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PMI a conduzione familiare, mercati internazionali e identità strategica. Il caso Locman S.p.A.

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Sommario

ABSTRACT ... 4

PARTE І ... 8

1. L'OGGETTO D'INDAGINE: L'IMPRESA MINORE NEL SISTEMA ECONOMICO ITALIANO ... 9

1.1 Diffusione e rilevanza del fenomeno ... 10

1.2 Aspetti definitori ... 13

1.3 Caratteri distintivi delle imprese minori... 15

1.3.1 Aspetti generali ... 15

1.3.2 Le PMI italiane ... 18

1.4. Uno sguardo al family business ... 21

2. L'INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE IMPRESE: ASPETTI INTRODUTTIVI ... 24

2.1 Le determinanti della globalizzazione e le prospettive per le imprese. ... 24

2.2 Il quadro di riferimento: l'internazionalizzazione dell'impresa ... 29

2.3 Le strategia di internazionalizzazione ... 32

2.3.1 Sul concetto di strategia ... 32

2.3.2 Le strategie di internazionalizzazione come sottospecie delle strategie di espansione geografica. ... 34

2.3.3. I tratti specifici delle strategie di internazionalizzazione ... 37

2.3.4 Il processo di formazione delle scelte di internazionalizzazione. ... 39

2.3.5 Le questioni fondamentali dell'internazionalizzazione. ... 43

3. INTERNAZIONALIZZAZIONE E PROSPETTIVE TEORICHE ... 46

3.1. Le teorie pre-Hymer. ... 46

3.2 La teoria di Hymer ... 47

3.3 Le teorie post Hymer e il Paradigma eclettico ... 49

3.4 Le teorie strategiche ... 54

4. LE DETERMINANTI DEL PROCESSO DI INTERNAZIONALIZZAZIONE ... 60

4.1 Le cause dell'internazionalizzazione dell'impresa ... 60

4.1.1 Le cause di natura interna all'impresa ... 60

4.1.2 Le cause di natura esterna ... 62

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4.3 Le modalità di entrata sui mercati di sbocco ... 66

4.3.1 Le modalità di presenza basate sulle esportazioni ... 68

4.3.1.1 L'esportazione indiretta ... 69

4.3.1.2 Le esportazioni dirette ... 72

4.3.2 Gli accordi strategici ... 76

4.3.3 Gli investimenti diretti esteri (IDE)... 84

4.4 La selezione dei mercati e la scelta localizzativa ... 85

5. L'INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE IMPRESE MINORI ... 90

5.1 Le determinanti ... 91

5.2 Le caratteristiche ... 94

5.3 Ostacoli, rischi ed opportunità ... 96

5.4 I modelli di internazionalizzazione dell'impresa minore... 98

5.5 Aspetti organizzativi e finanziari ... 104

5.5.1 La variabile organizzativa ... 104

5.5.2 La variabile finanziaria ... 105

5.6 Il caso italiano ... 107

5.6.1 Lo scenario internazionale delle Pmi italiane ... 107

5.6.2 I tratti comuni delle imprese minori che hanno successo internazionale ... 110

PARTE II ... 114

6. IL SETTORE DEGLI OROLOGI ... 115

6.1 L'Orologio da polso ... 115

6.1.1 L'esigenza di misurare il tempo ... 115

6.1.2 Gli elementi tecnici per misurare il tempo ... 117

6.1.3 Gli elementi di differenziazione estetica ... 118

6.1.4 Una possibile segmentazione degli orologi da polso... 120

6.1.5 Una possibile classificazione dei modelli di business. ... 122

6.2 Struttura e dinamiche del settore a livello mondiale ... 125

6.2.1 L'offerta ... 125

6.2.2 La domanda ... 129

6.2.3 Il mercato degli orologi da polso in Italia ... 131

6.3 La creazione di valore nel settore dell'orologeria: variabili e dinamiche connesse ... 133

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6.3.2 La distribuzione ... 137

6.3.3 Il consumatore ... 141

6.3.4 Il servizio post vendita ... 143

6.3.5 Le fiere internazionali ... 144

6.4 L'avvento dello smartwatch: minaccia o opportunità? ... 145

6.5 Il modello delle 5 forze di Porter ... 148

7. IL CASO LOCMAN S.P.A. ... 150

7.1 La storia... 150

7.2 L' identità aziendale ... 153

7.2.1 Il core business: l'orologeria ... 157

7.3 L'Internazionalizzazione in LOCMAN ... 162

7.3.1 LOCMAN e i mercati internazionali: aspetti introduttivi ... 162

7.3.2 L'avvio del processo: l'internazionalizzazione trainata ... 163

7.3.3 Il passaggio all'internazionalizzazione pianificata ... 164

7.3.4 Il Made in Italy, dall'Isola d'Elba alla conquista del mondo. ... 168

7.4 L'analisi strategica ... 169

7.4.1 L'orientamento strategico di fondo ... 170

7.4.2 La formula imprenditoriale ... 176

7.4.3 Brevi cenni sulla valutazione dei risultati economico finanziari ... 184

7.5 L'analisi SWAT ... 187

CONCLUSIONI ... 192

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ABSTRACT

Le piccole e medie imprese rappresentano, per molteplici aspetti, una componente cruciale del tessuto economico europeo. Sono tra le più importanti fonti di competenze imprenditoriali, d’innovazione e di occupazione; L’importanza delle PMI è particolarmente significativa in alcuni stati membri, tra cui figura senza dubbio l’Italia. Le grandi imprese costituiscono solo lo 0,07% delle imprese collocate sul nostro territorio, dato che diminuisce ulteriormente se consideriamo separatamente il comparto dei servizi e quello delle costruzioni, in cui vestono la grande dimensione rispettivamente lo 0,05% e lo 0,01% delle imprese. La dimensione media dell' impresa italiana è di 3,7 addetti.

Nonostante l'imponente diffusione e rilevanza, le PMI rappresentano un fenomeno che è stato per molti anni e che risulta ancora oggi relativamente poco studiato e conosciuto. Dopo aver descritto brevemente come si configura l'impresa minore nei suoi caratteri distintivi, l'elaborato intende focalizzare la disamina su un aspetto particolare che coinvolge sempre più frequentemente e con una sempre maggiore intensità le imprese di piccole dimensioni, ovvero l'approccio che adottano le stesse nei confronti dei mercati internazionali.

L’internazionalizzazione delle imprese è un fenomeno in costante accelerazione ed è divenuto sempre più complesso, soprattutto negli ultimi quindici anni, caratterizzati da una globalizzazione incessante e pervasiva. Mentre per le grandi imprese la presenza estera è ormai un aspetto praticamente ineluttabile, per le aziende di dimensione minore essa rimane una particolare scelta strategica guidata dalla realizzazione di specifici obiettivi. Se dunque la dimensione aziendale non è condizione necessaria per la presenza estera, rimane certamente un fattore determinante del modo in cui tale presenza è attuata, delle alternative strategiche, delle soluzione organizzative adottate e in qualche misura, delle performance potenziali; il processo di internazionalizzazione delle PMI non può quindi essere assimilato in tutto e per tutto a quello delle aziende più grandi e richiede per questo motivo un approfondimento a parte.

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Adottare una strategia di internazionalizzazione significa in termini approssimativi individuare il posizionamento spaziale che consente all'impresa di ottimizzare i suoi risultati. In termini più espliciti significa scegliere i mercati geografici di approvvigionamento, i luoghi nei quali posizionare la ricerca e sviluppo, i punti nei quali dislocare la produzione, i paesi sui quali vendere i propri prodotti, le piazze finanziarie dalle quali attingere risorse di capitale. Nel fare ciò le imprese, si trovano a dover affrontare una serie di problemi specifici legati all'ostacolo dei confini e delle dogane, ai confini valutari, alla discontinuità normativa e giurisdizionale e alle barriere linguistiche. A prescindere dal grado di complessità delle scelte strategiche internazionali, ogni impresa che voglia intraprendere un percorso di internazionalizzazione si trova di fronte ad una serie di questioni che dovrà adeguatamente considerare ed affrontare relativamente a: 1) quali attività della filiera produttiva occorre riposizionare a livello spaziale, 2) verso quale paese e

3) con quali modalità si effettua l'internazionalizzazione.

L'elaborato cerca quindi di dare un quadro di riferimento ampio e completo sul tema dell'approccio ai mercati internazionali, esaminando tra l'altro le cause che spingono le imprese a compiere la scelta di operare all'estero, e le determinanti della strategia che decidono ivi di porre in essere.

A conclusione della PARTE I, ovvero quella che affronta il tema dal punto di vista prettamente dottrinale, verrà trattata nello specifico la "veste" internazionale delle piccole e medie imprese cercando di definire i tratti comuni che configurano lo small business nella strategia globale.

A supporto dell'esamina condotta al livello teorico, l'elaborato intende affrontare nella PARTE II un Case Study; l'azienda scelta per lo studio sull'approccio strategico all'internazionalizzazione delle PMI, è LOCMAN S.p.A. La discussione sul caso è stata arricchita dalle preziose informazioni fornitemi, nel

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corso dell'intervista da me condotta, dal Presidente della società Marco Mantovani.

LOCMAN rappresenta un nome importante nel panorama della produzione italiana di orologi. L'azienda, nata nel 1986, ha la sede principale all' Isola d'Elba e dalla più bella delle isole dell'Arcipelago Toscano ha lanciato la sua proposta ai mercati di tutto il mondo. Oggi LOCMAN dispone di uffici distaccati a Milano, Firenze, New York, e di una rete di boutique monomarca situate nelle vie internazionali dello shopping esclusivo, da via Tornabuoni a Firenze, a Ginza nel cuore di Tokyo o la centralissima via Gonzaga a Milano. Ma è tra i colori e gli orizzonti accesi dell' Elba che batte il cuore dell'azienda. Nei laboratori affacciati sulla baia di Marina di Campo si mescolano in giusta alchimia le antiche tradizioni orologiere toscane, lo stile italiano e le soluzioni tecnologiche più all'avanguardia, in particolare rispetto alle applicazioni nella produzione orologiera di materiali compositi come il titanio, la fibra di carbonio, l'alluminio e altre leghe di ultima generazione.

Per comprendere appieno le dinamiche di mercato in cui LOCMAN opera, abbiamo analizzato il settore di riferimento, fornendone una panoramica esaustiva, anche in chiave evolutiva.

La cultura del segnatempo meccanico ha una lunga tradizione, che raggiunge il suo apice negli anni del boom economico. In seguito, l'avvento dell' orologi elettronici, prodotti su larga scala e a costi contenuti ha favorito "il consumo" di massa. Ma non si tratta dell'unico profondo mutamento che ha interessato il settore; il miglioramento della qualità della vita e l’aumento del potere d’acquisto dei consumatori, hanno cambiato le modalità d'acquisto e d’uso di questo prodotto. Da un semplice misuratore di tempo, l’orologio è divenuto un importante accessorio, elemento che completa e definisce il look personale; si è passati dall'orologio per la vita ad avere un'ampia scelta sull'orologio da indossare per le diverse occasioni d'uso, e le diverse proposte di outfit. Il cliente è sempre più esigente, e alla ricerca di prodotti unici, diversi.

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E LOCMAN fa proprio questo; cerca di portare sul mercato qualcosa di diverso e di alternativo all'alta orologeria. La casa elbana ha sempre cercato di non seguire le tendenze altrui e di garantire un' originalità, coniugando aspetti estetici e tecnici e cercando nuove soluzioni nell'uso dei materiali e nello sviluppo di idee di design all'avanguardia.

Dopo aver delineato il processo storico, attraverso la descrizione delle tappe fondamentali , che ha portato all'attuale configurazione dell'azienda, l'attenzione si è focalizzata sugli elementi che definiscono l'identità aziendale e su un'analisi maggiormente dettagliata relativa al corebusiness dell'orologeria.

E' poi sulle sfide imposte dai mercati globali che si è concentrata la discussione del caso ed in modo particolare sul passaggio recente ad una razionale pianificazione della strategia internazionale fondata su un maggiore presidio e sull'ingresso in nuovi mercati.

Dato che si configura come una particolare scelta all'interno del più ampio spettro delle scelte strategiche, si è rivelato necessario in tale ambito inserire l'internazionalizzazione in un' indagine di più ampio respiro che prevede lo studio sull’identità profonda dell’impresa, esplicitata nell’orientamento strategico di fondo e concretizzata nella formula imprenditoriale.

L'elaborato si conclude, in fine, con la valutazione sulle prospettive future dell'azienda, che vengono interpretate con occhio critico, attraverso l'analisi SWAT.

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1. L'OGGETTO D'INDAGINE: L'IMPRESA MINORE NEL SISTEMA ECONOMICO ITALIANO

La consapevolezza del ruolo sempre più determinante delle piccole e medie imprese nel contesto economico del nostro Paese e più in generale di quello europeo, è oggi un dato acquisito. Si tratta infatti di una realtà imprescindibile, avvalorata da numeri e dati statistici sempre più significativi, che non solo evidenziano l'imponente diffusione del fenomeno, ma ne dimostrano anche importanti fattori di ricaduta a livello di capacità produttiva, di crescita e di assorbimento occupazionale; nonostante ciò le PMI rappresentano un fenomeno che è stato per molti anni e che risulta ancora oggi relativamente poco studiato e conosciuto. Le motivazioni di tale ritardo possono essere ricondotte all'influenza negativa derivante dall'ipotesi dominante negli anni Cinquanta e Sessanta secondo la quale le piccole imprese fossero destinate nel medio periodo ad essere soppiantate dalle grandi, essendo queste ultime in grado di conseguire performance decisamente più elevate. Il modello della grande impresa, protagonista dell'espansione industriale del dopoguerra, a partire dagli anni '70 viene messo in discussione. Proprio a partire da questo decennio si assiste alla riduzione della dimensione media delle unità produttive del settore manifatturiero, fenomeno che procederà e si intensificherà negli anni '80. In seguito ai fenomeni di crisi economica e di burocratizzazione della grande impresa si assiste quindi ad un rovesciamento della prospettiva di riferimento all'insegna del nuovo slogan "piccolo è bello". Schumpter nel suo libro "Small Is Beautifull" (1973) sottolinea l'importanza dell'impresa di piccole dimensioni, descritta come la configurazione organizzativa dotata di maggiore flessibilità e quindi più di ogni altra in grado di rispondere e di adattarsi ad un contesto sempre più complesso e turbolento. A fronte di tutto ciò in questo periodo l'impresa minore assume un ruolo centrale nel dibattito sulle dinamiche evolutive dei sistemi industriali (Piore e Sabel, 1984). In molte regioni italiane lo small business dimostra una sensazionale capacità di tenuta, ritmi di crescita sostenuti,

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e opportunità di nuova occupazione consistenti. Se negli anni '80 l'inarrestabile ascesa delle PMI viene letta come una tendenza ormai irreversibile verso la diminuzione dell'apparato industriale, a partire dagli anni '90 si assiste ad un'ulteriore inversione di tendenza. Nell'ultimo decennio del '900 la piccola impresa ha dovuto fare i conti con una realtà dominata dalla presenza di grandi imprese che hanno subito fenomeni di ristrutturazioni, concentrazioni, e che hanno adottato nuovi modelli organizzativi più flessibili. Dagli studi più recenti sulla realtà italiana emerge un quadro assai ampio e diversificato di piccole e medie imprese che varia a seconda del settore produttivo1, del contesto socio economico, del grado di dipendenza/autonomia dalla grande impresa, dal livello di istituzionalizzazione e di internazionalizzazione, e la dimostrazione che le imprese minori costituiscono ormai una componente rilevante, durevole e consolidata del Sistema Italia.

1.1 Diffusione e rilevanza del fenomeno

Le piccole e medie imprese rappresentano, per molteplici aspetti, una componente cruciale del tessuto economico europeo. Sono tra le più importanti fonti di competenze imprenditoriali, d’innovazione e di occupazione. Tanto per fornire alcuni dati sintetici : il 99,8% delle imprese presenti sul territorio comunitario è rappresentato dalle PMI tra le quali il 92,4% sono microimprese. Il peso delle imprese minori, appare determinante anche in termini di contributo alla crescita e all’occupazione: il 66,9% dei cittadini europei lavora presso una PMI, e il 58,1% della ricchezza dell’Unione dipende da queste realtà imprenditoriali. 2

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La piccola impresa è presente con un peso maggiore nei settori manifatturieri tradizionali del sistema moda, settore del mobilio, settore alimentare e meccanico.

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Fonte: SCHEDA INFORMATIVA SBA 2014-ITALIA. Dati EUROSTAT 2012 con stime per i l 2013 elaborate da DIW Econ. I dati s i riferiscono all' "economia d'impresa" comprendente industria, edilizia, commercio e servizi (NACE Rev. 2 sezioni da B a J , L, M e N), ma non l e imprese dei settori agricolo, della silvicoltura e della pesca, né i servizi essenzialmente non commerciali come l'istruzione e l a sanità.

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L’importanza delle PMI è particolarmente significativa in alcuni stati membri, tra cui figura senza dubbio l’Italia. L'economia del nostro paese conta infatti un numero di microimprese notevolmente superiore alla media UE. Sul territorio italiano ve ne sono oltre 4,1 milioni e rappresentano il 95,2% delle imprese attive, il 47,5% degli addetti e il 30,8% del valore aggiunto realizzato. Tra le microimprese, quelle con un solo addetto sono oltre 2,4 milioni e contribuiscono per circa un terzo al valore aggiunto di questo segmento di imprese. Le piccole e medie imprese impiegano il 33,1% degli addetti e contribuiscono per il 37,7% al valore aggiunto, mentre nelle grandi imprese si concentrano il 19,4% degli addetti e il 31,5% del valore aggiunto. Accorpando i dati delle micro e delle piccole e medie imprese possiamo quindi notare come la quasi totalità delle attività presenti sul nostro territorio sia rappresentato dalle così dette imprese minori. Le grandi imprese costituiscono quindi solo lo 0,07% delle imprese italiane dato che diminuisce ulteriormente se consideriamo separatamente il comparto dei servizi e quello delle costruzioni, in cui vestono la grande dimensione rispettivamente lo 0,05% e lo 0,01% delle imprese. La dimensione media dell' impresa italiana è di 3,7 addetti. 3

Sebbene l'impresa minore costituisca il cuore pulsante dell'economia del nostro paese è bene precisare che la distribuzione delle piccole e medie imprese non si mostra del tutto omogenea sul territorio nazionale.

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Analizzando la prima figura si evince che ad esclusione del Lazio, dove prevalgono le grandi imprese di servizi (rispetto ai dati medi nazionali), nelle regioni centrali e meridionali il modello di riferimento è senza dubbio quello della microimpresa, operante sia nel settore industriale (con peso maggiore rispetto alla media nazionale nel centro-sud e in Basilicata), sia in quello dei servizi (con un peso maggiore rispetto alla media nelle altre regioni meridionali e nelle isole). In tutta Italia le imprese di servizi rappresentano oltre il 50 % dell’occupazione, impiegata soprattutto nelle micro imprese. La quota più elevata di occupazione nei servizi si registra nel Centro (66,4%), mentre il Nord-est raggiunge la quota relativamente più alta di addetti dell’industria, 44,6 % , con una concentrazione soprattutto di piccole e medie imprese. Nel Nord-ovest, in particolare nel Piemonte e in Emilia Romagna è rinvenibile la quota maggiore, rispetto al valore medio nazionale, di addetti nelle grandi imprese industriali. La Figura 2 mostra invece il numero di addetti medi per regione; a conferma di quanto appena detto, nelle regioni settentrionali il numero medio di addetti assume un valore superiore rispetto al valore medio nazionale (pari a 3,9 addetti),

Figura 1

Settore di attività e dimensioni prevalenti delle imprese nelle regioni rispetto alla media nazionale.

Fonte: Istat , anno 2012

Figura 2

Numero medio di addetti per regione. Fonte. Istat, anno 2012

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dato giustificato dalla presenza di un numero, se pur relativo, di imprese di grandi dimensioni. Tale valore diminuisce gradualmente procedendo verso Sud; nelle regioni meridionali il numero medio di addetti risulta inferiore a 3 per azienda. Il valore minimo, pari a 2,5 addetti, viene registrato in Molise e in Calabria.

1.2 Aspetti definitori

La piccola impresa e l'imprenditorialità hanno costituito a lungo un tema di intenso dibattito nella letteratura economico aziendale e la configurazione dimensionale di azienda, come elemento definitorio, rimane ad oggi un concetto relativo.

Prendiamo come riferimento quanto segue:

«La categoria delle microimprese, delle piccole imprese e delle medie imprese (PMI) è costituita da imprese che occupano meno di 250 persone, il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di euro oppure il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di euro»4

Tale classificazione, proposta dalla Commissione Europea tramite la raccomandazione 2003/361/CE, si è rivelata necessaria affinché le misure a sostegno delle PMI potessero essere basate su una definizione comune, con l'obiettivo di migliorare la loro coerenza ed efficacia e limitare le distorsioni della concorrenza al livello comunitario5.

Le imprese possono essere quindi, secondo tale definizione, ripartite in quattro categorie:

4 Estratto dell’articolo 2 dell’allegato alla raccomandazione 2003/361/CE

5 La nuova definizione di PMI, PUBBLICAZIONI DELLA DIREZIONE GENERALE PER LE

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• Microimprese: imprese che occupano meno di 10 persone e realizzano annualmente o un fatturato o un totale di bilancio non superiori a 2 milioni di euro;

• Piccole imprese: imprese che occupano meno di 50 persone e realizzano annualmente o un fatturato o un totale di bilancio non superiori a 10 milioni di euro;

• Medie imprese: imprese che occupano meno di 250 persone e realizzano annualmente o un fatturato non superiore a 50 milioni di euro o un totale di bilancio non superiore a 43 milioni di euro;

• Grandi imprese: tutte le imprese che occupano 250 o più persone, o che hanno un fatturato annuo superiore a 50 milioni di euro e un totale di bilancio superiore a 43 milioni di euro.

La raccomandazione inoltre specifica che :

 nel caso di imprese associate, cioè di due o più imprese in relazione tra loro tale per cui una detenga almeno il 25% del capitale o dei diritti di voto di un’altra, ai fini della verifica dei criteri dimensionali è necessario sommare il numero di addetti, il fatturato e il totale di bilancio dell’impresa associata in proporzione della partecipazione al capitale.

 Nel caso di imprese collegate, cioè di due o più imprese in relazione tra loro tale per cui una detenga il controllo di un’altra, ai fini della verifica dei criteri dimensionali vanno sommati per intero il numero di addetti, il fatturato e il totale di bilancio (a meno che questi dati non siano già integrati nel bilancio consolidato).

Gli indicatori utilizzati al livello europeo per definire le PMI, e più in generale l'insieme di indici quantitativi utilizzati nella prassi per definire se un'azienda è piccola, media o grande non rappresentano una soluzione univoca ed esaustiva del concetto di dimensione. Per quanto ciascun indicatore possa presentare una sua validità in circostanze particolari, non esiste la possibilità di identificarne uno

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tra essi che risulti completo ed ineccepibile tanto da essere preferito agli altri. Inoltre, il ricorso a parametri quantitativi, sottende l'errata ipotesi che i termini di confronto tra le aziende rimangano omogenei quando si passa da una realtà aziendale ad un'altra. Un'abbondante letteratura, ponendo quindi in evidenza l'insufficienza degli aspetti tecnici ed economici per definire la dimensione, sottolinea la rilevanza del complesso dei rapporti che l'azienda intrattiene con l'ambiente esterno. Risulta quindi necessario leggere i parametri strutturali ed operativi alla luce del settore in cui opera l'azienda, e più in generale del suo contesto ambientale di riferimento.

1.3 Caratteri distintivi delle imprese minori

1.3.1. Aspetti generali

Per quanto possa risultare utile ai fini della classificazione delle imprese, la dimensione rappresenta solo uno dei tanti elementi che identifica le PMI. E' bene quindi evitare di circoscrivere il problema della specificità dello small business alle semplici variabili dimensionali, andando ad approfondirne i tratti distintivi e le peculiarità che , oltre agli aspetti tecnici ed economici, caratterizzano questo fenomeno.

Anche l'universo delle PMI si presenta al suo interno estremamente complesso e variegato, basti pensare a quanto può differire una piccola impresa ad alta tecnologia, da una che svolge attività tradizionali, o un'impresa che internazionalizzata da una che opera a livello locale. Nonostante ciò è possibile evidenziare "uniformità relative" , ovvero caratteristiche che si presentano con una certa frequenza all'interno di questo insieme di imprese e che le accomunano.

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 L' ASSETTO ISTITUZIONALE E LA FIGURA CENTRALE

DELL'IMPRENDITORE

Le principali decisioni e scelte aziendali, tra le quali rientrano ad esempio quelle relative alle strategie di internazionalizzazione, sono riconducibili di norma alla volontà delle persone che svolgono l'attività di governo dell'azienda, ovvero al soggetto economico6. Con particolare riferimento alle piccole e medie imprese possiamo notare come, rispetto alle imprese di grandi dimensioni, il soggetto economico si componga di un numero ristretto di persone. Le decisioni operative e le decisioni strategiche dipendono dalle idee, dalle convinzioni, dalle capacità e dalle competenze di un ristretto numero di soggetti; si tratta solitamente di persone molto vicine all'imprenditore, persone di fiducia che hanno condiviso con lo stesso le tappe fondamentali del processo di evoluzione dell'impresa, ed i relativi successi ed insuccessi. Talvolta ci troviamo di fronte alla piena convergenza di tutte le funzioni del soggetto economico nella sola figura dell'imprenditore. La sovrapposizione fra ruoli del proprietario, manager, e spesso lavoratore esecutivo, e la forte personalità della figura dell'imprenditore tende a condizionare pesantemente la struttura, i meccanismi di funzionamento e i sentieri di sviluppo dell'impresa minore. Questi ultimi, sono spesso il risultato di un insieme di decisioni che possiamo definire "quotidiane", proprio perché orientate a far funzionare l'impresa all'interno di un disegno imprenditoriale dato per acquisito. Di solito quindi nelle imprese minori, soprattutto le più piccole, la strategia si forma in maniera implicita, istintiva e poco razionale.7 La tradizionale distinzione tra gestione strategica ed operativa assume così confini sempre più labili, talvolta fino a scomparire.

6 Per Caramiello " il soggetto economico è la persona che in effetti esercita il potere decisionale nello

svolgimento dell'attività aziendale" C.CARAMIELLO, L'azienda; Milano, Giuffrè.

Nel presente elaborato è stata utilizzata la suddetta definizione con la consapevolezza che nella letteratura le accezioni relative a tale fenomeno sono molteplici.

7 . D. MONTEMERLO P. PRETI, a cura di, Management

- Piccole e medie imprese. Imprese familiari, Egea, Milano

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 LA RELAZIONE TRA FAMIGLIA E IMPRESA

E' generalmente rilevato che una caratteristica distintiva dello small business è la stretta relazione tra famiglia e impresa; l'istituto impresa è in larga parte sovrapposto all'istituto famiglia, proprietaria del capitale aziendale. Questi due sistemi, rispondenti a logiche, valori, ed esigenze estremamente diversi e talvolta divergenti, tendono in molti casi a coesistere , originando confusione e conflitti. E' da tale sovrapposizione che viene quindi a costituirsi uno degli elementi che più influenzano, tanto in termini positivi quanto in termini negativi, la struttura, i meccanismi di funzionamento dell'impresa, e la capacità di risposta della stessa alle dinamiche ambientali. Il condizionamento reciproco tra azienda e famiglia porta così a considerare quest'ultima da una parte come ostacolo e dall'altro come fattore di stimolo allo sviluppo aziendale. Per l'analisi degli aspetti peculiari del family business, si rimanda al paragrafo successivo.

 LA CONFIGURAZIONE STRUTTURALE SEMPLICE

Le profonde differenze strutturali che separano le imprese minori da quelle di grandi dimensioni sono sicuramente uno degli elementi che maggiormente impatta sulla gestione aziendale. La configurazione elementare della struttura delle piccole imprese non è data tanto e solamente dalle ridotte dimensioni, quanto e sopratutto dalle funzioni e competenze presenti al suo interno. Le funzioni sono poche e tendenzialmente indistinte; tutti o gran parte degli aspetti gestionali sono di competenza del titolare, e solo nelle strutture più articolate l'imprenditore comincia a delegare incarichi e a condividere conoscenze.

Se da una parte la convergenza nella sola figura dell'imprenditore dei ruoli di proprietario, manager ed esecutore possa sembrare un elemento di debolezza strutturale , dall'altra può rappresentare una virtù, assicurando all'impresa maggiore flessibilità operativa, aspetto necessario per poter prontamente reagire alle dinamiche che vengono a manifestarsi in un ambiente sempre più instabile e turbolento.

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 L'AMBITO COMPETITIVO RISTRETTO

Le imprese minori non perseguono lo sviluppo simultaneo lungo le molteplici dimensioni che definiscono l'ambito competitivo8 nel quale possono operare. Tendono invece a seguire strategie di focalizzazione, operando in aree ristrette di competizione. Ad esempio le imprese che decidono di aprire il proprio raggio d'azione oltre i confini nazionali tendono a non ampliare la fascia di clienti serviti. Tali comportamenti possono essere interpretati proprio come diretta conseguenza delle caratteristiche strutturali ed organizzative delle imprese oggetto di analisi e dei settori in cui esse si trovano ad operare. Le imprese minori, infatti, non dispongono di risorse umane, commerciali, tecniche e finanziarie per potersi impegnare su fronti competitivi ampi e si trovano inoltre a presidiare contesti concorrenziali estremamente fertili sotto il profilo delle opportunità di segmentazione, o spazi di mercato lasciati scoperti dalle imprese più grandi.

1.3.2. Le PMI italiane

Fino ad ora abbiamo delineato un quadro analitico di quelle che sono le peculiarità delle piccole e medie imprese in generale. Ma cosa caratterizza più nel dettaglio le PMI Italiane rispetto quelle del resto d'Europa e del mondo? E' ormai risaputo che nel nostro continente ed in particolare in Italia, si sono sviluppati i fermenti più vivi della curiosità dell'uomo, le civiltà più antiche e più intraprendenti, i viaggiatori e scopritori più arditi, un susseguirsi di inventori e di "geni" dell'arte in ogni sua branca. Tutta questa serie di attività non solo ha segnato la moda e il progresso civile in Italia e nel resto del mondo, ma ha dato anche origine alla nascita di imprese di piccole e grandi dimensioni che hanno

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L'ambito competitivo è definito dall'ampiezza delle attività aziendali. I criteri di definizione dell'ambito competitivo sono molteplici. Tra queste troviamo: l'ampiezza della gamma dei prodotti offerti, il numero dei segmenti di clientela serviti il grado di integrazione verticale, l'articolazione geografica delle attività coordinate, il livello di diversificazione in attività correlate. G. INVERNIZZI (a cura di), Le strategie

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fornito oggetti, strumenti, macchine ma anche informazioni e idee che hanno superato i confini nazionali ed hanno conquistato il mondo. Lo spirito d'impresa risiede quindi da secoli nel patrimonio cromosomico degli italiani, più propensi di altre popolazioni all'avventura imprenditoriale, sia nell'industria sia nel commercio. Molte piccole e medie imprese italiane appartengono ai così detti Distretti Industriali9, dove si concentra la produzione di specifici prodotti e il know how relativo e dove le stesse sono riuscite negli anni a sviluppare tecnologie di nicchia e a godere dei vantaggi in termini di efficienza. Si tratta di aree territoriali a forte vocazione produttiva dove le imprese minori hanno affondato le proprie radici apportando e condividendo saperi e conoscenze, quasi a formare un'intelligenza produttiva di carattere collettivo caratterizzata da elevata specializzazione e diversificazione nelle attività della filiera. Il legame che l'azienda instaura con il territorio rappresenta senz'altro una variabile che incide profondamente sull'identità strategica dell'impresa; il territorio, per molte imprese italiane, non si configura soltanto come patrimonio ambientale da preservare ma anche e soprattutto come espressione di valori intangibili che l'azienda fa propri e che è allo stesso tempo chiamata ad interpretare e valorizzare quali driver nello sviluppo del proprio disegno strategico.

In molti casi l'idea di impresa è nata dall' iniziativa e dal talento del singolo, che ha cercato o incontrato l'occasione di misurarsi con il mercato. Creatività, intraprendenza e tradizione culturale sono sicuramente gli elementi dai quali trae oggi forza il "Made in Italy".

Molti settori di successo dell'industria italiana, come ad esempio il settore della produzione di strumenti musicali e quello della moda, affondano le proprie radici sull'eredità diretta della nostra antica cultura e civiltà, mescolando tradizione e creatività per soddisfare una platea sempre più esigente ed attenta di consumatori. Ancora la tradizione culinaria italiana che unita alle caratteristiche microclimatiche locali ha decretato il successo della multi variegata produzione

9 Il concetto di distretto industriale venne utilizzato per la prima volta nella seconda metà del XIX secolo

da Alfred Marshal (1879; 1890) per definire le zone del Lancashire e dello Sheffield nelle quali l'economista aveva rilevato una forte specializzazione del lavoro.

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enogastronomica del nostro paese. Alcune imprese, che non possono giovare della prestigiosa tradizione culturale sfruttano invece le bellezze naturali, e paesaggistiche del nostro paese; basti pensare alle industrie turistiche o alle piccole e medie imprese che fabbricano attrezzature per la montagna. Fatto sta che la passione per il prodotto, la sensibilità al design, la qualità costruttiva, la competenza tecnica e l’attenzione al cliente sono gli elementi che accomunano le piccole e medie imprese del Made in Italy e che consentono alle stesse di poter vincere le sfide competitive nelle nicchie presiedute.

La debolezza dell'Italia nel settore delle grandi imprese, senza voler entrare nel merito delle cause di tale fenomeno, è sicuramente uno degli elementi che ha fatto sì che le PMI siano diventate e siano rimaste un fattore fondamentale di benessere e di stabilità per la nostra nazione. E quella solidità che l'Italia non può trarre da un ampio gruppo di colossi nei settori fondamentali dell'economia come quelli dell'industria pesante o della chimica, deve essere ricercata attraverso l'intraprendenza e l'inventiva dei piccoli imprenditori.

Non è un caso che nei momenti di crisi, la tendenza all'autonomia, l'avversione da parte degli imprenditori ad assumersi un rischio superiore e ad affrontare avventure extra familiari, da molti addebitate come difetti delle piccole e medie imprese, divengano improvvisamente dei pregi.

Il principale difetto che viene imputato dagli esperti internazionali alle imprese minori della Penisola è sicuramente l' "insufficiente competenza manageriale". Nonostante l'imprenditore italiano sia in media intraprendente, creativo e tecnicamente competente, risulta allo stesso modo poco preparato all'uso degli strumenti che aiutano a guidare l'impresa. Essere aggiornati sull'andamento economico dell'impresa , calcolare con precisioni costi di produzione e prezzi di vendita, prevedere con una quanto più realistica approssimazione il volume di vendite, tenere sotto controllo l'equilibrio finanziario e i flussi di liquidità, conoscere le dinamiche del settore in cui si opera, è per parte degli imprenditori italiani materia ancora sconosciuta.

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1.4. Uno sguardo al family business

Nell' excursus analitico sulle piccole e medie imprese del Sistema Italia è necessario prestare particolare attenzione al fenomeno del Family Business. Sebbene da una parte risulti errato generalizzare ed identificare univocamente il family business nella piccola o media imprese( si parla infatti di piccolo e grande family business), dall'altra non può che essere evidente che la quasi totalità delle imprese minori sia rappresentata da un'impresa familiare; risulta quindi opportuno evidenziare brevemente le dinamiche che guidano e legano questi due istituti, impresa e famiglia, così distanti per logiche, valori, ed esigenze ma saldamente coesistenti nel tessuto economico del nostro paese. Non si tratta di un fenomeno soltanto italiano perchè anche in molte altre nazioni le quote di aziende familiari sono elevate, ma spetta sicuramente a noi questo primato, quantomeno nel contesto delle economie dei paesi più avanzati, unitamente a quello delle imprese di dimensioni medie più piccole. Nel nostro paese le imprese familiari composte da un'alleanza di due o più famiglie sono rare e come già detto in precedenza le imprese minori sono in media molto più piccole e con un bagaglio di risorse inferiore rispetto alle analoghe all'estero. Questa situazione rende senz' altro la sostituzione dei vertici aziendali nelle imprese italiane assai più difficile di quanto non sia nelle imprese degli altri paesi europei. A fronte di ciò, il capitalismo familiare italiano viene considerato da molti economisti un elemento di debolezza. In primo luogo si crede che la scelta da parte dell'imprenditore del suo successore sia limitata ad una ristretta cerchia di familiari, che potrebbero non essere dotati di conoscenze e competenze adeguate alla guida dell'impresa e che quindi potrebbero non rappresentare la soluzione migliore tra le alternative possibili. Altro aspetto da evidenziare è la netta divergenza dei valori insiti in impresa e famiglia: i criteri che presiedono la famiglia, improntati sulla solidarietà fra i suoi membri, non sono compatibili con quelli necessari per una buona e razionale condotta dell'impresa; in famiglia si gestiscono affetti ed uguaglianze, in azienda affari e differenze. Tali aspetti portano così a fare confusione tra il diritto di proprietà conferito dall'appartenenza al nucleo familiare e la capacità di condurre l'impresa con

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l'inevitabile conseguenza che spesso vengono scelti manager sostenuti dal diritto di primogenitura o più disponibili in famiglia anche se impreparati e privi di esperienza. Altro elemento che caratterizza il capitalismo familiare è la riluttanza ad accettare che estranei possano entrare nel capitale sociale precludendo in tal modo l'apporto di risorse finanziarie fresche e di nuove idee e limitandone così i processi di investimento, modernizzazione e la capacità competitiva nei mercati in cui tali imprese si trovano ad operare.

A fronte dei suddetti elementi di debolezza sono da annoverare molteplici punti di forza che hanno sostenuto nel corso degli anni lo sviluppo del modello capitalistico familiare italiano. Innanzi tutto i capitali della famiglia in azienda sono capitali stabili, vale a dire risorse finanziarie che non corrono facilmente il rischio di essere dismesse dall'impresa alla ricerca di una migliore remunerazione; questi capitali possono quindi essere agevolmente usati per investimenti a medio lungo termine e costituiscono una forte garanzia per investitori interni ed esterni. La presenza di membri della famiglia nell'alta direzione, se come visto in precedenza può assumere connotati negativi in termini di conoscenze e abilità di gestione, rappresenta allo stesso tempo un importante elemento di vantaggio. Il management "familiare" dell'impresa, nei limiti delle sue conoscenze ed esperienze tecnico professionali, è guidato dalla logica dell'orgoglio di appartenenza e porta con se tutte quelle caratteristiche di impegno e garanzia di fedeltà che non sempre possiede un manager esterno. Sono molti i rischi in cui può incorrere un'impresa guidata da soggetti esterni al nucleo familiare: utilizzare beni aziendali per scopi personali, assumere personale di fiducia inadeguato alle attività da svolgere, e più in generale adottare strategie e prendere decisioni che puntano a massimizzare i risultati a breve termine (sui quali di solito i manager vengono valutati) a discapito della creazione di valore nel medio lungo termine. Non è sempre vero inoltre che il controllo della famiglia sull'impresa debba necessariamente ridurre lo sviluppo e impedire la crescita; il fattore discriminante non è la struttura dell'impresa bensì la cultura manageriale posseduta (o meno) dai vertici aziendali che essi siano o meno membri della famiglia. Solitamente la figura di manager e imprenditore tendono

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a convergere nella stessa persona nella fase di start up; con l'aumentare della complessità gestionale e/o in seguito alla morte del fondatore risulta necessario affidare la funzione manageriale ad un soggetto esterno professionista. A fronte di quanto detto possiamo quindi affermare che la relazione tra cultura imprenditoriale e cultura manageriale, assieme alla gestione del ricambio generazionale, rappresentano i nodi cruciali e quindi gli elementi su cui porre particolare attenzione nello studio del fenomeno del family business.

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2. L'INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE IMPRESE: ASPETTI INTRODUTTIVI

2.1 Le determinanti della globalizzazione e le prospettive per le imprese.

La globalizzazione rappresenta nell'era contemporanea un fenomeno pervasivo che ha occupato e continua ad occupare una posizione centrale all'interno del dibattito economico, sociale e politico. Gli studiosi di diversa matrice, culturale e scientifica, sono fortemente divisi nell'individuazione dell'origine di tale fenomeno; la maggior parte di essi la considera come un processo evolutivo in corso da secoli, che ha subito una forte accelerazione solo negli ultimi decenni del ventesimo secolo, altri studiosi invece sostengono che la globalizzazione sia un fenomeno relativamente recente, legato essenzialmente alle innovazioni che hanno rivoluzionatole tecniche produttive, le comunicazioni, i trasporti, e il mondo della finanza. Nel corso degli ultimi decenni infatti si è assistito ad un incremento costante degli scambi di beni, servizi e capitali; lo stock di investimenti diretti esteri, cioè di investimenti produttivi realizzati dalle imprese al di fuori del proprio Paese di origine è cresciuto regolarmente dalla metà degli anni Ottanta ad oggi, con una riduzione negli ultimi anni della quota di investimenti assorbiti e generati sul valore totale da parte dei Paesi sviluppati come Europa, Nord America e Giappone.

Una prima decisiva spinta alla globalizzazione deriva dall'intensa e ormai prolungata crescita economica di Paesi che ricoprivano precedentemente un ruolo marginale dal punto di vista economico-industriale. Si tratta di un'espansione sistematica più robusta di quella vissuta dalle aree geografiche tradizionalmente più avanzate che ha determinato l'affermarsi di Paesi "nuovi" sullo scenario della produzione e del commercio mondiale quali Cina, Brasile, India e Russia e negli ultimissimi anni anche Turchia, Messico e Perù. Lo senario geografico rilevante per l'impresa quindi non risulta più concentrato in pochi Paesi europei, negli Stati uniti e in Giappone, ma si estende ormai a livello praticamente mondiale. E'

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importante sottolineare come lo sviluppo economico dei nuovi paesi sia stato un fattore della globalizzazione, ma ne rappresenti al tempo stesso anche un effetto; sono stati anche i diversi aspetti connessi al commercio internazionale infatti, ad aver attivato il processo di crescita economica nelle aree geografiche in passato meno avanzate.

Un secondo elemento da considerare è l'evoluzione delle tecnologie , in modo specifico quelle relative ai trasporti e alle telecomunicazioni. La maggior facilità degli spostamenti e dei contatti tra le persone, in termini di rapidità, efficacia e costo, ha determinato una delle condizione base della globalizzazione. Le radicali innovazioni dell' ICT sono alla base della riorganizzazione su scala mondiale delle attività della catena del valore. Infine è possibile verificare come l'intensità dei processi innovativi abbia determinato una generalizzata riduzione del ciclo di vita de prodotto, "costringendo" le imprese ad operare su mercati geograficamente sempre più estesi, così da poter recuperare gli investimenti in tempi più rapidi.

Una terza determinante della globalizzazione è rappresentata dagli assetti geopolitici e istituzionali mondiali. Gli ultimi settant'anni della storia globale, nonostante alcune contraddizioni e numerosi passi indietro, sono stati caratterizzati da una lenta ma costante integrazione economico- politica tra le diverse nazioni, soprattutto a livello continentale. L'evoluzione dell'Unione europea, che ha preso avvio alla fine degli anni Cinquanta e che ha visto crescere nel tempo il numero dei paesi aderenti fino a comprendere oggi 28 paesi membri del "Vecchio continente", e la relativa unione monetaria, rappresentano forse l'esempio più eclatante di questo fenomeno. Queste aggregazioni hanno consentito un incremento degli scambi commerciali, la libera circolazione delle risorse (beni, capitali e persone), l'abbattimento delle protezioni dei mercati nazionali, l'omogeneizzazione delle normative in materia produttiva e commerciale ecc.

Un'ulteriore importante spinta alla globalizzazione è la convergenza, seppur relativa, dei modelli culturali e comportamentali delle persone. Sia all'interno dei grandi mercati, come ad esempio l'abbigliamento o l'elettronica, sia nelle nicchie,

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tra le quali troviamo prodotti alimentari tipici ed auto di lusso, le persone tendono ad avere gli stessi stimoli, le stesse esigenze ed aspettative comuni. Ne consegue quindi, che i modelli comportamentali e di consumo tendono a convergere a livello internazionale, con differenze sempre più labili soprattutto tra le principali macroaree continentali.

La globalizzazione, questo ampio ed articolato fenomeno multidisciplinare, assume un ruolo rilevante negli studi di stampo economico.

Oggetto di studi degli economisti generali è la struttura dei flussi di fattori produttivi, di componenti , di beni finali, di servizi, e di capitali che si generano tra paesi diversi in conseguenza a questa dilatazione spaziale, così come è un loro specifico obiettivo la ricerca delle cause che determinano questo fenomeno. Per quali ragioni la filiera produttiva si dispiega sempre più nello spazio; perchè in certi settori questa dilatazione è più marcata; quali sono i benefici che ne derivano e per chi; qual è l'effetto sul benessere generale e quello di particolari categorie di paesi e di soggetti.

Gli economisti aziendali studiano anch'essi questi processi, ma con una prospettiva diversa. Il loro punto d'osservazione sono i comportamenti delle imprese a fronte delle dinamiche sopra illustrate . Essi condividono con gli economisti generali l'interesse ad individuare le origini e le cause del fenomeno della dilatazione spaziale; ma mentre gli economisti generali sono interessati ad indagare sugli effetti che ne derivano per l'economia di un paese, in termini ad esempio di ricchezza complessiva ed occupazione, l'economista aziendale vuole capire come questi fenomeni si riflettano sulle imprese, come esse possano trarne vantaggio, come possono evitare danni.

Nel presente elaborato verrà preso in considerazione il secondo ambito disciplinare che vede al centro degli studi l'impresa e le sue decisioni.

La globalizzazione rappresenta la progressiva estensione a livelli geografici sempre più ampi dei confini dei sistemi economici, produttivi, e di mercato in precedenza circoscritti alla dimensione nazionale o addirittura sub-nazionale. Dal

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punto di vista dell'impresa, tale fenomeno si esprime nella circostanza per la quale il Paese di origine non rappresenta più il riferimento essenziale della propria evoluzione economica e competitiva; sul piano sia commerciale, che produttivo, che strategico, che, infine, finanziario, l'impresa dispone dell'opportunità/ necessità, di assumere una configurazione internazionale.

La globalizzazione influenza il comportamento strategico dell'impresa sotto diversi aspetti.

Il dato più immediato che l'impresa legge in tale fenomeno riguarda sicuramente la radicale evoluzione dei mercati, sul duplice piano della dimensione e delle dinamiche competitive. Come già detto in precedenza si rileva il rapido e intenso sviluppo di nuovi mercati geografici, circostanza che offre all'impresa ulteriori opportunità,con l'ampliamento dei mercati di sbocco, e al tempo stesso minore protezione del proprio mercato geografico d'origine. In tal modo la globalizzazione penalizza le imprese locali che rimangono ancorate al solo mercato geografico di origine e al contempo favorisce quelle che sono invece pronte a replicare all'estero i fattori di successo sviluppati nel contesto competitivo domestico. La liberalizzazione dei settori e l'apertura dei mercati geografici al commercio internazionale, ha avuto quindi come naturale conseguenza l'intensificarsi della concorrenza nei singoli paesi. Con poche eccezioni, in tutti i principali comparti nel manifatturiero come nei servizi, le imprese locali si trovano a competere con aziende di matrice straniera, spesso direttamente insediate nel paese.

La produzione è il secondo ambito rilevante per l'impresa in cui si manifesta la globalizzazione: mentre in passato le attività produttive erano localizzate normalmente nel paese d'origine dell'impresa, oggi si trovano ad essere meno concentrate e maggiormente diffuse a livello internazionale. La multi localizzazione dei processi produttivi, e talvolta di molte attività di supporto, in numerose e differenti aree geografiche del globo è guidata dalla volontà dell'impresa di sfruttare le differenze tra i contesti geografici in termini di costi, risorse, logistica e mercato. La localizzazione estera dell' attività produttiva scaturisce dalla volontà/necessità dell'impresa di avere un maggior radicamento

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nei mercati più rilevanti e/o dalla ricerca di condizioni di produzione più vantaggiose dal punto di vista dei costi, della produttività e della disponibilità di input.

Un ulteriore ambito di influenza per l'impresa derivante dalla globalizzazione riguarda le risorse finanziarie. Nei paesi sviluppati l'apertura internazionale dei mercati finanziari, la liberalizzazione dei flussi e lo sviluppo della competizione tra gli intermediari anche su scala sovra-locale, si sono consolidate con poche eccezioni già durante gli anni '80. Nell'ultimo ventennio, la globalizzazione finanziaria ha progressivamente coinvolto anche le altre grandi aree economiche rimaste in precedenza sostanzialmente chiuse come la Cina e la Russia. Tale apertura finanziaria ha rappresentato il fattore propulsivo degli investimenti produttivi all'estero, creando le condizioni necessarie per collaborazioni tra grandi istituzioni finanziari e gruppi industriali di paesi diversi, e rendendo disponibili grandi volumi di capitali necessari per operazioni di acquisizione e fusione cross border. Negli ultimi anni le banche d'investimento internazionali hanno iniziato ad esercitare un ruolo significativo anche nel processo di internazionalizzazione produttiva e commerciale delle medie aziende.

In fine l'elevata interazione tra i mercati e gli attori implicita nella globalizzazione ha determinato una tendenziale omogeneizzazione dei modelli di gestione e delle relative procedure che regolano il complessivo funzionamento del sistema azienda. Con il procedere di una presenza estera non solo puramente commerciale, l'impresa deve attuare misure sempre più incisive per omogeneizzare i valori e i modelli gestionali in tutte le componenti internazionali della sua organizzazione. La presenza dell'impresa in molti Paesi implica che le risorse umane che ne fanno parte siano, dal punto di vista della nazionalità di provenienza e quindi dei valori, delle abitudini e dei comportamenti, estremamente eterogenee. Negli ultimi vent'anni, tale fenomeno è divenuto ancora più significativo poichè la forte eterogeneità del paese di provenienza ha riguardato anche i livelli dirigenziali e di vertice, che precedentemente non ne erano coinvolti. Questa tendenza è spiegata in primo luogo dal fatto che la globalizzazione del business richiede un management altrettanto globalizzato;

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inoltre i meccanismi di sviluppo delle carriere, basati sulla mobilità internazionale dei dirigenti ,creano le condizioni organizzative per il formarsi di gruppi di comando composti da persone di Paesi differenti. Tale eterogeneità, data l'apertura dei mercati finanziari, si ritrova anche all'interno della compagnie societaria e in alcuni casi persino l'azionista di controllo risulta avere nazionalità diversa dalla casa-madre.

Dopo aver delineato brevemente il fenomeno della globalizzazione nelle sue determinanti ed aver analizzato come, l'operare in tale contesto globale abbia modificato radicalmente il sistema azienda, verrà esaminata nel prossimo paragrafo la prospettiva delle imprese e l'evolversi del loro approccio all'internazionalizzazione.

2.2 Il quadro di riferimento: l'internazionalizzazione dell'impresa

L'internazionalizzazione costituisce oggi una via obbligata per molte imprese che vogliono consolidare il loro vantaggio competitivo e renderlo sostenibile nel tempo10. Risulta ormai obsoleta la tradizionale concezione che interpretava l'espansione internazionale come una delle possibili opzioni strategiche a disposizione delle imprese11. Tale concezione era coerente, infatti, con il contesto economico precedente, caratterizzato da minori pressioni competitive, da un minor livello di integrazione tra i mercati, da maggiori costi di transazione e da elevate barriere agli scambi. L'attuale contesto a livello globale, come sopra descritto, riduce il grado di segmentazione dei mercati, ed attenua i costi di transazione dando impulso ai processi di internazionalizzazione delle imprese. Oggetto della discussione non è più se adottare o meno una strategia di internazionalizzazione, quanto piuttosto come attuarla, e dunque l'individuazione

10 Come ribadito in alcuni articoli presi in esame secondo i quali l'internazionalizzazione, soprattutto per

alcuni settori, è ormai una scelta obbligata.

11 "Le aziende che non si adattano alle nuove realtà globali diventeranno le vittime di quello che fanno"

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delle combinazioni prodotto/cliente /mercato e delle modalità di entrata nei mercati esteri.

Nonostante l’attenzione degli studiosi e soprattutto dei media si sia impennata in epoca relativamente recente, questo fenomeno viene da lontano. Parlare di processi di internazionalizzazione delle imprese significa infatti toccare una tematica al contempo antica ed attuale. Antica, perché con l’avvio di questi processi (che risalgono ad epoche ben anteriori a quella della rivoluzione industriale e che si realizzano per molto tempo in ottica prevalentemente mercantile) prendono forma gli stessi sistemi economici capitalistici moderni, che si sviluppano attorno a flussi di merci e di capitali capaci di attraversare anche il più impermeabile confine nazionale. Attuale, perché questi processi (che proseguono oggi inesorabili e con dimensioni crescenti) si sono recentemente trasformati12.

Nel corso del tempo il concetto di internazionalizzazione, con il quale si designava la crescita dell'impresa in mercati diversi rispetto a quello nazionale di riferimento, è divenuto più pervasivo e complesso coerentemente con l'evolversi del processo di globalizzazione13. Di conseguenza tale definizione tradizionale non è più in grado di cogliere tutte le implicazioni che il fenomeno attualmente comporta. L'ampliamento del concetto di internazionalizzazione ha seguito direttrici diverse; in primo luogo, come già detto nel precedente paragrafo, l'ingresso di imprese estere sui mercati domestici ha profondamente modificato la situazione concorrenziale dei competitori nazionali, costretti a rivedere i propri piani strategici per tenere conto delle strategie attuate da concorrenti stranieri attuali e potenziali. Possiamo quindi dire che tutte le imprese risultano oggi attivamente o passivamente coinvolte nel processo di internazionalizzazione. In seguito, il termine internazionalizzazione ha conosciuto un ulteriore ampliamento del suo significato; con questo temine non si allude solo allo svolgimento di attività all'estero e alla connessa presenza di imprese estere nel proprio ambiente,

12 VLADIMIR NANUT, ANDREA TRACOGNA, "Processi di internazionalizzazione delle imprese: vecchi e nuovi paradigmi." Sinergie Journal- 60/2003

13 E' bene precisare, come si evince dall'analisi dei documenti, che l'internazionalizzazione è influenzata e

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ma anche ad una tendenziale attenuazione delle differenze a livello internazionale di metodologie operative, di regolamentazioni, di comportamenti. Ancora, l'internazionalizzazione delle relazioni che riguarda una gamma di flussi complessa e differenziata: accanto al continuo sviluppo del commercio internazionale tradizionale di beni e servizi, si accresce il peso delle transazioni di servizi innovativi, capitali, informazioni e conoscenze. Sono proprio le caratteristiche immateriali di queste ultime tipologie di scambio a favorire la loro diffusione su scala globale contribuendo così a dare ulteriore impulso al processo di internazionalizzazione. Il crescente ruolo della tecnologia si evidenzia, non solo in quanto supporto della rapidità degli scambi e come elemento di riduzione dei costi di transazione, ma rappresenta essa stessa una risorsa oggetto di scambi internazionali sempre più ampi. Lo scambio di tecnologia a livello internazionale si realizza ormai in modi estremamente differenziati che vanno dalla cessione di know how alla vendita di prodotti che incorporano in vario modo le conoscenze tecnologiche, fino ad arrivare negli ultimi anni alla formazione di veri e propri network formati da università, centri di ricerca ed imprese che se opportunamente governati, consentono di raggiungere obiettivi difficilmente raggiungibili dalle singole organizzazioni. La competitività internazionale di un prodotto si fonda sulle competenze in esso incorporate che possono essere sia relative alla tecnologia di prodotto o di processo, sia in generale alle competenze ed abilità presenti nell'azienda o cui l'azienda ha saputo attingere esternamente.

A fronte dell'evoluzione di tale fenomeno nel tempo, possiamo quindi definire l'internazionalizzazione come la scoperta, la valutazione , e l'esplorazione delle opportunità imprenditoriali offerte dal mercato internazionale14.

Il fattore critico di successo nella competizione internazionale è rappresentato quindi dalla capacità di presidiare le competenze distintive all'interno dell'azienda (Prahalad, Hamel, 1990) e di individuare risorse e competenze esterne all'organizzazione, coordinandole in un processo produttivo capace di

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accogliendo il concetto di opportunità imprenditoriale di Eckhard e Shane (2003). M.MATARAZZO,

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generare un prodotto competitivo. Da questo punto di vista diventa strategica la costruzione di un network di relazioni fondato sulla valorizzazione delle competenze localizzate sul territorio di origine dell'impresa e sull'attitudine ad impostare strategie di outsourcing a livello internazionale. Questi nuovi percorsi di generazione di capacità competitiva, caratterizzati dall'integrazione di strategie e organizzazione, dalla variazione degli assetti di governance, dall'aumento della complessità del rapporto tra impresa e mercati esteri, configurano una discontinuità rispetto all'evoluzione storica dei processi di internazionalizzazione. Più recentemente, nell’ambito di questo fenomeno, si stanno quindi affermando dei nuovi paradigmi, che superano la classica opposizione export/investimenti diretti, per ispirarsi a nuovi criteri, come le recenti logiche del global sourcing, dell’impresa virtuale e della ricerca di vantaggi localizzativi e di competenze distintive su scala globale. Nel loro complesso, questi nuovi paradigmi stanno allargando il campo delle possibili modalità, motivazioni e strategie delle imprese internazionalizzate, al punto da relativizzare qualsiasi ipotesi di una “one best way” per i percorsi di internazionalizzazione delle imprese15.

2.3 Le strategia di internazionalizzazione 2.3.1 Sul concetto di strategia

Prima di entrare nello specifico delle scelte di internazionalizzazione occorre definire un concetto base, quello di strategia, troppo spesso dato per scontato o impiegato con accezioni poco performanti. Prendendo come riferimento un' azienda monobusiness ovvero caratterizzata da una sola attività possiamo definire la strategia (business strategy) come :

" Quel sistema di scelte e di azioni, che consente all'impresa di raggiungere e mantenere simultaneamente e dinamicamente un posizionamento sul mercato di sbocco, sui suoi diversi mercati di rifornimento dei fattori di produzione e rispetto ai suoi principali interlocutori non commerciali tale da assicurarle un

15 VLADIMIR NANUT, ANDREA TRACOGNA, "Processi di internazionalizzazione delle imprese:vecchi e nuovi paradigmi.", Sinergie Journal- 60/2003.

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vantaggio competitivo difendibile e di conseguenza il raggiungimento dei tre ordini di equilibrio che assicurano all'impresa sopravvivenza e sviluppo: l'equilibrio economico, quello finanziario e quello patrimoniale"16

Da tale definizione risulta quindi che:

 la strategia non si configura come una singola scelta ma come un processo continuo e sistematico.

 la strategia consiste nelle specifiche scelte che determinano il posizionamento strutturale rispetto ai vari mercati di riferimento. Modificando la struttura, la strategia è quindi rappresentata da quelle scelte meno facilmente reversibili, che definiscono il "carattere" e l'immagine dell'impresa.

 la strategia, realizzando una posizione di equilibrio cioè di competitività difendibile rispetto ai diversi mercati, crea le condizioni per lo sviluppo e la sopravvivenza dell'impresa.

 il problema non si risolve con la determinazione del posizionamento rispetto al solo mercato di sbocco ma è necessario realizzare l'equilibrio simultaneo rispetto a tutti i mercati: quello del rifornimento delle materie prime, quello del lavoro, quello del know how , dei mercati del credito e del capitale ecc

 la strategia richiede simultaneamente la ricerca dell'equilibrio rispetto agli interlocutori non commerciali, come ad esempio autorità istituzionali o l'opinione pubblica, dai quali dipendono alcune risorse invisibili ma altrettanto importanti: immagine, legittimazione, difesa nei momenti di necessità.

 la strategia è alla ricerca di un equilibrio non statico bensì dinamico che tenga quindi conto dell'evolversi delle condizioni interne e dalla capacità di adattamento a quelle esterne.

Il concetto di strategia diviene più complesso quando ci si riferisce ad un'impresa multibusiness. In tal caso la strategia (corporate strategy) , oltre a contenere gli elementi di ogni singola business strategy, include la determinazione del mix di

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attività che ottimizza i fattori di complementarietà e di sinergia di talune risorse e che realizza la diversificazione del rischio d'impresa.

La risultante delle scelte di fondo relative ai mercati (e quindi al sistema competitivo) , ai prodotti o servizi offerti, alla proposta progettuale, al sistema degli attori sociali e alla struttura rappresenta la cosiddetta formula imprenditoriale17; con tale termine si vuole indicare la compresenza di più elementi che si coagulano in una sintesi unica, dotata di una certa stabilità , la cui composizione risulta talvolta difficile da individuare e da imitare. Ciò che decreta il successo di una formula imprenditoriale è il grado di consonanza tra gli elementi sopra elencati, che non risulta ne dal caso, ne da una rigorosa progettazione, bensì dal processo di apprendimento imprenditoriale.

2.3.2 Le strategie di internazionalizzazione come sottospecie delle strategie di espansione geografica.

Dopo aver definito brevemente due concetti chiave per lo sviluppo dell'argomento, ovvero quello di strategia e quello di formula imprenditoriale, ci chiediamo a questo punto cosa significhi impostare una strategia di internazionalizzazione.

Adottare una strategia di internazionalizzazione significa in termini approssimativi individuare il posizionamento spaziale che consente all'impresa di ottimizzare i suoi risultati. In termini più espliciti significa scegliere i mercati geografici di approvvigionamento, i luoghi nei quali posizionare la ricerca e sviluppo, i punti nei quali dislocare la produzione, i paesi sui quali vendere i propri prodotti, le piazze finanziarie dalle quali attingere risorse di capitale. E' bene precisare che talvolta tali scelte non sono disgiunte l'una dall'altra ed è proprio in questo che risiede la specificità dell'elaborazione strategica.

Per quanto riguarda l'internazionalizzazione dei soli mercati di sbocco la scelta del mercato o dei mercati geografici è uno dei vettori di sviluppo che l'impresa

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deve considerare, oltre a quello della maggiore penetrazione nel segmento prescelto, alla espansione in altri segmenti più o meno congiunti, oppure all'ampliamento della gamma di prodotto offerto al segmento di origine. Vale anche per questo sottosistema di scelte la considerazione svolta precedentemente ovvero che ogni decisione strategica deve essere considerata in una visione sistematica coerentemente con le altre affiche' si possa determinare un vantaggio competitivo difendibile. La scelta di puntare su un mercato estero ad esempio non può essere disgiunta da quella relativa ai prodotti offerti su quel mercato che non coincidono sempre con i prodotti offerti sul mercato interno; è proprio questa sua natura sistemica che rende le scelte strategiche difficili da costruire ed altrettanto difficili da imitare.

Il modo di porsi (ovvero di posizionarsi) rispetto allo spazio è dunque la base teorica sottostante alle strategie di internazionalizzazione che diventano tali quando l’impresa nel corso di questa ricerca dei giusti rapporti con lo spazio finisce con lo scavalcare i confini nazionali per accedere, dal lato dei fattori di produzione o del prodotto, ad altri paesi.

Concepire la strategia di internazionalizzazione come una proiezione oltre confine delle più generali strategie di espansione geografica, offre diversi vantaggi dal punto di vista interpretativo. In primo luogo consente di interpretare certi aspetti del fenomeno in fattispecie già note e sperimentate nel corso di espansioni geografiche realizzate dentro i confini nazionali. Le esperienze di espansione interna divengono così esemplari anche per ampliamenti oltre confine, soprattutto quando esse siano avvenute all'interno di paesi caratterizzati nelle loro diverse aree da marcate differenze nei consumi, nelle strutture distributive e nelle modalità produttive. Lo spostamento delle operazione sull'asse geografico spesso finisce per condurre su territori talmente diversi che comporta modifiche anche al tipo di prodotti offerti, alle categorie di fornitori a cui si attinge, ai segmenti di clientela serviti, ai luoghi dove si deve produrre, ai canali di distribuzione utilizzati e alla tipologia di comunicazione impiegata, in breve ad una revisione profonda della formula imprenditoriale. Solo in alcuni casi l'espansione geografica lascia invariati tutte le atre scelte: in tal caso si

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