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Le condizioni di fatto della detenzione: due casi di specie Come indicato nel precedente paragrafo, in relazione alla

costituzionalmente al quale non corrisponde un’adeguata disciplina.

5 Le condizioni di fatto della detenzione.

5.1 Le condizioni di fatto della detenzione: due casi di specie Come indicato nel precedente paragrafo, in relazione alla

problematica del sovraffollamento si distinguono due particolari casi (il caso Sulejmanovic e quello Torreggiani) che meritano un’attenta analisi.

Il caso Sulejmanovic riguarda il caso di un cittadino della Bosnia Erzegovina che era stato condannato a 2 anni e 5 mesi di carcere per rapina aggravata ed altri reati, con il passaggio in giudicato della sentenza il signor Sulejmanovic fu trasferito a Rebibbia dove scontò parte della sua pena, per una durata di 4 mesi e mezzo, in una cella di 16 mq con altri cinque detenuti e lo stesso fu poi trasferito in una cella più grande da cui ebbe origine il ricorso alla Corte europea464.

Attraverso il ricorso a Strasburgo, incentrato sull’articolo 3 della CEDU, il ricorrente sostenne che la vita in carcere, secondo le modalità effettivamente applicate nella struttura carceraria di Rebibbia, costituivano una violazione della norma sopraindicata. Secondo la giurisprudenza della Corte europea, infatti, gli Stati devono garantire ad ogni detenuto “condizioni compatibili con il

rispetto della dignità umana”, senza causare sofferenze che superino

il livello già implicito nella detenzione, considerando inoltre il benessere e la salute del detenuto.

In conformità di tale disposizione, dunque, il Comitato per la Prevenzione della Tortura ha determinato che ogni detenuto debba avere a sua disposizione almeno 7 mq all’interno di una cella e, nello

463Art.69 L. 354 del 1975, Funzioni e provvedimenti del magistrato di sorveglianza.

464 Sulejmanovic c. Italia in “Diritti Umani in Italia, rivista giuridica” del 28 aprile 2015.

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specifico, la raccomandazione del gennaio del 2006465 precisa le condizioni di vita dei detenuti e dei locali in cui quest’ultimi debbano alloggiare.

Nonostante l’indirizzo assunto dalla Corte europea faccia intendere come sia necessario, prima di dichiarare una violazione dell’articolo 3 CEDU, una valutazione caso per caso che tenga in considerazione la vita complessiva del detenuto in carcere, nel caso di specie, invece, la particolare ristrettezza dello spazio a disposizione del ricorrente ha indotto la Corte ad affermare che, al di là di ogni valutazione sulle altre condizioni, si fosse verificata una violazione dell’articolo 3. In conclusione però, bisogna indicare come ad avviso dei giudici europei laddove sussista una situazione di sovraffollamento carcerario, non è sempre necessario considerare altri elementi in quanto, in modo quasi automatico, si può presumere che sia stato violato il divieto di trattamenti disumani e degradanti. Tale indirizzo europeo, però, successivamente ha subito delle modifiche in quanto si è ritornato ad affermare come sia necessario tener conto del quadro generale della situazione carceraria e non del solo sovraffollamento.

La sentenza Torreggiani del gennaio del 2013, invece, costituisce una pesante condanna nei confronti dell’Italia e del suo sistema penitenziario in quanto tale ricorso viene depositato da sette ricorrenti contro il nostro Paese per violazione dell’articolo 3 della Convenzione. Nel caso di specie in esame, i ricorrenti scontavano la propria pena presso gli istituti di detenzione di Busto Arsizio e Piacenza e, dalla descrizione presentata nel ricorso, risultava che dato che ogni cella era occupata da tre detenuti, ognuno di loro aveva a disposizione meno di 3 mq come proprio spazio personale.

La Corte europea in tal caso, afferma sia che lo spazio vitale indicato non sia conforme alle previsioni minime individuate dalla propria giurisprudenza ma anche che la situazione detentiva in esame sia stata aggravata dalle generali condizioni di mancanza di acqua calda per lunghi periodi, mancanza di ventilazione e luce. Tali condizioni, se considerate nel loro insieme, costituiscono una violazione degli

465La raccomandazione n. 2 dell’11.01.2006 definisce che gli Stati devono comporre le esigenze di sicurezza con la necessità che le misure siano “le meno restrittive possibili”.

196 standard minimi di vivibilità determinando così una situazione di vita degradante per i detenuti. Nel caso Torreggiani e altri c. Italia la compensazione pecuniaria per i danni morali subiti in violazione dell’articolo 3, stabilita dalla Corte, è stata quantificata in una somma di circa 100.000 euro per tutti i ricorrenti. La sentenza in analisi, inoltre, merita una maggiore attenzione in quanto, come prima anticipato, affrontando il problema strutturale del disfunzionamento del sistema penitenziario italiano, costituisce una “sentenza pilota” della Corte europea.

In tale occasione Strasburgo, infatti, oltre a valutare la richiesta presentata dai ricorrenti nel caso specifico, identifica i casi che sono da ricondursi ad una medesima categoria e che sono quindi imputabili ad un mal funzionamento comune dello Stato citato in giudizio. Il meccanismo di tale sentenza pilota è dunque una procedura che permette alla Corte, attraverso la trattazione del singolo ricorso, di identificare un problema strutturare, rilevabile in casi simili, e individuare pertanto una violazione ricorrente dello Stato contraente. In conformità a quanto appena affermato, infatti, qualora la Corte riceva molteplici ricorsi derivanti da una situazione simile in fatto e imputabile alla medesima violazione in diritto, vi è la possibilità per la Corte stessa di selezionare uno o più ricorsi per una trattazione prioritaria in applicazione dell’articolo 61 del proprio regolamento di procedura. Tale articolo procedurale, introdotto con la nuova versione del regolamento di proceduta adottata in sessione plenaria nel 2011, stabilendo come condizione che “i fatti all’origine di un

ricorso presentato davanti ad essa rilevano l’esistenza, nello Stato contraente interessato, di un problema strutturale o sistematico o di un’altra simile disfunzione che ha dato luogo alla presentazione di altri analoghi ricorsi” cristallizza una precedente prassi

giurisprudenziale affermatasi a partire dal noto caso Broniowski466 e

chiarisce la base giuridica applicabile467.

La trattazione di una questione attraverso la procedura pilota permette il congelamento degli altri casi simili in attesa della

466 Broniowski c. Polonia ricorso n. 31443 del 1996 sentenza del 28 settembre 2005.

467 GIUSI SORRENTI. La densità delle carceri: dalle condanne della Corte EDU

alla decisione della Corte costituzionale, fino al “seguito” legislativo interno in “consulta online”.

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pronuncia della Corte al fine di consentire una trattazione più rapida e offre allo Stato contraente la possibilità di sanare la propria posizione prima di ulteriori condanne. La ratio evidente di tale norma mira a consentire un minimo sgravio dei carichi pendenti per i casi che trovano soluzione in una già consolidata giurisprudenza della Corte468. Bisogna inoltre specificare come in una sentenza pilota il ruolo della Corte europea non sia solo quello di pronunciarsi sulla violazione della Convenzione nel caso specifico ma anche quello di identificare il problema sistematico e dare precise indicazioni al legislatore nazionale sui rimedi necessari nel rispetto del principio di sussidiarietà, non stupisce quindi l’addebito attribuito al nostro Paese su una questione di costante emergenza. È necessario infine precisare come il rimedio adottato dallo Stato contraente debba essere effettivo e quindi, in conformità con la Convenzione, deve risolvere in modo adeguato il problema del sovraffollamento negli istituti penitenziari. Tale “principio” derivando dall’attuazione dell’articolo 46 della Convenzione, indica che è lo Stato contraente il soggetto tenuto a conformarsi alle indicazioni della Corte in quanto quest’ultime sono dotate di vincolatività e di titolo esecutivo; di conseguenza, la pronuncia in oggetto contro il nostro Paese costituisce un’obbligazione di risultato da ottemperare nel periodo indicato di un anno. In conclusione quindi, la vincolatività della sentenza si esplica nei confronti dello Stato in quanto non rientra nei compiti della Corte il doversi interrogare sulla struttura e il funzionamento della giurisdizione nazionale, tale compito ricade infatti nelle competenze esclusive del legislatore.

Nonostante quanto appena indicato però, nella sentenza Torreggiani è riscontrabile una parziale obbligazione di mezzo nel caso in cui la Corte indichi il ricorso a pene alternative al carcere come possibile soluzione al problema indicato. Bisogna dunque specificare come il “richiamo indirizzato allo Stato per garantire i diritti sanciti dalla Carta

lascia, fino all’intervento legislativo, l’autorità giudiziaria pienamente libera di operare, nell’ambito della propria discrezionalità, le scelte più opportune al caso concreto”.

468ALICE PISAPIA, “carceri: sentenza pilota della Corte di Strasburgo

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Conseguentemente, in virtù di tale discrezionalità l’autorità giudiziaria è anche libera di interpretare le disposizioni legislative nazionali già in vigore, conformemente alle indicazioni della Corte EDU.

La Corte di Strasburgo infatti, nell’indicare al legislatore nazionale l’istituzione e la promozione di misure alternative, opera una scelta di carattere politico-giudiziario e si mostra quale corte di vertice del sistema di garanzie stabilite dalla Carta nei confronti dell’Italia sul problema del sovraffollamento delle carceri e, più in generale, della condizione penitenziaria derivata dalla constatazione di una mancanza protratta di misure strutturali idonee ad operare efficacemente e in modo duraturo nella direzione suggerita dal Consiglio d’Europa.

In conclusione, dunque, all’indomani della sentenza-pilota pronunciata dalla Corte EDU, diviene più facile comprendere anche il nesso tra le condizioni detentive nelle carceri italiane e la tortura, si intravede, infatti, in tale collegamento, un’ulteriore ragione ostativa alla criminalizzazione della tortura469. In conformità a quanto appena affermato, da tempo, la giurisprudenza penale470 ritiene che una

pluralità di condotte violente, vessatorie, umilianti e degradanti da parte degli appartenenti alla polizia penitenziaria ai danni di detenuti in ambiente carcerario, integri il delitto di maltrattamento, ai sensi dell'articolo 572 c.p., nel caso in cui le condotte realizzate siano espressione di una pratica reiterata e sistematica. Ma una volta certificata dai giudici di Strasburgo l’esistenza di una prassi detentiva che viola il divieto di tortura e di trattamenti inumani e degradanti, in ragione di un sovraffollamento carcerario accertato come “strutturale

e sistematico”, sarà necessaria l’imputazione del nuovo reato di

tortura e la ricerca delle relative responsabilità personali.

Dunque, anche in ambito carcerario e, in specifico, del relativo sovraffollamento si avverte la necessità di introdurre una normativa ad hoc del reato di tortura per porre fine a tali condotte lesive dell’articolo 3 della CEDU e, in una logica di prevenzione del reato in questione, andrà ripensata anche l’attuale politica di edilizia penitenziaria.

469 ANDREA PUGIOTTO, Repressione penale della tortura e costituzione:

anatomia di un reato che non c’è. In riv, Diritto penale contemporaneo del febbraio 2014, pp. 146-147.

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6 La Magistratura di Sorveglianza come garante