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Glottodidattica, plurilinguismo e super-diversità

Super-diversità linguistica

3.3 Educazione linguistica e super-diversità

3.3.3 Glottodidattica, plurilinguismo e super-diversità

In quest'ultimo breve paragrafo, per motivi che riguardano i limiti della ricerca (oltre alla difficoltà di trovare materiale sul rapporto tra super-diversità, plurilinguismo e glottodidattica), non si possono presentare metodi e strumenti per l'apprendimento delle lingue in contesti super-diversi, né è possibile indicare particolari progetti glottodidattici da portare come esempio per come si insegnano le lingue in contesti scolastici super-diversi.

La necessità di mettere in relazione glottodidattica, plurilinguismo e super- diversità consiste proprio da una relativa assenza di punti di riferimento a riguardo303.

Come metteremo in evidenza nelle conclusioni in termini più generali sul discorso della super-diversità nel contesto italiano, gli unici contributi di un certo rilievo sull'argomento del rapporto tra glottodidattica, plurilinguismo e super-

301 Nel senso di un'economia curricolare mirata al conseguimento del migliore rapporto possibile tra costi ed efficacia, cfr., ivi, p. 37

302 Ivi, pp. 36-37

303 Si confronti a proposito: M. Vedovelli, Guida, cit., p. 235 e segg e M. Barni, M. Vedovelli, L'Italia plurilingue fra contatto e super-diversità, in Percorsi e strategie di apprendimento dell'italiano lingua seconda: sondaggi sull'ADIL 2, Guerra Edizioni, Perugia, 2009, pp. 29-47

diversità non riguardano il contesto scolastico ma quello dell'immigrazione e dell'apprendimento della lingua italiana da parte di immigrati adulti304, in alcuni casi

consapevolmente inseriti in un contesto di apprendimento orientato all'inserimento e all'integrazione economica305 o addirittura in contesti particolari come quello

penitenziario306.

Come messo in evidenza a più riprese da Balboni307, la maggior parte dei

manuali di glottodidattica generale italiani risalgono a un momento della storia italiana in cui non era ancora avvenuto in maniera chiara il passaggio dell'Italia alla società di immigrazione, motivo per cui, attualmente

la glottodidattica non può più offrire una risposta unitaria, monolitica, statica, universale - non diciamo alla grande Europa, ma neppure alla piccola Italia. La glottodidattica italiana non si trova più di fronte il solo compito di creare cittadini europei in grado di intendersi e di apprezzarsi a vicenda, ma quello ben più importante di consentire a tutti, italiani e immigrati, bambini e pensionati, studenti e lavoratori, di scegliere, liberi da ostacoli linguistici, nuove «masse» cui appartenere per poter nutrire, condividendoli, i propri interessi culturali, economici, sessuali, musicali, religiosi ecc.308

In questo senso, più che dedicarsi alla ri-fondazione dell'intero sistema di insegnamento-apprendimento delle lingue alla luce delle sfide date dal passaggio da contesti di apprendimento relativamente semplici e mono-culturali a contesti complessi, pluri-culturali e plurilingui, bisognerebbe ragionare sugli strumenti già definiti della disciplina.

Dal punto di vista operativo, risposte alla super-diversità nei luoghi di apprendimento potrebbero venire da forme di apprendimento di tipo cooperativo e collaborativo309 in cui l'interazione didattica coinvolge ogni alunno in base alla 304 Vd., M. Chini, (a cura di) Plurilinguismo e immigrazione in Italia, Un'indagine sociolinguistica a

Pavia e Torino, FrancoAngeli, Milano, 2004

305 M. Barni, A. Villarini, (a cura di), La questione della lingua per gli immigrati stranieri, Insegnare, valutare e certificare l'italiano L2, FrancoAngeli, Milano, 2001

306 A. Benucci, G. Grosso, Plurilinguismo, contatto e super-diversità nel contesto penitenziario italiano, Pacini Editori, Pisa, 2015

307 P. E. Balboni, Le sfide di babele, Insegnare le lingue nelle società complesse, UTET, Torino, 2002, p. 9 e segg.

308 Ivi, p. 11 309 Cfr., ivi, p. 47

propria specificità e trasforma le relazioni tra “compagni”310 in rapporti di reciprocità

tra colleghi e maestri. Oppure, da forme di apprendimento multi-modali (e multi- mediali) come quelle messe in evidenza, ad esempio, da Jewitt311, attraverso la

sistemazione dello spazio d'apprendimento grazie anche all'introduzione delle tecnologie digitali che permetto di usare l'intero repertorio di «meaning-making

resources that people use (visual, spoken, gestural, written, three-dimensional, and others, depending on the domain of representation) in different contexts, and on developing means that show how these are organized to make meaning»312

Allo stesso tempo, ciò che emerge ad esempio dall'analisi di Balboni, è che quando viene messo davanti alla diversità, anche un modello canonico e datato, come quello dell'analisi dell'evento comunicativo di Hymes basato sull'acronimo S-P-E-A- K-I-N-G313 si presta ad essere interpretato in modo più ampio e approfondito per

renderlo valido per tutti gli eventi comunicativi sia in contesti super-diversi, sia che riguardino l'apprendimento di una lingua straniera o qualsiasi altro contenuto formativo.

In questo senso, in un contesto super-diverso, la scena culturale (la S del modello di Hymes) in cui si sviluppano le dinamiche della comunicazione glottodidattica è quella delle dinamiche interculturali e plurilinguistiche, così come il

Setting, ossia il luogo fisico, può benissimo essere quello di una classe di alunni

provenienti dai luoghi più diversi. Agli scopi (Ends) solitamente intesi, in un ambiente super-diversificato si aggiungerà la necessità di comunicazione tra repertori super-diversi, mentre gli atti e le mosse comunicative (Acts) saranno probabilmente soltanto, ulteriormente diversificati314, così come saranno diversificati gli

atteggiamenti psicologici (le Key).

Infine, per quanto riguarda gli strumenti, vale quanto detto a proposito di multi-modalità e multi-medialità, mentre per le norme dell'interazione esse saranno fortemente condizionate dagli atteggiamenti psicologici e dalla rete di relazioni che

310 (coloro che condividono il pane nella buona e nella cattiva sorte: passivi, branco), così nel testo. 311 C. Jewitt, Multimodality and digital technologies in the classroom, in I. de Saint-Georges, J.

Weber, (a cura di) Multilingualism, cit., p. 141 e segg. 312 Ivi, p. 142

313 Cfr., P. E. Balboni, Le sfide, cit., p. 56 314 Cfr., ivi, pp. 83-85

ci sarà tra i partecipanti, così come la scelta dei generi comunicativi che possono comprendere l'ascolto e la visione di materiali didattici studiati per adattarsi al livello di complessità del contesto di apprendimento, fino alla creazione di “alleanze” di apprendimento per coppie, gruppi e squadre.315

Ciò che emerge da questa serie di considerazioni, dunque, è il fatto che nonostante la ricerca glottodidattica e di linguistica educativa, specialmente in Italia, abbia riconosciuto la super-diversità e la particolarità dei contesti di apprendimento super-diversi come rilevanti ai fini della ricerca316 non sia stata prodotta una mole

adeguata di studi in questo senso. Rimane comunque da verificare se in quest'ambito ci sono già strumenti e approcci didattici capaci di soddisfare le esigenze che si presentano nei luoghi dell'apprendimento.

A questo proposito le raccomandazioni elaborate dall'Osservatorio Nazionale per l'Integrazione e per l'Intercultura, al punto 7 intitolato, appunto, ''Valorizzare la diversità linguistica'' sottolineano come:

L'integrazione scolastica dei bambini e dei ragazzi con origini migratorie ha seguito in questi anni modalità prevalentemente di tipo ''compensativo'', sottolineando soprattutto le carenze e i vuoti e riconoscendo molto poco i saperi acquisiti e le competenze di ciascuno, ad esempio, nella lingua materna. La diversità linguistica rappresenta infatti un'opportunità di arricchimento per tutti, sia per i parlanti plurilingue che per gli autoctoni, i quali possono precocemente sperimentare la varietà dei codici e crescere più aperti al mondo e alle sue lingue317.

É però lecito chiedersi se a livello delle scuole, nella pratica, la pluralità linguistica è considerata dagli insegnanti una vera risorsa o soltanto un impedimento all'apprendimento dell'italiano e soprattutto come gli insegnanti percepiscano la valorizzazione del plurilinguismo. Per chiarire questi aspetti, una ricerca condotta tra il 2012 e il 2014 nelle scuole primarie del territorio piemontese tramite la somministrazione di 972 questionari318 (di cui 150 sono stati somministrati agli 315 Cfr., ivi, p. 87

316 Ad esempio, con Barni e Vedovelli

317 Osservatorio Nazionale per l'integrazione degli alunni stranieri e per l'intercultura del Ministero

dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, Diversi da chi? Raccomandazioni per l'integrazione degli alunni stranieri e per l' intercultura,

insegnanti) ha cercato di valutare come gli insegnanti vivono la pluralità linguistica delle loro classi, quale posizione hanno adottato rispetto al ruolo delle lingue di origine degli alunni, quali azioni di valorizzazione del plurilinguismo hanno inserito nella didattica, su quali elementi psico-didattici si basano e quali siano gli atteggiamenti che ci possiamo aspettare.

Per quel che concerne le lingue parlate a casa dagli alunni di origine straniera, i risultati mettono in evidenza un livello discreto di conoscenza del repertorio linguistico degli alunni da parte degli insegnanti, invece mettendo a confronto la percezione degli alunni e quella degli insegnanti risulta che nel 68,4% dei casi la situazione dichiarata dagli alunni corrisponde a quella dichiarata dagli insegnanti.

Per analizzare la dimensione valutativa degli atteggiamenti sono state proposte 24 affermazioni che avevano come base di partenza conversazioni di due

focus group alle quali si poteva rispondere assumendo una posizione di accordo,

disaccordo o incertezza. Da questi dati risulta una situazione contrassegnata da una certa fiducia nel valore del coinvolgimento, nella riflessione linguistica, delle varie ''lingue di casa'' degli alunni319, fiducia accompagnata però dal riconoscimento di

varie problematiche nel processo di apprendimento. A questo proposito, è alto il numero degli insegnanti preoccupati dal fatto che il plurilinguismo possa creare confusione nei bambini o che possa ostacolare il loro processo di apprendimento dell'italiano (40 risposte di preoccupazione nel primo caso, 29 nel secondo).

Alcuni commenti scritti dagli insegnanti rivelano che spesso gli alunni stranieri fanno un paragone tra l'italiano e la propria lingua e a questo punto il ruolo degli insegnanti si rivela fondamentale per gli alunni per poter confrontare e comprendere appieno alcuni meccanismi di funzionamento della lingua.

Da notare come l'affermazione “Il multilinguismo della classe permette di riflettere sulla lingua confrontando le diverse lingue degli alunni'', sia ritenuta vera da 108 insegnanti, mentre 25 la ritengono falsa e 14 sono incerti sulla risposta. Gli insegnanti dichiarano che un confronto tra l'italiano e le altre lingue possa stimolare

societa/punti-di-vista/l-educazione-plurilingue-si-deve-fare-si-puo-fare-si-puo-progettare/

319 Il 45,3% degli insegnanti del campione è convinto del valore positivo del plurilinguismo, il 26,7% è scettico e il 28% è preoccupato.

la classe, però per motivi di tempo o di assenza di certi requisiti non possono approfondire il discorso, limitando questi episodi e di conseguenza non possono sfruttarli per raggiungere alcune competenze.

Per quanto riguarda gli atteggiamenti sul piano della pratica didattica, il 49,3% degli insegnanti svolge occasionalmente delle pratiche di inclusione delle lingue d'origine degli alunni immigrati e inoltre presenta resoconti delle esperienze.

Per quanto riguarda gli atteggiamenti sul piano della pratica didattica, il 49,3% degli insegnanti svolge occasionalmente delle pratiche di inclusione delle lingue d'origine degli alunni immigrati e inoltre presenta resoconti delle esperienze. In alcuni casi risulta che sono gli alunni stessi a sollevare delle domande o a indicare per esempio che ''a casa loro una determinata cosa si chiama in un certo modo'' o che '' davanti ai nomi non si mettono gli articoli come in italiano''.

Per quanto riguarda la struttura metalinguistica per esempio, ''durante la riflessione sulla lingua italiana confrontiamo la struttura della frase italiana con quella romena, albanese o araba riflettendo sull'uso degli articoli, delle preposizioni e delle doppie'', un'insegnante dichiara: ''Ho lavorato sulle lingue di origine dei bambini per ciò che riguarda un'indagine sulle lingue e i dialetti parlati nelle nostre classi. Ogni bambino si è sentito fortemente coinvolto nell'attività ed ha portato a scuola una serie di proverbi nella lingua d'origine. Ne è emerso uno studio su modi diversi di formulare le frasi, pronuncia, accenti. La collaborazione dei genitori è stata data nella scrittura dei proverbi per l’indagine.'' Un altro insegnante invece dichiara: ''È capitato che durante le conversazioni o nell'intervallo, i bambini, spontaneamente, raccontassero come si dice nella loro lingua una certa parola. Viene sempre incoraggiato il racconto di esperienze o testimonianze legate alla lingua di origine, ma non ho mai organizzato un'attività mirata e strutturata''.

In un altra riflessione invece emerge il fatto che mettere in gioco la propria lingua a scuola significa per un alunno mettere ancora di più in evidenza la propria diversità con il rischio di sentirsi a disagio nel farlo: ''Gli alunni di provenienza polacca e portoghese esprimono timidezza e titubanza nella traduzione nella loro lingua madre, pur parlandola quotidianamente a casa''. Onde evitare questo rischio, gli insegnanti adottano un atteggiamento adatto e coerente alla situazione per cui

resta fondamentale la scelta di un curricolo orientato alla diversità.

Per favorire l'integrazione dell'educazione plurilingue nei curricoli scolastici, il Consiglio d'Europa ha redatto il ''Quadro di Riferimento per gli Approcci Plurali''320, mettendo in risalto gli approcci didattici che possono attivare le risorse

degli alunni portando a uno sviluppo delle competenze metalinguistiche e interculturali.

È opportuno sottolineare che l'educazione linguistica, come messo in evidenza più di quarant'anni fa dalle Dieci Tesi Giscel321 in proposito, non può avere

come base un'educazione monolingue con alcuni episodi occasionali di tipo interlinguistico. Diventa necessario a questo punto costruire esperienze nuove e condividere quelle realizzate all'interno della comunità educativa degli insegnanti. Sostenere la creazione di un'educazione linguistica ''tra le lingue'' resta il percorso opportuno di linguisti e insegnanti anche per evitare di chiedere a un alunno plurilingue di funzionare come un monolingue visto che le ricerche nel campo psicolinguistico hanno raggiunto la conclusione che una persona plurilingue funziona diversamente da una persona monolingue.322

320 M. Candelier, A. Camilleri-Grima, V. Castellotti, J.-F. de Pietro, I. Lörincz, F.-J. Meißner, A. Noguerol, A. Schröder-Sura, M. Molinié (2011), Le CARAP - Un Cadre de Référence pour les Approches plurielles des langues et des cultures – Compétences et ressources, Conseil de l’Europe, Strasbourg - Graz, trad. it. a cura di Anna Maria Curci e Edoardo Lugarini (2012), in Italiano LinguaDue, Semestrale del Master Promoitals, Università degli Studi di Milano.

321 Gruppo di Intervento e Studio nel Campo dell'Educazione Linguistica (GISCEL), Dieci tesi per l'educazione linguistica, Roma, 1975, materiale consultabile presso:

http://www.giscel.it/?q=content/dieci-tesi-leducazione-linguistica-democratica

322 V. Cook, Portraits of the L2 user, Multilingual Matters, Cleevedon, Buffalo, Toronto, Sydney, 2002

CONCLUSIONI

A conclusione del percorso d'analisi è necessario fare il punto su alcune questioni emerse durante la trattazione. Innanzitutto, il concetto di super-diversità per come elaborato da Vertovec ha principalmente un carattere descrittivo più suggestivo che veramente efficace dal punto di vista analitico. Si tratta di un concetto con dei grossi limiti applicativi, sia perché, come messo in evidenza da alcuni critici, può essere usato quasi esclusivamente per descrivere la situazione di alcune aree occidentali (o occidentalizzate) sia perché pur basandosi su un principio quantitativo, in realtà non individua una soglia di differenziazione delle diversità oltre la quale si può parlare di super-diversità piuttosto che di diversità, mancando quindi di precisione.

Inoltre, come messo in evidenza nella prima parte della ricerca, il termine super-diversità viene a identificare esclusivamente sul fronte della diversità quanto in tutti gli altri domini di ricerca viene reso con il termine complessità e quindi, per certi versi ne diventa un sotto-insieme, nel senso che la “complessità” quando si affronta il discorso della diversità può benissimo essere definita come super-.diversità, ma questo termine non aggiunge molto dal punto di vista analitico al discorso.

Se si accoglie il termine super-diversità come strumento per indicare le dinamiche che si presentano in luoghi estremamente differenziati, però, il suo uso garantisce sicuramente un'identificazione chiara e immediata di ciò di cui si parla e questo può essere già sufficiente a giustificarne l'uso. Con questo si intende mettere in evidenza come, alla fine, decidere se usare o meno il termine super-diversità è realmente una questione esclusivamente terminologica, mentre ciò che è interessante dal punto di vista dell'analisi è la consapevolezza che esiste davvero un fenomeno complesso che è quello che il termine super-diversità tenta di descrivere.

Questo fenomeno è l'estrema complessità delle dinamiche che si verificano in un luogo caratterizzato dalla compresenza di persone che provengono o hanno origine nei luoghi più diversi del pianeta terra. Comunque lo si chiami, questo

fenomeno esiste, è in atto in tantissimi luoghi (sopratutto città) del mondo, mentre scrivo, e già solo per questo bisogna farci i conti.

Ciò che è emerso è che questa estrema diversità pone dei problemi che riguardano principalmente la convivenza, l'adattamento delle varie componenti, l'educazione comune, la volontà politica di come gestire il sistema di relazioni che si crea e i pericoli che si nascondono nelle dinamiche di esclusione e marginalizzazione delle fasce e degli elementi più deboli e che sono più esposti ai fenomeni di radicalizzazione.

Con il fallimento del modello multiculturalista britannico si sono aperte diverse strade che, come si è cercato di mettere in evidenza nel secondo capitolo, non sono solo scelte terminologiche ma veri e propri cambiamenti nell'approccio ai problemi generati dalla diversità. Questi nuovi approcci, sopratutto in sede europea come mostrato, passano da riconoscere che il “noi” che caratterizzava le vecchie comunità nazionali è stato superato nei fatti (ma ancora troppo spesso non ancora nella percezione individuale e nella politica) da un “tutti noi che siamo qui e ora in questo posto” e (viene da aggiungere) che dobbiamo fare i conti uno con l'altro.

La situazione in Italia sul fronte della diversità è evidente. Negli ultimi anni l'immigrazione, come dimostrato anche dall'analisi dei dati, ha portato a un aumento innegabile delle situazioni in cui molte persone diverse si trovano a convivere nello stesso posto, sui luoghi di lavoro, nei palazzi delle periferie, nelle scuole, nelle università.

Così come è evidente che l'Italia è diventata in molte sue parti un luogo super-diverso, è evidente come l'educazione sia il luogo per eccellenza nel quale la convivenza tra diversità viene messa alla prova. È un po' il luogo in cui tutti i nodi vengono al pettine, anche perché la scuola è diventata la frontiera di confronto tra generazioni di immigrati, genitori e figli, che incarnano modi diversi di essere stranieri in un paese “ospite”. Spesso questi ultimi sono nati in Italia, si sentono italiani anche se non lo sono per la legge, e hanno un rapporto complicato sia con le loro origini straniere che con le loro origini italiane e sono, in questo senso, loro stessi super-diversi, nel senso che ad esempio hanno un repertorio linguistico e culturale super-diverso già da bambini.

La scuola e gli insegnanti hanno grandi responsabilità e sono chiamati a trovare il modo di gestire la complessità di queste situazioni, spesso senza avere la preparazione adatta per affrontarle. In quest'ottica capire quali sono gli indirizzi politici a livello europeo e nazionale, può essere estremamente importante per accettare innanzitutto il plurilinguismo e rendersi conto del fatto che questo rappresenta una risorsa eccezionale, oltre che una sfida e un problema da affrontare in classe ogni giorno.

Nel mondo di oggi, specialmente in Europa e in occidente in generale, è estremamente difficile che esista qualcuno con un “repertorio puro e incontaminato” ossia che sia completamente monolingue e monoculturale e che non abbia sperimentato qualche forma di contaminazione o mescolanza, diventa quindi sempre più paradossale, ad esempio, parlare di standard culturali di riferimento dei paesi ospiti. Diventa molto difficile sostenere la tesi dell'esistenza di una cultura nazionale, soprattutto se, come si è messo in evidenza nell'analisi, in posti come l'Italia, la cultura nazionale è frutto di un lavoro di ridimensionamento di culture considerate minori a favore di una cultura di riferimento.

Il plurilinguismo (ad esempio nella sua conformazione lingua italiana/dialetto) è stato la normalità in luoghi come l'Italia per tantissimo tempo e in ampie zone del suo territorio lo è tuttora, così che suona quasi strano pensare che riconoscere il valore del plurilinguismo di una classe composta da persone che provengono da culture diverse sia così difficile.

Ciò che è emerso a più riprese dall'analisi è che non si può più parlare di cultura ma è più appropriato parlare in termini descrittivi di culture (al plurale) così come di linguaggio in senso più ampio, piuttosto che di semplici lingue, includendo ad esempio, anche tutte le altre forme di comunicazione non verbale.

Gli strumenti per comunicare a disposizione degli individui in un mondo sempre più diverso aumentano, non diminuiscono, così come dovrebbero aumentare, e non diminuire, i modi e le occasioni per conoscersi e capirsi, magari proprio a partire dai luoghi in cui conoscenza, comprensione e dialogo dovrebbero essere la base di tutto, ossia le scuole, e magari proprio nei contesti in cui si dovrebbe riflettere