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Esecuzione della sentenza e decisioni di organi del potere esecutivo o del potere giurisdizionale.

5 Esecuzione delle sentenze come modalità di conformità degli obblighi strumentali al divieto

5.1 Esecuzione della sentenza e decisioni di organi del potere esecutivo o del potere giurisdizionale.

L’esecuzione della sentenza che accerta la violazione dell’obbligo procedurale ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione può, anche, dar luogo all’adozione di importanti decisioni da parte di organi del potere esecutivo o del potere giurisdizionale.

Per quanto riguarda le decisioni di organi del potere esecutivo, sono importanti le modifiche introdotte dal Governo britannico in seguito alla pronuncia relativa al caso Keenan166 con la quale la Corte ha condannato lo Stato in questione per la mancata previsione di un’inchiesta effettiva e indipendente alla quale possa partecipare la vittima per accertare torture o maltrattamenti subiti da persone private della propria libertà.

In tal caso, la Corte ha richiamato il rapporto del CPT del 13 gennaio del 2000 sul Regno Unito in cui si richiedeva una modifica del sistema di inchiesta e di repressione degli atti di tortura e di maltrattamenti commessi sui detenuti ad opera degli agenti di polizia in quanto lo scarso numero di processi penali svolti e di sanzioni disciplinari inflitte, suscitava dubbi sull’effettività di tale sistema, nonostante la supervisione della Police Complaints Authority su istanza della polizia. In seguito alla pronuncia della Corte e del rapporto del CPT, il Regno Unito, nell’ambito del Police Reforms Act del 2002167, ha istituito un 166 Sentenza del 3 aprile 2001, affare Keenan c. Regno Unito par.76-79 e par. 128. Le modifiche all’ordinamento britannico relative all’obbligo d’inchiesta si imponevano anche per la violazione dell’articolo 2 della CEDU come risulta anche dalla sentenza del 4 maggio 2001, affare H. Jordan c. Regno Unito par. 70 e par. 72. 167 Il Police Reforms Act del 2002 entrò in vigore il primo aprile 2004.

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apposito organo indipendente, la Independent Police Complaints Commission, al quale possono essere denunciati casi di tortura, maltrattamenti o decessi di persone in custodia della polizia con il fine aggiuntivo di far accrescere la fiducia dei cittadini nei confronti della polizia. L’organo ad hoc, appena menzionato, dispone di propri funzionari incaricati di svolgere le indagini e di controllare le inchieste penali per atti di tortura e di maltrattamenti svolte dalla polizia e il risultato di tali indagini deve essere reso noto alla vittima.

Per quanto riguarda invece, le decisioni di organi del potere giurisdizionale, è significativo il caso R. on the application of Wright v. Secretary of State for Home Department in cui l’Alta Corte di Inghilterra e Galles si era richiamata alla giurisprudenza della Corte, in materia di obblighi procedurali relativi agli articoli 2 e 3 della CEDU, per giustificare la richiesta rivolta all’Home Secretary di condurre ex novo un’inchiesta indipendente sulle cause del decesso e sui maltrattamenti subiti dalla vittima in carcere, prevedendo inoltre la presenza dei congiunti.

Nel caso di specie, infatti, l’Alta Corte non ha ritenuto imparziale e indipendente l’inchiesta svolta sull’affare Wright a causa del Fatal Accidents Act 1976168, in quanto non era stata svolta una perizia

medica indipendente, non era stata accertata la responsabilità del personale medico del penitenziario per non aver prestato le necessarie cure mediche e infine, all’inchiesta non avevano potuto partecipare i familiari della vittima.

In conclusione, per dar luogo ad una modificazione dell’ordinamento dello Stato in causa, in relazione alla violazione del volet procedurale ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione, non sempre è necessaria l’emanazione di una pronuncia giudiziaria in quanto, a volte, è sufficiente la semplice prospettiva di una sentenza della Corte.

In tal caso si può far riferimento agli affari Slimani169, Barbu

Anghelescu170 e Bursuc171, nei quali gli Stati in causa, per evitare una

168 The Fatal Accidents Act 1976 è una legge del Parlamento del Regno Unito, che consente ai parenti delle persone uccise da un illecito altrui di ottenere un risarcimento.

169 Sentenza del 27 luglio 2004, affare Slimani c. Francia par. 20.

170 Sentenza del 5 ottobre 2004, affare B. Anghelescu c. Romania par. 42. 171 Sentenza del 12 ottobre 2004, affare Bursuc c. Romania par.69.

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prevedibile172 sentenza di condanna, hanno modificato la propria normativa penale nel corso del procedimento dinanzi alla Corte. Nel caso Slimani, la Francia con la legge n. 2002-1138 del 9 settembre 2002 ha modificato il codice di procedura penale riconoscendo all’articolo 80, comma 4, il diritto dei congiunti della persona deceduta di costituirsi parte civile nel procedimento di inchiesta. Nei casi B. Anghelescu e Bursuc invece la Romania ha adottato la legge n. 218 del 23 aprile 2002 con la quale è stata attribuita la giurisdizione alle procure e ai tribunali ordinari, in caso di denunce di atti di tortura o di maltrattamenti commessi da appartenenti al corpo di polizia, abrogando così la precedente legge sullo statuto della polizia173

considerata lesiva dei principi di indipendenza e imparzialità ritenuti necessari dalla Corte per qualificare l’organo giurisdizionale.

Al termine di tale analisi, è necessario, infine, specificare come le modifiche all’ordinamento statale possano derivare anche a seguito di difformità normative o amministrative rilevate dal CPT come, ad esempio, nel caso della Turchia e del Regno Unito o ancora come nel caso della Spagna la quale, in seguito alla visita del CPT nel 1998, modificò il proprio codice di procedura penale, aggravando le pene da infliggere ai responsabili di atti di tortura174.

6 Articolo 3 della Convenzione: le condotte

vietate.

L’articolo 3 della CEDU, all’interno del proprio enunciato, individua tre diverse tipologie di condotte vietate: la tortura, la pena o il trattamento inumano e la pena o il trattamento degradante. Come si è già indicato in precedenza, la nozione di “tortura” comprende le condotte in grado di causare intense sofferenze tenute o in seguito ad una condanna penale o per estorcere confessioni, le condotte,

172 Prevedibile in relazione alla ormai consolidata e costante giurisprudenza della Corte sulla tutela procedurale relativa all’articolo 3 della CEDU.

173 Legge n. 54 del 9 luglio 1993 che militarizzava il corpo di polizia e attribuiva la giurisdizione ai tribunali militari, che non presentavano le garanzie d’imparzialità e indipendenza richieste dalla Corte in quanto composti da militari sottoposti anch’essi, al pari della polizia, alla struttura gerarchica.

174 Rapporto del CPT del 13 aprile 2000 relativo alla visita svolta in Spagna dal 22 novembre al 4 dicembre 1998 par. 33.

75 indicate dall’articolo in esame, possono quindi essere distinte in due sottogruppi, da un lato sono indicate le pene e dall’altro i trattamenti. Dalla giurisprudenza della Corte, si evidenzia come la nozione di pena sia stata inizialmente ristretta all’ambito di esecuzione, con riguardo o alla modalità o al contesto della sua esecuzione. In conclusione, pur essendo individuate le due diverse nozioni di pena e di trattamenti, i criteri interpretativi e applicativi usati dagli organi di tutela europei sono i medesimi per entrambe.

In ambito europeo, inoltre, è possibile individuare un’evoluzione interpretativa del concetto di tortura operata dalla giurisprudenza europea con riferimento alla soglia minima di gravità.175

Inizialmente si riteneva che l’appartenenza di un trattamento ad una delle tre condotte sopraindicate dipendesse dal livello di gravità raggiunto dallo stesso; la Corte, infatti, ha utilizzato il criterio della c.d.

soglia minima di gravità per stabilire se una condotta rientrasse tra

quelle espressamente vietate, o se essa potesse essere inclusa nella nozione di “tortura” o in quella di “altri trattamenti”.

Attraverso, quindi, tale criterio si indicava che una determinata condotta, per incorrere nel divieto in esame, dovesse raggiungere un livello minimo di gravità e, una volta raggiunto, stabilendo così l’applicabilità dell’articolo 3 della Convenzione, la maggiore o minore intensità delle sofferenze inflitte determina la configurazione di una delle tre condotte vietate 176.

Da ciò deriva che “ogni tortura non può non essere anche trattamento

disumano e degradante e che ogni trattamento disumano non può non essere anche un trattamento degradante”177.

L’applicabilità, quindi, dell’articolo 3 della Convenzione richiede il raggiungimento di una soglia minima che dovrà essere valutata caso per caso, tenendo, inoltre, conto sia delle circostanze oggettive del fatto materiale che di quelle soggettive relative all’individuo interessato.

Dato che la “posizione della soglia” non è determinata in modo fisso in quanto dipende dalla durata del trattamento, dalle conseguenze fisiche e/o mentali, (a volte) dal sesso, dall’età e dallo stato di salute della vittima, si può affermare come il divieto contenuto nell’articolo 175 A. ESPOSITO, La proibizione della tortura, p. 55 ss. 176 Corte, 18 gennaio 1978, Irlanda c. Regno Unito, Serie A, n. 26 e Corte, 25 aprile 1978, Tyrer c. Regno Unito, Serie A, n. 26. 177 Comm. Rapp. 18 novembre 1969 Grecia, in Annuario, XII.

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in esame non sia statico ma dinamico e quindi mutevole in relazione al singolo caso concreto.

Nel valutare se un trattamento è inumano, la Corte prende in considerazione diversi fattori, quali la premeditazione, la durata del trattamento, l’intensità delle sofferenze mentali e fisiche, la presenza di disturbi di carattere psichiatrico.

Si considera come inumano quindi, quel trattamento che “provoca

volontariamente sofferenze mentali e fisiche di una particolare intensità”178 e come degradante quello che ha la capacità di umiliare ed avvilire e che pone fine alla resistenza fisica o psichica. E’ quindi

“degradante” quel trattamento, meno grave del trattamento

inumano, che “umilia fortemente l’individuo davanti ad altri e che è in

grado di farlo agire anche contro la sua volontà o coscienza”.

A differenza delle due nozioni appena delineate, la tortura non ha un suo significato autonomo in quanto essa è definita come “un

trattamento disumano o degradante che causa sofferenze più intense” con il fine179 di ottenere informazioni, confessioni o altro.