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Il conflitto fra trattamento penitenziario e diritti fondamentali La sua origine e la sua

costituzionalmente al quale non corrisponde un’adeguata disciplina.

2 Il conflitto fra trattamento penitenziario e diritti fondamentali La sua origine e la sua

evoluzione.

Il rapporto fra trattamento penitenziario e diritti individuali fondamentali, da sempre conflittuale, è un tema molto attuale nonostante le sue antiche origini. Fino al Settecento, infatti, la storia del carcere è stata caratterizzata da abusi e da sopraffazione dell’autorità pubblica nei confronti dell’individuo privato della propria libertà, in tale frangente storico, l’eventuale disciplina dei luoghi di reclusione di coloro che erano “detenuti”mirava esclusivamente alla migliore realizzazione di scopi afflittivo/retribuitivi e di tutela dell’ordine pubblico, senza tener conto dei principi di umanità e di garanzia della dignità e dei diritti dei detenuti415.

La tortura e i trattamenti inumani e degradanti costituivano, quindi, una prassi in quanto i soggetti privati della libertà, erano in genere privi di qualsiasi diritto e si trovavano in una condizione di assoluta soggezione nei confronti del potere e della autorità. In conformità a tale disparità di “potere e di diritti” è inoltre necessario indicare come, in tal periodo, mancavano sia le norme che sanzionavano, a tutela dei detenuti, eventuali abusi commessi dall’autorità nei confronti degli stessi che l’idea stessa dell’esistenza di diritti individuali fondamentali e inviolabili.

La situazione appena descritta subisce un cambiamento in seguito all’affermarsi dell’illuminismo416 e del consequenziale riconoscimento,

414 La legge 193 del 2000, c.d. Smuraglia (ha come finalità non solo la punizione del condannato ma anche la sua rieducazione), prevede la possibilità per imprenditori privati e cooperative di usufruire di esenzioni fiscali e contributive per quanto concerne le possibilità di assumere detenuti, offrendo pertanto ai medesimi una concreta opportunità di iniziare un’attività produttiva.

415 A. GABOARDI, A. GARGANI, G. MORGANTE, A. PRESSOTTO, M. SERRAINO.

Libertà dal carcere, libertà nel carcere, pp. 5-7.

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anche normativo, di diritti umani fondamentali in capo ad ogni individuo. Tale riconoscimento ha delle ripercussioni anche in ambito detentivo in quanto, in seguito alle iniziative legislative di alcuni legislatori illuminati, si assiste sia ad una progressiva umanizzazione dell’esecuzione delle pene detentive, attraverso la messa al bando di pratiche lesive della dignità e della personalità dei detenuti tra cui si distingue la tortura, che alla progressiva fissazione di regole e principi che disciplinano in modo sempre più preciso la vita carceraria e che diminuiscono il grado di discrezionalità dell’autorità dando così luogo sia alla nascita dei primi penitenziari in senso moderno che all’applicazione di prassi meno crudeli.

Nonostante l’affermarsi dei principi illuministici di umanità della pena detentiva e dell’abolizione, con il consequenziale divieto, di tortura aventi come finalità la salvaguardia dell’individuo detenuto o comunque sottoposto alla coercizione dell’autorità, la regolamentazione normativa delle carceri e l’affermazione dell’idea del “trattamento penitenziario417” hanno continuato ad ispirarsi più al soddisfacimento di esigenze di tutela della collettività che al rispetto dei diritti individuali dei detenuti. Ad esempio, infatti, ancora nella prima metà del secolo scorso, la disciplina del trattamento penitenziario auspicata dalla Scuola positiva418, basandosi sulla

pericolosità sociale dell’individuo419, risultava orientata in un’ottica “funzionale”, ovvero era finalizzata alla realizzazione degli obiettivi

primari di neutralizzazione/difesa sociale e cura delle devianze invece, che alla predisposizione di norme che tutelassero la dignità e i diritti dei detenuti favorendone la risocializzazione.

Dopo il periodo illuminista però, al processo di progressiva umanizzazione e regolamentazione dell’esecuzione delle pene detentive, non si è affiancato, fin dall’inizio, il riconoscimento di altri due aspetti fondamentali per una piena tutela dei diritti in carcere. Infatti, non avevano trovato applicazione né il principio secondo cui i detenuti continuano a essere titolari di diritti individuali

417 Ovvero l’insieme di regole chiare ed univoche per l’esecuzione della pena detentiva.

418 La Scuola positiva si contrappose alla Scuola classica la quale enfatizzava il modello retributivo della pena.

419MANCINI MASSIMILIANO. Un quadro dei molteplici sistemi penali nel

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fondamentali, azionabili e giustiziabili, derivanti dalle norme costituzionali e internazionali e garantiti dalle norme penitenziarie, né il principio secondo cui le violazioni dei diritti dei detenuti commesse da organi dello Stato devono essere sanzionate, facendo così valere la responsabilità dello Stato e dei singoli individui che rivestono il ruolo di organi statali per tali violazioni. 2.1 Il conflitto fra trattamento penitenziario e diritti fondamentali. Il riconoscimento ai detenuti di diritti tutelabili in sede giudiziaria.

Il riconoscimento del principio secondo cui la detenzione legittimamente disposta comporta per l’individuo la perdita del solo diritto alla libertà personale e la consapevolezza che i detenuti continuano a godere dei diritti fondamentali nella misura in cui il loro esercizio non è incompatibile con lo stato di detenzione, furono ostacolati per molto tempo, infatti, il pieno riconoscimento ai detenuti di diritti tutelabili anche in sede giudiziaria si affermò molto lentamente.

In Italia, in seguito al Dopoguerra, con l’entrata in vigore della Costituzione e con la riforma penitenziaria del 1975 n. 354420, finalizzata a dare attuazione all’articolo 27 cost., si afferma, almeno sulla carta, il rispetto dei diritti in carcere e si stabiliscono una serie di regole atte a garantire il carattere umano e rieducativo della sanzione detentiva.

Nonostante l’affermazione di tali principi, solo in anni più recenti, attraverso il contributo della giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte di Cassazione, è stata data sempre più attuazione al principio della piena tutela giurisdizionale dei diritti dei detenuti421.

In conformità delle iniziative nazionali, si deve sottolineare come in ambito sovranazionale un importante contributo al riconoscimento

420 L. 26 luglio 1975, n. 354. Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà.

421 F. FIORENTIN, L. DELLI PRISCOLI. I diritti fondamentali delle persone

detenute fra giurisprudenza costituzionale e disciplina europea in riv. Penale del 2010.

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dei diritti in carcere422 proviene sia dall’attività dell’ONU, tra cui si evidenzia la Convenzione contro la tortura del 1984, che da quella del Consiglio d’Europa.

In relazione all’ambito europeo, il contributo più importante è costituito dalla già citata Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 1950 e dalla relativa giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, la quale a partire dagli anni Settanta, ha costantemente affermato e attuato in concreto il principio del pieno riconoscimento dei diritti dell’uomo anche ai detenuti, nei limiti consentiti dallo stato di detenzione. Di ulteriore rilievo sono le Regole penitenziarie europee423, un insieme di regole per il trattamento dei detenuti

ispirate al principio del rispetto dei diritti e della dignità umana e, in relazione alla tortura, la Convenzione per la prevenzione della tortura del 1987424 istitutiva del Comitato per la prevenzione della tortura e di un sistema di controllo sovranazionale sulle carceri basato su visite periodiche svolte da tale organo.

In seguito a tale processo evolutivo, è oggi ormai assodato come i diritti fondamentali di ogni persona debbano essere riconosciuti anche ai detenuti, ovviamente, nei limiti in cui ciò sia compatibile con la condizione carceraria, e che il rispetto delle norme penitenziarie, che disciplinano la condizione dei detenuti, è oggetto di veri e propri diritti da essi vantati. Ciononostante, in Italia la disciplina della tutela dei diritti dei detenuti, definibile come lacunosa, ha richiesto negli ultimi anni varie pronunce della Corte costituzione e della Cassazione per pervenire ad un sistema di tutela piena dei diritti in carcere attraverso la progressiva valorizzazione del ruolo della magistratura di sorveglianza come garante dei diritti dei detenuti.

Per cercare di porre fine a tale realtà, oggi, infatti, è riconosciuto al detenuto, che si ritenga leso in uno dei suoi diritti garantiti da norme sovraordinate in materia di diritti fondamentali o derivanti dalle norme penitenziarie, il diritto di ottenere giustizia dinanzi all’autorità

422 Es. la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, i Patti sui diritti politici e civili e sui diritti sociali, economici e culturali del 1966, le Regole minime per il trattamento dei detenuti del 1955.

423 Queste furono formulate per la prima volta nel 1973 e poi modificate nel 2006.

424 Convenzione europea per la prevenzione della tortura e dei trattamenti disumani e degradanti, sottoscritta a Strasburgo il 26 novembre 1987.

180 giudiziaria interna, e poi eventualmente, nel caso in cui il diritto di cui lamenta la lesione rientri tra quelli garantiti dalla CEDU, davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo.

3 La responsabilità dello Stato e dei suoi organi

per violazione delle norme poste a tutela dei

detenuti.

Il principio della responsabilità penale dell’individuo/organo dello Stato per le violazioni dei diritti dei detenuti commesse nell’esercizio delle proprie funzioni è oggi recepito nella legislazione italiana. Tale principio, seppur affermato nel Codice Rocco con sanzioni piuttosto blande425, è stato poi riaffermato e potenziato attraverso l’introduzione di obblighi di punizioni di fonte costituzionale e internazionale. Mentre la nostra Carta fondamentale, attraverso l’articolo 13, comma IV, ha elevato a norma di rango superiore l’obbligo di sanzionare penalmente ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà, la giurisprudenza di Strasburgo ha interpretato estensivamente l’articolo 3 della CEDU desumendone anche un obbligo per lo Stato di sanzionare penalmente gli individui ritenuti responsabili delle violazioni più gravi. Tuttavia, in Italia, nonostante il riconoscimento di tale principio questo non ha trovato una soddisfacente attuazione a causa della nostra lacunosa disciplina penale e della, come ripetutamente sostenuto, mancata introduzione del tanto invocato “reato di tortura”.

In relazione, invece, al principio di responsabilità internazionale dello Stato per violazione dei diritti dei detenuti e del conseguente obbligo di risarcimento e di riparazione della violazione, eventualmente anche attraverso la cessazione della stessa, questo si è affermato per mezzo dei vari strumenti internazionali in materia di diritti dell’uomo, soprattutto grazie alla CEDU.

425 Es. in relazione alle fattispecie dei reati di arresto illegale, abuso di autorità di cui agli artt. 606-609 c.p.

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