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L’attuale realtà carceraria italiana ed europea.

costituzionalmente al quale non corrisponde un’adeguata disciplina.

4 L’attuale realtà carceraria italiana ed europea.

Dato che la detenzione, in quanto tale, comprime gravemente i diritti dell’uomo e le libertà fondamentali, se si ammette la legittimità della detenzione come strumento di realizzazione della potestà punitiva statale bisogna necessariamente ammettere anche la legittimità di un certo grado di compressione dei diritti fondamentali.

In conformità a ciò, la Corte europea dei diritti dell’uomo, in sede d’interpretazione della CEDU, ribadisce costantemente la premessa secondo cui la detenzione di un individuo, quando legalmente disposta, non è di per sé lesiva né della dignità della persona426

degli altri diritti fondamentali427 sanciti dalla CEDU, anche se molti di essi possono risultare compressi dallo stato di detenzione.

Bisogna però in tal caso sottolineare come la detenzione possa divenire, invece, lesiva della dignità della persona e dei suoi diritti nel caso in cui si svolga secondo modalità e condizioni tali da oltrepassare la compressione e l’afflizione insite nello stato detentivo e ad esso connaturate. Infatti, se “la detenzione consiste nella limitazione della

libertà personale, ogni sofferenza ulteriore, cagionata in concreto dal pregiudizio degli altrettanto, se non irrinunciabili beni della dignità, della salute, della libertà morale, può a buon diritto essere considerata illegale, prima ancora che disumana”428.

In quest’ultimo caso però si riscontra la problematica dovuta al fatto che stabilire a priori il giusto equilibrio indicando quando determinate restrizioni dei diritti fondamentali comprimibili siano consentite in quanto connaturate alla detenzione e quando risultino invece oltrepassare la misura consentita è impossibile.

Si deve inoltre affermare come neppure la chiara violazione delle norme di diritto penitenziario costituisca di per sé e necessariamente indice della violazione di un diritto fondamentale della persona detenuta. In tal caso si può riportare l’esempio di una situazione di sovraffollamento nelle carceri, caratterizzata dal superamento della

426 Diritto assoluto all’integrità fisica e psichica ai sensi dell’articolo 3 CEDU. 427 Es. diritto alla vita privata e familiare (art. 8 CEDU); libertà fondamentale di religione, espressione e associazione (rispettivamente, artt. 9, 10, 11 CEDU).

428 A. GARGANI, “sovraffollamento carcerario e violazione dei diritti umani:

un circolo virtuoso per la legalità dell’esecuzione penale” in Cassazione penale, n. 03. 2011, pp. 1270-1271

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misura minima di spazio a disposizione di ogni detenuto stabilita dalle norme europee, che risulta a rischio di violazione di diritti fondamentali. Si riporta quindi il caso Sulejmanovic429 in cui il superamento in esame è stato utilizzato dalla Corte EDU per argomentare il carattere inumano o degradante della situazione carceraria, l’esito di tale sentenza, inoltre, non fu considerato scontato proprio in quanto il mancato rispetto delle norme penitenziarie sulla misura minima degli spazi concessi ai detenuti, pur potendo costituire un indice della violazione del diritto fondamentale, non la implica necessariamente e automaticamente. 4.1 L’attuale realtà carceraria italiana ed europea. Le violazioni dei diritti fondamentali: la violenza fisica. La violenza fisicamente esercitata sul corpo del detenuto costituisce la prima e la più grave forma di violazione dei diritti fondamentale di quest’ultimo ed è, oggi, incompatibile con un trattamento penitenziario legittimo, quali che siano gli obiettivi dell’eventuale esercizio di tale violenza (confessione, aiuto nelle indagini, prevenzione speciale) e la condotta del detenuto stesso. Mentre storicamente la violenza fisica sui detenuti veniva facilmente posta in essere, anche in modalità spaventosamente crudeli, costituendo una prassi ricorrente e legittima, in seguito all’abolizione della tortura questa fu vietata. Il divieto di esercitare la violenza fisica sui detenuti ha trovato, in Italia, la sua consacrazione all’interno degli articoli 13 e 27 della Costituzione e, a livello internazionale, con l’affermazione del divieto assoluto e inderogabile di tortura e trattamenti inumani o degradanti430 in vari strumenti internazionali431 e nell’obbligo di sanzionare penalmente gli autori delle violazioni432.

Nonostante la presenza di tale complesso quadro normativo nazionale e sovranazionale, i rapporti del Comitato Onu per i diritti dell’uomo e delle organizzazioni non governative, quali Amnesty

429 Corte europea, sentenza del 16 luglio 2009, Sulejmanovic c. Italia.

430 Da tale divieto deriva, inoltre, il divieto di espulsione o allontanamento dello straniero verso Paesi dove l’interessato corre il rischio di subire trattamenti inumani o di essere sottoposto a tortura.

431 Es. articolo 3 della CEDU e articolo 2 e 3 della Convezione Onu contro la tortura del 1984.

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International e Human Rights Watch, e le cronache recenti raccontano ancora oggi, di una terribile prassi diffusa di violenze nei confronti dei detenuti, che includono atti qualificabili come tortura. Come precedentemente sostenuto, il nostro Paese non è estranio a tali atti di brutalità e di lesione dei diritti umani, di grande rilievo, in relazione all’ambito carcerario, sono infatti le sentenze Labita e Indelicato c. Italia433 nelle quali, nonostante la Corte abbia negato la

violazione dell’articolo 3 della CEDU da parte dello Stato italiano, in quanto la commissione di atti di tortura o di trattamenti inumani o degradanti non risultava provata al di là di ogni ragionevole dubbio, la stessa Corte ha affermato la violazione dell’articolo in questione a causa dell’accertata assenza di indagini efficaci sull’episodio da parte delle autorità nazionali.

Attraverso i casi sopracitati, si riscontra come l’ostacolo principale cui vanno incontro i casi di tortura in sede giurisdizionale internazionale sia proprio quello della difficoltà di prova; le ipotesi di violenza fisica, infatti, non sollevano problemi dal punto di vista della loro qualificazione giuridica434 ma piuttosto dal punto di vista del loro

effettivo accertamento in concreto, quando, come spesso avviene, le autorità statali neghino di fatto la loro commissione. Per risolvere la problematica appena enunciata, la Corte europea tende a basarsi sull’esistenza di un “semplice fumus” ovvero, di elementi di prova non piena che lasciano sospettare l’effettivo verificarsi della violazione in esame e ad attribuire in tal caso allo Stato l’onere di provare che gli atti contestati in realtà non siano stati commessi.

In conclusione, di rilevante importanza oltre alla più “comune” violenza intesa in senso fisco è quella psicologica la quale, essendo finalizzata a piegare la volontà della persona e a indurla alla collaborazione con le autorità, incardina i requisiti per essere considerata come trattamento degradante e quindi riconducibile all’articolo 3 della CEDU.

433 Corte europea, sentenza del 6 aprile del 2000 Labita c. Italia e Corte europea, sentenza del 18 ottobre 2001 Indelicato c. Italia.

184 4.2 L’attuale realtà carceraria italiana ed europea. Le violazioni dei diritti fondamentali: i regimi speciali di detenzione. Un ruolo di particolare rilievo, in relazione al rischio di una violazione dei diritti fondamentali del detenuto, è attribuito ai regimi speciali di detenzione attraverso i quali si prevedono trattamenti penitenziari più severi rispetto a quelli ordinari.

I regimi speciali di detenzione sono previsti in numerosi ordinamenti europei e in relazione al nostro sistema nazionale si può far riferimento sia al “regime del 41-bis” che, ad alcuni circuiti speciali come il c.d. EIV (elevato indice di vigilanza). Questi prevedono in particolar modo forme più o meno incisive di isolamento dalla comunità carceraria e dal mondo esterno, ad esempio, attraverso una limitazione ai contatti sia interni che esterni435.

Il regime del 41-bis fu introdotto dalla Legge Gozzini436 che nel 1986 modificò la Legge n. 354, in relazione alle gravi situazioni di emergenza verificatesi all’interno degli istituti carcerari. La norma in questione inizialmente aveva carattere di temporaneità in quanto la sua efficacia era limitata ad un periodo di tre anni dall’entrata in vigore della legge di conversione ma successivamente questa fu prorogata più volte437 e, dopo la strage di Capaci del’92 in cui persero

la vita Giovanni Falcone, la moglie e gli uomini della sua scorta, il 24 maggio del 2002, il Consiglio dei Ministri approvò un disegno di legge di modifica degli articoli 4-bis e 41-bis, poi approvato dal Parlamento come Legge del 23 dicembre del 2002 n. 279438, il quale prevedeva

che il provvedimento ministeriale non poteva essere inferiore ad un anno e non poteva superare i due e che le proroghe successive potessero essere di solo un anno ciascuna.

Il regime del 41-bis denominato come il “regime di carcere duro”, fu esteso, oltre agli esponenti della criminalità organizzata, anche ai

435 Visite, colloqui, accesso a informazioni provenienti dall’esterno. 436Legge 10 ottobre 1986, n. 663.

437 La sua efficacia fu prorogata una prima volta fino al 31 dicembre del 1999, una seconda volta fino al 31 dicembre del 2000 una terza volta fino al 31 dicembre del 2002.

438Legge 23 dicembre 2002, n. 279 Modifica degli articoli 4-bis e 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di trattamento penitenziario.

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condannati per terrorismo ed eversione439. In relazione ai limiti temporali di tale disposizione normativa è importante affermare come la Legge n. 94 del 2009440 li abbia modificati ulteriormente prevedendo una durata di 4 anni e in relazione alle proroghe una durata di due anni ciascuna.

Il regime del carcere duro prevede infatti, al suo secondo comma, che

“ Quando ricorrano gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica, anche a richiesta del Ministro dell'interno, il Ministro della giustizia ha altresì la facoltà di sospendere, in tutto o in parte, nei confronti dei detenuti o internati per taluno dei delitti di cui al primo periodo del comma 1 dell'articolo 4-bis, o comunque per un delitto che sia stato commesso avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l’associazione di tipo mafioso, in relazione ai quali vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con un'associazione criminale, terroristica o eversiva, l'applicazione delle regole di trattamento e degli istituti previsti dalla presente legge che possano porsi in concreto contrasto con le esigenze di ordine e di sicurezza. La sospensione comporta le restrizioni necessarie per il soddisfacimento delle predette esigenze e per impedire i collegamenti con l'associazione di cui al periodo precedente”.

Per quanto riguarda invece il regime speciale c.d. EIV (elevato indice di vigilanza)441 è necessario indicare come questo sia stato “in teoria”442 abolito in quanto il DAP (Dipartimento dell’amministrazione

penitenziaria) ha deciso con una circolare di disciplinare diversamente i circuiti per i detenuti ritenuti più pericolosi443.

L’assegnazione al circuito in questione avveniva per coloro i quali avevano commesso delitti con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico mediante compimento di atti di violenza, nonché per i soggetti provenienti dal regime del 41-bis a seguito della

439 Riv. CORRIERE DELLA SERA, Carcere duro: il 41 bis esteso ai terroristi. P. 19 (25 maggio 2002).

440Legge 15 luglio 2009, n. 94 Disposizioni in materia di sicurezza pubblica. 441circuito ad Elevato Indice di Vigilanza (cosiddetto EIV) istituto con circolare n. 3479 del 9 luglio 1998.

442 Ho messo in evidenza il termine “in teoria” in quanto tale sistema più che abolito è stato notevolmente riformato.

443La creazione dei circuiti penitenziari differenziati ha la sua origine in un provvedimento del 20 gennaio del 1991 che portava la firma dell’allora direttore generale Niccolò Amato.

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revoca dello stesso purché in passato inseriti nel vertice delle associazioni mafiose.

Il regime penitenziario dell’EIV era simile all’Alta sicurezza, da cui si distingueva unicamente per la diversa collocazione logistica, in seguito alla sua abolizione da parte del DAP, e alla nuova “stesura” delle assegnazioni dell’Alta Sicurezza444, a quest’ultima furono attribuite le competenze dell’EIV.

In seguito alle modifiche apportate dalla circolare in questione, all’interno dell’Alta sicurezza si distinguono tre sotto-circuiti445 con medesime garanzie di sicurezza e finalizzate alla gestione di detenuti particolarmente pericolosi. In relazione a tale struttura trifasica è importante indicare come le Direzioni degli istituti avranno l’onere di porre all’attenzione del DAP l’elenco dei detenuti che, alla luce delle nuove disposizioni, non hanno più titolo per permanere nel circuito Alta Sicurezza e dovranno essere quindi trasferiti nel circuito di “gravità inferiore”446.

Secondo la Corte europea tali regimi sono in linea di principio legittimi - fatta eccezione per quelli che prevedano eventualmente il totale isolamento sensoriale e sociale - tuttavia possono entrare in conflitto con l’articolo 3 e con l’articolo 8 della CEDU, di conseguenza, per verificare la presenza di una eventuale violazione, è necessario procedere ad una analisi caso per caso tenendo conto della gravità della restrizione, della durata, dell’obbiettivo, dell’età, della salute, del sesso e degli eventuali effetti sulla persona.

444È una sezione del carcere in cui sono riuniti tutti i condannati per reati di tipo associativo (mafia, traffico di droga, etc.), che sono sottoposti ad una sorveglianza più stretta rispetto ai detenuti comuni.

445Il primo circuito c.d. A.S. 1 è dedicato al contenimento dei detenuti e internati appartenenti alla criminalità organizzata di tipo mafioso, nei cui confronti sia venuto meno il decreto di applicazione del regime di cui all’art. 41 bis. Nel circuito A.S. 2 sono inseriti automaticamente i soggetti imputati o condannati per delitti commessi con finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza. Infine il circuito A.S. 3 sarà dedicato alla popolazione detenuta per mafia, sequestro di persona, traffico internazionale di sostanze stupefacenti.

446 Riv. COMUNE.FI, Circuito Elevato Indice Vigilanza abolito anzi riformato, 4 luglio 2009.

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In relazione ai regimi speciali è possibile citare alcune rilevanti sentenze tra cui il caso Ilascu del 2004447, relativo ad un gruppo di detenuti in attesa di esecuzione mantenuti in stretto isolamento per una durata di 8 anni, senza possibilità di contatti con altri detenuti, accesso a informazioni provenienti dall’esterno, possibilità di corrispondenza e di contatti con avvocati o di visite regolari, in una situazione di carenza igienico sanitarie, di riscaldamento e di cibo le quali sono qualificabili come tortura ai sensi dell’articolo 3 della CEDU. Un ulteriore caso di specie è rappresentato dal caso Ramirez Sanchez del 2006, relativo ad un detenuto per terrorismo mantenuto in isolamento per otto anni, con accesso a TV, giornali, possibilità di visite da parte dei familiari e dei legali, in tal caso però la Corte non riscontrò una violazione dell’articolo 3 della CEDU anche se ha affermato come la durata di applicazione del regime speciale non debba essere eccessivamente prolungato.

In relazione al nostro regime del 41-bis, mentre la Corte costituzionale italiana l’ha ritenuto più volte non contrastante con il divieto di pene inumane sancito dall’articolo 27 della Costituzione, la Corte europea ha affermato che, pur trattandosi di un regime particolarmente severo, esso costituisce una forma di isolamento sociale relativo non contrastante con l’articolo 3 della CEDU e giustificato dalla pericolosità dei detenuti ad esso sottoposti e dalla legittima tutela dell’ordine pubblico. Il regime del 41-bis, nonostante sia conforme all’articolo 3 della CEDU, è stato successivamente contestato sotto il profilo procedurale per violazione degli articoli 6 e 13 della CEDU a causa dell’insufficiente previsione di rimedi giudiziari contro l’applicazione o l’inasprimento della misura. 4.3 L’attuale realtà carceraria italiana ed europea. Le violazioni dei diritti fondamentali: le perquisizioni personali. I regimi speciali di detenzione, sopraindicati, prevedono normalmente un generalizzato inasprimento delle diverse misure coercitive che, combinate tra loro, determinano il regime penitenziario nel suo complesso. Tra tali misure coercitive si distinguono in primo luogo le

447 Corte europea, sentenza dell’8 luglio 2004, Ilascu e altri c. Russia e Moldova.

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perquisizioni personali, disciplinate dall’articolo 34 o.p.448, le quali rappresentano in genere parte integrante del trattamento penitenziario. La Corte europea dei diritti dell’uomo si è trovata a dover giudicare in varie occasioni della compatibilità con la Convenzione delle perquisizioni personali effettuate sui detenuti, affermando in proposito che tali operazioni possono risultare incompatibili con l’articolo 3 della CEDU se effettuate in modo eccessivamente invasivo o lesivo della dignità personale.

Un esempio di lesione dell’articolo 3 è rappresentato dal caso Van der ven449 in cui la Corte ha ritenuto raggiunta la prova del superamento

della soglia, che ha dato luogo alla violazione in questione.

In relazione ad altri casi, invece, che hanno visto coinvolto il nostro Paese in relazione all’uso delle perquisizioni personali invasive, la Corte ha ritenuto che non fosse stata raggiunta la prova del fatto che tali misure coercitive erano avvenute con modalità lesive della dignità umana450. 4.4 L’attuale realtà carceraria italiana ed europea. Le violazioni dei diritti fondamentali: le limitazioni alla socialità del detenuto.

Una diffusa modalità europea relativa all’inasprimento penitenziario consiste nel limitare la possibilità di contatti umani e sociali all’interno del carcere, tale misura aggiungendosi alla privazione della libertà rende quest’ultima ancora più gravosa. In tal ambito, in Italia, la Cassazione ha legittimato la possibilità di infliggere l’isolamento diurno al detenuto sottoposto all’ergastolo, causando così molte critiche della dottrina.

Il Comitato Onu ha in tal caso affermato che l’isolamento può costituire trattamento inumano o degradante se prolungato, anche se la valutazione sul superamento di tale soglia dipende in genere dalle condizioni complessive del trattamento. A livello europeo, invece, la Corte europea ha affermato che l’isolamento dei detenuti costituisce

448 L’articolo 34 o.p. afferma in linea di principio la legittimità di tali perquisizioni, nel rispetto della persona.

449 Corte europea, sentenza del 4 febbraio del 2003, caso Van der ven c. Paesi Bassi.

450 Corte europea, sentenza del 4 marzo del 2008, Cavallo c. Italia o Corte europea, sentenza del 27 marzo del 2008, Guidi c. Italia.

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una misura particolarmente indesiderabile, da adottare solo per ragione eccezionali. La stessa ha inoltre affermato che non risulta contrario alla Convenzione il semplice isolamento dalla comunità carceraria disposto per ragioni di sicurezza, purché rimanga la possibilità di avere contatti con il personale penitenziario, medico e religioso, gli avvocati e i parenti e di aver accesso a giornali, radio e televisione. Tra i casi di violazioni può essere, ad esempio, richiamato il caso X c. Turchia451 relativo a un detenuto omosessuale che era

stato isolato dal resto della comunità carceraria, in violazione degli articoli 3 e 14452 della CEDU.

Un’altra tipica forma di limitazione delle libertà fondamentali dei detenuti, è costituita dalla limitazione, più o meno accentuata, della possibilità di contatti con i familiari e più in generale con il mondo esterno al carcere, disciplinata dagli articoli 18 e 28 dell’ordinamento penitenziario.

In tal ambito, la giurisprudenza dell’Onu evidenzia una persistente diffusione della c.d. incommunicado detention ovvero della forma di detenzione, tipica soprattutto di alcune dittature degli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, caratterizzata dal fatto di svolgersi in luogo segreto, con conseguente impossibilità per il detenuto di incontrare familiari e terzi estranei al carcere. Il comitato Onu per i diritti umani ha generalmente negato che tale pratica costituisca vera e propria tortura, ma ne ha affermato la natura di trattamento inumano o degradante, specie se attuata per lunghi periodi.

In Italia, l’esempio più rilevante di forma d’isolamento o di allontanamento dal mondo esterno è rappresentato dal già citato regime del 41-bis, il quale prevede varie limitazioni alle visite familiari e ai colloqui telefonici, nonché forme di limitazione e censura della corrispondenza. Tali limitazioni sono state invece ritenute da Strasburgo non incompatibili con l’articolo 8 della CEDU, fatta eccezione per il regime di limitazione della corrispondenza, che in diverse pronunce è stato ritenuto invece lesivo di tale articolo in quanto la legge sull’ordinamento penitenziario non risultava sufficientemente chiara in merito alla natura delle possibili restrizioni453. Le limitazioni sopracitate che interferiscono con i diritti

451 Corte europea, sentenza del 9 ottobre del 2012, caso X c. Turchia. 452 Articolo 14 CEDU: divieto di discriminazione.

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fondamentali, costituiscono una tipica conseguenza generalmente connessa allo stato di detenzione.

Nel nostro Paese, il godimento di tali libertà “dovrebbe” essere garantito a tutti in seguito all’entrata in vigore della Costituzione, all’interno di quest’ultima, infatti, si riconosce anche al detenuto il diritto all’istruzione, al lavoro, alle attività religiose e culturali e lo stesso è tutelato da eventuali lesioni dei suoi diritti dinanzi al giudice ordinario454. In tal ambito è rilevante il livello europeo, all’interno del quale la Corte ha affermato la necessità di garantire il rispetto di tali diritti e libertà anche ai detenuti anche se nei limiti della condizione carceraria. 4.5 L’attuale realtà carceraria italiana ed europea. Le violazioni dei diritti fondamentali: la durata del trattamento penitenziario, l’ergastolo e la detenzione di soggetti in età avanzata o in precarie condizioni di salute.