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3. La cooperazione in Marx e nel Novecento

3.5 Echi e conseguenze del Frammento sulle macchine

Prima di Panzieri e del IV numero dei «Quaderni Rossi», le pagine dei Grundrisse in questione erano state lette e commentate da Amadeo Bordiga. Egli aveva individuato, nell’automazione, la causa di un aumento di disoccupazione, motivo per cui era lontano sia dalla visione sovietica del pieno impiego, sia dai socialdemocratici che accettavano la democratizzazione del capitale, che da alcuni marxisti, i quali avevano paura che con la produzione automatizzata sarebbe caduta la legge del valore derivata dal lavoro salariato.288 Per Bordiga, non era problematica la caduta della legge del valore se questa poteva determinare la scomparsa della produzione borghese. La sua visione poneva la necessità del comunismo a partire dalle problematicità insite nel capitalismo. Bordiga sottolineava già alcune importanti questioni teoriche che avrebbe ripreso più tardi Panzieri: la scienza, come superiorità tecnologica, forzava le parti della macchina ad agire, le quali agivano di conseguenza sul lavoratore come un potere a lui estraneo. Bordiga iniziava a mettere in discussione il progresso scientifico e tecnologico, non di per sé, ma come produttore di ulteriori divisioni di classe. Egli definiva i sostenitori e ottimisti del progresso tecnologico come «i nefasti del lavoro morto»289, i quali non riuscivano a comprendere il fatto che chi ottiene capitale dal lavoro vivente è una «Bestia senza anima e perfino senza vita, ma che divora ed uccide il lavoro vivo, il lavoro dei vivi e i vivi».290 Nell’impostazione di Bordiga, uno dei problemi più rilevanti risiedeva nel fatto che il capitale fisso divorasse il lavoro vivo: non sarebbe stata l’autogestione operaia a sovvertire il controllo dei capitalisti, perché il dispotismo era dato dalle leggi del capitale. Secondo Bordiga, dunque, anche se si fosse cambiato il soggetto del comando, ciò non sarebbe stato sufficiente a sovvertire il sistema, poiché la necessità era cambiare i modi e le condizioni del lavoro. Egli influenzò, in maniera più o meno diretta, il ritorno

287 M. Filippini, Mario Tronti e l’operaismo politico degli anni Sessanta, in «Cahiers du GRM», 2011, n. 2, pp. 1-51. 288 M. Tomba, R. Bellofiore, Letture del frammento sulle macchine. Prospettive e limiti dell’approccio operaista e del confronto dell’operaismo con Marx, pp. 146-147.

289 A. Bordiga, Traiettoria e catastrofe della forma capitalistica nella classica monolitica costruzione teorica del marxismo, in Economia marxista ed economia rivoluzionaria, Iskra, Milano 1976, p. 200.

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alla lettura di Marx degli anni Sessanta, così come le conoscenze e le ispirazioni di Panzieri e di Montaldi.291

Da premesse simili a quelle di Bordiga, infatti, è scaturita la riflessione di Panzieri: il processo tecnologico non può essere neutrale. A sostegno di questa tesi, nel primo numero dei «Quaderni Rossi», Panzieri scrive il saggio Sull’uso capitalistico delle macchine nel

neocapitalismo. Nella sua esposizione, Panzieri incomincia proprio dal concetto di

cooperazione, come prima forma fondamentale della produzione capitalistica. Egli riprende l’argomentazione di Marx dell’XI capitolo del Capitale, sottolineando come sia una scelta del capitale rendere i lavoratori singoli dei cooperanti, trasformandoli così in un modo particolare di esistenza del capitale. Seguendo il percorso marxiano della IV sezione del Capitale, Panzieri giunge a commentare l’avvento della grande industria: la sede fisica dove la scienza e la tecnologia vengono sussunte sotto il capitale. Questo passaggio rende il lavoratore dipendente dal sistema delle macchine, annulla le sue specialità e competenze, facendo anche dello sviluppo tecnologico un nuovo modo di esistenza del capitale. Come Marx, Panzieri sottolinea che l’industrializzazione caratterizzata dal progresso tecnologico aumenta l’autorità del capitale, la quale si realizza come piano, contrapponendosi agli operai. Grazie al dispotismo insito nel piano (evoluto rispetto al concetto di piano presente nel capitolo della cooperazione), l’uso capitalistico delle macchine permette una nuova programmazione capitalistica della produzione. Per questo motivo, Panzieri afferma che lo sviluppo capitalistico della tecnologia, nelle sue fasi di razionalizzazione, aumenta il capitale costante rispetto a quello variabile. In questo modo, la pianificazione capitalistica si intensifica, anche con forme monopolistiche e oligopolistiche, passando dalla fabbrica al mercato. Panzieri prosegue la sua riflessione scrivendo:

Nessun «oggettivo», occulto fattore, insito negli aspetti di sviluppo tecnologico o di programmazione nella società capitalistica di oggi, esiste, tale da garantire 1'«automatica» trasformazione o il «necessario» rovesciamento dei rapporti esistenti. Le nuove «basi tecniche» via via raggiunte nella produzione costituiscono per il capitalismo nuove possibilità di consolidamento del suo potere292. Ciò non

significa, naturalmente, che non accrescano al contempo le possibilità di rovesciamento del sistema. Ma queste possibilità coincidono con il valore totalmente

291 C. Corradi, Forme teoriche del marxismo italiano (1945-79), p. 14. 292 Corsivo mio.

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eversivo che, di fronte all'«ossatura oggettiva» sempre più indipendente del meccanismo capitalistico, tende ad assumere «l'insubordinazione operaia».293

Si potrebbe affermare che Panzieri esorti il lettore a non cadere in inganno: il capitale, con la tecnologia, è riuscito a consolidare il suo potere. Ciò non significa che sia impossibile sovvertire il sistema, ma che non è certamente pensabile sostenere che lo si possa fare grazie all’automazione. La preoccupazione di Panzieri nasce dal fatto che, non è solo l’ideologia neocapitalistica a pensare che l’automazione sia funzionale, ma anche – e soprattutto – alcuni esponenti all’interno del movimento operaio. Nel mirino della critica di Panzieri vi sono anche le organizzazioni sindacali, il cui merito è di aver compreso la trasformazione capitalistica, mentre la colpa è quella di non aver compreso i nuovi elementi di potere del capitale. Infatti, alcuni sindacati hanno considerato la razionalizzazione capitalistica come una fase di passaggio transitoria, come uno stadio di sviluppo necessario, facendo diventare questa tesi la ragione per cui vanno accettati i nuovi processi di integrazione e limitate soltanto alcune delle loro distorsioni. In sintesi, le nuove basi tecniche e la nuova riorganizzazione aziendale vengono viste come una miglioria rispetto alla gerarchia propria del sistema precedente basato sulla divisione del lavoro. Infatti:

Non si sospetta neppure che il capitalismo possa servirsi delle nuove «basi tecniche» offerte dal passaggio dagli stadi precedenti a quello di meccanizzazione spinta (e all'automazione), per perpetuare e consolidare la struttura autoritaria dell'organizzazione della fabbrica; infatti, ci si rappresenta tutto il processo dell'industrializzazione come dominato dalla fatalità «tecnologica» che conduce alla liberazione «dell'uomo dalle limitazioni impostegli dall'ambiente e dalle possibilità fisiche».294

L’importanza del pensiero di Panzieri, invece, si riconosce proprio nella sua critica al presente e all’idea di progresso, oltre che nella fedeltà al pensiero marxiano: il capitale ha sviluppato la tecnologia per imporre la sua pianificazione e aumentare la possibilità di estrazione di plusvalore.

Un altro nodo teorico fondamentale che Panzieri mette in luce è lo sviluppo delle funzioni di management: queste vengono considerate da alcuni come un aiuto ai tecnici,

293 R. Panzieri, Sull’uso capitalistico delle macchine nel neocapitalismo, in «Quaderni Rossi», 1961, n. 1, pp. 56-57. 294 Ivi, p. 59.

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la nuova categoria di lavoratori che si è creata con l’introduzione delle macchine. Inoltre, i tecnici sono visti come coloro che possono risolvere le contraddizioni che si creano tra le esigenze delle forze produttive ed i rapporti di produzione. Per Panzieri, questo approccio non fa nient’altro che rendere i tecnici coloro che sono obbligati a rispettare gli interessi privati delle aziende. Queste riflessioni portano a comprendere che il passaggio alla tecnologia non cambia soltanto il modo di produzione, ma anche i rapporti sociali

tra i lavoratori stessi con la direzione e l’organizzazione della lotta operaia. Non si può

fare a meno di un’analisi approfondita che riconosca l’elemento di potere politico- organizzativo insito nel nuovo processo di produzione capitalistica.

In linea con i punti sollevati sin qui, Panzieri ha colto un continuo tentativo di pianificazione da parte del capitale non solo nel taylorismo e nel fordismo, ma anche nelle nuove tecniche di human engineering, nella regolazione delle comunicazioni e dell’informazione, nelle relazioni umane. Fin qui si potrebbe affermare che Panzieri è stato fedele al pensiero marxiano del Capitale.

È nel IV numero dei «Quaderni Rossi», lo stesso dove ha voluto la pubblicazione del

Frammento sulle macchine dei Grundrisse, che Panzieri scrive il saggio Plusvalore e pianificazione. In quelle pagine, egli sembra cambiare prospettiva, affermando che vi sia:

in Marx (si veda la parte finale del Frammento dei Grundrisse pubblicato qui di seguito) una teoria della “insostenibilità” del capitalismo al suo massimo livello di sviluppo, allorché le forze produttive “sovrabbondanti” entrano in conflitto con la “base ristretta” del sistema, e la misurazione quantitativa del lavoro diventa un palese assurdo.295

Secondo questo tipo di approccio, il capitalismo, visto al suo massimo livello di sviluppo, genera una contraddizione tra l’eccessivo utilizzo dei macchinari e la base ristretta del sistema, il che rende assurda la misurazione quantitativa del lavoro. In questo modo, viene respinta la legge del valore: questa sarà l’estrema conseguenza della prospettiva dalla quale avranno origine le riflessioni operaiste italiane di Mario Tronti e Toni Negri. Come sottolineato da Tomba e Bellofiore, l’approccio che liquida la legge del valore è dato da una lettura dei Grundrisse contro quella del Capitale: «Panzieri aveva

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aperto la strada».296 Da quel momento in poi, infatti, i Grundrisse acquisirono importanza, venendo giudicati, da Tronti, come il libro politicamente più avanzato di Marx, in Negri e Virno, ridotti pressoché al solo Frammento sulle macchine.