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L'educazione plurilingue come possibile paradigma europeo

Super-diversità linguistica

3.3 Educazione linguistica e super-diversità

3.3.2 L'educazione plurilingue come possibile paradigma europeo

Nel contesto europeo, nelle politiche educative, ciò che si avvicina di più a alla super-diversità come “luogo della differenziazione delle diversità” è l'inizio del testo a cura di Coste, Un documento europeo di riferimento per le lingue

dell'educazione?285.

Il testo individua molti fattori che, nella prima parte della ricerca, abbiamo definito “moltiplicatori di diversità” e li inserisce nel quadro europeo, arrivando a descriverlo come un ambiente potenzialmente super-diverso.

L'elenco comprende: pluralità delle conoscenze, specializzazione dei saperi e ridistribuzione dei campi disciplinari; pluralità delle risorse relative ai saperi e

281 J.Beacco, M. Byram, Guide for the development of language education policies in Europe, from linguistic diversity to plurlingual education, Language Policy Division, Council of Europe, Strasbourg, 2003

282 Ivi, p. 34

283 D. Coste (a cura di), M. Cavalli, A. Crişan, P. van de Ven, Un documento, cit., p. XII e segg. 284 Ivi, p. XVIII

modalità di accesso ad essi; pluralità delle lingue e delle altre modalità semiotiche nelle quali le conoscenze e altri tipi di informazioni, espressioni, comunicazioni si costruiscono e si trasmettono; la pluralità delle popolazioni, dei gruppi sociali, delle origini e delle storie di questi gruppi, spesso caratterizzati da mobilità e migrazioni, e le conseguenti dinamiche di inclusione/esclusione sociale; le differenziazioni socio- economiche, la pluralità dei riferimenti culturali, delle religioni, delle culture educative e delle rappresentazioni dell'apprendimento e del ruolo della scuola e delle dinamiche di relazione scuola-famiglia e viceversa; la pluralità delle identità e delle coscienze, così come dei patrimoni identitari collettivi; la pluralità dei principi d'azione e dei valori (spesso vissuti come terreni di scontro) e, infine, la pluralità delle visioni dell'educazione per quanto riguarda, ad esempio (e non solo) le loro finalità ultime (ossia lo sviluppo personale, la trasmissione culturale, l'emancipazione, l'integrazione sociale, la competitività economica etc.)286.

A questo segue che

a tutti i livelli di funzionamento e in qualsiasi contesto, un sistema educativo deve essere in grado di gestire diversi ordini di pluralità, perché il suo obiettivo è contribuire a far sì che i giovani che accoglie diventino, nella loro diversità, attori responsabili e diversi in una società plurale. […] Ciò vuol dire anche che questi sistemi educativi europei, inizialmente organizzati in gran parte in funzione di un progetto di unificazione e messi di fronte oggi a ogni tipo di pluralità, devono non solo rispondere a sfide cognitive, sociali ed economiche, ma anche accompagnare evoluzioni che coinvolgono identità, sia individuali che collettive, all’interno di paesi in cui sono in corso processi spesso destabilizzanti di cooperazione, di unione, ma anche di concorrenza internazionale, su uno sfondo di mondializzazione.287

Come premessa a quanto segue, bisogna notare che lo spirito del documento riguarda la creazione di un repertorio di strumenti per il raggiungimento della condivisione, della concertazione e della convivenza alla base del modello europeista, particolarmente preoccupato sia alla sopravvivenza delle specificità locali e nazionali sia alla formazione di futuri cittadini europei capaci di muoversi in un

286 Cfr., ivi, pp. 5-6 287 Ivi, p. 7

ambiente transnazionale288.

In linea con questo principio vengono messe in evidenza le tendenze alla standardizzazione e all'unificazione che si trovano in alcune norme europee che stabiliscono quadri comuni (un esempio è il caso dell'uniformazione delle qualifiche professionali)289, mentre bisogna notare come gli autori del DERLE considerano

fattori di diminuzione della diversità, alcuni elementi che sono stati collocati da noi nella categoria dei fattori moltiplicatori di diversità. Ad esempio, le rappresentazioni sociali e i comportamenti culturali che passano dai media, le risorse disponibili, e i prodotti e i servizi dell'economia globale290, che non vengono considerati, ad

esempio, nella loro dimensione transnazionale, ma soltanto nella loro dimensione di standard condiviso.291

Nonostante l'obiettivo europeista (peraltro dichiarato), gli autori del DERLE hanno dedicato un'attenzione particolare ad alcuni temi che “in termini di super- diversità” hanno trovato ampio spazio nel corso di questa trattazione. Tra questi ci sono il concetto di identità (fondato, in parte, sulla costruzione del repertorio linguistico individuale)292, e il tema della socializzazione/individualizzazione come

fonte della costruzione del repertorio linguistico che caratterizza la formazione dell'individuo (in questo caso, il futuro cittadino europeo)293.

Per quanto riguarda la socializzazione in cui ci sono specifici discorsi (ossia ciò che in termini “super-diversi” abbiamo individuato come sistemi di risorse che fanno parte del repertorio linguistico individuale super-diverso), nelle ipotesi del DERLE, vengono tenuti in particolare considerazione i luoghi di contatto del periodo formativo (dal quale vengono esclusi, quindi, tutti quelli della sfera

288 Cfr, ivi, p. 5 e segg. 289 Cfr., ivi, p. 9 290 Cfr., ivi, p. 8

291 Come abbiamo cercato di mettere in evidenza nella prima parte della ricerca, quelli che apparentemente possono sembrare elementi di standardizzazione, nei contesti di super-diversità contribuiscono a intessere, e a moltiplicare, la rete delle affiliazioni amplificandone la dimensione a livelli planetari. (un esempio limite potrebbe essere quello di un abitante di Londra di origini nord-africane, che lavora per una società cinese (globalizzazione economica), vive in un quartiere a maggioranza pakistana (area di super-contatto) ma continua a “coltivare” le sue affiliazioni sociali ai quattro angoli del globo tramite i social media (“globalizzazione” della comunicazione) usando una o più lingue franche (“globalizzazione” linguistica).

292 Cfr., ivi, p. 12 293 Cfr., ivi, p. 20

economica del lavoro); tra questi: la famiglia, il gruppo dei pari, l'ambiente prossimo, la scuola, la comunità di “appartenenza o di riferimento”, i media e quello fondamentale di mobilità294.

A proposito delle comunità di appartenenza o di riferimento, Coste richiama in sostanza senza nominarlo il concetto di affiliazione, infatti il termine comunità così inteso

rinvia a diversi ordini di raggruppamenti: comunità nazionale o regionale, comunità etnica, religiosa, comunità professionale, scientifica ecc. Un singolo attore sociale è di solito membro di diverse comunità, nelle quali può trovarsi, secondo i casi, più o meno coinvolto, più o meno attivo, più o meno costretto sul piano dei valori e di un’etica da rispettare, sul piano delle norme di comportamento e delle dimensioni linguistiche della sua partecipazione a questa o quella comunità di appartenenza (o di riferimento).295

Per quanto riguarda invece il concetto di mobilità, esso viene inteso in termini piuttosto ampi, così che viene a comprendere gran parte di ciò che abbiamo visto nei contesti super-diversi caratterizzati dai fenomeni migratori; in questo senso, la mobilità

che sia volontaria o più o meno imposta, la mobilità geografica, sociale, professionale, quella derivante dalle migrazioni di ogni genere e/o quella derivante da rischi e «spostamenti» di una traiettoria di vita, e infine quella, virtuale, offerta oggi dai media gioca un ruolo spesso determinante nel processo continuo di socializzazione / individualizzazione di un attore sociale. Questi diversi tipi di mobilità connotano profondamente i membri delle nostre società contemporanee. È superfluo ricordare che spesso esse comportano necessariamente apprendimenti, aggiustamenti, adattamenti, in particolare per quanto riguarda le capacità linguistiche degli attori sociali coinvolti.296

In questi contesti, l'azione educativa della scuola dovrebbe inserire gli insegnamenti linguistici, (e gli altri insegnamenti) veicolandoli attraverso strumenti

294 Cfr., ivi, pp. 19-20 295 Ivi, p. 19

plurilinguistici adeguati.297

Il processo di scolarizzazione, in primo luogo infantile, si inserisce, quindi, in un modello a più poli che tende a dare maggiore importanza alla (o alle) prima lingua del bambino, quella cioè della sua prima socializzazione familiare e comunitaria, e alla (o alle) lingua principale di scolarizzazione, quelle cioè che operano come veicolo principale dell'istruzione nelle varie discipline.298

A partire da questo, è possibile introdurre gli elementi fondamentali di un paradigma plurilinguistico per l'educazione in ambito europeo che rappresenta l'obbiettivo che sta sotto la realizzazione di un documento di riferimento delle lingue dell'educazione (che risulti più comprensivo del QCER).299

In questo senso, e soprattutto dal punto di vista operativo, sarebbe importante per costruire il “paradigma”, essere consapevoli che

tutte le lingue presenti nella scuola non sono automaticamente lingue della scuola e quindi lingue dell’educazione scolastica; l’istituzione scolastica non può certo prendere in considerazione, in maniera ufficiale nei programmi, tutte le lingue e varietà di cui sono portatori i/le giovani scolarizzati/e, in base ai repertori che hanno acquisito prima (e fuori) della scuola; è invece plausibile che anche le lingue non riconosciute all’interno del curricolo scolastico trovino posto e voce nelle pratiche a livello delle classi o degli strumenti didattici, così come negli spazi scolastici e non solo in quelli ricreativi (esposizioni e testi o affiches nei corridoi ecc.). Per gli alunni interessati, esse possono poi anche avere uno spazio nell’orario scolastico (accesso tecnologico su internet, video e altri programmi in biblioteca o nel centro di documentazione ecc.). La visibilità data alle lingue non curricolari è importante non solo per l’autostima e l’immagine identitaria dei giovani che hanno quelle lingue nel loro repertorio, ma anche per le modalità di porsi in relazione con l’alterità da parte degli altri giovani che non conoscono quelle lingue; l’educazione plurilingue si fa anche attraverso la valorizzazione «quotidiana» della pluralità e delle risorse che essa offre.300

Secondo questa prospettiva un ruolo centrale viene dato al rapporto tra lingua principale di scolarizzazione e tutte le altre che fanno parte del repertorio degli alunni

297 Cfr., ivi, p.21 298 Cfr., ivi, pp. 27-29 299 Ivi, p. 32

scolarizzati e dell'ambiente di apprendimento, soprattutto nei casi in cui, ad esempio per alunni migranti, esiste una grande differenza tra lingua prima e lingua di scolarizzazione. In questo senso, indipendentemente dallo scopo “europeista”, al centro del paradigma che ci si augura venga adottato nei contesti super-diversi, si mettono le

concezioni curricolari e metodologie che puntano a una maggiore integrazione, che tendono a far emergere aspetti trasversali e aperture all’interno di una visione più globale e più economica301 dello sviluppo di capacità e di conoscenze linguistiche e culturali. È in questa prospettiva che si colloca l’educazione plurilingue e la sfida allora è non solo nel mostrare che quest’ultima non è riservata ad una utenza scelta e a una sorta di élite scolastica, ma proprio nel postulare che questo modello di educazione può meglio servire e convenire, rispetto ad altri, alla scolarizzazione dei giovani che possono trovarsi in difficoltà nel contesto educativo e poi nella vita sociale.302