sia definita come “atto”, le garanzie indicate dalla CAT si estendono anche agli atti di omissione degli Stati; il non agire, infatti, può infliggere la stessa sofferenza di azioni effettive. In relazione a quest’ultimo punto, nel 1969 la Commissione Europea dei Diritti dell’Uomo nel caso Danimarca c. Grecia30 si è pronunciata

sostenendo che la privazione di beni primari, quali cibo e acqua, debba essere considerata come un atto di tortura e che, conseguentemente, lo Stato greco dovesse essere condannato. La rigidità di tale definizione è stata necessaria per semplificare l’attuazione della Convenzione da parte degli stati contraenti e il conseguente controllo da parte del Comitato; infatti dopo una prima fase in cui agli Stati Membri non era stato richiesto l’inserimento della definizione di tortura nel loro ordinamento nazionale, lo stesso Comitato ha invitato loro a chiarire in ambito nazionale il significato degli atti proibiti in relazione agli elementi contenuti nell’articolo 1 della CAT31.

6.1 L’intensità del dolore e delle sofferenze.

All’interno dell’articolo 1 della Dichiarazione del 1975 si indica che l’intensità delle sofferenze inflitte sulla vittima sia un elemento necessario per classificare un atto come tortura, ma tale requisito ha

30 Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, 5/11/1969 Greek Case p.461.

31 Comitato contro la Tortura, Conclusions and recommendations of report by Italy under art. 19 of the Convention, 16 luglio 2007.

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dato luogo a delle controversie ai fini di tale classificazione in relazione alla gravità delle sofferenze.

Per esemplificare l’orientamento della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si fa frequentemente riferimento al caso Irlanda c. Regno Unito32, in relazione al quale, per decidere se la Gran Bretagna avesse violato il divieto di tortura nei confronti di sospetti terroristi nordirlandesi per estorcere loro delle informazioni, la Corte ha affermato che le tecniche utilizzate dalle forze della UK costituivano trattamenti inumani e degradanti ma non tortura in quanto non hanno causato nelle vittime una sofferenza tale da poter giustificare una condanna per tortura.

La Corte, infatti, ha affermato che stabilire il livello minimo di sofferenza è relativo e dipendente da più circostanze come la durata del trattamento, gli effetti fisici o mentali prodotti, il sesso e l’età della vittima.

Nonostante la posizione della Corte assunta nel caso Irlanda c. Regno Unito, nel 1999 con il caso Selmouni c. Francia33 la stessa ha sostenuto che “alcuni atti che in passato sono stati classificati quali

trattamenti inumani e degradanti in opposizione a quelli di tortura potrebbero essere classificati differentemente in futuro” motivando

tale nuova visione con la necessità di conformarsi a standard sempre più alti di protezione fondamentali per la tutela dei diritti umani. 6.2 L’intenzione e lo scopo. L’articolo 1 della CAT menzionando il termine “intenzionalmente” per imputare il reato di tortura, denota che se dal contesto si evince che lo Stato possa aver voluto, con l’azione in questione, infliggere sofferenze forti e dolorose, la sua responsabilità internazionale deve essere accertata.

In relazione all’articolo 1 della CAT però, non è sufficiente l’intenzionalità in quanto viene individuato, dall’enunciato in questione, come requisito fondamentale anche il conseguimento di un determinato scopo. La presenza di quest’ultimo è finalizzata a distinguere la tortura da ogni altro comportamento inumano o degradante in quanto solo il primo è caratterizzato da una natura di

32 Corte Europea dei Diritti dell’Uomo 1978.

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atto personalizzato avente il fine di distruggere l’identità e la dignità della vittima.

L’articolo preso in esame, enumera, inoltre, alcuni motivi per i quali gli Stati ricorrono alla tortura facendo così riferimento ad una tortura finalizzata ad ottenere informazioni, a punire o ad intimidire.

Il Gruppo di Lavoro che ha redatto il testo ha dibattuto sulla necessità di inserire o no i vari scopi della tortura all’interno dell’enunciato in quanto si individuava il pericolo di considerare tale lista come definitiva ed esaustiva e non puramente indicativa come era stata invece concepita.

6.3 L’autore del reato di tortura.

In relazione all’articolo 1 della CAT e agli obblighi derivanti dalla sua ratifica ad opera degli Stati membri, particolari problematiche scaturiscono dall’identità del soggetto che si può considerare come autore del reato di tortura.

L’enunciato preso in considerazione utilizza l’espressione “agente

della funzione pubblica o ogni altra persona che agisca a titolo ufficiale” escludendo così i privati dai possibili autori del reato;

nonostante tale considerazione dominante all’interno del Gruppo di Lavoro, alcuni Stati avrebbero preferito estendere l’applicazione di tale Convenzione a tutti gli individui.

Rispetto alla Dichiarazione del’75 la CAT adotta una versione più ampia che include sia “ogni persona che agisca a titolo ufficiale” sia “l’agente statale che può causare una violazione del divieto di tortura

attraverso il suo consenso espresso o tacito”.

In base a quest’ultima precisazione si indica come si parli di responsabilità dello Stato Parte anche nel caso in cui i Governi parte della CAT pur potendo evitare il verificarsi di certe pratiche decidano di non agire.

In base allo status dell’offender, importanti indicazioni provengono dal Comitato contro la Tortura con riferimento ai casi G.R.B. c. Svezia34 e Sadiq Shek Elmi c. Australia35, in relazione al divieto di

estradare una persona se, nel Paese di destinazione, può essere torturata e quindi applicando l’articolo 3 della Convenzione.

34 G.R.B. c. Svezia. Comitato contro la Tortura 15 maggio 1988.

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Mentre nel primo caso sopraenunciato il Comitato ha ribadito che il pericolo derivante da attori non statali non rientra nella protezione fornita dalla CAT, nel secondo viene ampliata l’interpretazione ad opera del Comitato in quanto analizzando la situazione della Somalia, paese in cui S. S. Elmi sarebbe dovuto essere estradato, l’ONU l’ha definita come uno Stato in cui non è presente un Governo centrale ma fazioni combattenti le quali esercitavano molte delle prerogative statali, facendo così in modo che agli attori si applicassero le garanzie previste dalla CAT.

Uno strumento internazionale che non subisce delle limitazioni in relazione all’autore del reato è il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici del 1966, il cui articolo 7 si applica, infatti, a tutti i casi di tortura indipendentemente dalla qualificazione del soggetto che l’ha posto in essere.

Attraverso il General Comment n.20 36 il Comitato dei Diritti Umani ha

ribadito il principio indicato dall’articolo 7 indicando che “la dignità e

l’integrità fisica e mentale di ogni individuo devono essere sempre protette dagli Stati, i quali si devono opporre ad ogni forma di tortura”.

6.4 Le sanzioni legittime.

Al termine dell’articolo 1 della CAT è evidente la volontà del Gruppo di Lavoro di escludere dalle azioni proibite, tutti gli atti che derivano dall’applicazione delle sanzioni previste dalla legge statale evitando così che gli Stati siano condannati a livello internazionale per il normale funzionamento del loro ordinamento giudiziario.

Il vago riferimento alle sanzioni legittime fu oggetto del primo progetto di Convenzione elaborato dalla Svezia che richiamava le “United Nations Standard Minimum Rules for the Treatment of

Prisoners” ovvero, faceva sì che tutti gli Stati Parte della Convenzione

non avrebbero potuto far valere delle sanzioni che, seppur legittime a livello nazionale, erano in contrasto con gli standard internazionali sul trattamento dei detenuti.

Nella sua versione finale, l’articolo 1.1 della CAT presenta un’ambiguità in quanto non chiarisce il concetto di sanzioni legittime e quindi non rende possibile risalire a regole di condotta comuni tra

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gli Stati Parte, causando così discrasie tra il concetto di sanzioni legittime per lo Stato parte e per la Comunità internazionale. Il Comitato contro la Tortura ha evitato a lungo di prendere posizione circa l’interpretazione dell’ultima parte dell’articolo 1; solamente nel 1997 esso si è pronunciato contro l’utilizzo delle pene corporali ed ha raccomandato a paesi come la Namibia di abolire le leggi che fossero in contrasto con il diritto internazionale37. Ad evidenziare la nuova posizione assunta dal Comitato si ha il caso di Jambari c. Turchia38riguardante una donna iraniana che, se estradata dalla Turchia in Iran, avrebbe rischiato le punizioni previste dalla legge islamica per aver commesso adulterio; in tal caso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha indicato come reale il pericolo che la donna fosse torturata anche se la pena prevista era considerata come legittima nel paese in questione. Un ulteriore caso di fondamentale importanza in tal ambito è Soering c. U.K.39, in cui la Corte si è pronunciata sul tema delicato della pena di morte. Il tedesco Soering era accusato di aver commesso degli omicidi negli Stati Uniti d’America, e le autorità americane ne chiedevano l’estradizione dall’Inghilterra dove era stato arrestato. Dato che la pena di morte è costituzionalmente legittima in USA e Soering ne sarebbe stato sottoposto, la Corte Europea ha evitato di giudicare sul merito della pena e si è espressa facendo riferimento alle condizioni personali e di prigionia di un condannato a morte in quanto, secondo i giudici europei, il modo in cui la pena capitale è imposta o eseguita e le modalità di detenzione prima della sentenza possono far valere la responsabilità internazionale dello Stato rispetto alla violazione del divieto di tortura.

Di fondamentale importanza è indicare come in relazione alla contrapposizione tra sanzioni nazionali e impegni internazionali, l’articolo 27 della Convenzione di Vienna sul Diritto dei Trattati enuncia che un Governo non può invocare l’ordinamento giuridico nazionale come giustificazione per la violazione delle disposizioni di un trattato di cui è parte40. 37 Comitato contro la Tortura, Summary records of the 18th session of the Commitee maggio 1997. 38 Corte Europea dei Diritti dell’Uomo 11 luglio 2000. 39 Corte Europea dei Diritti dell’Uomo 7 luglio 1989.

40 Convenzione di Vienna sul Diritto dei Trattati, 1969. Entrata in vigore il 27/1/1980.

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7 Definizione di tortura nel diritto umanitario e

nei Tribunali ad hoc.

Il diritto internazionale umanitario si differenzia dalla normativa internazionale dei diritti umani in quanto si occupa dei conflitti armati estendendo ai soggetti coinvolti la protezione dei diritti umani fondamentali.

In tal ambito, la protezione degli individui coinvolti in un conflitto armato è garantita dalle quattro Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 194941 che hanno in comune l’articolo 3 all’interno del quale si

vietano espressamente nei confronti di coloro che non partecipano attivamente alle ostilità (feriti, malati nei conflitti terresti e marittimi, prigionieri di guerra) “le violenze contro la vita e l’integrità corporale,

specialmente l’assassinio in tutte le sue forme, le mutilazioni, i trattamenti crudeli, le torture e i supplizi” e “gli oltraggi alla dignità personale, in particolare i trattamenti umilianti e degradanti”.

Il divieto di tortura viene riaffermato in numerose disposizioni in relazione a particolari categorie di soggetti, ad esempio, l’articolo 87 della III Convenzione relativa ai prigionieri di guerra o l’articolo 32 della IV Convenzione che proibisce l’omicidio, la tortura, le punizioni corporali, le mutilazioni, le sperimentazioni scientifiche e mediche e infine qualsiasi altro atto brutale commesso da civili o militari rispetto alla popolazione civile.

Poiché all’interno del diritto umanitario non esiste una precisa definizione di tortura, di fondamentale importanza divengono gli elementi relativi al concetto di tortura definito dal Tribunale Penale Internazionale per l’ex- Yugoslavia.

Tale Tribunale ad hoc, istituito il 25 maggio del 1993 con lo scopo di perseguire i crimini commessi nel contesto balcanico mira a sanzionare il crimine di tortura imputandolo direttamente all’individuo che lo ha commesso.

Gli articoli 5 dello Statuto di tale tribunale e l’articolo 7 della Corte Penale Internazionale includono la tortura tra i crimini contro l’umanità e, in quanto tale, ai sensi dell’articolo 29 dello Statuto di Roma42, chiunque li metta in atto è perseguibile senza limiti di tempo. 41 Corpo giuridico di diritto internazionale, noto anche sotto i nomi di diritto di Ginevra, diritto delle vittime di guerra e diritto internazionale umanitario. 42 Statuto di Roma della Corte Internazionale Penale 17 luglio 1998, entrato in vigore l’1 luglio 2002.

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30 Tale atto di tortura, per essere considerato crimine contro l’umanità, deve essere finalizzato a ledere una determinata popolazione civile. I giudici del Tribunale ad hoc, in relazione ai crimini di tortura, hanno fatto riferimento alla definizione inserita nella Convenzione dell’ONU anche se, in alcuni casi43, il contenuto dell’articolo 1 è stato considerato dall’organo ad hoc come parte del diritto internazionale consuetudinario. In relazione al caso Kunarac44 invece, si è sostenuto come non tutti gli elementi della definizione della CAT siano dei requisiti essenziali; si fa in tal caso riferimento alla figura dell’offender che, secondo la Corte, non necessariamente debba essere un pubblico ufficiale. In conformità alla CAT, anche il Tribunale ad hoc, considera elementi centrali della definizione di tortura sia la severità delle pene inflitte che l’esistenza di uno scopo.

Nel caso Delalic45, ad esempio, la Corte si è pronunciata distinguendo i

trattamenti inumani dalla tortura in relazione alla diversità del dolore causato.

Gli autori dello Statuto della Corte Penale, invece, accolgono una diversa interpretazione dei atti proibiti, la quale è espressa all’interno dell’articolo 7.2 : “per tortura si intende l’infliggere intenzionalmente

gravi dolori o sofferenze, fisiche o mentali, ad una persona di cui si abbia la custodia o il controllo; in tale termine non rientrano i dolori o le sofferenze derivanti esclusivamente da sanzioni legittime, che siano inscindibilmente connessi a tali sanzioni o dalle stesse incidentalmente occasionati”.

All’interno dell’articolo appena citato, non si evince alcun riferimento allo scopo o alla identificazione dell’autore della violenza con il pubblico ufficiale, ciononostante l’elemento della custodia e del controllo rimanda all’esercizio di una qualche autorità sulla vittima a cui consegue che l’identità dell’offender, pur non specificata, non si può individuare in un privato.

In conclusione, la presenza di un’interpreazione più ampia dell’identità del colpevole rispetto alla normativa internazionale risponde ad un principio ben preciso rispetto alla base della 43 Procuratore c. Furundzija 10 dicembre 1998, Procuratore c. Zejnil Delalic 16 novembre 1998. 44 Tribunale Penale per la ex- Yugoslavia 22 febbraio 2001, Procuratore c. D. Kunarac. 45 16 novembre 1998 Procuratore c. Z. Delalic.

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giurisdizione dei Tribunali internazionali, del resto, il fatto che l’individuo abbia agito nell’esercizio delle sue funzioni non lo esime dalle sue responsabilità se i crimini commessi sono particolarmente gravi.

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CAPITOLO 2.

Divieto e crimine di tortura nelle fonti di diritto

internazionale

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SOMMARIO: 1. Le prime attività della Comunità internazionale. – 2. Le

Nazioni Unite e la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo. – 3. Le Nazioni Unite e le Convenzioni regionali. – 3.1 Le Nazioni Unite e le Convenzioni regionali: Convenzione americana relativa ai diritti dell’uomo. – 3.2 Le Nazioni Unite e le Convenzioni regionali: Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli. – 4. I diritti della persona umana e il diritto internazionale. – 4.1 I diritti della persona umana e il diritto internazionale: i diritti procedurali dell’individuo per l’applicazione delle norme sui diritti umani. – 5. La nascita di strumenti ad hoc contro la tortura. – 5.1 La nascita di strumenti ad hoc contro la tortura: Convenzione contro la Tortura e altre Pene o Trattamenti Crudeli, Inumani e Degradanti. – 5.2 La nascita di altri strumenti ad hoc contro la tortura. – 6. I Tribunali penali internazionali. – 6.1 I Tribunali penali internazionali: le varie categorie di crimini internazionali dell’individuo.

1 Le prime attività della Comunità internazionale

. Al termine della seconda guerra mondiale, in seguito all’utilizzo e alla diffusione di strumenti volti ad annullare la dignità dell’essere umano, si affermò sempre più la volontà di porre fine alla tortura e ad ogni altra pratica inumana. In tal ambito, di fondamentale importanza furono le numerose azioni della Comunità internazionale e dell’Organizzazione delle Nazioni Unite volte a promuovere e a proteggere i diritti dell’uomo sia a livello internazionale che regionale, confermando come principio fondamentale e inderogabile il divieto del ricorso alla tortura, il quale è considerato valido sia in tempo di pace che in tempo di guerra. Dal 1948 furono emanati una serie di trattati che, istituendo dei meccanismi di controllo, ne hanno rafforzato il divieto e ampliato la sua portata ai trattamenti crudeli, inumani e degradanti.

Come precedentemente indicato, la pronuncia della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in relazione al caso Irlanda c. Regno Unito è considerata come principio per lo sviluppo dei successivi strumenti riguardanti la tortura in quanto ha sostenuto come: “il divieto è

assoluto e, secondo il diritto internazionale, non può esserci alcuna giustificazione per azioni contrarie alle disposizioni che proibiscono la tortura o altri trattamenti inumani46”; è inoltre, ormai ampliamente

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diffusa la concezione che il divieto di tortura sia una norma di diritto internazionale cogente, inderogabile per ogni Stato.

In seguito all’affermazione di tale principio fondamentale e inderogabile, si evince come anche nei confronti della lotta al terrorismo o alla immigrazione clandestina, venga applicato il divieto di espellere, respingere o estradare una persona verso un altro Stato nel quale vi siano seri motivi di ritenere che essa venga sottoposta a tortura c.d. principio di non-refoulement47.

Nonostante vi siano numerosi trattati che diano un contributo all’applicazione del divieto dell’utilizzo della tortura, il testo principale a livello internazionale è costituito dalla Convenzione contro la Tortura e altre Pene o Trattamenti Crudeli, Inumani e Degradanti del 198448 che considera la tortura come una delle più inaccettabili violazioni dei diritti umani.

2 Le Nazioni Unite e la Dichiarazione Universale

dei diritti dell’uomo.

Il 24 ottobre del 1945, in seguito alla conferenza internazionale tenutasi a San Francisco, nacque l’Organizzazione delle Nazioni Unite c.d. ONU avente come scopo il mantenimento della pace e della sicurezza a livello internazionale e la promozione del coordinamento tra i vari Stati. Nel 1948 l’Assemblea Generale dell’ONU adottò la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo al cui articolo 5 si affermava che: “nessun individuo può essere soggetto a tortura o ad

altri trattamenti o punizioni inumane e degradanti”.

In relazione alla Dichiarazione in esame, il presidente della Commissione Eleanor Roosevelt, affermò come tale patto costituiva “in primo luogo una dichiarazione di principi fondamentali destinata a

servire di norma comune a tutte le nazioni e che potrebbe diventare la Magna Carta dell’Umanità” e aggiunse che “essa era paragonabile per la sua importanza alla proclamazione della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo del 1798, a quella della Dichiarazione dell’Indipendenza degli Stati Uniti d’America e alle dichiarazioni

47 Tribunale Penale Internazionale per la Ex Iugoslavia 10 dicembre 1998. 48 Adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Il 10 dicembre 1984. Entrata in vigore il 27 giugno 1987.

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