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Articolo 3 della Convenzione: la sanzione penale e le pene vietate.

Il divieto enunciato all’interno dell’articolo 3 della Convenzione, ha una duplice valenza in ambito di sanzione penale in quanto da un lato, vieta alcune tipologie di pene e dall’altro, indica che l’esecuzione di una determinata sanzione penale debba avvenire nel rispetto della dignità umana e che quindi, non debba causare un’ulteriore “sofferenza” rispetto a quella insita in ogni pena.

La Corte, infatti, ha valutato il grado di compatibilità con la CEDU delle pene corporali e, indirettamente, anche della pena di morte.

Nonostante, in ambito europeo, le pene corporali non vengano più previste all’interno dei codici dei Paesi membri, vi sono stati diversi ricorsi183 ai sensi dell’articolo 3 della CEDU per inflizione di tale tipologia sanzionatoria dinanzi la Corte di Strasburgo.

Di fondamentale importanza è, in tal caso, la situazione che si è verificata nell’isola britannica di Man in relazione all’affare Tyrer184;

nel caso di specie, infatti, nonostante l’isola in oggetto sia situata tra l’Inghilterra e l’Irlanda, questa è dotata di un parlamento proprio e di un particolare sistema giuridico.

In relazione a tale sentenza la Corte ha ritenuto la pena della frusta comminata nei confronti di un minorenne, ritenuto colpevole di aggressione, incompatibile con l’articolo 3 della Convenzione in quanto violenza istituzionale lesiva sia della dignità, sia dell’integrità fisica del ricorrente in grado di produrre sentimenti di angoscia e quindi, trattamento degradante.

Sempre in relazione alla situazione britannica e all’utilizzo delle pene corporali, è da sottolineare l’ampio numero di ricorsi, posti in essere in relazione alle tipologie di “punizioni” utilizzate nelle scuole del territorio inglese e scozzese, i quali però non hanno sempre dato luogo a sentenze della Corte in quanto vi sono stati dei regolamenti amichevoli con i quali il Governo convenuto e i ricorrenti sono pervenuti ad un accordo concernente una riparazione di carattere pecuniario185. 183 Es. Corte, 25 febbraio 1982, Campbell e Cosans c. Regno Unito. Serie A n. 48; Corte Tyrer c. Regno Unito sentenza del 25 aprile 1978; Corte, 25 marzo 1993 , Costello- Roberts c. Regno Unito. 184 Corte, Tyrer c. Regno Unito sentenza del 25 aprile 1978. 185 A. ESPOSITO, La proibizione della tortura, pp. 62- 64.

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Una situazione di questo genere si è presentata nel caso Campbell e Cosas186 in cui la Corte, intervenendo sulla pratica del c.d. tawse187, in uso nelle scuole inglesi e scozzesi come sanzione disciplinare, ha sostenuto che non si era riscontrata alcuna violazione dell’articolo 3 della Convenzione in quanto i ricorrenti non erano stati sottoposti al tipo di pena in esame e che, in tal caso, non erano state fornite sufficienti prove attestanti che il rischio di subire la pena corporale avesse prodotto effetti di natura psicologica o fisica negli studenti. Di grande rilevanza, ai fini giurisprudenziali, è la sentenza Costello - Roberts c. Regno Unito188 in cui la Corte, non ritenendo la punizione

corporale inflitta sufficientemente grave, non ha riscontrato una violazione dell’articolo 3 della Convenzione ed ha inserito all’interno della propria pronuncia due importanti affermazioni di principio. La prima riguarda il rapporto della Commissione del 8 ottobre 1991189, all’interno del quale l’articolo 8190 della Convenzione è stato elevato a

rango di norma sostitutiva dell’articolo 3 in quanto offre, a volte, una protezione più ampia. L’organo in questione, infatti, afferma che la nozione di vita privata, ai sensi dell’articolo 8, si estende anche all’integrità fisica della persona e “la protezione accordata

dall’articolo 8 all’integrità fisica della persona può essere più ampia di quella prevista dall’articolo 3”191, inoltre la Commissione ha ritenuto

che una punizione corporale è un’ingerenza nella vita privata che, non trovando “alcuna giustificazione di ordine sociale, pedagogico,

sanitario o morale192”, costituisce una violazione dell’articolo 8 della Convenzione.

La seconda importante affermazione di principio, all’interno della sentenza della Corte, indica la possibilità, anche indiretta, di applicare le previsioni convenzionali quando la condotta che sostituisce

186 Corte, 25 febbraio 1982, Campbell e Cosans c. Regno Unito. Serie A n.48. 187Il tawse è un cinturino di pelle rigida con due code ed era universalmente usato per frustare il palmo delle mani nelle scuole scozzesi fino a circa la metà degli anni 1980. 188 Corte, 25 marzo 1993 , Costello- Roberts c. Regno Unito, Serie A, n. 247- C. 189 Commissione, rapp. 8 ottobre 1991, ricorso n. 12124/87. 190 Articolo 8 CEDU: Diritto al rispetto della vita privata e familiare. 191 Commissione, rapp. 8 ottobre 1991, ricorso n. 12124/87 cit. par. 4. 192 Commissione, rapp. 8 ottobre 1991, ricorso n. 12124/87 cit. par. 53.

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violazione è materialmente realizzata da un privato193. La Corte infatti afferma che “il trattamento incriminato, pur inflitto dal direttore di un

istituto scolastico privato, è di natura tale da comportare la responsabilità del Regno Unito ai sensi della Convenzione, se si dimostra incompatibile con l’articolo 3, con l’articolo 8 o con entrambi”194.

In conclusione quindi, secondo la giurisprudenza di Strasburgo, in presenza di lesioni agli altrui diritti causati dai privati “pur non

essendo autore di tali interferenze, lo Stato ne è comunque responsabile ed ha l’obbligo di intervenire e prevenirle”195; si crea così

una responsabilità degli Stati per ogni atto di violazione dei diritti dell’uomo commesso sul suo territorio in quanto unico responsabile sul piano internazionale è lo Stato contraente.

7.1 La CEDU e la pena di morte: il caso Soering.

L’articolo 2 della Convenzione, enunciando il diritto alla vita, ammette espressamente la pena di morte circoscrivendola di particolari garanzie giurisdizionali a tutela dell’individuo.

Solamente nel 1983, in seguito alla ratifica del Sesto Protocollo addizionale alla Convenzione196, relativo alla pena di morte, che gli Stati membri, attraverso il relativo articolo 1, indicano che “La pena di

morte è abolita. Nessuno può essere condannato a tale pena né giustiziato.”

La Corte di Strasburgo si è pronunciata, per la prima volta, sulla pena capitale nel 1989 con la sentenza Soering197, soffermandosi

particolarmente sui rapporti tra la pena in esame e l’articolo della Convenzione ma è solamente con la sentenza Kirkwood198 che ha considerato la possibilità, per la prima volta, che la pena capitale 193 Applicazione “orizzontale” della Convenzione in Clapham, Human Rights in the Private Sphere. 194 Corte, 25 marzo 1993 , Costello- Roberts c. Regno Unito, Serie A, n. 247-C par. 28. 195 EVIRIGENIS, in Recent Case-Law of The European Court of Human Rights on Article 8 and 10 of European Convention on Human Rights, HRLJ 1982, p. 121. 196VI Protocollo addizionale alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali relativo all'abolizione della pena di morte firmato a Strasburgo il 28 aprile 1983.

197 Corte, Soering c. Regno Unito sentenza del 7 luglio 1989. 198 Commissione, Kirkwood c. Regno Unito, 1985 DR, 158 p.184.

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potesse porsi in contrasto con l’articolo 3 nonostante fosse consentita all’articolo 2 par.2 della stessa Convenzione.

La vicenda del caso Soering199 riguarda il caso di un giovane cittadino tedesco che dopo aver commesso in Virginia un duplice omicidio200

con la complicità della propria ragazza, fugge insieme a quest’ultima in Inghilterra dove, successivamente, vengono arrestati per reati contro il patrimonio. In seguito all’arresto, sia gli Stati Uniti che la Repubblica federale tedesca chiedono all’Inghilterra l’estradizione di Soering ma poiché questo sarebbe stato sicuramente sottoposto alla pena capitale, lo Stato britannico chiede alle autorità statunitensi, ai sensi del trattato anglo-americano del 1972201, che in caso di

irrogazione di pena capitale, questa non venga eseguita.

Il Ministero dell’Interno inglese, ritenendo sufficienti le garanzie offerte dal procuratore statunitense in relazione alla mancata esecuzione della sanzione, dispone il provvedimento di concessione dell’estradizione verso gli USA.

Nel frattempo però, Soering aveva presentato istanza agli organi di Strasburgo lamentando una violazione degli articoli 3, 6 e 13 della Convenzione e la Corte, evitando di affermare che la pena di morte costituisse una violazione dell’articolo 3 della CEDU, ha stabilito che l’estradizione202 del ricorrente verso gli Stati Uniti era incompatibile

con le previsioni dell’articolo in questione, in relazione al serio rischio di trattamenti disumani e degradanti e per le sofferenze che Soering avrebbe patito durante la sua permanenza nel c.d. corridoio della morte.

Alla base della suddetta affermazione della Corte si pongono tre principi concernenti: la responsabilità dello Stato richiesto, la

199 Per quanto riguarda il caso in questione v. Marotta, Responsabilità dello Stato estradante con riferimento all’articolo 3 della Convenzione. Considerazioni sulla sentenza Soering, in RIDU 1989 p. 439; Damato, Estradizione e divieto di trattamenti inumani o degradanti nella Convenzione Europea dei diritti dell’uomo 1991 p.648.

200 Soering e la fidanzata uccisero i genitori di quest’ultima. 201 Trattato anglo-americano di estradizione del 1972.

202 I principi affermati nella sentenza Soering in relazione all’estradizione del ricorrente sono applicabili anche alle espulsioni ed, in genere, a ogni caso di allontanamento forzato dalla propria giurisdizione operato da uno Stato membro es. Corte, 15 novembre 1996, Chahal c. Regno Unito; Raccolta 1996 p. 1853.

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valutazione del rischio di condotta incompatibile con l’articolo 3 e il superamento della soglia di gravità.

1)Responsabilità dello Stato richiesto: la Corte ha riaffermato la

responsabilità, ai sensi dell’articolo 3 della CEDU, degli Stati membri in relazione alle prevedibili conseguenze di estradizione203 e la necessità di assicurare una tutela concreta ed effettiva dei diritti garantiti dalla Convenzione204. La novità di tale pronuncia è data dall’estensione di tali principi anche nei casi in cui lo Stato che richiede l’estradizione non sia Parte della CEDU in quanto l’articolo 3 impone un obbligo implicito per i membri della CEDU di non estradare verso Paesi in cui vi sia il rischio, per l’estradando, di subire pene o trattamenti disumani o degradanti, indipendentemente dall’essere il Paese di destinazione vincolato o meno ai principi convenzionali.

In tal caso però non si crea, per la Corte, un’efficacia extraterritoriale delle previsioni convenzionali in quanto non si pone alcuna questione di stabilire la responsabilità di uno Stato che non sia parte della Convenzione205; l’unica responsabilità in gioco era quello dello Stato

concedente l’estradizione pur nella consapevolezza del pericolo di violazioni di diritti fondamentali al di fuori della propria giurisdizione206.

2)Valutazione del rischio: un ulteriore nuovo dato, derivante dalla

pronuncia della Corte, è la presenza di un’allegata violazione potenziale e non reale dei diritti garantiti ovvero la possibilità che un comportamento, non ancora verificatosi, potesse risultare incompatibile con i principi convenzionali. In relazione al caso in esame, infatti, la Corte si era semplicemente confrontata con la questione dell’esistenza del concreto pericolo per Soering, tornato in Virginia, di condanna alla pena capitale con la conseguente permanenza nel c.d. death row.

Mentre nel caso Campbell del 1982, la Corte aveva ritenuto che il semplice timore di una condotta vietata potesse violare l’articolo 3 solo nel caso di una sua immediata e reale verificazione, nel caso Soering la stessa ha operato un giudizio sul rischio di violazione

203 Il principio appena menzionato era già stato affermato dalla Commissione nella sentenza Kirkwood c. Regno Unito del 1984 DR, 37. 204 Corte, Soering c. Regno Unito cit. par. 87.

205 A. ESPOSITO, La proibizione della tortura, pp. 65-67. 206 Corte, Soering par. 33-34.

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compiendo un’opera di generalizzazione ed ha stabilito che un’estradizione contrasta l’articolo 3 “quando vi sono seri ed

accertati motivi di credere che, se estradato, l’interessato incontrerebbe un reale rischio di essere sottoposto ad un trattamento disumano e degradante nello Stato richiedente”207.

In conclusione, la Corte ha affermato che vi erano “consistenti motivi

di credere che Soering correva un reale rischio di essere condannato a morte e dunque di subire la sindrome del braccio della morte”208 in

quanto, la misura rilevante del rischio di subire un trattamento vietato sembra essere, per la Corte quello della “probabilità”con relativo obbligo dello Stato di dimostrare che la violazione della Convenzione nello Stato richiedente è altamente improbabile209. 3)Nozione di pene o trattamenti disumani e degradanti: la Corte ha

riaffermato che la “sindrome del braccio della morte” costituiva trattamento o pena disumana e degradante ai sensi dell’articolo 3 della CEDU. L’organo in questione, per indicare “il superamento della

soglia di gravità” e quindi l’integrazione di trattamenti e pene

disumane e degradanti, ha tenuto conto dello stato di salute del ricorrente, della sua età, delle condizioni del regime di sorveglianza nel corridoio della morte, la durata della sua permanenza e dalla possibilità di estradare Soering verso la Germania.