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Sic vos, non vobis. La cooperazione tra ambivalenza ed antinomie. Una lettura critica del suo uso capitalistico

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DIPARTIMENTO DI CIVILTÀ E FORME DEL SAPERE

Corso di Laurea Magistrale in Filosofia e Forme del Sapere

TESI DI LAUREA

in

STORIA DELLA FILOSOFIA

Sic vos, non vobis. La cooperazione tra ambivalenza ed antinomie.

Una lettura critica del suo uso capitalistico

Relatore: Prof. Alfonso Maurizio Iacono

Candidata: Francesca Steffenino

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Sic vos non vobis nidificatis aves, sic vos non vobis vellera fertis oves,

sic vos non vobis mellificatis apes, sic vos non vobis fertis aratra boves. Così voi uccelli nidificate ma non per voi stessi, così voi pecore portate la lana ma non per voi stesse, così voi api fate il miele ma non per voi stesse, così voi buoi trainate gli aratri ma non per voi stessi.

(Attribuita a Virgilio da Elio Donato, Vita di Virgilio, 17-70)

Il ritmo di lavoro nelle officine è diventato così intenso, che esaurisce un uomo nel corso di non molti anni.

Ma è accaduto come per le api, dell’amaro verso, col quale Virgilio accusava i profittatori dell’opera sua, ricordate: “Voi fate il miele o api, ma sono altri che lo godono”.

(P. Togliatti - Appello agli elettori, Tribuna elettorale, Rai, 1963)

Densa questa tendenza questa mania di supremazia, qui nessuno ne vive senza.

[…] Basta un interruttore che vedi un sole ma

chiuso dentro le stanze della città, tanto per quanta fretta hanno le persone qua basterà pure un sole fatto a metà.

[…] Ghiaccio sui tetti di questo villaggio, adagio si scioglie, non ne resterà uno stralcio, squarcio tra nuvole poi sbuca un raggio. Assumo coraggio per stare quaggiù.

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Indice

Introduzione

I

1. Dal Primo Libro del Capitale di Marx: il processo lavorativo e l’estrazione

di plusvalore assoluto e relativo

1

1.1 «No admittance except on business» 2

1.2 Il concetto di plusvalore relativo 12

1.3 Considerazioni sulla III e IV sezione del Primo Libro del Capitale 14

2. La cooperazione: il punto di partenza e la forma fondamentale del modo

di produzione capitalistico

18

2.1 Per una definizione di cooperazione 18

2.2 Il lavoro combinato: il tutto è maggiore della somma delle sue parti 23

2.3 Animal spirits 26

2.4 Zòon politikón 30

2.5 Le categorie di spazio e di tempo nella cooperazione 34

2.6 La cooperazione come sviluppo delle facoltà della specie 37

2.7 I costi della cooperazione 41

2.8 Il comando dispotico del capitale 42

2.9 La cooperazione è una forza gratuita 46

2.10 La cooperazione precapitalistica 48

(5)

3. La cooperazione in Marx e nel Novecento

54

3.1 Cooperazione, manifattura e grande industria: le figure della sussunzione nel Capitale 54

3.2 Le forze produttive sociali nel Capitolo VI inedito 59

3.3 Individuo sociale e General Intellect: il Frammento sulle macchine dei Grundrisse 66 3.4 L’organizzazione scientifica del lavoro: da Taylor a Gramsci 78

3.5 Echi e conseguenze del Frammento sulle macchine 83

3.6 Note storico-teoriche sull’operaismo 87

3.7 Meriti e criticità dell’operaismo 94

3.8 Cenni sul post-fordismo e sulle forme di lavoro contemporanee 100

3.9 Ambivalenza e antinomie del concetto di cooperazione 106

4. Forme di cooperazione: prospettive e ipotesi

118

4.1 La prospettiva femminista 122

4.2 La prospettiva ecologista 128

4.3 Il caso del jazz: un’ipotesi di cooperazione 133

4.4 La cooperazione ai tempi dell’emergenza Covid-19 144

5. Conclusioni

153

6. Bibliografia

158

7. Sitografia

173

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I

Introduzione

Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza. A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà […] dentro i quali tali forze per l’innanzi s’erano mosse.

Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene.

(K. Marx, Prefazione a Per la Critica dell’Economia Politica)

«Che ogni inizio sia difficile, vale per ogni scienza»1: lo stesso si potrebbe forse dire, e far valere, si parva licet componere magnis, anche per la stesura di una tesi come la presente. Infatti, non è facile introdurre, in modo esaustivo, un lavoro di studio e di ricerca vissuto contemporaneamente con passione e complessità. Malgrado la difficoltà, il tentativo di questa breve introduzione va nella direzione di spiegare le ragioni sulla base delle quali si è deciso di affrontare il concetto di cooperazione, indicare i vari nodi teorici che sono stati da stimolo per trarre utili considerazioni e, infine, fornire una serie di spunti che si sono seguiti per avanzare alcune conclusioni.

L’idea di esaminare il concetto di cooperazione è nata non solo da un interesse teorico, ma anche da alcune esperienze significative vissute durante il corso di studi Magistrale, in particolare dalla frequentazione delle lezioni di A. M. Iacono, dalla lettura di alcuni dei suoi lavori e dalla partecipazione al convegno Marx 201. Ripensare l’alternativa; in secondo luogo, dall’adesione al seminario Marx a Pisa: lettura del Primo Libro del

Capitale. Nonostante le differenze metodologiche e di prospettive, entrambi i percorsi si

sono rilevati un’occasione per approfondire la riflessione di Marx e, in modo particolare, il suo concetto di cooperazione. Durante il percorso di ricerca si sono presentate nuove motivazioni a consolidare le precedenti: una fra tutte l’esigenza di guardare, con occhio il più possibile analitico, alle problematiche attuali intorno alla cooperazione. Con l’avvento dell’emergenza provocata dal Covid-19, l’esigenza di discutere del ruolo e delle possibilità della cooperazione si è ripresentata non soltanto all’interno della produzione

1 K. Marx, Prefazione alla Prima Edizione, in Il capitale. Critica dell’economia politica, vol. I, trad. it. B. Maffi, UTET, Torino 1974, p. 73.

(7)

II

capitalistica, ma anche in ambiti e in termini più generali: si potrebbe affermare, infatti, che il dibattito circa la facoltà collaborativa dell’uomo è tornato nuovamente centrale.

Il tentativo di questo lavoro è stato quello di restituire complessità al concetto di cooperazione, analizzandone la sua ambivalenza e le sue antinomie, muovendo contemporaneamente una critica al suo uso capitalistico. «Sic vos non vobis mellificatis

apes»2 (Così voi api fate il miele ma non per voi stesse) è la citazione, attribuita a Virgilio, che può riassumere il nucleo fondante di questo lavoro: a partire da queste parole è possibile leggere la cooperazione come una facoltà della specie umana che permette sì di creare un prodotto, ma, se considerata nel suo uso capitalistico, sottrae quel risultato, che non è più di proprietà degli uomini, bensì del capitale stesso.

Il discorso è stato articolato in diverse sezioni: nei primi tre capitoli ci si è confrontati con la necessità di utilizzare la teoria non solo marxiana, sottolineando l’importanza di alcuni studi storico-filosofici e socioeconomici; nell’ultimo si è guardato invece, per così dire, alla pratica, descrivendo dei casi concreti di forme cooperative. L’intento è stato quello di mantenere un impianto il più possibile teorico per fornire alcuni strumenti e indirizzi pratici. A livello metodologico si è cercato di seguire Marx: il suo concetto di astrazione determinata, ovvero il metodo di critica dell’economia politica, nonché il mezzo di possibilità per una teoria materialistica del sapere, è risultato fondamentale anche nel presente lavoro. Infatti, si è tentato di dare forma al concetto di cooperazione marxiano, comprendendone una serie di caratteristiche date dalla sua concretezza e specificità storica. Di conseguenza, si è ritenuto necessario utilizzare il metodo marxiano della critica non solo perché è tramite esso che Marx ha contestato l’economia politica classica, ma perché attraverso la critica egli ha svelato le condizioni sociali oggettive di quel sapere, giungendo a identificare il capitale come il problema da cui sorgono una serie di contraddizioni di cui la società attuale è ancora vittima. La critica di Marx è sì una critica alla società borghese, ma è anche una critica delle categorie economiche su cui la società borghese si basa, le quali esprimono i «modi d’essere, determinazioni d’esistenza»3 della stessa. Proseguendo questo ragionamento, Marx è giunto a

comprendere che nelle società «dove domina il capitale, prevale l’elemento sociale,

2 Elio Donato, Vita di Virgilio, in E. Cetrangolo (a cura di), in Virgilio. Tutte le opere, Sansoni Editore, Firenze 1993, 17-70, p. 838.

3 K. Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, vol. I, trad. it. E. Grillo, La Nuova Italia, Firenze 1968-1970, p. 34.

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III

prodotto storicamente […] Il capitale è la potenza economica della società borghese che domina tutto».4 Da queste premesse possiamo dedurre che un certo tipo di cooperazione, dominata da gerarchie e imposizioni, è voluta e dominata dal capitale, e, di conseguenza, che è possibile giungere a questa conclusione non a partire dall’ordine in cui le categorie economiche si sono determinate storicamente, ma dalla relazione in cui si sono trovate e articolate all’interno della moderna società borghese. Tenendo dunque in considerazione il metodo marxiano, e in modo particolare l’impianto logico utilizzato nel Capitale, è possibile definire la cooperazione come «il punto di partenza della produzione

capitalistica»5, «la prima trasformazione che il reale processo lavorativo subisce per effetto della sua sussunzione sotto i capitale»6, il primo dei metodi particolari di estrazione del plusvalore relativo, la «forma storica propria del processo di produzione

capitalistico»7, ovvero «la forma fondamentale del modo di produzione capitalistico»8, e,

pertanto, «una necessità storica per la trasformazione del processo lavorativo in processo sociale».9 Tali affermazioni, scritte da Marx nel capitolo XI del Primo Libro del Capitale,

sono state necessarie per rilevare un uso capitalistico della cooperazione e poter analizzare, in seconda battuta, l’ambivalenza del suo concetto. Per queste ragioni, la ricerca è stata condotta a partire dalla riflessione del Marx del Capitale: intorno alle definizioni appena riportate, infatti, sono contenute una serie di fondamentali caratteristiche della cooperazione che si è tentato di analizzare e descrivere per restituire complessità al concetto, sia in termini generali che rispetto alla riflessione marxiana.

La dissertazione si presenta composta da quattro capitoli. Il primo vuole essere una sorta di indice delle categorie teoriche descritte da Marx nella III sezione del Capitale, imprescindibili per comprendere al meglio il discorso che egli porta avanti nella IV sezione. Pertanto, è stato necessario addentrarsi, se pur sinteticamente, all’interno del processo lavorativo, per poi descrivere l’estrazione del plusvalore assoluto, senza il quale non si potrebbe comprendere la produzione del plusvalore relativo e la successiva riflessione sulla cooperazione. Nel secondo capitolo, dunque, si è proceduto con l’analisi del concetto di cooperazione all’interno della produzione capitalistica, arrivando così al cuore della teoria entro cui si inserisce tutto il presente lavoro. Per restare il più possibili

4 Ivi, p. 35.

5 K. Marx, Il capitale. Critica dell’economia politica, vol. I, trad. it. B. Maffi, UTET, Torino 1974, p. 445. 6 Ivi, p. 460.

7 Ibidem. 8 Ivi, p. 461. 9 Ibidem.

(9)

IV

fedeli al ragionamento marxiano, si è cercato di ricostruire alcuni nodi teorici e passaggi argomentativi del capitolo XI del Capitale, indagando su espressioni, termini e concetti, quali quelli di zoòn politikón, di homo economicus, di animal spirits, di funzione dispotica e di controllo del capitale, di sussunzione del lavoro sotto il capitale. In alcuni casi, si è tentato di fornire una sorta di genealogia e di ricostruzione storico-filosofica dei concetti utilizzati da Marx. A partire dal terzo capitolo, invece, si è guardato anche ad altre delle sue opere, per individuare possibili approfondimenti e cambiamenti di prospettiva. Infatti, sono stati analizzati il Capitolo VI inedito e il Frammento sulle Macchine, contenuto nei

Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica: grazie a queste opere si è

fatto riferimento alle nozioni di lavoro produttivo e improduttivo, di general intellect e di individuo sociale, provando ad individuare i possibili collegamenti con il concetto di cooperazione e le differenze con la teoria del Capitale. Proprio a partire dalle opere appena citate, negli anni Sessanta e Settanta, sono nate le riflessioni del complesso e variegato movimento operaista, motivo per il quale si è scelto di dedicarvi una parte considerevole delle riflessioni del terzo capitolo. Infatti, attraverso i Grundrisse e le varie considerazioni che ne sono scaturite, si è giunti ad approfondire la questione operaista e come il concetto di cooperazione sia stato analizzato da autori quali R. Panzieri, M. Tronti e A. Negri. Si è poi fatto cenno al post-operaismo e alla teoria del capitalismo cognitivo, attraverso una serie di questioni conseguite intorno ai concetti di lavoro materiale e immateriale, al sistema delle macchine e della tecnologia, fino alla flessibilità e precarietà del lavoro ai giorni nostri. La cornice entro cui le varie problematiche sono state affrontate è quella marxiana della critica dell’economia politica e dell’importanza della legge del valore. Attraverso le riflessioni di alcuni autori di riferimento10 per lo svolgimento di questi temi, è stato possibile comprendere le caratteristiche del concetto di cooperazione e del suo uso capitalistico.

Grazie all’analisi svolta nei primi tre capitoli, si sono ottenuti una serie di elementi teorici che hanno permesso di sostenere la teoria dell’ambivalenza della cooperazione: la cooperazione, come facoltà della specie umana, oscilla tra il modo di liberare le facoltà individuali mediante il lavoro collettivo organizzato, e il modo di opprimerle attraverso il dominio dispotico di chi esercita il potere organizzativo e di pianificazione. Ciò che si è cercato di argomentare lungo tutto il corso del lavoro, e in modo particolare nell’ultimo

10 Tra i molti, si è dato particolare rilievo agli studi di D. Harvey, R. Bellofiore, M. Tomba, R. Fineschi, M. Fisher, S. Wright, A. M. Iacono, M. Filippini.

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V

capitolo, è la necessità di riappropriarsi della cooperazione, liberandola dal giogo del capitale, per poterne fare un uso diverso, sciolto dalle imposizioni dispotiche del sistema capitalistico. Nel quarto e ultimo capitolo, si è pertanto deciso di analizzare alcuni esempi e casi concreti di forme cooperative, guardandoli come possibili modelli di un tipo di cooperazione priva di gerarchie fisse e caratterizzata da regole condivise. Nello specifico, sono stati descritti quattro modelli che hanno reso possibile un discorso cooperativo di tipo diverso da quello capitalistico. Essi offrono importanti spunti e utili riflessioni, se pur nascano da prospettive diverse: musicale, tramite il jazz, un esempio pratico-teorico di cooperazione realizzata tramite la condivisione di regole comuni; femminista, mediante l’esperienza collaborativa di comunità di donne del Sud del mondo; ecologista, a partire dal modello dell’Internationalist Commune of Rojava e del suo progetto di riappropriazione di terre e risorse comuni; antirazzista e a favore dei diritti dei lavoratori, attraverso l’organizzazione di forme cooperative di lotta da parte dei braccianti del settore agro-alimentare, sviluppate in seguito all’emergenza Covid-19. Con lo studio di questi casi, non si è soltanto tentato di sostenere che un uso non capitalistico della cooperazione è possibile, ma che si dà come una delle vie auspicabili per andare nella direzione di una possibile liberazione dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e dell’uomo sulla natura. Se, infatti, a partire dal riconoscimento dell’ambivalenza e delle antinomie presenti nel concetto di cooperazione – che hanno permesso di fornirne un quadro più complesso della questione – è stato possibile criticare il suo uso capitalistico – come modello dispotico e vessatorio – a partire dai casi studiati nell’ultimo capitolo, si è giunti a supportare la possibilità che esista un modello alternativo di cooperazione, determinato dalla condivisione di regole e da ruoli interscambiabili. Il modello, esemplificato nei quattro casi paradigmatici descritti, non è certamente una soluzione confezionata adattabile a qualsiasi contesto, ma un possibile punto di vista e di riflessione alternativa per pensare ad un nuovo sistema socioeconomico e sociopolitico in cui i diritti di uomini e donne, lavoratori e lavoratrici, possano tornare al centro, proponendo una via d’uscita dalla logica capitalistica del profitto e del dominio.

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1

1. Dal Primo Libro del Capitale di Marx: il processo lavorativo

e l’estrazione di plusvalore assoluto e relativo

Anche quando una società è riuscita a scoprire la legge del suo movimento – e fine di quest’opera è appunto di svelare la legge economica di movimento della società moderna– non può né saltare d’un balzo, né sopprimere per decreto, le fasi naturali del processo.

Ma può abbreviare e lenire le doglie del parto.

(K. Marx, Prefazione alla Prima Edizione, in Il capitale. Critica dell’economia politica, vol. I)

Per comprendere e commentare il concetto di cooperazione espresso da Marx nel capitolo XI del primo libro del Capitale, è necessario descrivere in breve, senza la pretesa di essere esaustivi, il ragionamento che si snoda nei capitoli precedenti del testo.

Il libro del Capitale in questione, pubblicato nella prima edizione da Marx nel 1867, è diviso al suo interno in sette sezioni. Dopo aver analizzato, nelle prime due sezioni, le forme specifiche di merce e denaro11 e la trasformazione del denaro in capitale12, Marx descrive la produzione del plusvalore assoluto13 (sezione III) e la produzione del plusvalore relativo14 (sezione IV). È in quest’ultima che egli individua i tre metodi particolari di produzione del plusvalore relativo, dinanzi a tutti, la cooperazione. Prima di entrare nel vivo e scoprire la forza produttiva del lavoro sociale, è necessario ripercorrere alcuni nodi teorici della sezione III, in modo da comprendere come il modo di produzione capitalistico abbia iniziato ad estrarre plusvalore assoluto, e sia giunto poi a rivoluzionare le condizioni di produzione, facendo leva sul plusvalore relativo. Si tenga in considerazione che le sezioni III e IV «rappresentano il cuore del Libro I, il nucleo essenziale della rivoluzione scientifica prodotta da Marx».15

11 K. Marx, Il capitale. Critica dell’economia politica, vol. I, pp. 107-236. 12 Ivi, pp. 237-272.

13 Ivi, pp. 273-432. 14 Ivi, pp. 433-656.

15 M. Turchetto, La scoperta del plusvalore relativo, in R. Bellofiore e C. M. Fabiani (a cura di), Marx inattuale, in «Consecutio Rerum», III (2018), n. 5, p. 271.

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1.1 «No admittance except on business»

16

È proprio a partire dal capitolo V che Marx conduce il lettore all’interno del processo lavorativo, laddove, come aveva scritto precedentemente, è «vietato l’ingresso se non per motivi d’affari».17 Egli premette che le merci, viste come valori d’uso, servono a

soddisfare dei bisogni18; ciò non cambia anche quando si producono beni per ordine di un capitalista: il loro valore d’uso resta. Per questa ragione, il processo lavorativo va considerato inizialmente come indipendente dalle forme sociali determinate; è, infatti, un processo che si svolge tra l’uomo e la natura, «un processo nel quale l’uomo media, regola e controlla con la sua attività il ricambio organico con la natura».19 L’uomo utilizza il suo corpo, e le forze naturali di questo, per appropriarsi dei materiali della natura e utilizzarli per la sua vita. Anche l’animale, spiega Marx, come ad esempio il ragno o l’ape, compie azioni simili a quelle dell’uomo, ma si differenzia per una fondamentale mancanza: è privo di un vero e proprio progetto riguardante il lavoro che andrà a svolgere; contrariamente, l’uomo ha un’idea in mente del lavoro che compirà e che lo guiderà nel suo scopo.

Secondo Marx, per compiere un’azione creativa sono necessari l’attività utile, cioè il lavoro stesso, il suo oggetto e il suo mezzo. Con oggetto di lavoro egli intende sia un elemento ricavato dalla natura che uno già filtrato dal lavoro, ovvero una materia pima. Per mezzo di lavoro, invece, indica una cosa o un insieme di cose, che servono al lavoratore come strumento per lavorare. Nel processo lavorativo, mezzo e oggetto di lavoro sono mezzi di produzione, mentre il lavoro è lavoro produttivo. Date queste necessarie definizioni, Marx spiega come un valore d’uso emerga dal processo lavorativo come prodotto e possa rientrare, in un nuovo processo, come mezzo di produzione. I prodotti che vengono creati sono non solo risultato, ma anche condizione del processo di

16 K. Marx, Il capitale. Critica dell’economia politica, vol. I, p. 270. 17 Ibidem.

18 Cfr. M. Tomba, «La bestia è l’azienda, non il fatto che abbia un padrone». Commento al quinto capitolo del Capitale, in R. Bellofiore e C. M. Fabiani (a cura di), Marx inattuale, in «Consecutio Rerum», III (2018), n. 5, pp. 245-258. Tomba afferma: «è interessante osservare che il primo capitolo iniziava con la merce come oggetto esterno che soddisfa i bisogni umani di qualsiasi tipo, e quindi con il suo valore d’uso; il quinto capitolo inizia nuovamente con i valori d’uso, ma ora dal punto di vista del processo lavorativo finalizzato alla loro produzione. Credo sia possibile costruire un parallelo fra il primo e il quinto capitolo» (Ivi, p. 247).

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3

lavoro.20 Cos’è però che crea quei prodotti e li rende tali? Marx non ha dubbi a riguardo: è il lavoro vivo che ha la capacità di «afferrare queste cose, ridestarle dal regno dei morti, trasformarle da valori d’uso soltanto possibili in valori d’uso reali ed operanti».21 Si

intenda, dunque, per processo lavorativo la definizione di Marx:

Il processo lavorativo è attività finalistica diretta alla produzione di valori d'uso, appropriazione del dato naturale per i bisogni umani, condizione universale del ricambio organico fra uomo e natura, premessa naturale eterna della vita umana; è quindi indipendente da ogni forma di tale vita, comune anzi a tutte le sue forme sociali. Perciò non abbiamo avuto bisogno di presentare l’operaio nel suo rapporto con altri operai: bastavano l'uomo e il suo lavoro da un lato, la natura e i suoi materiali dall’altro. Come dal sapore del grano non si sente chi l'ha coltivato, così in questo processo non si vede in quali condizioni esso si svolge, se sotto la frusta brutale del guardaciurma o sotto l'occhio ansioso del capitalista.22

Tramite il paragone riportato da Marx possiamo derivare che, dal solo sapore del grano, non si può immediatamente comprendere in che condizioni questo sia stato prodotto.23 Ciò che si intuisce dalle considerazioni sul processo lavorativo è il concetto

di consumo, insito nel lavoro, che utilizza prodotti del lavoro come mezzi per produrre. Questo ci mostra, seguendo Tomba, «lo specifico valore d’uso capitalistico del valore d’uso».24 Il lavoro è consumo, sia della natura che dell’uomo, condizione necessaria per

lo sviluppo capitalistico che prevede lo sfruttamento di entrambi senza misura.

Per incominciare il processo lavorativo, il capitalista abbisogna di fattori oggettivi, ovvero dei mezzi di produzione, e del fattore personale, ossia della forza-lavoro. Quando il capitalista compra, come se fosse merce, la forza-lavoro, ha inevitabilmente nelle sue mani tutto ciò che essa produrrà e la sua direzione. Ciò significa che:

- il prodotto ottenuto tramite il consumo della forza-lavoro altrui appartiene al capitalista;

20 Cfr. Ivi, p. 278. Marx accenna all’«orma del lavoro trascorso», intendendo il segno lasciato dal lavoro delle generazioni passate per quelle future.Vedremo nei capitoli successivi come questo tema sia interconnesso con quello della cooperazione, senza la quale le conoscenze umane non si sarebbe create e poi trasmesse.

21 Ivi, p. 280. 22 Ivi, p. 281.

23 Cfr. Ivi, pp. 148-163. Questa riflessione, infatti, riporta al paragrafo IV del I capitolo intitolato «il carattere feticistico della merce e il suo segreto».

24 M. Tomba, «La bestia è l’azienda, non il fatto che abbia un padrone». Commento al quinto capitolo del Capitale, p. 251.

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4

- il processo lavorativo avviene sotto il suo stretto controllo.25

Sono queste le due condizioni necessarie che fanno del processo lavorativo «un processo fra cose che il capitalista ha acquistato, fra cose che possiede in proprio».26 Anche se l’operaio lavora per il capitalista anziché per se stesso, non possiamo dire che, almeno fin qui, il processo lavorativo abbia cambiato la sua natura. Il cambiamento avviene in un secondo momento, in quello che Marx chiama il processo di

valorizzazione.27 È in questa nuova fase che si comprende il fatto che i prodotti vengano realizzati, non per il loro valore d’uso, ma poiché «substrati materiali, veicoli, del valore

di scambio»28, il cui fine è realizzare profitto tramite la loro vendita. Come sottolinea Tomba, «credo che solo nel processo di valorizzazione Marx riesca a rendere conto di quella inversione che caratterizza il modo di produzione capitalistico, cioè dell’indifferenza rispetto ai bisogni e ai valori d’uso».29 Infatti, in primo luogo, il

processo di valorizzazione ha come scopo la mera creazione di valore, e non la soddisfazione dei bisogni dell’uomo. Da questo cambiamento si può evincere che il modo di produzione capitalistico produce almeno due conseguenze: stravolge il significato del valore d’uso e cambia profondamente la natura del bisogno, producendo «un mutamento antropologico paragonabile forse soltanto a quello avvenuto in termini storici o geologici con il Neolitico».30 In secondo luogo, il capitalista mira a:

produrre una merce il cui valore superi la somma dei valori delle merci necessarie alla sua produzione, dei mezzi di produzione e della forza lavoro per i quali egli ha anticipato sul mercato delle merci il suo bravo denaro.31

Da ciò deriva la conseguenza che il processo di produzione non può essere soltanto processo lavorativo, ma anche processo di valorizzazione: il capitalista non si accontenta solo della merce, né del valore, ma vuole produrre plusvalore! È il processo di

25 Proprio nel capitolo XI sulla cooperazione si noterà quanto sia fondamentale la funzione di controllo e di comando del capitale.

26 K. Marx, Il capitale. Critica dell’economia politica, vol. I, p. 282.

27 Cfr. Ivi, p. 283. «Processo di valorizzazione» è il titolo del secondo paragrafo del capitolo V. 28 Ibidem.

29 M. Tomba, «La bestia è l’azienda, non il fatto che abbia un padrone». Commento al quinto capitolo del Capitale, p. 249.

30 Ivi, p. 250.

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5

valorizzazione dunque, come spiega Bellofiore, il luogo in cui Marx descrive l’emergere del plusvalore, «una sorta di argomento “genetico” riguardo l’origine del plusvalore».32

Il capitalista sarebbe contrariato se il valore del prodotto che ha realizzato fosse uguale al valore del capitale che ha anticipato. Egli si chiede allora se esista una merce che, una volta comprata e consumata, possa dare più valore rispetto a quanto è costata; la risposta la trova nella merce forza-lavoro. Infatti, quando il capitalista compra i mezzi fisici di lavoro (le materie prime, le macchine e gli utensili) acquista prodotti che hanno al loro interno lavoro congelato.33 È compito della forza-lavoro riattivare il lavoro congelato utilizzando quei mezzi per produrre nuove merci e quindi nuovo valore: è il lavoro vivo che rianima il lavoro morto. «Mediante la compera della forza lavoro, il capitalista ha

incorporato il lavoro stesso, come lievito vivente, nei morti elementi costitutivi del

prodotto, che ugualmente gli appartengono».34 Se non ci fosse quel lavoro vivo il processo

non potrebbe avviarsi. Qui si svela un fatto fondante e terribile allo stesso tempo: il lavoratore, all’interno del processo produttivo, viene consumato. La sua forza-lavoro, infatti, non potrebbe esistere senza la sua dimensione corporale. Il capitalista, dunque, consuma sia il valore d’uso della forza lavoro che i corpi dei lavoratori stessi. Egli è interessato soltanto alla sopravvivenza di questi corpi, senza la quale non potrebbe arricchirsi, del resto «non gliene importa un soldo».35 Intorno al ragionamento lineare di Marx si cela, quindi, un’importante novità: rispetto all’economia politica classica, e a Ricardo in particolare, si modifica il concetto di lavoro. Come ricorda Bellofiore36, non è mai stata chiara all’economia politica classica la differenza tra forza-lavoro e lavoro vivo. Per Bellofiore, il concetto di lavoro in Marx:

si riferisce a tre polarità, non soltanto a due: la forza-lavoro, il lavoro vivo e – in modo cruciale – ai lavoratori come essere umani portatori viventi della

forza-lavoro».37 Questa specificazione ci permette di capire che «la forza-lavoro è

“attaccata” ai lavoratori come portatori viventi della capacità di lavoro, e concepire

32 R. Bellofiore, C’è vita su Marx? Il Capitale nel bicentenario, in R. Bellofiore e C. M. Fabiani (a cura di), Marx inattuale, in «Consecutio Rerum», III (2018), n. 5, p. 29.

33 Marx utilizza il termine congelato: «La forza lavoro umano allo stato fluido, o il lavoro umano, crea valore; ma non è valore. Esso diventa valore allo stato congelato, sotto forma di oggetto. Per esprimere il valore della tela come gelatina di lavoro umano, bisogna esprimerlo come una ‘oggettività’ materialmente diversa dalla tela e, insieme, comune ad essa e ad altra merce» (K. Marx, Il capitale. Critica dell’economia politica, vol. I, p. 126).

34 Ivi, p. 282. 35 Ivi, p. 291.

36 R. Bellofiore, C’è vita su Marx? Il Capitale nel bicentenario, p. 15. 37 Ibidem.

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6

questi ultimi come i soggetti (“liberi” e “uguali”) che effettivamente prestano lavoro vivo come messa in atto della potenzialità insita nella forza-lavoro.38

Grazie al capitolo V e alla comprensione di queste categorie, si può considerare «il capitale come una realtà storicamente specifica segnata da alienazione, reificazione e sfruttamento».39 Se quindi, da un lato, il processo lavorativo è processo di produzione, dall’altro è processo di consumo della forza-lavoro: lo sfruttamento avviene all’interno della produzione.

Marx ha intuito che il lavoro passato, contenuto nella forza-lavoro, e il lavoro vivo, che questa può fornire all’interno della produzione, sono due grandezze diverse, le quali determinano rispettivamente il suo valore di scambio e il suo valore d’uso. Questo significa, a sua volta, che il valore della forza-lavoro e la sua valorizzazione all’interno del processo lavorativo, sono grandezze diverse. «Il fatto che, per mantenere in vita l’operaio durante 24 ore, occorra una mezza giornata lavorativa, non gli impedisce affatto di lavorare una giornata intera».40 Infatti, durante una parte del processo lavorativo, l’operaio produce solo il valore della sua forza-lavoro, ovvero una merce il cui valore è uguale ai suoi mezzi di sussistenza. Se lavorasse per se stesso, l’operaio lavorerebbe sempre per quella stessa quantità di tempo che gli permetterebbe di acquistare i mezzi necessari al suo sostentamento. Questa produzione di lavoro è in realtà, per Marx, una semplice riproduzione. Egli afferma:

Chiamo dunque tempo di lavoro necessario la parte della giornata lavorativa in cui questa riproduzione avviene; chiamo lavoro necessario il tempo speso nel suo corso – necessario per l’operaio, perché indipendente dalla forma sociale del suo lavoro; necessario per il capitale ed il suo mondo, perché questi si basano sull’esistenza costante dell’operaio.41

Il tempo in fabbrica però non si ferma qui. C’è un’altra porzione di tempo:

il secondo periodo del processo lavorativo, nel quale l’operaio sgobba oltre i limiti del lavoro necessario, gli costa bensì lavoro, dispendio di forza lavoro, ma non crea

38 Ibidem. 39 Ibidem.

40 K. Marx, Il capitale. Critica dell’economia politica, vol. I, p. 291. 41 Ivi, p. 317.

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per lui nessun valore. Esso crea un plusvalore che arride al capitalista con tutti il fascino di una creazione dal nulla.42

Il lavoratore non lavora, infatti, soltanto le ore necessarie per riprodurre l’equivalente del valore della sua forza lavoro, ma ben di più. Se per mantenere vivo l’operaio serve una mezza giornata lavorativa, nulla impedisce al capitalista di farlo lavorare un giorno intero:

se i lavoratori producono l’equivalente della propria forza lavoro in 6 ore, il capitalista può ottenere del plusvalore solo facendoli lavorare di più. Se la giornata lavorativa è di 10 ore egli guadagna 4 ore di plusvalore. Questo è ciò che permette la creazione di plusvalore senza violare le leggi dello scambio.43

Ed ecco che Marx ha scoperto dove ha luogo lo sfruttamento del lavoratore e, allo stesso tempo, l’arricchimento del capitalista. I lavoratori sono messi nelle condizioni di produrre quel plus, senza essere per questo retribuiti. È compito del capitalista controllarne l’operato, non permettendo sprechi di tempo, assicurandosi che tutti lavorino con una certa intensità e senza consumare inutilmente materie prime e mezzi di lavoro. In questo modo, il plusvalore è stato prodotto senza violare le leggi dello scambio: infatti, il capitalista ha pagato la merce e ne ha consumato il suo valore d’uso. Dopo la produzione, egli è tornato sul mercato a vendere, ricavandone di più. Grazie alle sue graduali e sistematiche considerazioni, Marx ha compreso che il denaro si trasforma in capitale e questo «avviene e non avviene nella sfera della circolazione».44 Invero, la

trasformazione avviene nella circolazione, perché è proprio al suo interno che è stata comprata la forza-lavoro, ma, allo stesso tempo, non avviene in essa, perché il vero e proprio processo di valorizzazione si svolge nella produzione. Inoltre, se nel processo lavorativo si poteva notare un movimento qualitativo che produceva valori d’uso, in quello di valorizzazione vediamo l’aspetto quantitativo, poiché ormai si tratta soltanto del numero di ore nel quale viene utilizzata la forza-lavoro. Il lavoro viene conteggiato in tempo e il tempo per produrre il valore d’uso deve essere socialmente necessario, ovvero deve essere il lavoro contenuto nelle merci secondo un’attività media riconducibile ai metodi di produzione. La forza-lavoro viene dunque utilizzata nel grado di intensità

42 Ibidem.

43 D. Harvey, Introduzione al capitale. 12 lezioni sul primo libro, a cura di F. Ceccherini, La Casa Usher, Firenze 2012, p. 122.

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socialmente usuale. Il capitalista non vuole essere derubato, ma pretende che il lavoro venga svolto con efficienza e destrezza.

Marx esplicita, infine, che come unità di processo lavorativo e di creazione di valore, il processo di produzione di merci è processo capitalistico, forma capitalistica di produzione di merci. In definitiva, in tutti i rami e ambiti di questo nuovo tipo di produzione, il plusvalore nasce da un’eccedenza quantitativa del lavoro, ovvero, dal prolungamento del processo lavorativo.

Come abbiamo visto, il compito della forza-lavoro è duplice: da un lato genera valore, dall’altro conserva il valore contenuto dei mezzi di produzione, ridestandoli dal regno dei morti. Questa “magia” frutta al capitalista la conservazione del valore del capitale esistente. I mezzi di produzione infatti, da soli, non possono aggiungere al prodotto più valore di quanto ne posseggano, poiché il loro valore non è determinato dal processo in cui sono mezzi di produzione, ma da quello dal quale sono stati realizzati come prodotti. Facendo lavorare la forza-lavoro, invece, non si crea soltanto valore, ma quel valore addizionale, il plusvalore: un’eccedenza del valore del prodotto sul valore delle parti costitutive del prodotto consumate, mezzi di produzione e forza-lavoro. A partire da queste premesse, nel capitolo VI, Marx fornisce al lettore le definizioni di capitale

costante (c) e capitale variabile (v):

La parte di capitale che si converte in mezzi di produzione, cioè in materia prima, materia ausiliaria e mezzi di lavoro, non altera la sua grandezza di valore nel processo di produzione. Perciò la chiamo parte costante del capitale, o, più brevemente: capitale costante. La parte di capitale convertita in forza lavoro, invece,

modifica il suo valore nel processo di produzione: riproduce il suo proprio

equivalente e, in aggiunta, produce un’eccedenza, il plusvalore, che a sua volta può variare, essere maggiore o minore. Da grandezza costante, questa parte del capitale si trasforma continuamente in grandezza variabile. Perciò la chiamo parte variabile

del capitale o, più brevemente: capitale variabile.45

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Queste due categorie permettono a Marx di stabilire:

- attraverso il loro rapporto (c/v), la produttività del lavoro;

- attraverso il rapporto tra plusvalore e capitale variabile (p/v), o saggio di

plusvalore, il tasso di sfruttamento della forza lavoro;

- attraverso il plusvalore e il valore totale usato, il saggio di profitto [p/(c+v)]. Come spiega limpidamente Harvey, il saggio di profitto e il tasso di sfruttamento sono diversi: «i capitalisti stessi si basano sul saggio di profitto, e tendono a investire i propri capitali in modo che esso sia il più elevato possibile. Il risultato è una tendenza (guidata dalla competizione) verso un generale livellamento dei saggi di profitto».46 È la

competizione che spinge la classe capitalistica a scegliere in base al saggio di profitto, piuttosto che rispetto al tasso di sfruttamento, il quale viene così oscurato, nonostante sia una delle questioni chiave per comprendere come opera il modo di produzione capitalistico.

Marx continua la sua trattazione con il capitolo VIII, dedicato alla durata della giornata

lavorativa. All’inizio egli spiega che la parte necessaria della giornata lavorativa, ovvero

quella che richiede la produzione dei mezzi giornalieri di sussistenza dell’operaio, è una grandezza data. Questa non è, però, la grandezza dell’intera giornata lavorativa, la quale invece è variabile. Infatti, la grandezza totale della giornata lavorativa varia a seconda della lunghezza del pluslavoro. Gli operai, come si è visto, lavorano più ore rispetto a quelle necessarie per produrre il corrispettivo della loro forza-lavoro. La giornata lavorativa totale è dunque una grandezza fluida, nonostante abbia dei limiti fisici e sociali. Come spiega Bellofiore, «questa “fluidità” è esattamente connessa a quanto lavoro vivo può essere reso “liquido” dalla forza-lavoro attaccata ai lavoratori come portatori umani della capacità di lavoro».47 Il capitalista cerca, dunque, di allungare la giornata lavorativa e lo sfruttamento della forza-lavoro, mentre i lavoratori ne richiedono una diminuzione. Secondo Marx, il problema non è risolvibile appellandosi ai diritti e alle leggi dello scambio, ma soltanto tramite la lotta di classe. Infatti, i diritti sanciti dalle leggi dello scambio danno vita ad un’antinomia: il capitalista, difendendo i suoi diritti di compratore,

46 D. Harvey, Introduzione al capitale. 12 lezioni sul primo libro, p. 128. 47 R. Bellofiore, C’è vita su Marx? Il Capitale nel bicentenario, p. 38.

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vuole allungare la giornata lavorativa; l’operaio, facendo leva sui suoi diritti di venditore, vuole, al contrario, accorciarla.

Ma fra eguali diritti decide la forza. Così nella storia della produzione capitalistica, la regolamentazione della giornata lavorativa si configura come lotta per i limiti

della giornata lavorativa – una lotta tra il capitalista collettivo, cioè la classe dei

capitalisti, e l’operaio collettivo, cioè la classe dei lavoratori.48

È dunque il conflitto sociale che definisce i limiti e le regolarità della lunghezza della giornata lavorativa.

Marx fa seguire, poi, una lunga digressione storica riguardante lo sfruttamento senza

limiti di alcuni rami dell’industria inglese, il sistema dei turni di fabbrica, le leggi e le

lotte per la diminuzione della giornata lavorativa: sono pagine di sangue e sudore, di malattie e di morte, di luoghi insalubri e case del terrore, di aborti parlamentari e lettere morte, di privazioni di necessità e sfruttamento di minori e di donne, di lupi mannari e vampiri.49

È con il capitolo IX che si conclude la terza sessione del Capitale. Se il capitale variabile è l’espressione in denaro del valore complessivo della forza-lavoro impiegata dal capitalista, allora il suo valore è uguale al valore medio di una singola forza-lavoro, moltiplicata per il numero di operai impiegati. Marx definisce così la massa del

plusvalore prodotto, ovvero il plusvalore dato dalla giornata del singolo operaio,

moltiplicato per il numero degli operai impiegati. Da ciò segue che la massa del plusvalore prodotto è uguale alla grandezza del capitale variabile anticipato, moltiplicato per il saggio di plusvalore. Nel caso in cui diminuisca il numero di operai, se si incrementa il saggio, la massa di plusvalore rimane uguale. Vi sono però dei limiti che si esplicano nelle riforme, nelle leggi, nelle rivendicazioni e che non permettono sempre ai capitalisti di incrementare il saggio, ma che non vietano loro di assumere sempre più lavoratori. Il problema sorge nuovamente, però, se non basta la popolazione che hanno a disposizione. Fin qui, riassume Marx, il capitale «si è sviluppato in dominio sul lavoro»50: si è impersonificato nel capitalista sviluppando un rapporto di tipo coercitivo sui

48 K. Marx, Il capitale. Critica dell’economia politica, vol. I, p. 340. 49 Ivi, pp. 340-420.

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lavoratori e, «come produttore di operosità altrui, pompatore di plusvalore e sfruttatore di forza lavoro»51 ha superato i sistemi di produzione che lo avevano preceduto.

Il capitale si subordina il lavoro, a tutta prima, nelle condizioni tecniche nelle quali storicamente lo trova. Non modifica dunque immediatamente il modo di produzione. Ecco perché la produzione di plusvalore nella forma fin qui considerata, cioè mediante semplice prolungamento della giornata lavorativa, ci era apparsa indipendente da ogni mutamento nel modo stesso di produzione.52

Ciò che vuole affermare Marx è che, se guardiamo al processo lavorativo, non è cambiato nulla di sostanziale, poiché l’operaio usa i mezzi di produzione come strumenti, e non come capitale. Cambia tutto, invece, se guardiamo la produzione dalla prospettiva del processo di valorizzazione: i mezzi di produzione, in questo caso, sono diventati strumento per succhiare lavoro altrui:

Non è più l’operaio che utilizza i mezzi di produzione; sono i mezzi di produzione che utilizzano l’operaio. Invece di essere consumati da lui come elementi materiali

della sua attività produttiva, essi lo consumano come fermento del loro processo vitale – e il processo vitale del capitale non consiste in altro che nel suo movimento come valore che si valorizza.53

Ecco il grande capovolgimento che è messo in atto dal modo di produzione capitalistico!

Dalla terza sessione del Capitale emerge il processo di estrazione del plusvalore assoluto: il capitalista ha sperimentato che per ricavare una quota maggiore di plusvalore deve estendere in modo assoluto la giornata lavorativa degli operai. Grazie a questa soluzione egli ha incrementato il saggio del plusvalore, ovvero il rapporto tra il plusvalore e il valore della forza-lavoro. Questa opportunità però non è sempre data: intervengono, infatti, leggi e limitazioni, motivo per cui la classe capitalistica abbisogna di un nuovo modo di estrazione del plusvalore che affronteremo nel prossimo paragrafo.

51 Ibidem. 52 Ibidem. 53 Ivi, p. 430.

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12

1.2 Il concetto di plusvalore relativo

Con il capitolo X, intitolato appunto Il concetto di plusvalore relativo54, entriamo all’interno della sezione IV del Capitale. Marx si chiede come il capitale possa aumentare la produzione del plusvalore senza allungare la giornata lavorativa. Ciò che si può modificare è la ripartizione in lavoro necessario e pluslavoro: si tratta di abbreviare il lavoro necessario, quel tempo che l’operaio impiegava per se stesso, trasformandolo in tempo per il capitalista. Il tempo di lavoro necessario alla produzione della forza lavoro (alla riproduzione del suo valore) non può diminuire per il fatto che diminuisce il salario dell’operaio, ma perché è quel valore che decresce. Per far decrescere quel valore, bisogna aumentare la produttività o forza produttiva del lavoro. È da questo momento in poi che, per il capitale, non risulta più possibile produrre plusvalore, se non attuando «una

rivoluzione nelle condizioni di produzione del suo lavoro, cioè nel suo modo di

produzione e, quindi, nel processo lavorativo medesimo».55 Marx spiega che, se fino a questo momento dell’esposizione, per produrre plusvalore il modo di produzione era presupposto come dato, ora è necessario rivoluzionare le condizioni tecniche e sociali del processo di produzione. Il capitale, quindi, non utilizzerà una forma tramandata dalla storia, ma rivoluzionerà il modo stesso di produzione. È in queste pagine che Marx definisce i due concetti di plusvalore scrivendo:

chiamo plusvalore assoluto il plusvalore ricavato prolungando la giornata lavorativa; chiamo plusvalore relativo il plusvalore ottenuto accorciando il tempo di lavoro necessario e modificando in corrispondenza il rapporto di grandezza fra le due parti di cui la giornata lavorativa si compone.56

Il suo ragionamento inizia constatando che il valore di una merce è determinato dal tempo di lavoro socialmente necessario che vi è contenuto, il quale diminuisce se accresce la produttività. Se diminuisce la massa di lavoro contenuta nella merce, minore sarà anche il suo valore. Da ciò possiamo asserire che il valore della forza-lavoro non dipende soltanto da condizioni storiche e sociali, ma è strettamente connesso al valore dei mezzi di sussistenza dei lavoratori e varia di conseguenza.

54 Ivi, pp. 433-444. 55 Ivi, p. 436. 56 Ivi, pp. 436-437.

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13 Come spiega Marx:

per diminuire il valore della forza lavoro, è necessario che l’aumento della forza

produttiva s’impadronisca dei rami d’industria, i cui prodotti determinano il valore

della forza lavoro e quindi appartengono alla cerchia dei mezzi di sussistenza consuetudinari, o possono sostituirli.57

In questo modo i capitalisti possono ridurre i salari agli operai, poiché questi ultimi avranno bisogno di meno denaro per vivere. Se i capitalisti risparmiano sul capitale variabile, cresce il tasso di sfruttamento; essi compreranno ancora più forza-lavoro ed aumenterà allora la massa del plusvalore. Date queste premesse, Marx deduce che nei settori produttivi in cui non si producono né mezzi di sussistenza, né mezzi di produzione atti a produrli, l’aumento della produttività non cambia il valore della forza lavoro; ciò che serve è soltanto l’abbassamento dei prezzi dei beni di consumo. Il singolo capitalista, quindi, aumentando la produttività del lavoro, riuscirà a ridurre i prezzi della propria merce. Questa opportunità darà a quel capitalista un plusvalore iniziale extra, fintanto che anche gli altri capitalisti suoi avversari, non faranno lo stesso. I rivali saranno costretti, per far fronte alla legge coercitiva della concorrenza, a introdurre le stesse tecniche che ha sperimentato il primo capitalista. Quando il nuovo modo di produzione si generalizzerà, sarà scomparsa la differenza tra il valore individuale e quello sociale delle merci. Il valore delle merci è dunque inversamente proporzionale alla forza produttiva del lavoro, così come lo è il valore della forza-lavoro che è determinato dal valore delle merci. Il plusvalore relativo è, invece, direttamente proporzionale alla forza produttiva del lavoro. Marx è riuscito a capire che l’aumento della produttività e la diminuzione del prezzo delle merci accresce quel plusvalore contenuto nelle merci. Per questo motivo, non è più necessario allungare la giornata lavorativa, ma è sufficiente ridurre il lavoro necessario alla produzione di una certa quantità di merci. Con i metodi particolari dei capitoli dall’XI al XIII (Cooperazione, Divisione del lavoro e manifattura, Macchine e

grande industria), Marx spiegherà come si può ottenere l’abbreviazione della parte della

giornata lavorativa dove l’operaio lavora per sé, senza ridurre i prezzi delle merci. L’estrazione di plusvalore relativo proviene, quindi, da un aumento di intensità del

lavoro. Anche se la giornata lavorativa ha ormai una grandezza fissa, vi può essere un

incremento di plusvalore relativo facendo decrescere il lavoro necessario. Inoltre,

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l’estrazione può avvenire grazie al cambiamento di tecniche produttive, ovvero grazie ad un incremento della forza produttiva.

1.3 Considerazioni sulla III e IV sezione del Primo Libro del Capitale

Veniamo ora ad alcune questioni teoriche importanti che emergono grazie alla riflessione di Marx riassunta fin qui.

a) Innanzitutto, come rileva Turchetto58 integrando la sua riflessione con quella

althusseriana59, la grande novità di Marx60 è quella di aver inteso il processo di produzione

in modo diverso rispetto agli economisti classici: essi non solo l’hanno considerato come storicamente e socialmente indifferente, ma non sono stati in grado di rilevarne la componente fondamentale, ovvero il consumo di forza-lavoro.

b) Se per gli economisti classici, in modo particolare per Smith, i nuovi tipi di produzione si pongono in continuità con i precedenti (partendo dal cacciatore delle società primitive e arrivando fino all’operaio della fabbrica di spilli), per Marx, con la produzione di tipo capitalistico, di massa e industriale, siamo di fronte a una vera e propria rivoluzione delle tecniche dettata dai metodi particolari di estrazione di plusvalore relativo.

c) Un altro aspetto fondamentale che emerge dal concetto di plusvalore relativo è proprio il concetto di produzione di massa, «in senso quantitativo (cioè produzione di grandi quantità di beni) e qualitativo (cioè produzione per il consumo di massa)».61 A tal proposito, nell’Introduzione del 1857, Marx scrive:

La produzione non produce perciò solo l’oggetto del consumo, ma anche il modo di consumo, essa produce non solo oggettivamente ma anche soggettivamente. La produzione crea quindi il consumatore […]. La produzione produce quindi il consumo 1) creandogli il materiale; 2) determinando il modo di consumo; 3)

58 M. Turchetto, La scoperta del plusvalore relativo, pp. 271-284.

59 Cfr. L. Althusser, Dal Capitale alla filosofia di Marx, in AA.VV, Leggere il Capitale, a cura di M. Turchetto, MIMESIS, Milano-Udine 2006, pp. 17-66.

60 Cfr. K. Marx, «Introduzione» a Per la critica dell’economia politica, Editori Riuniti, Roma 1984, pp. 175-176. 61 M. Turchetto, La scoperta del plusvalore relativo, p. 278.

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producendo come bisogno nel consumatore i prodotti che essa ha originariamente posto come oggetti.62

d) Analizzando il processo di produzione descritto da Marx, Althusser sottolinea che è un processo senza soggetto:

Marx ci indica come avviene il passaggio (che è in realtà una rottura, un’innovazione radicale) da un’idea di produzione come atto compiuto da determinati individui, oggettivazione di uno o diversi soggetti, ad un concetto di produzione senza soggetto, che di rimando implica specifiche funzioni intrinseche, ossia le classi.63

Facendo un passo indietro, Marx, paragonando la conoscenza della natura del capitale (ovvero del processo di produzione), con quella del moto reale dei corpi celesti64, ha spiegato che vi è sì, una parte visibile formata dai rapporti di scambio, il moto apparente, ma anche una celata dietro ai rapporti di produzione, i quali emergono grazie all’indagine sull’oggetto. È Marx stesso, nell’Introduzione del 1857, a spiegare il suo metodo: il percorso d’indagine va dal «concreto reale», all’«astratto», al «concreto di pensiero». Se ci limitassimo al primo movimento (dal concreto reale all’astratto), incapperemmo nello stesso errore che la concezione dell’economia classica, per Althusser «a-storica, eternitaria, fissista e astratta»65, ha compiuto, non storicizzando le categorie economiche del capitalismo. Marx, invece, compie tutto il percorso (si pensi al capitolo V): inizia dall’individuare categorie semplici, che sono gli elementi comuni ad ogni forma di produzione, fino alle relazioni tra queste, le quali hanno una loro specificità storica e fondano i rapporti tra le classi. Inoltre, seguendo Turchetto66, ciò che regola l’operato del capitalista sono i rapporti di scambio o, meglio ancora, il saggio di profitto. È il saggio di profitto l’obiettivo che emerge in tutta la trattazione sull’estrazione di plusvalore assoluto e relativo, non il saggio di sfruttamento. Il capitalista, per comprendere l’efficacia del suo investimento, si regge sul confronto tra i costi e i ricavi, non sull’efficacia dello sfruttamento. Lo sfruttamento è una conseguenza che si dà necessariamente inseguendo

62 K. Marx, «Introduzione» a Per la critica dell’economia politica, p. 180. 63 L. Althusser, Leggere il Capitale, p. 337.

64 «Non dobbiamo qui considerare in qual modo le leggi immanenti della produzione capitalistica si manifestino nel movimento esterno dei capitali, si facciano valere come leggi imperiose della concorrenza, e quindi appaiano alla coscienza del capitalista singolo come motivi animatori. Questo è però chiaro fin dapprincipio: che l’analisi scientifica della concorrenza è possibile solo quando si sia capita la natura intima del capitale, allo stesso modo che può comprendere il moto apparente dei corpi celesti solo chi ne conosca il moto reale, ma non percepibile ai sensi» (K. Marx, Il capitale. Critica dell’economia politica, vol. I, p. 438).

65 L. Althusser, Leggere il Capitale, p. 180.

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16

il saggio di profitto. È questo che, per Turchetto, afferma Althusser quando parla del processo di produzione come di un processo senza soggetto: è con il concetto di produzione, dal significato estensivo, che Marx esclude un ricorso al soggetto; gli esiti della produzione, che cerca soltanto la valorizzazione, danno vita al conflitto di classe. Non è questa la sede dove approfondire la suddetta considerazione althusseriana, ma si consideri che non è la sola interpretazione del pensiero marxiano. Come afferma Bellofiore67, ricordando che il metodo espositivo marxiano è dialettico nel senso hegeliano, il pensiero althusseriano è epistemologico: si parla di struttura invece che di determinazione di forma. Invece, nel pensiero dei vari e differenti pensatori francofortesi per esempio, vi è un’idea di totalità capitalistica: «Nell’uso marxiano di Hegel vi è un Soggetto dietro il processo senza soggetti, e questo Soggetto è il capitale».68

e) Seguendo nuovamente il pensiero di Turchetto:

Se la terza sezione e il concetto di «plusvalore assoluto» rappresentano una solida acquisizione per tutto il marxismo successivo a Marx – si tratta del resto dell’esplicitazione dello sfruttamento e dell’insanabile conflitto che oppone classe capitalistica e classe operaia – non si può dire altrettanto per la quarta sezione introdotta dal capitolo 10, che pure ha un ruolo essenziale nell’inquadrare la specificità del capitalismo come produzione di massa di tipo industriale. La riscoperta di questi capitoli del Libro I è tarda, databile agli anni ’60 e ’70 del secolo scorso.69

Tenterò di fare una ricostruzione di alcune posizioni che nascono dalla ri-scoperta del plusvalore relativo, e in modo particolare della cooperazione, nel secondo capitolo di questo lavoro.

f) Come abbiamo visto, l’estrazione del plusvalore assoluto ha come presupposti dati il salario dei lavoratori e i metodi di produzione. Quando il capitalista vuole estrarre più plusvalore estende la giornata lavorativa, ovvero il numero di ore in cui gli operai devono lavorare. Le leggi possono, però, limitare la manovra del capitalista. Sebbene, dunque, la durata della giornata lavorativa sia data, vi può comunque essere è un incremento di plusvalore (relativo) ottenuto dall’aumento dell’intensità del lavoro e, dunque, del raddoppiamento delle prestazioni. Inoltre, il capitale muta, attraverso tecnologia e

67 R. Bellofiore, C’è vita su Marx? Il Capitale nel bicentenario, p. 16. 68 Ibidem.

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innovazione, le sue proprie tecniche; vi è dunque un incremento della forza produttiva

del lavoro. Questo incremento della forza produttiva, sostiene Bellofiore, è diverso dal

cambiamento della produttività del lavoro:

un lavoro più “produttivo” nella giornata lavorativa (lavoro che produce maggiore plusvalore), può essere il risultato di un’aumentata intensità, o anche di una giornata lavorativa più lunga. È dunque possibile avere un incremento della produttività di plusvalore anche se la forza produttiva del lavoro rimane costante.70

g) In ultimo, non si possono tralasciare alcune considerazioni che sono state teorizzate rispetto al rapporto tra plusvalore relativo e plusvalore assoluto. Per Tomba: «la distinzione tra plusvalore assoluto e relativo è estremamente fluida […] Ciò che caratterizza il modo di produzione capitalistico è la combinazione delle due forme di plusvalore».71 Anche seguendo l’analisi di Bellofiore72, bisogna tener conto del fatto che, plusvalore assoluto e relativo, non sono due modi alternativi di ottenere plusvalore. Il capitale, infatti, non inserisce nuove tecniche all’interno del processo di produzione per evitare di aumentare la lunghezza della giornata lavorativa, ma, al contrario, l’aumento di

produttività e di intensità vanno spesso di pari passo e sono ancora, al giorno d’oggi,

spesso compresenti. Il capitale, mentre sviluppa nuove tecniche per aumentare la forza produttiva del lavoro, prova ad allungare la giornata lavorativa, così come l’intensità del lavoro: continua ad essere lo stesso vampiro descritto da Marx.

70 R. Bellofiore, C’è vita su Marx? Il Capitale nel bicentenario, p. 39.

71 M. Tomba, Strati di tempo. Karl Marx materialista storico, Jaca Book, Milano 2011, p. 239. 72 R. Bellofiore, C’è vita su Marx? Il Capitale nel bicentenario, pp. 40-43.

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2. La cooperazione: il punto di partenza e la forma

fondamentale del modo di produzione capitalistico

Tebe dalle Sette Porte, chi la costruì? Ci sono i nomi dei re, dentro i libri. Son stati i re a strascicarli, quei blocchi di pietra? Babilonia, distrutta tante volte, chi altrettante la riedificò? In quali case, di Lima lucente d’oro abitavano i costruttori? Dove andarono, la sera che fu terminata la Grande Muraglia, i muratori? […] Cesare sconfisse i Galli. Non aveva con sé nemmeno un cuoco? […] Federico II vinse la guerra dei Sette Anni. Chi, oltre a lui l’ha vinta? Una vittoria ogni pagina. Chi cucinò la cena della vittoria? Ogni dieci anni un grand’uomo.

Chi ne pagò le spese? Quante vicende, tante domande.

(B. Brecht, Domande di un lettore operaio)

Quello che dobbiamo tenere a mente, è sia che il capitalismo è una struttura impersonale e iper-astratta, sia che questa struttura non esisterebbe senza la nostra cooperazione.

(M. Fisher, Realismo Capitalista)

2.1 Per una definizione di cooperazione

Il lavoro che intendo svolgere in questa sezione vuole essere un commento e un approfondimento di alcuni importanti nodi teorici che emergono dall’elaborazione del concetto di cooperazione, sviluppato da Marx nel capitolo XI. Il plusvalore relativo, come abbiamo visto, è generato dall’aumento della produttività del lavoro, la quale è appunto resa possibile dalle forme organizzative della produzione (cooperazione e divisione del lavoro) e dai sistemi di automazione (tecnologia).

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19 Come suggerisce David Harvey73:

Trovo questa coppia di concetti [macchine e forme organizzative] particolarmente utili anche al giorno d’oggi, dato che le trasformazioni nelle forze organizzative (subappalti, sistemi just-in-time, decentralizzazione ecc.) hanno avuto un ruolo chiave nell’incremento della produttività.74

Harvey propone un parallelismo con un sistema informatico di elaborazione di dati: dobbiamo considerare le forme di organizzazione della produzione come se fossero un

software, ovvero l’insieme di programmi e procedure; le macchine industriali come se

fossero un hardware, cioè l’insieme delle componenti fisiche. Andremo ad approfondire dunque il software del nostro sistema, e di questo, il primo programma che è stato ideato dal modo di produzione capitalistico: la cooperazione.

Marx, infatti, inizia scrivendo che la cooperazione è il primo metodo particolare di produzione del plusvalore relativo e «il punto di partenza della produzione

capitalistica».75 Sin dalla prima pagina, infatti, egli specifica che la produzione capitalistica incomincia quando il capitale utilizza contemporaneamente un numero elevato di operai. È questa la premessa dalla quale si può inferire che il processo lavorativo sia in grado di produrre merci «su scala quantitativa rilevante».76 L’elevato numero di operai non è, però, la sola condizione necessaria per iniziare la produzione capitalistica; gli operai devono lavorare nello stesso tempo, nello stesso spazio, per produrre le stesse merci e sotto il comando dello stesso capitalista: sono questi i requisiti che formano «sia storicamente che concettualmente il punto di partenza della produzione capitalistica».77 Se paragoniamo la manifattura all’industria artigianale, spiega Marx, notiamo, in prima battuta, soltanto una differenza quantitativa (data dal numero di operai occupati).

Seguendo l’esposizione marxiana si constata, come era già stato individuato nel capitolo IX, che la massa del plusvalore corrisponde al plusvalore prodotto dal singolo operaio moltiplicato per il numero di operai impiegati nel processo. Il numero di operai, in primo luogo, non modifica il saggio di plusvalore, ovvero il grado di sfruttamento del

73 D. Harvey, Introduzione al capitale. 12 lezioni sul primo libro, p. 164. 74 Ivi, p. 165.

75 K. Marx, Il capitale. Critica dell’economia politica, vol. I, p. 445. 76 Ibidem.

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lavoro; in secondo luogo, non sembra darsi, almeno apparentemente, un cambiamento di tipo qualitativo all’interno del processo di lavoro. La ragione di ciò, secondo Marx, sta nella stessa natura del valore. «Nella produzione di valore, i molti contano soltanto come

molti singoli»78: sembra dunque affermare che, per la produzione di valore, non è rilevante se un certo numero di operai lavorino isolati o riuniti sotto lo stesso capitale. Poche righe più avanti, Marx sostiene, però, che una modificazione abbia luogo. Il lavoro oggettivato in valore è lavoro prodotto da forza-lavoro media, pertanto definito da Marx

lavoro di qualità sociale media. Questa media è il risultato di una serie di diverse

grandezze individuali, mostrate da Marx attraverso l’esempio: «In ogni ramo di industria, l’operaio individuale, Pietro o Paolo, diverge più o meno dall’operaio singolo»79, a

seconda delle caratteristiche e abilità personali. Gli operai possono essere, quindi, più o meno capaci, ma con l’aumentare del numero di essi, scompariranno le loro differenze, per lasciar spazio soltanto alla loro qualità sociale media. Marx aggiunge, in tono sarcastico, che persino Edmund Burke80 aveva compreso che cinque servi scelti

casualmente per lavorare in una fattoria compiono, nello stesso tempo, il lavoro di altri cinque qualunque. Per questo motivo, possiamo parlare di una giornata lavorativa

globale in cui lavorano un numero consistente di operai contemporaneamente che, divisa

per il loro numero, è definita da Marx giornata di lavoro sociale medio. Dato un certo numero di operai che lavorano contemporaneamente, costituendo una giornata lavorativa globale composta da un certo numero di ore, anche nel caso in cui uno solo di questi avesse bisogno di un tempo più o meno lungo per svolgere una data mansione, possiederebbe comunque la qualità sociale media: il suo contributo al processo lavorativo resterebbe comunque una frazione di quella giornata lavorativa globale. Per il capitalista, la giornata lavorativa di quel singolo è soltanto una parte della giornata lavorativa globale, sia che gli operai svolgano insieme uno stesso compito, sia che, semplicemente, l’unico legame tra loro sia lavorare per lui. Per dimostrare questo, Marx riporta un esempio antitetico: se un dato numero di operai non lavorasse per lo stesso capitalista, ma, al contrario, questi operai fossero divisi a due a due per un numero diverso di padroni, allora diventerebbe casuale la produzione della stessa massa di valore. Questo significa che vi sarebbero scarti individuali: il tempo di lavoro del singolo si discosterebbe dal tempo di lavoro medio, e dunque la sua forza-lavoro non conterebbe come forza-lavoro media, con

78 Ibidem. 79 Ivi, p. 446.

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