• Non ci sono risultati.

Politiche ambientali e Responsabilità Sociale d'Impresa. Primi passi verso una normativa della Responsabilità Ambientale per l'impresa agraria.

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Politiche ambientali e Responsabilità Sociale d'Impresa. Primi passi verso una normativa della Responsabilità Ambientale per l'impresa agraria."

Copied!
251
0
0

Testo completo

(1)

Indice Sommario

CAPITOLO PRIMO

LA RESPONSABILITA’ SOCIALE D’IMPRESA

1. LA RESPONSABILITA’ SOCIALE D’IMPRESA ... 2

1.1.Le origini della responsabilità sociale d'impresa ... 2

1.2. Il dibattito teorico ... 3

1.2.1. Dagli anni ’50 agli anni ’60 ... 3

1.2.2. Gli anni ’70 ... 4

1.2.3. Gli anni ’80 e la teoria degli stakeholder ... 6

1.2.4. Dagli anni ‘90 ad oggi ... 8

2. Normativa Internazionale ... 11

2.1. Verso una regolamentazione normativa della RSI ... 11

2.2. Regolamentazione internazionale ... 13

2.2.1. GLOBAL COMPACT ... 14

2.2.2. Dichiarazione dell’OIL ... 17

2.2.3. OCSE ... 19

2.3. La svolta delle Nazioni Unite ... 22

2.3.1. Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile ... 23

3. La Normativa Europea ... 24

3.1. Le origini della regolamentazione della RSI in Europa ... 24

3.1.2. La svolta negli anni 2000 ... 25

3.1.3. Il Libro Verde ... 27

3.1.4. Risoluzione innovativa del Parlamento Europeo nel 2002: P5_TA(2002)0278 ... 31

3.1.5. Il Libro Bianco ... 31

(2)

4. Evoluzione della disciplina della RSI in Italia ... 35

4.1. Indici di rilevanza Costituzionale ... 35

4.2. Le iniziative di RSI in Italia ... 37

4.2.1. Il progetto del Corporate Social Responsibility-Social Commitment ... 38

4.2.2. Piano di Azione Nazionale sulla Responsabilità Sociale di Impresa ... 41

4.2.3. Società Benefit ... 43

4.3. La normativa regionale ... 44

5. Strumenti Normativi di applicabilità della RSI ... 45

5.1. L’ Autoregolamentazione: Codici Etici e di Condotta ... 46

5.1.1. L’origine e la proliferazione dei codici ... 47

5.1.2. Definizione e Utilizzo dei Codici ... 48

5.2. Il Bilancio Sociale ... 50

5.3. Certificazioni e standard ... 51

6. La Responsabilità Sociale all’interno del Terzo Settore ... 54

6.1. La definizione di Terzo Settore ... 54

6.2. Il Terzo settore verso gli strumenti della Responsabilità Sociale .. 54

6.3. La Riforma del Terzo Settore ... 57

CAPITOLO SECONDO LA RESPONSABILITA’ AMBIENTALE D’IMPRESA 1. RESPONSABILITA’ AMBIENTALE D’IMPRESA ... 62

1.1. Responsabilità sociale e responsabilità ambientale, due categorie a confronto ... 62

1.2. Nascita delle Responsabilità Ambientale ... 63

(3)

1.2.2. Nascita dei Consumatori Verdi ... 64

1.2.3. Dalla Regolazione alla Autoregolazione ... 65

1.2.4. Centralità della questione ambientale nelle imprese ... 67

1.3. La Sostenibilità Ambientale e Lo Sviluppo Sostenibile ... 69

1.3.1. Sostenibilità Ambientale: le problematiche impresa-ambiente .. 69

1.3.2. Il Concetto di Sviluppo sostenibile ... 70

1.3.3. Origine dello Sviluppo Sostenibile ... 72

1.3.4. Conferenza di Rio de Janeiro su Ambiente e Sviluppo ... 74

1.3.5. La Carta di Aalborg e la Carta di Lisbona ... 79

1.3.6. Il Millennium Project e la Conferenza di Johannesburg sullo Sviluppo Sostenibile ... 80

1.3.7. RIO +20 e AGENDA 2030 ... 81

1.4. Politica e Azione Comunitaria in materia ambientale in merito allo Sviluppo Sostenibile. ... 84

1.4.1. Il principio dello Sviluppo Sostenibile come obiettivo dell’azione dell’Unione europea. ... 84

1.4.2. Dall’Atto Unico europeo del 1986 ai trattati di Maastricht del 1992 e di Amsterdam del 1997. ... 85

1.4.3. Dalla Carta dei diritti fondamentali del 2000 ai trattati di riforma dell’Unione europea del 2007. ... 88

1.5. Nascita del Diritto dell’Ambiente in Italia e Principio dello Sviluppo Sostenibile ... 90

2. La crescita sostenibile: il ruolo della Responsabilità Ambientale d’Impresa ... 93

2.1. La relazione tra Responsabilità Ambientale e Regolazione Ambientale ... 96

2.1.1 La Regolazione Ambientale ... 97

(4)

2.2.1. La complementarietà tra regolazione e responsabilità ambientale

... 100

2.2.2. I Vantaggi di una scelta etica ... 101

2.2.3. (segue) I Vantaggi di una scelta etica ... 104

2.2.4. Costi di un’impresa responsabile ... 106

3. Gli strumenti della Responsabilità Sociale d’Impresa in campo Ambientale ... 108

3.1. Le Certificazioni Ambientali ... 108

3.1.1. Le tipologie di Certificazione: la Norma ISO 14001 e il Regolamento EMAS ... 110

3.1.2. Le Differenze tra ISO e EMAS ... 114

3.2. Gli strumenti Giuridici per garantire il rispetto della Responsabilità Ambientale d’Impresa ... 115

3.2.1. Diritto di accesso alle Informazioni Ambientali ... 115

3.2.2. Codice di Condotta e Codice Etico ... 117

3.3. Il Bilancio Ambientale ... 120

3.3.1. Il Rapporto Ambientale ... 123

3.4. I Marchi di Qualità ... 124

4. Responsabilità Sociale d’Impresa: primi passi verso una normativa ... 126

4.1. Responsabilità Amministrativa e Responsabilità Sociale d’Impresa: due categorie a confronto ... 127

4.1.1. Tratti essenziali della Responsabilità Amministrativa delle persone giuridiche e degli enti privi di personalità giuridica ... 127

4.1.2. Responsabilità Sociale, in particolare la Responsabilità Ambientale d’Impresa, a confronto con la Responsabilità Amministrativa ... 128

(5)

4.1.3. Il Codice Etico, come strumento di Autocontrollo rilevante ai fini

delle due tipologie di Responsabilità ... 131

4.2. Made in Italy e la Responsabilità Ambientale d’Impresa ... 134

4.3. Collegamento tra Reati Ambientali e Strumenti di Responsabilità Ambientale d’Impresa ... 139

4.3.1. Reati ambientali e ISO 14001 ... 140

4.3.2. Compatibilità del Sistema di Gestione Ambientale (SGA) con il Modello Organizzativo 231 per la prevenzione dei reati ambientali 143 4.4. Responsabilità Sociale d’Impresa alla luce del D.Lgs. 254/2016 147 4.5. Il ruolo delle Regioni nella promozione della Responsabilità Sociale d’Impresa ... 149

4.5.1. Principio di sussidiarietà ... 149

4.5.2. Interventi promozionali dello Stato Italiano ... 155

4.5.3. Le iniziative delle Regioni e degli Enti locali italiani ... 157

4.5.5. Le iniziative della Regione Toscana ... 160

4.5.6. Gli strumenti per incentivare la Responsabilità Sociale disponibili per le imprese Toscane ... 163

5. Prospettive Future ... 166

CAPITOLO TERZO L’IMPRESA AGRARIA 1. L’Impresa Agraria ... 170

2. I rischi connessi all’Impresa Agraria ... 172

2.1. Rischi riguardanti i Prodotti ... 172

2.2. Rischi riguardanti la Sicurezza dei Lavoratori ... 175

(6)

3. Soluzioni Normative ai rischi connessi alle attività delle imprese

agrarie ... 182

3.1 Sicurezza alimentare ... 182

3.2. Tutela del lavoratore agricolo ... 185

3.3. Misure agro-ambientali in tema di impatto ambientale dell’impresa agraria ... 188

3.3.1. Il fallimento della PAC e prospettive future ... 192

3.3.2. Relazione tra Beni Pubblici e Agricoltura ... 194

4. Responsabilità Sociale dell’Impresa Agraria ... 199

4.1. L’Impresa agraria Multifunzionale ... 199

4.2. La responsabilità sociale d’impresa come occasione e obiettivo delle politiche comunitarie ... 202

4.2.1. Responsabilità sociale dell’impresa agraria nell’ottica delle risorse umane ... 203

4.2.2. Strumenti di responsabilità sociale per il miglioramento del lavoro ... 205

4.2.3. Il Prodotto dell’Impresa Agraria e la Responsabilità Sociale ... 207

4.2.3.1. Strumenti di Responsabilità Sociale per un consumo socialmente responsabile ... 212

4.3. Responsabilità Ambientale: possibile soluzione all’impatto ambientale prodotto dall’impresa agraria ... 214

4.3.1. Forme di Responsabilità Ambientale dell’Impresa Agraria ... 215

4.3.2. Strumenti di Responsabilità Ambientale utilizzabili dall’Impresa Agraria ... 220

(7)

Introduzione

Questa tesi intende affrontare il tema della Responsabilità Sociale e Ambientale con riguardo al mondo dell’agricoltura. Assicurare la qualità dei prodotti, rispettare l’ambiente ed evitare impatti negativi su di esso e tutelare i lavoratori di questo particolare settore stanno diventando, infatti, gli obiettivi principali delle imprese agrarie. La sempre crescente richiesta di qualità, salubrità e genuinità dei prodotti alimentari, gli shock climatici ed energetici e le problematiche sociali e ambientali riconducibili al tema dello sviluppo sostenibile hanno contribuito ad accelerare i processi di insediamento delle strategie di gestione responsabile all’interno dell’impresa agraria. L’ambito agrario rappresenta un luogo privilegiato per favorire l’adozione di scelte e comportamenti aventi fortissimo connotato etico, sociale e ambientale, in quanto si tratta di un settore multifunzionale: a tal proposito si parla di funzione sociale dell’agricoltura, ovvero la capacità della stessa di fornire servizi che si rivolgono alla società nel suo complesso, creando sviluppo nelle zone rurali e, allo stesso tempo, di funzione ambientale, considerando che le attività agricole prestano attenzione alla tutela del paesaggio e dell’ambiente in cui operano.

Il presente lavoro intende sottolineare quanto negli ultimi anni siano aumentate le attese della società nei confronti delle Imprese Agrarie. Tali aspettative risiedono nella capacità dell’impresa di produrre alimenti sani e genuini e concorrere allo stesso tempo alla protezione delle risorse naturali e allo sviluppo equilibrato del territorio, creando occupazione e riservando maggiore attenzione alla qualità del lavoro e dell’ambiente circostante. Il settore agrario, per soddisfare tali attese

(8)

riserva grande attenzione a temi trasversali quali: sicurezza alimentare, tracciabilità delle produzioni, qualità dei prodotti, rispetto dell’ambiente e delle risorse umane. Per raggiungere questi obiettivi i Sistemi di Gestione di Responsabilità Sociale e Ambientale adottati da queste imprese si pongono come mezzo primario e strategico.

Partendo da questi presupposti, ciò che emergerà dalla trattazione di questa tesi sarà, in primo luogo, la descrizione dei caratteri fondamentali della Responsabilità Sociale d’Impresa, intesa come integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese all’interno delle proprie operazioni commerciali e dei rapporti delle stesse con le parti interessate.

“Per RSI si intende un modello di governance allargata dell’impresa in base alla quale chi governa l’impresa ha responsabilità che si estendono dall’osservanza dei doveri fiduciari nei riguardi della proprietà ad analoghi doveri fiduciari nei riguardi in generale di tutti gli Stakeholders1“. Il dibattito

in merito alla Responsabilità Sociale d’Impresa ha origine negli anni ’50, quando ci si comincia ad interrogare in merito all’importanza e al ruolo della stessa. Vi erano allora due scuole di pensiero: la prima, Neoliberista, - il cui promotore era Friedman - sosteneva che l’unico legittimo scopo e fine dell’impresa dovesse essere la massimizzazione del profitto ed il soddisfacimento degli azionisti (Shareholders); l’altra invece, Managerialista, - tra i cui promotori possiamo inserire Freeman per la sua Teoria degli Stakeholders -, aveva tra i suoi fondamenti l’idea che l’azienda dovesse soddisfare i bisogni degli Stakeholders, categoria di soggetti in grado di influenzare o essere influenzati dalle azioni dell’impresa, oltre a massimizzare i profitti; ne discendeva, così, un ulteriore onere in capo alle imprese, ovvero quello di evitare impatti socialmente negativi ed impegnarsi attivamente per il miglioramento della vita della comunità sociale. A seguito degli scandali ecologico-sociali avvenuti negli anni ‘90 le due teorie si fondono ed è qui che

1 Il saggio è inserito all’interno di AA.VV. a cura di SACCONI L., “Guida Critica alla Responsabilità Sociale e governo di impresa”, Bancaria Editrice, Roma, 2005.

(9)

emergono i tratti di una RSI che si qualifica come mezzo per creare vantaggi all’impresa e non come fine dell’attività imprenditoriale stessa.

In particolare, poi, verrà analizzata la nozione di “Triple Bottom Line”, quale approccio responsabile delle imprese che tiene conto della dimensione ambientale, economica e sociale al fine del raggiungimento dell’obiettivo fondamentale, lo Sviluppo Sostenibile, attraverso un’opportuna modifica delle modalità di gestione e dei processi aziendali. La triplice dimensione dell’attività economica d’impresa, dunque, sottende il rispetto dei diritti dei lavoratori e della comunità e la tutela dell’ambiente, non tralasciando l’obiettivo del raggiungimento del profitto. L’Ambiente è il secondo tema principale di questo lavoro. A partire dagli anni ’90, infatti, si è iniziato a ritenere che la sua tutela non debba più essere considerata un vincolo per l’attività produttiva e un mero costo, bensì un fattore strategico fondamentale, in connessione con la Responsabilità Sociale, in questo caso Ambientale, d’impresa. Esaurita la trattazione delle diverse tematiche in astratto e guardando alla normativa internazionale, europea ed italiana in merito, si andrà a valutare se la Responsabilità Sociale e Ambientale siano divenute attualmente un’effettiva strategia per lo sviluppo commerciale dell’impresa, o se invece si tratti semplicemente di una “moda imprenditoriale”. Per fare questa valutazione, si renderà necessario soffermarsi sull’analisi degli strumenti giuridici esistenti finalizzati a garantire il rispetto degli impegni di Responsabilità Ambientale e Sociale assunti volontariamente dall’impresa, ovvero il Codice Etico, il Rapporto Ambientale o, ancora, il Bilancio Sociale. In particolare, si farà riferimento alle ultime iniziative legislative che hanno introdotto la rendicontazione socio-ambientale obbligatoria per alcuni tipi di imprese - il D.Lgs. 254/2016 – e la redazione del Bilancio Sociale obbligatorio per alcune imprese del Terzo Settore – D.Lgs. 117/2017 -.

(10)

CAPITOLO PRIMO

LA RESPONSABILITA' SOCIALE D'IMPRESA

SOMMARIO: 1. LA RESPONSABILITA' SOCIALE D'IMPRESA - 1.1. Le origini della responsabilità sociale d’impresa. - 1.2. Il dibattito teorico. - 1.2.1. Dagli anni ’50 agli anni ‘60. - 1.2.2. Gli anni ’70. - 1.2.3. Gli anni ’80 e la teoria degli stakeholder. - 1.2.4. Dagli anni ’90 a oggi. - 2. NORMATIVA INTERNAZIONALE. - 2.1. Verso una regolamentazione normativa della RSI. - 2.2. Regolamentazione internazionale. - 2.2.1. Global Compact. - 2.2.2. Dichiarazione dell’OIL. - 2.2.3. OCSE. – 2.3. La svolta delle Nazioni Unite. - 2.3.1. Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile. - 3. LA NORMATIVA EUROPEA. - 3.1. Le origini della regolamentazione della RSI in Europa. - 3.1.2.La svolta negli anni 2000. - 3.1.3. Il Libro Verde. - 3.1.4. Risoluzione innovativa del Parlamento Europeo nel 2002: P5TA(2002)0278. - 3.1.5. Il Libro Bianco. - 3.1.6. Altri interventi comunitari. - 4. EVOLUZIONE DELLA DISCIPLINA DELLA RSI IN ITALIA. - 4.1. Indici di rilevanza costituzionale. - 4.2. Le iniziative di RSI in Italia. - 4.2.1. Il progetto della Corporate Social Responsibility-Social Commitment. - 4.2.2. Piano di Azione Nazionale sulla Responsabilità Sociale d’Impresa. - 4.2.3. Società Benefit. – 4.3. La normativa regionale. – 5. STRUMENTI NORMATIVI DI APPLICABILITA’ DELLA RSI. – 5.1. L’autoregolamentazione: Codici Etici e di Condotta. – 5.1.1. L’origine e la proliferazione dei Codici. – 5.1.2. Definizione e utilizzo dei Codici. – 5.2. Il Bilancio Sociale. – 5.3. Certificazioni e Standard.

(11)

1. LA RESPONSABILITA’ SOCIALE D’IMPRESA

Most definitions of corporate social responsibility describe it as a concept whereby companies integrate social and environmental concerns in their business operations and in their interaction with their stakeholders on a

voluntary basis2.

1.1. Le origini della responsabilità sociale d'impresa

Nel 1916 Henry Ford, maggior azionista della Ford Motor Company, annunciava la distribuzione di solo una parte dei profitti generati nell'arco dell'anno. La parte rimanente di quelli non distribuiti sarebbe stata in parte investita nell'impresa, sotto forma di ampliamento degli stabilimenti e aumento dei salari, in parte accantonata per compensare eventuali e futuri minori ricavi derivanti dalla riduzione del prezzo di vendita delle auto. L'ambizione di Ford era quella di dare lavoro a più persone, estendere benefici al maggior numero di lavoratori e migliorarne la qualità di vita. Per giungere a tale scopo occorreva reinvestire nell'impresa la maggior quota dei profitti. Due azionisti della medesima impresa lo citano in giudizio poiché auspicavano l'intera distribuzione degli utili.

Tribunale e Corte Suprema del Michigan accolgono il ricorso, sulla base del principio secondo cui una corporation doveva essere gestita primariamente per il profitto degli azionisti e che la discrezionalità dei direttori era quella di scegliere tra i vari mezzi per raggiungere questo fine3. Questo precedente fissa un principio, che verrà ripreso da Friedman quaranta anni dopo, ovvero che la regola morale fondamentale dell'impresa è di produrre profitti: ciò realizzerebbe un circuito virtuoso per l'intera

2 COM(2001) 366 Def., Bruxelles, 18.7.2001, 2 par.20, LIBRO

VERDE: “Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese”.

3 IELO P., Corporate Social Responsibility e responsabilità amministrativa degli enti,

in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, 1, 2008, p. 185. La decisione a cui si fa riferimento è Dodge v. Ford Motor Co., 204 Mic. 459, 170 N.W. 668 (1919).

(12)

società in termini di occupazione e benessere4 e rappresenta, anche, il primo caso in cui emerge un concetto di responsabilità sociale di impresa.

1.2. Il dibattito teorico

1.2.1. Dagli anni ’50 agli anni ’60

Un primo tentativo di concettualizzare e definire la RSI è attribuibile all’economista americano Howard Bowen nel 1953, che parlava in merito di “obbligo di perseguire quelle politiche, di prendere quelle decisioni, di seguire quelle linee di azione che sono desiderabili in funzione degli obiettivi e dei valori riconosciuti dalla società”5.

Negli anni ’50 gli studi sulla RSI si soffermano principalmente su due principali questioni: la responsabilità degli uomini d’affari e manager d’impresa e l’analisi delle esternalità della gestione aziendale6.

Negli anni ’60 e ‘70, l’economista Keith Davis, noto per la sua “Iron Law of Responsibility”, sostiene l’imprescindibilità delle imprese dalla RSI, pena una perdita progressiva di potere sociale. Era convinto, infatti, che vi fosse una forte connessione tra responsabilità sociale e vantaggio economico. In merito parlava di “decisioni e azioni poste in essere dagli imprenditori basate, almeno in parte, su motivazioni ulteriori al diretto interesse economico e tecnico dell’impresa”7. William Frederick evidenzia le aspettative della società in cui l’impresa agisce e afferma che la responsabilità sociale impone all’imprenditore di tener conto nelle

4 "The only social responsibility of business is to make profits": M. Friedman, The Social Responsibility of Business is to Increase its Profits, New York Times Magazine,

13 September 1970.

5 BERGAMO A., TUAN A.M., CSR un’idea antica, ma sempre attuale,

www.animaimpresa.it 2014, H. BOWEN, Social Responsibility of the

businessman, Harper & Row, New York, 1953.

6 In questa prima fase, dunque, la RSI è intesa piuttosto come responsabilità

dei businessman, quale responsabilità dei dirigenti, e quindi dell’impresa, di incidere sul contesto ambientale, di dover rispondere alle obbligazioni sociali oltre a quelle economiche e legali, in HINNA L., Come gestire la responsabilità

sociale dell'impresa, Il Sole 24ore, Milano, 2005, p.4.

7 DAVIS K., Can business afford to ignore social responsibility?, in “California Management Review” n.2, 1960.

(13)

proprie operazioni in campo economico delle esigenze della stessa: “Social Responsibility […] public posture towards society’s economy and human resources and willingness to see that thus resources are used for broad social ends and not simply for the narrowly circumscribed interests of private persons and firms”.8

In tale contesto, la RSI, viene interpretata come un’ulteriore obbligazione in aggiunta a quelle economiche e legali. Solo nel 1967 con Clarence Walton viene enfatizzata una dimensione volontaristica della stessa: “the new concept of Social Responsibility recognizes the intimacy of the relationships between the corporation and society and realizes that such relationships must be kept in mind by top manager as the corporation and the related groups pursue their respective goals”.9 L’elemento del volontariato diventerà con il tempo sempre più caratterizzante la RSI, come si può evincere anche dal Libro Verde della Commissione Europea10.

1.2.2. Gli anni ’70

Come già anticipato, in seno al dibattito sulla RSI, interviene negli anni ’70 l’economista statunitense e premio Nobel per l’economia Milton Friedman, secondo cui l’unico legittimo scopo dell’impresa è la generazione di profitto e ogni altro obiettivo diverso da questo (maggiori servizi aggiuntivi ai dipendenti, programmi ecologici oltre i vincoli di legge, contributo allo sviluppo della comunità circostante…) sarebbe da ascrivere al Governo e alla Pubblica Amministrazione. In tal senso, un’impresa che distogliesse risorse dall’obiettivo della massimizzazione del profitto si comporterebbe in modo irresponsabile: i manager devono agire nell’interesse esclusivo degli azionisti. Si giunge quindi a negare ogni fondamento morale ed etico alla

8 W. C. FREDERICK, The growing concern over business responsibility, in

“California Management Review” n.2, 1960.

9 CC.WALTON, Corporate Social Responsibilities, in Belmont Wadsworth, 1967. 10 COM(2001) 366 Def., Bruxelles, 18.7.2001, 2 par.20, LIBRO

(14)

Responsabilità Sociale d’Impresa11. La destinazione, dunque, di somme di denaro da parte delle imprese per attività caritative, università, sicurezza nel lavoro, ambiente rappresenta un uso non corretto delle risorse dell’impresa. Friedman getta le basi, in questo modo, per uno dei principi base della scuola del Neoliberismo che si oppone a quella Istituzionalista, il cui teorico primo si individua nella figura di John Maynard Keynes: non sovvenzionare le università, non realizzare un sistema di sanità pubblica, non intervenire con progetti sociali.

In opposizione al pensiero di Friedman, la scuola del c.d. Managerialismo (Berle, Means e Coase), invece, parla della necessità di realizzare nella gestione dell’impresa interessi anche diversi da quelli degli azionisti e, quindi, anche dei dipendenti e dei clienti, pur rimanendo la ricerca del profitto l’obiettivo primario. Secondo tale approccio, infatti, la massimizzazione del profitto rimane uno degli elementi più importanti del processo che porta a prendere delle decisioni imprenditoriali, ma viene contemperato da interessi diversi, anche ascrivibili a soggetti esterni alla azienda.

E’ in tale contesto di fermento che, nel 1979, il Professor Archie Carroll (Terry College of Business, Università della Georgia) propone un modello piramidale di RSI basato su quattro fattori:

• Fattore economico: è importante per l’impresa essere produttrice di valore economico;

• Fattore legale: è importante che l’impresa agisca sempre nel rispetto della legge;

11 "The only social responsibility of business is to make profits": M. Friedman, The Social Responsibility of Buisness is to Increase its Profits, New York Times Magazine,

13 September 1970. In merito: BERGAMO A., TUAN A.M., CSR un’idea antica,

ma sempre attuale, cit., CAPECCHI V., La Responsabilità Sociale dell’impresa,

Carocci, Roma, 2005. MOLTENI M., Responsabilità sociale e performance

d’impresa – Per una sintesi socio competitiva, Vita e Pensiero, Milano, 2004, p.5,

PESSI R., La responsabilità sociale dell'impresa, in Rivista del Diritto della Sicurezza

Sociale, 1, 2011, p.4, SALVATORE A., Il “Codice Etico”: rapporti con il modello organizzativo nell’ottica della responsabilità sociale dell’impresa, in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, 4, 2008, p.68.

(15)

• Fattore etico: è fondamentale che l’impresa agisca secondo criteri di equità, giustizia, imparzialità ed in conformità dei valori sociali;

• Fattore filantropico: è fondamentale che l’impresa scelga di compiere investimenti sociali senza che vi siano specifiche aspettative in tal senso da parte della comunità12.

Tale modello prende in considerazione anche altri effetti sociali, come ad esempio il consumismo, l’ambiente, le discriminazioni, la sicurezza dei prodotti, la sicurezza del lavoro e a seconda di come vengono declinati rispetto alle quattro categorie, classifica la RSI in modo reazionario, difensivo, accomodante o proattivo.

Carroll definisce la RSI con queste parole: “The Corporate Social Responsibility as the economic, legal, ethical, and discretionary expectations the society has of organizations at a given point in time”.13

In tal senso Carroll punta ad un modello di impresa che sceglie di adottare un impegno sociale poiché, nella sua idea, qualora l’impresa non usi il proprio potere in senso responsabile, essa tenderà a perdere la sua posizione di dominanza a favore di altre imprese che si assumeranno, invece, questo tipo di responsabilità.

1.2.3. Gli anni ’80 e la teoria degli stakeholder

L’originale contrapposizione delle tesi appena enunciate si riduce negli anni’80: i fautori delle teorie Neoliberiste, infatti, convergono verso le posizioni Managerialiste. Tale cambiamento di posizione è dovuto a gravi scandali di carattere ecologico e sociale che coinvolgono imprese multinazionali, le quali, per riconquistare la fiducia dei consumatori e per salvare la loro immagine, adottano misure a sostegno della sanità e dell’ambiente. Gli anni’80 rappresentano, quindi, un periodo di

12 MAGLI F., NOBOLO A., PMI e responsabilità sociale d'impresa, in Quaderni di ricerca sull'artigianato, 2, 2014, p.201.

13 CARROLL A.B., A three dimensional model of corporate social performance, in Academy of Management Review, n.4, 1979.

(16)

integrazione della responsabilità di impresa all’interno delle aziende. La RSI diventa un’opportunità per le imprese di potenziare la propria collocazione e il potere nel contesto di riferimento. Tuttavia, non mancano posizioni scettiche e critiche nei confronti di tale apertura verso un’impresa più responsabile, posizioni che vengono avvalorate dalla mancata valutazione dei costi-benefici legati all’implementazione della RSI.

Nell’ottica di un avvicinamento tra le due diverse scuole di pensiero, si sviluppa in questo periodo una concezione di responsabilità di azienda non solo nei confronti degli Shareholders, coloro che possiedono azioni, ma si comincia ad affermare un interesse per una nuova categoria di soggetti, gli Stakeholders. Con tale termine si intendono i soggetti che hanno un interesse rilevante in gioco nella conduzione dell’impresa a causa dei loro investimenti specifici oppure dei possibili effetti esterni positivi o negativi di cui possono risentire14.

Occorre, tuttavia, attendere l’opera di Robert Edward Freeman, 1984, per rintracciare una chiara definizione di Stakeholder. Freeman propone una vera e propria teoria degli Stakeholders, intesa quale approccio alla gestione strategica di “qualsiasi gruppo o individuo che può influenzare o essere influenzato dal raggiungimento degli obiettivi dell’impresa”15,

identificando questi nelle seguenti categorie: clienti, fornitori, dipendenti, finanziatori e comunità. Tale concezione nasce come un orientamento strategico dell’impresa che non punta più alla sola massimizzazione del valore degli Shareholders (a differenza di quanto affermava Friedman), ma anche al soddisfacimento dei bisogni degli Stakeholders, che con il tempo vengono ad assorbire un gruppo sempre più numeroso di soggetti. Si sviluppa così un concetto di impresa nel quale il cliente, il cittadino, la comunità ecc. non sono solo interessati a verificare il rapporto qualità-prezzo del prodotto, ma hanno volontà di

14 MOLTENI M., Responsabilità sociale e performance d’impresa – Per una sintesi socio competitiva, cit., p. 5.

15 FREEMAN R.E., Strategic Management: a stakeholder approach, Pitman, Boston,

(17)

sapere anche se l’impresa operi o meno nel rispetto dei diritti fondamentali della persona, dell’ambiente, delle regole di sicurezza sul posto di lavoro. Se si calano tali esigenze sul piano economico, secondo Freeman, il maggior costo per il loro soddisfacimento non necessariamente si traduce in una perdita di profitto per l’impresa, poiché i maggiori oneri vengono compensati dalla crescita delle vendite conseguente alla considerazione più favorevole da parte dei consumatori nei confronti della stessa; in definitiva, anzi, applicare le regole della RSI può determinare maggiori profitti.16 Se ne può dedurre

che la RSI comporti per l’azienda l’adozione di una nuova strategia fondata sull’interazione di alcuni elementi fondamentali come: la stretta connessione tra interessi aziendali e interessi degli Stakeholders, l’acquisizione di un comportamento etico nella gestione del business dell’impresa ed il superamento del profitto come fine esclusivo dell’impresa17. Le decisioni aziendali devono inoltre essere

differenziate a seconda del tipo di Stakeholder, l’impresa deve tentare di coniugare l’agire economico con l’approccio etico ed, infine, puntare a creare valore per i soggetti interni ed esterni ad essa.

1.2.4. Dagli anni ‘90 ad oggi

Ancora oggi il dibattito dottrinale tra l’approccio Neoliberista e quello Istituzionalista (del già citato Keynes), il cui pilastro è la Teoria degli Stakeholders, è sempre molto acceso. Infatti la dottrina continua ad essere spaccata a metà.

16 FREEMAN, Strategic Management: a stakeholder approach, cit.. In merito:

CARNEVALE C., Stakeholder, CSR ed economie di mercato - La complementarità

delle sfere economico-istituzionali, Franco Angeli, Milano, 2014. HINNA L., Come gestire la responsabilità sociale dell'impresa, cit., MANACORDA C., Responsabilità amministrativa e responsabilità sociale delle imprese: divergenze, convergenze, in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, 4, 2007, MOLTENI M.,

LUCHINI M., Modelli di responsabilità sociale nelle imprese italiane, Franco Angeli, Milano, 2004, p. 12. PESSI R., La responsabilità sociale dell'impresa, cit., p.4, SALVATORE A., Il “Codice Etico”: rapporti con il modello organizzativo

nell’ottica della responsabilità sociale dell’impresa, cit. 17 PESSI R., La responsabilità sociale dell'impresa, cit., p.5.

(18)

Vi sono fautori della prima scuola di pensiero, come E. Steinberg (2000) oppure D. Henderson (2001), i quali sostengono che la RSI possa minacciare il benessere dei Paesi ricchi, ritenendo che l’uso delle risorse aziendali al di fuori della massimizzazione dei profitti debba considerarsi un “furto”. In proposito Steinberg si esprime in modo molto duro: “proprio come si ha prostituzione quando si fa sesso per denaro, anziché per amore, così l’impresa si prostituisce quando persegue l’amore o la responsabilità sociale anziché il denaro”18. Contrari a tale impostazione

sono i sostenitori di Freeman e della Stakeholder Theory, che in tali anni conosce un’evoluzione. In particolare Lorenzo Sacconi (2005), propone una definizione di RSI innovativa: “per RSI si intende un modello di governance allargata dell’impresa in base alla quale chi governa l’impresa ha responsabilità che si estendono dall’osservanza dei doveri fiduciari nei riguardi della proprietà ad analoghi doveri fiduciari nei riguardi in generale di tutti gli Stakeholders“19. In altre parole la RSI, secondo Sacconi, consiste in un

modello di governo aperto, in una struttura ed una procedura di bilanciamento degli interessi degli stakeholders. Si tratta di una specifica procedura di gestione dell’impresa che permette l’espressione di quella che viene ritenuta l’autentica finalità economica dell’istituzione, finalità che non coincide con la tradizionale formulazione dell’interesse sociale in ambito giuridico, ma con la governance multistakeholder.20 Su tale

approccio, che vede la RSI come un mezzo per creare vantaggi all’impresa e non come un fine, si muove il Professor S. Pogutz (2007), che sintetizza gli elementi alla base della RSI. In primo luogo “andare oltre la normativa”: ovvero le imprese adottano un comportamento

18 STEINBERG E., 2000, in merito: VERDE M., Responsabilità sociale di impresa tra teoria e prassi, Giappichelli Editore, Torino, 2017, p.16, AA.VV. a cura di

MAGGIOLINI P., Ciò che è bene per la società è bene per l’impresa, Franco Angeli, Milano, 2012.

19 SACCONI L., CRS: Governance allargata, autoregolamentazione e sistemi di gestione per attuarla, in Bancaria, 3, Bancaria editrice, Roma 2005.

20 AA.VV. a cura di MAGGIOLINI P., Ciò che è bene per la società è bene per l’impresa, Franco Angeli, Milano, 2012, AA.VV. a cura di SACCONI L., Guida critica alla responsabilità sociale e al governo di impresa, Bancaria Editrice, Roma,

2005, p.11, HINNA L., Come gestire la responsabilità sociale dell'impresa, cit., VERDE M., Responsabilità sociale di impresa tra teoria e prassi, cit., p.16.

(19)

socialmente responsabile quando fanno più di quanto venga loro richiesto dalle prescrizioni legali; in secondo luogo “lo stretto legame con la sostenibilità”: la RSI è intrinsecamente connessa al concetto di “sviluppo sostenibile” ed alla nozione di “triplice approccio”, concezione secondo la quale le prestazioni globali di un’impresa devono essere misurate in funzione del suo contributo combinato alla prosperità, alla qualità dell’ambiente e al capitale sociale; ed infine la “volontarietà”: l’adozione della RSI, infatti, fa parte della libera scelta delle imprese21.

In questi anni, oltre a protrarsi il dibattito tra le due correnti maggioritarie, all’interno di quella Managerialista, di appoggio a Freeman, si introduce una divisione. Infatti, la Stakeholder Theory si sviluppa in varie direzioni quanto alla definizione stessa di Stakeholder. Tra le diverse concezioni, alcune cercano di definire i gruppi in termini di rilevanza diretta per gli interessi economici essenziali dell’azienda. Altri studiosi, invece, definiscono gli Stakeholders in termini di necessità per la sopravvivenza dell’impresa (Naesi, 1995). Per Clarkson (1995), in particolare, sono coloro che hanno messo qualcosa a rischio nella loro relazione con l’impresa, ovvero: “persone o gruppi che hanno diritti, pretese o interessi verso un’impresa e le sue attività, passate e presenti. Tali interessi dichiarati sono il risultato di operazioni o azioni intraprese con la società, e possono essere individuali o collettive”22. Freeman ed Evan (1990)

parlano degli Stakeholders come contraenti o partecipanti a relazioni di scambio. I ricercatori Donaldson e Preston, nel 1995, ma anche più di recente Rusconi (2012), restringono il campo dei gruppi a seconda delle aspettative morali, affermando che l’essenza della Stakeholder Theory dovrebbe consistere nella partecipazione dell’impresa nel creare e sostenere relazioni morali.

21 VERDE M., Responsabilità sociale di impresa tra teoria e prassi, cit., p.16. 22 CARNEVALE C., Stakeholder, CSR ed economie di mercato - La complementarità delle sfere economico-istituzionali, cit., p.30.

(20)

2. Normativa Internazionale

2.1. Verso una regolamentazione normativa della RSI

La RSI si colloca in uno spazio che non viene regolato da norme precise, stringenti e cogenti, bensì nel campo di azione etico delle imprese. Tuttavia le Istituzioni, gli Organismi Sovranazionali e i Governi degli Stati si sono spesso interessati al tema.

Il primo interrogativo che si è proposto riguarda la natura delle Linee Guida23, se si tratti ovvero di norme etiche oppure di norme vincolanti

da un punto di vista giuridico.24 La questione nasce dalla cruciale

rilevanza economica e dal grande potere delle multinazionali che, appoggiate dalle Associazioni Internazionali dei datori di lavoro e dai Governi Neoliberisti (USA, Italia), si battono per eliminare qualsiasi tipo di controllo e per ridurre i vincoli normativi. Di contro la Commissione per la promozione e tutela dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, sostenuta da Associazioni internazionali e nazionali dei Sindacati e delle ONG e da Organizzazioni Non Governative, promuove una regolamentazione normativa di controllo per le imprese e, nello specifico, nell'ambito della RSI. Negli ultimi anni però si è affermato l’orientamento delle Nazioni Unite e molte multinazionali hanno accettato di rompere il fronte padronale più ostile alle norme25.

A partire degli anni '90, la RSI si colloca al centro delle priorità sia delle imprese, sia del mondo politico internazionale. Ciò è dovuto ad alcuni grandi fenomeni in ascesa nel contesto economico sociale a livello mondiale. Si tratta di fenomeni che spingono sempre più sia l'Impresa a farsi carico delle attese della società civile sia le Istituzioni Sovranazionali, Governi ed Enti Locali a emanare una regolamentazione. Tra questi macro-fenomeni si evidenziano26:

1. La globalizzazione: fattore di trasformazione dell'economia mondiale, essa è un processo d'interdipendenze economiche, sociali, culturali, politiche, tecnologiche i cui effetti positivi e negativi hanno una rilevanza planetaria con l’effetto di

(21)

uniformare il commercio, le culture, i costumi ed il pensiero. Con la globalizzazione è cresciuto il peso delle multinazionali, cosicché l'economia dei Paesi più poveri e le richieste di natura ambientale e sociale risultano influenzate dai comportamenti assunti da queste.

2. L'effetto serra: le gravi conseguenze di alcuni disastri ambientali e la paura delle mutazioni climatiche hanno messo in rilievo il problema ecologico ed hanno permesso la nascita del concetto di “sviluppo sostenibile”.

3. Diritti umani e dei lavoratori: una crescente attenzione a tali Diritti e le varie Dichiarazioni (ONU OIL) che si sono susseguite con il tempo diventano punti di riferimento per l'operare dell'impresa e per i sistemi di gestione in tema di RSI da parte di enti locali, Stati ed Istituzioni internazionali.

4. Il rapido processo di integrazione dei mercati finanziari ha determinato la diffusione a livello internazionale delle esigenze di Trasparenza e Correttezza dei modelli di governance e comunicazione.

23 Si tratta di Linee Guida alle quali ispirare l'agere del business transnazionale

elaborate da Organismi Sovranazionali e non vere e proprie norme etiche, lasciate alla libera elaborazione da parte di ogni Stato. In tal caso potrebbero infatti nascere dei conflitti "culturali" tra norme etiche, ovvero potrebbe realizzarsi una situazione in cui la stessa regola potrebbe risultare “giusta” agli occhi di un Paese e“ripugnante” in base alle logiche di un altro. Ecco perché la soluzione maggiormente preferibile deve essere quella di riferirsi a Linee Guida alle quali le Nazioni devono ispirarsi. In SALVATORE A., Il “Codice

Etico”: rapporti con il modello organizzativo nell’ottica della responsabilità sociale dell’impresa, cit., p.69.

24 CAPECCHI V., La Responsabilità Sociale di Impresa, cit., p.58, HINNA L., Come gestire la responsabilità sociale dell'impresa, cit., p.45, SALVATORE A., Il “Codice Etico”: rapporti con il modello organizzativo nell’ottica della responsabilità sociale dell’impresa, cit., p.69.

25 CAPECCHI V., La Responsabilità Sociale di Impresa, cit., p.58.

26 LUCHINI M., MOLTENI M., Modelli di responsabilità sociale nelle imprese italiane, cit., p.12, MOLTENI M., Responsabilità sociale e performance d’impresa – Per una sintesi socio competitiva, cit., p. 31.

(22)

5. La diffusione del Consumatore Responsabile: l'affermazione di un consumatore critico, esigente ed attento alle questioni sociali ed ambientali.

2.2. Regolamentazione internazionale

Il punto di partenza per le Linee Guida in campo di RSI, protocollate dagli Organismi Sovranazionali lo possiamo rintracciare all'interno del quadro dei diritti formulato all'interno della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani adottata dall'Assemblea Generale dell'ONU il 10 dicembre 1948. La dichiarazione è formata da trenta articoli, molti dei quali inerenti il lavoro: l'art.4 (diritto alla libertà dalla schiavitù), l'art.5 (divieto di tortura e punizioni crudeli, che comprende anche il divieto di punizioni corporali nell'ambiente di lavoro), l'art.23 (diritto a condizioni di lavoro giuste e soddisfacenti). A seguito di tale Dichiarazione si sono susseguite molteplici Risoluzioni fondate su tali principi, come il Patto Internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (1966), la Convenzione internazionale sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale (1996) e nei confronti delle donne (1979), la Convenzione contro la tortura e ogni altro trattamento crudele, inumano o degradante (1984), la Dichiarazione di Rio sull'ambiente e sviluppo (1992)27.

Da qui si gettano le basi per gli interventi governativi e sopranazionali in tema di RSI a partire dagli anni '90, interventi che, data la particolare incidenza sui mercati delle imprese multinazionali quali attori non statali del diritto internazionale, si realizzano inizialmente solo attraverso fonti di “Soft Law”28. Inoltre, sebbene generalmente gli

strumenti di “Soft law” si presentino come un minus rispetto a quelli di “Hard law”, nel caso della RSI l’eventuale auspicato quadro normativo internazionale necessiterebbe comunque dell’intervento dello Stato per

27 CAPECCHI V., La Responsabilità Sociale di Impresa, cit., p.58.

28 Si tratta di strumenti di natura non giuridica e con effetti non vincolanti. In

merito: BORGIA F., La responsabilità sociale delle imprese multinazionali, Editoriale Scientifica, Napoli, 2007.

(23)

essere imposto. Come è noto, infatti, i Trattati o le consuetudini contengono disposizioni che spiegano la loro efficacia solo nei confronti degli Stati quali soggetti di diritto internazionale, i quali a loro volta possono realizzare una regolamentazione applicabile alle imprese. La Comunità internazionale sembra, dunque, consapevolmente o inconsapevolmente aver preso atto delle difficoltà di utilizzo e di efficacia di queste fonti ed aver avviato un processo di dialogo ed integrazioni di fonti eterogenee, giuridiche e non, sviluppate su tre livelli: nazionale, internazionale e di autoregolamentazione. Resta da verificare se il percorso intrapreso sia in grado di garantire complementarità e interazione tra i livelli di tutela proposti dalle varie iniziative regolamentari in un quadro caratterizzato dalla eterogeneità delle fonti. A tal fine, dunque, la “Soft law” si presenterebbe non solo come strumento prodromico alla produzione di strumenti vincolanti, ma anche come elemento cardine del sistema che consentirebbe il necessario dialogo tra i tre livelli normativi su cui poggia l’intera disciplina della RSI.

2.2.1. GLOBAL COMPACT

Le prime iniziative istituzionali dell'ONU relative alla RSI si riscontrano nelle attività delle Organizzazioni nate per proteggere i diritti umani e lo sviluppo sostenibile. All'interno del Summit globale di Rio del 1992 vengono discussi dalle Nazioni Unite problemi ambientali del pianeta e riguardanti lo sviluppo sociale ed economico. Il risultato del dibattito è rappresentato dalla Dichiarazione di Rio, che si propone di migliorare gli standard di vita della popolazione mondiale e di consentire uno sviluppo sostenibile del pianeta.

L'opera di sensibilizzazione così avviata porta negli anni a definire il progetto del “Global Compact”, che nasce nel 2000 su proposta del Segretario Generale dell'ONU Kofi Annan e che viene presentata al World Economic Forum (1999). L'obiettivo di tale patto si articola tenendo conto di nove Principi Universali che afferiscono alle aree dei diritti

(24)

umani, del rispetto degli standard lavorativi, della tutela dell'ambiente e della lotta alla corruzione29. Il progetto considera le imprese, le

organizzazioni sindacali, le organizzazioni degli imprenditori, le ONG, le organizzazioni della società civile in genere ed i Governi delle diverse Nazioni come attori principali chiamati a parteciparvi. Le singole imprese possono aderirvi in via esplicita attraverso diversi strumenti, quali l'informazione dell'adesione ai propri dipendenti, azionisti, clienti, fornitori (i c.d. Stakeholders), l'integrazione dei principi ai programmi di sviluppo e formazione o alla propria mission, l'incorporazione degli impegni del Patto ai rapporti annuali e ad altri documenti pubblici o, infine, attraverso la pubblicizzazione del proprio impegno nei comunicati stampa.

I principi enunciati dal Global Compact da prendere in considerazione ai fini delle tematiche ivi trattate sono quelli contenuti nei punti 7, 8 e 9 ovvero:

7. Assunzione di un approccio prudente, precauzionale, preventivo quanto alle sfide ambientali;

8. Adozione di iniziative per la promozione di una maggior responsabilità ambientale;

9. Incoraggiamento allo sviluppo ed alla diffusione di tecnologie rispettose dell'ambiente 30.

Tali principi vengono diffusi attraverso iniziative volte a stimolare e sensibilizzare le aziende all'attuazione degli stessi, attraverso lo sviluppo di politiche di gestione e iniziative concrete all'interno

29 AA.VV. a cura di SACCONI L., Guida critica alla responsabilità sociale e al governo di impresa, cit., p.12, BAGNOLI L., Quale responsabilità sociale per l’impresa?, Franco Angeli, Milano, 2009, p.15, CAPECCHI V., La Responsabilità Sociale di Impresa, cit., p.65, MOLTENI M., Responsabilità sociale e performance d’impresa – Per una sintesi socio competitiva, cit., p.34, PESSI R., La responsabilità sociale dell'impresa, cit., p.6.

30“Global Compact” www.unglobalcompact.org, in merito: BAGNOLI L., Quale responsabilità sociale per l’impresa?, cit., p.19, CAPECCHI V., La Responsabilità Sociale di Impresa, cit., p.66, PESSI R., La responsabilità sociale dell'impresa, cit.,

(25)

dell'organizzazione delle stesse, ma anche attraverso la fornitura di piattaforme ai vari stakeholders per impegnarli a ricercare soluzioni alle sfide inerenti la globalizzazione.

Il “Global Compact” ha avuto un riscontro molto positivo tra le organizzazioni che rappresentano le principali multinazionali e le imprese più importanti al mondo, tant'è che nel luglio del '99 viene siglata tra ONU e ICC (International Chamber of Commerce, rappresentate dalle principali multinazionali) una dichiarazione di adesione volontaria a tale Patto Globale. Negativa è invece la reazione delle ONG, che pretendevano, oltre a una stesura di principi da rispettare, anche una procedura di accettazione vincolata a indagine ed un monitoraggio costante del reale comportamento delle imprese. Tali perplessità sono poi state tenute in considerazione dalla Divisione per lo sviluppo sostenibile dell'ONU che ha definito Agenda 21 nel 2003 un documento più attento e alla promozione e protezione della salute e dell'atmosfera, alla lotta contro il disboscamento, alla gestione degli ecosistemi fragili, mari e oceano; rimane, tuttavia, la matrice di volontarietà dell’adesione da parte degli Stati, così come, allo stesso modo, la “Convenzione delle N.U. sulla Corruzione” stipulata nel 2003 è applicabile solo se sottoscritta dagli Stati31.

Il “Global Compact”, infine, promuove un appuntamento a cadenza triennale, “United Nation Global Compact Leaders Summit”, rivolto ai vertici delle aziende e organizzazioni che aderiscono all’iniziativa onusiana. In questa occasione, tali soggetti si riuniscono per confrontarsi sull’andamento e lo sviluppo dei principi del Global Compact a livello mondiale. Nell’ultima edizione (2016) sono stati creati nuovi modelli di business responsabili, rispondenti ai bisogni della società e allo stesso tempo orientati all’espansione dei mercati. E’

31 BAGNOLI L., Quale responsabilità sociale per l’impresa?, cit., p.27, CAPECCHI

V., La Responsabilità Sociale di Impresa, cit., p. 67, HINNA L., Come gestire la

(26)

stata anche delineata la strategia che il Global Compact seguirà nei prossimi anni per promuovere lo sviluppo sostenibile fino al 203032 .

2.2.2. Dichiarazione dell’OIL

Dal 1970 al 2000 si lavora per raggiungere una Dichiarazione sancita dall’OIL33 (Organizzazione Internazionale del Lavoro), ovvero

un'agenzia specializzata delle Nazioni Unite, nata nel 1919 con sede a Ginevra, che persegue la promozione della giustizia sociale e il riconoscimento universale dei diritti umani in tema di lavoro.

Un' iniziativa orientata a promuovere la sensibilità globale verso temi legati alla RSI si realizza negli anni novanta. Il 18 giugno 1998, infatti, l’OIL adotta la Dichiarazione “Sui Principi e i Diritti Fondamentali del lavoro”, dichiarazione nella quale si mettono in evidenza prerogative molto importanti, quali la libertà sindacale, libertà di associazione e riconoscimento effettivo del diritto dicontrattazione collettiva, l’eliminazione di ogni forma di lavoro forzato o obbligatorio, l’abolizione effettiva del lavoro minorile, l’eliminazione della discriminazione in materia di impiego e professione34. L’obiettivo

primario della Dichiarazione è di incentivare gli sforzi nazionali verso un progresso sociale non separato da quello economico. L'adozione di tale Dichiarazione è il punto di arrivo di lunghe trattative partecipate dai Capi di Stato e di Governo più importanti nello scenario economico mondiale. A differenza del Global Compact, la Dichiarazione OIL

32 Si veda: www.globalcompactnetwork.org

33 L’OIL emana per mezzo di Convenzioni e Raccomandazioni le norme

internazionali in materia di lavoro. L'organismo esecutivo è formato da: rappresentanti dei lavoratori, rappresentanti degli imprenditori e Governi. Nel sistema delle N.U. è l’unica organizzazione a struttura tripartita. Si veda www.ilo.org. In merito: BAGNOLI L., Quale responsabilità sociale per l’impresa?, cit., p.29, CAPECCHI V., La Responsabilità Sociale di Impresa, cit., p.59.

34 Si veda: “Dichiarazione dell’OIL sui principi e i Diritti Fondamentali nel lavoro e nei suoi seguiti” adottata dalla Conferenza Internazionale del Lavoro nella sua

ottantaseiesima sessione, Ginevra, 18 Giugno 1998, www.ilo.org. In merito: HINNA L., Come gestire la responsabilità sociale dell'impresa, cit., p.45, LUCHINI M., MOLTENI M., Modelli di responsabilità sociale nelle imprese italiane, cit., p.13.

(27)

prevede un meccanismo di controllo e gli strumenti atti ad assicurare l'applicazione delle Convenzioni negli Stati che le hanno ratificate. Si registra, inoltre, un elemento di novità nei confronti degli Stati che decidono di non ratificare tali accordi, in quanto essi sono tenuti a rispettare comunque “i principi riguardanti i diritti fondamentali sanciti in esse”35.

Per l’Organizzazione Internazionale del Lavoro vi sono due principali punti di riferimento in merito alla RSI: la “Dichiarazione Tripartita”, che guida il comportamento delle imprese e la “Dichiarazione sui Principi e Diritti Fondamentali del Lavoro”, che obbliga i governi ad attuare i principi contenuti nei diritti fondamentali. Per tale Organizzazione la Responsabilità Sociale di Impresa è “il modo in cui le Imprese prendono in considerazione l’impatto delle loro attività sulla società e in cui affermano i loro principi e valori tanto nei loro metodi e processi interni, quanto nelle loro relazioni con gli attori. La RSI è un’iniziativa volontaria, che dipende solo dall’impresa e si riferisce a quelle attività che vanno oltre la mera osservanza della legge”36. L’OIL caratterizza perciò la RSI come volontaria, parte

integrante della gestione dell’impresa, sistematica, non occasionale e legata allo sviluppo sostenibile.

L’OIL è sempre più coinvolta nella programmazione della RSI all’interno degli Stati membri e contribuisce al suo sviluppo attraverso nuove Dichiarazioni e Convenzioni. Nel 2009 OIL lancia “Helpdesk”, che offre ai Membri della stessa e alle imprese un più facile accesso alle informazioni, assistenza, servizi di orientamento, consulenza in materia di RSI.

35 “Dichiarazione dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro sui Principi e

Diritti fondamentali” www.ilo.org. In merito: PESSI R., La responsabilità sociale

dell'impresa, cit., p.6, HINNA L., Come gestire la responsabilità sociale dell'impresa,

cit., p. 46, ZAMAGNI S., Impresa responsabile e mercato civile, Il Mulino, Bologna, 2013, p.40.

(28)

2.2.3. OCSE

Nell'ambito della RSI, rivestono un importante ruolo gli enunciati dell’OCSE37. L’ OCSE è un organismo con specifiche competenze nel

campo della cooperazione economica e del lavoro ed essa riunisce le Nazioni più industrializzate e fornisce loro Linee Guida in materia di multinazionali a partire dal 1976. Tale “regolamentazione” è stata revisionata nel 2000, quando l'OCSE ha lanciato le “Linee Guida destinate alle imprese multinazionali”. Si tratta di raccomandazioni emanate dai Governi che aderiscono alla suddetta Organizzazione e rivolte alle multinazionali dei rispettivi Paesi, con lo scopo di assicurarne un operato delle stesse in armonia con politica, economia e aspettative sociali. In continua evoluzione, tali Linee costituiscono uno strumento globale di RSI, nel senso che stabiliscono principi, regole, standard, il cui rispetto ha carattere del tutto volontario e non obbligatorio. Tale documento si caratterizza per una struttura divisa in 3 parti: linee guida; procedure di attuazione; commento agli enunciati38.

In merito alle Linee Guida, esse si dividono in principi generali e regole che le multinazionali volontariamente dovrebbero seguire:

• Nei Principi Generali si sottolinea che le multinazionali dovrebbero contribuire al progresso economico, sociale e ambientale per realizzare uno sviluppo sostenibile. Tra questi riscontriamo una serie di raccomandazioni di ampio respiro che fissano l’orientamento generale e fungono da introduzione alle linee guida specifiche.

• Pubblicazione di informazioni. Al fine di migliorare la comprensione delle attività svolte delle imprese. Queste ultime dovrebbero fornire sempre maggiori informative agli stakeholders, nel rispetto del principio di trasparenza dei processi decisionali, ma anche allo scopo di migliorare la conoscenza

(29)

delle stesse e l’interazione con società e ambiente. In questo senso, si richiedono informazioni affidabili su attività, struttura e situazione finanziaria, il tutto caratterizzato da elevati standard qualitativi. L’OCSE raccomanda la pubblicazione di informazioni relative alla situazione economico-finanziaria, azionariato, sistemi di governance, oltre a quelle riguardanti settori caratterizzati da meccanismi di comunicazione non ancora standardizzati, come i dati sociali e ambientali. Sulla base di questi principi, si evince che l’OCSE richiede una forma di rendicontazione sociale in capo alle imprese39.

• Occupazione e relazioni industriali: Linee guida che si riferiscono alle politiche del lavoro applicate. Le imprese dovrebbero rispettare il diritto dei loro dipendenti di essere rappresentati da sindacati, contribuire all'abolizione del lavoro minorile, dei lavori forzati.

• Ambiente: Linee Guida che richiedono una più attenta tutela dell’ambiente, della salute pubblica e sicurezza, focalizzandosi sull’opportunità di contribuire ad uno sviluppo sostenibile. In tale ambito vengono recepiti i principi della “Dichiarazione di

37 OCSE: Organizzazione per la Cooperazione e Sviluppo Economico istituita

con la Convenzione di Parigi nel 1960.E' un'organizzazione internazionale di studi economici, che conta attualmente 35 Paesi industrializzati. Questa si occupa delle questioni più rilevanti in campo economico, sostenere lo sviluppo e la crescita dell'occupazione, contribuire ad un sano sviluppo dei paesi membri e non, fornendo loro aiuti e assistenza, favorire l'espansione del commercio mondiale su base multilaterale e non discriminatoria cercando di ridurre gli ostacoli agli scambi internazionali. Si veda: www.oecd.org. In merito: BAGNOLI L., Quale responsabilità sociale per l’impresa?, cit., p. 28, CAPECCHI V., La Responsabilità Sociale di Impresa, cit., p.61.

38 BAGNOLI L., Quale responsabilità sociale per l’impresa?, cit., p. 32

BANDETTINI A., Il Bilancio di Esercizio, Cedam, Padova, 2004, p.3, BEDA A., BODO R., La responsabilità sociale d’impresa – Strumenti e strategia per uno

sviluppo sostenibile dell’economia, Il Sole 24 Ore Pirola, Milano, 2006, p.35,

CAPECCHI V., La Responsabilità Sociale di Impresa, cit., p.62, IELO P., Corporate

Social Responsibility e responsabilità amministrativa degli enti, cit., p.187, PESSI R., La responsabilità sociale dell'impresa, cit., p.7.

(30)

Rio”, “Agenda 21” e le “Norme ISO sui sistemi di gestione ambientale”.

• Lotta alla Corruzione: Linee Guida volte ad evitare che l’imprenditore offra, conceda, solleciti doni o altri vantaggi, con lo scopo di ottenere o conservare un mercato o altro indebito vantaggio.

• Interessi del Consumatore: le imprese dovrebbero garantire nelle attività commerciali, di vendita e di pubblicità tutte le misure ragionevoli per la sicurezza e la qualità dei beni e servizi venduti per salvaguardare il consumatore.

• Scienza e Tecnologia: le imprese con i loro programmi aziendali dovrebbero favorire lo sviluppo scientifico e tecnologico delle società, tenendo conto dei bisogni dell’ambiente in cui operano. • Concorrenza: Linee Guida finalizzate a esortare le imprese a non imporre prezzi, porre in essere offerte collusive, fissare limiti alla produzione.

• Fiscalità: le imprese dovrebbero rispettare le normative tributarie dei Paesi nei quali operano e rispettare il pagamento delle imposte dovute in modo puntuale.

In merito alle procedure di attuazione, gli organi previsti sono due40:

• PCN: Punti di Contatto Nazionali, strutture governative deputate a ricevere denunce contro l’operato delle multinazionali e a svolgere attività di promozione e informazione in merito alle Linee Guida.

40 BAGNOLI L., Quale responsabilità sociale per l’impresa?, cit., p. 36

BANDETTINI A., Il Bilancio di Esercizio, cit., p.5, BEDA A., BODO R., La

responsabilità sociale d’impresa – Strumenti e strategia per uno sviluppo sostenibile dell’economia, cit., p.35, CAPECCHI V., La Responsabilità Sociale di Impresa, cit.,

p.65, DELLA ROVERE A., Transfer pricing: nuova versione delle Linee Guida

(31)

• CIME: Comitato degli Investimenti Internazionali e delle Imprese Multinazionali, organo dell’OCSE, istituito per controllare il funzionamento degli indirizzi.

Né il PCN né il CIME possono emettere alcuna sanzione in relazione ad una disputa. La loro valutazione infatti non è vincolante, come non sono vincolanti le direttive stesse.

A dieci anni dall'ultima revisione delle Linee Guida ed alla luce dei notevoli mutamenti dello scenario economico internazionale e delle nuove istanze etiche scaturite dall'attuale crisi economico-finanziaria, in occasione della riunione annuale dei PCN del 2009 è stato lanciato il processo di aggiornamento delle Linee Guida per cercare di aumentare la loro rilevanza ed efficacia. Nell’aggiornamento sono state toccate alcune tematiche rilevanti in tema di RSI, quali l'aggiornamento degli strumenti e standard richiamati nelle Linee Guida, l’implementazione del sistema di due diligence per la prevenzione dei rischi, l'espressa responsabilità dell'impresa per le attività della propria catena di fornitura, la responsabilità dell’impresa per un rapporto corretto con gli stakeholders41.

A seguito della prima approvazione delle Linee Guida, l’OCSE si è occupato principalmente di RSI. Tra le iniziative, quella più rilevante è tesa alla realizzazione dei codici di condotta, al fine di indurre all’assunzione di determinati comportamenti nel campo delle relazioni lavorative, dell’ambiente, dei diritti umani, della tutela del consumatore e della lotta alla corruzione 42.

2.3. La svolta delle Nazioni Unite

Sebbene il tentativo di giungere a strumenti giuridici vincolanti sia ben presto fallito, l’attività di promozione della RSI da parte delle Nazioni Unite non si è arrestata. Il ruolo centrale delle multinazionali nel

41 DELLA ROVERE A., Transfer pricing: nuova versione delle Linee Guida OCSE,

cit.

42 CECCHI M. Strategie e sistemi di controllo: uno schema di analisi, Franco Angeli,

(32)

perseguimento degli scopi prefissati dalle Nazioni Unite nell’ambito della tutela dell’ambiente e dello sviluppo è infatti riconosciuto in un vasto numero di Dichiarazioni promosse della stessa Istituzione: da “Agenda 21” del 1992, all’iniziativa del “Global Compact” del 1999,alla “Dichiarazione sullo Sviluppo Sostenibile” del 2002, alla redazione delle Norme delle Nazioni Unite sulle responsabilità delle imprese multinazionali e le altre imprese con riguardo ai diritti umani, adottate nel 2003. Tali norme sono molto più precise rispetto a quelle suggerite dall’OCSE e per la prima volta viene scelto un approccio normativo articolato sia nell’impegno a monitorare le multinazionali sia a intraprendere le azioni legali contro le imprese che violino tali norme43.

2.3.1. Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile

Tra le iniziative delle Nazioni Unite è significativa ai nostri fini la Risoluzione “Trasformare il nostro mondo: Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile”, adottata dall’Assemblea Generale il 25 settembre 2015 e sottoscritta dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU.

L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile è un programma d’azione per “le persone, il pianeta e la prosperità”. Essa ingloba 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile - Sustainable Development Goals -. L’avvio ufficiale degli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile è coinciso con l’inizio del 2016 ed i Paesi si sono impegnati a raggiungerli entro il 2030. Tra gli “Obiettivi per lo Sviluppo” possono essere citati la lotta alla povertà, il contrasto al cambiamento climatico, il problema dell’occupazione e il raggiungimento della crescita economica sostenibile. ‘Obiettivi comuni’ significa che essi riguardano tutti i Paesi e tutti gli individui: nessuno ne è escluso, né deve essere lasciato

43 BEDA A., BODO R., La responsabilità sociale d’impresa – Strumenti e strategia per uno sviluppo sostenibile dell’economia, cit., p.36, BORGIA F., La responsabilità sociale delle imprese multinazionali, cit., CAPECCHI V., La Responsabilità Sociale di Impresa, cit., p.68.

(33)

indietro lungo il tracciato necessario per portare il mondo sulla strada della sostenibilità44.

L’Unione Europea in merito ad Agenda 2030 ha ribadito il forte impegno dell'UE e dei suoi Stati membri a darne piena attuazione e a conseguire lo “sviluppo sostenibile” declinato - in 17 punti - in tutte le proprie forme (economica, sociale e ambientale) in modo equilibrato e integrato.

Il Consiglio invita la Commissione a stabilire entro la metà del 2018 una strategia di attuazione completa di Agenda 2030 a livello di tempistiche, obiettivi e misure concrete in tutte le politiche dell'UE. La Commissione dovrebbe inoltre individuare entro la metà del 2018 le lacune esistenti, da colmare entro il 2030, nell'ambito delle politiche, della legislazione, delle strutture di governance dei singoli Paesi per permettere l'attuazione degli obiettivi stessi 45.

3. La Normativa Europea

3.1. Le origini della regolamentazione della RSI in Europa

Analizzando la normativa europea, cresce spontaneo il quesito di come inquadrare l’orientamento dell’Unione Europea, da cui discende inevitabilmente quello del Governo italiano, in materia di RSI. In altre parole, ci si chiede quale modello di gestione aziendale sia proposto alle imprese, ovvero se l’agire socialmente responsabile sia suggerito come strumento strategico che consenta alle imprese di contribuire al benessere sociale e perseguire, allo stesso tempo, finalità imprenditoriali oppure come impegno morale intrinseco ad instaurare una relazione positiva con gli stakeholders.

Il documento fondamentale dell’Unione Europea, il Trattato di Roma del 1957, istitutivo come è noto della Comunità Economica Europea, può essere considerato, anche grazie alle sue successive modifiche

44 www.unric.org

Riferimenti

Documenti correlati

collegamenti con quanto appreso – riflettere sulle problematiche connesse con l’uso delle plastiche e, più in generale, dei derivati del petrolio (in alternativa ad STA). Chimica

- Codice di comportamento per le PMI marchigiane, con la definizione dei principi di comportamento etico, sociale e ambientale attinenti al territorio, alle

- Codice di comportamento per le PMI marchigiane, con la definizione dei principi di comportamento etico, sociale e ambientale attinenti al territorio, alle

Aree di CSR Titolo progetto Obiettivi Risultati in sintesi Partners coinvolti SDGs e Target di riferimento Welfare Aziendale /. Benessere /

 è stata pronunciata condanna irrevocabile o emesso decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, oppure sentenza di applicazione della pena su richiesta,

Analizzando i motivi per i quali le imprese che non si concentrano sulla massimizzazione del valore per gli azionisti ottengono rendimenti molto elevati, si

questi studi e teorie rappresentarono la base per ulteriori analisi molto più approfondite e specifiche negli anni ’90, anche se, la vera svolta, ci fu solamente nel 2001

È infatti nell’innovazione e nella Trasformazione Digitale, che investe e definisce il New Normal, che stiamo concentrando i nostri sforzi maggiori, finalizzati alla riduzione