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Cenni sul post-fordismo e sulle forme di lavoro contemporanee

3. La cooperazione in Marx e nel Novecento

3.8 Cenni sul post-fordismo e sulle forme di lavoro contemporanee

Il pensiero post-operaista odierno e le sue attuali riflessioni sono molto lontani dal primo operaismo. Le differenze non sono soltanto teoriche, ma anche pratico-politiche. I post-operaisti non sono più coinvolti attivamente in politica, nei luoghi di lavoro o nei partiti, ma si potrebbe dire che si limitano alla teoria e alla divulgazione, più che altro scientifica, delle loro idee. Una delle categorie centrali del post-operaismo è la definizione di post-fordismo, un nuovo paradigma produttivo che ha visto, nel tramonto della fabbrica e del lavoro produttivo, nella costruzione di reti comunicative e nei lavori immateriali, le nuove forme di manifestazione del lavoro. Come si è sottolineato in precedenza, alla base di questa concezione vi è il concetto di general intellect come principale risorsa produttiva, che ha reso il lavoro immateriale la forma di lavoro egemonica. Secondo la visione post-operaista, è stato il soggetto antagonista al capitale, ovvero la forza-lavoro, in quanto motore dello sviluppo economico, ad avere creato le condizioni per la nascita del capitalismo cognitivo. Infatti, come scrive Corradi:

la nuova versione dell’operaio sociale presuppone le indagini sul lavoro autonomo di seconda generazione – dotato di capacità cooperative, innovative e imprenditoriali

– e gli studi sul post-fordismo e sulla rivoluzione informatica, che ipotizzano il passaggio ad un nuovo modello di accumulazione caratterizzato dalla flessibilità e smaterializzazione dei processi produttivi, dalla settorializzazione elle imprese, dall’introduzione dei sistemi modulari o a rete.315

315 C. Corradi, Neomarxismo, pensiero operaio, insubordinazione sociale: tre distinti paradigmi dell’operaismo italiano, in P. P. Poggio (a cura di), L’Altronovecento. Comunismo eretico e pensiero critico, vol. II, Fondazione L. Micheletti, Jaca Book, Milano 2011, p. 244.

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È certo che vi siano stati, dagli anni Ottanta in poi, notevoli cambiamenti dal punto di vista produttivo e dell’organizzazione del lavoro. Si pensi, ad esempio, alla crescita del lavoro autonomo, della flessibilità, della precarizzazione e anche del contenuto cognitivo del lavoro. Questi cambiamenti hanno portato a diverse teorie e letture del mondo contemporaneo: alcune ne sottolineano le contraddizioni e le criticità, altre i lati emancipativi, altre ancora, di natura neoliberista, i risvolti economicamente positivi. Il pensiero post-operaista si colloca all’interno di questo dibattito, principalmente con Negri e Vercellone, mettendo in luce alcuni limiti del nuovo sistema produttivo, ma sottolineandone le caratteristiche emancipative. Secondo questa posizione, puntando sulle relazioni cooperative promosse dal nuovo capitalismo, è possibile intravedere e determinare la sua crisi. Ancora una volta, siamo lontani dalla fedele lettura di Marx, che invece, nel nostro caso, può essere lo sfondo e la cornice in cui inquadrare alcuni dei problemi generati dalla nuova riorganizzazione del capitale. Infatti, la rivoluzione post- industriale ha generato nuove modalità che vanno pur sempre nella stessa direzione: l’aumento dei profitti e la valorizzazione del capitale attraverso qualsiasi mezzo e costo possibile. Al centro oggi ci sono i servizi, il capitale sociale e la New economy, la quale segue la direzione di utilizzare la cooperazione, la condivisione, la rete, il sapere e le identità collettive a suo uso e consumo, in perfetta sintonia con quanto aveva già rilevato Marx più di un secolo fa. Come scrive Caruso:

Cooperazione e condivisione sono due aspetti determinanti della produzione di valore nell'economia cognitiva, sia a monte che a valle della produzione. A monte perché per essere prodotta, la conoscenza usa risorse condivise con altri (altre imprese della filiera), e in alcuni casi risorse esplicitamente sociali, come le conoscenze di base fornite da un sistema scientifico o il capitale sociale generatore di fiducia presente in un determinato territorio. A valle, perché i prodotti del processo cognitivo acquistano valore solo attraverso la diffusione degli usi.316

Con il modello odierno, la cooperazione continua ad essere appannaggio del capitale, attraverso un sistema che ne incentiva la spontaneità e la gratuità. Infatti, i lavoratori – produttori e consumatori di sapere, creatività e socialità – sono condizionati dall’utilizzare le loro competenze relazionali all’interno dei differenti contesti lavorativi, rendendo

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complicata la definizione della merce che producono e del salario che spetta loro. Secondo Alisa Del Re:

la richiesta dell’immissione qualitativa di fattori emotivi e socializzanti, motivazionali ed affettivi risponde all’esigenza di controllo sul lavoro317 e sulla

produttività altrimenti di difficile realizzazione. Sono caratteristiche, vorrei sottolinearlo, che non sono contrattualizzabili […] il processo di “femminilizzazione del lavoro” richiede a tutti i lavoratori/trici queste qualità che diventano “costitutive” del lavoro in una società della conoscenza e della relazione.318

Il nuovo modello neoliberale e post-fordista esige una serie di caratteristiche tipiche del lavoro femminile di riproduzione e di cura, puntando per l’appunto sulla cooperazione: da un lato, richiede ai lavoratori una serie di soft skills, di atteggiamenti forzatamente propositivi, di realizzazione di progetti in team e in equipe, dall’altro, tenta di affezionare i propri dipendenti con premi (come contributi per spese sanitarie, formative e culturali), riduzioni dell’orario lavorativo e giorni di permesso. Se, quindi, è richiesta una sorta di cooperazione, che da una parte diventa imposta e pretesa solidarietà nei confronti della causa comune (ovvero la produzione di maggior profitto!), dall’altra incita alla competizione per chi potrà, o meno, aggiudicarsi i frutti del welfare aziendale. Ciò non significa che sia venuto meno il controllo, il monitoraggio e la pianificazione da parte del capitale, ma che il suo dispotismo abbia semplicemente cambiato forma, tempi, luoghi e mansioni, i quali risultano più difficilmente contrattualizzabili (motivo per cui il lavoro è diventato ancora più flessibile e precario). Il progetto, visto in questi termini, punta in modo ambivalente sulla cooperazione e rivela un modello che resta prettamente competitivo e divisivo. Per questo motivo, non sembra possibile sperare, come ritengono i post-operaisti, nella potenziale erosione del capitalismo a partire dalle pratiche cooperative che lo stesso determina e sponsorizza. La cooperazione non sarà la soluzione fin quando non verrà sganciata dalla logica capitalistica, così come non lo potrà essere il sistema di macchine e la tecnologia. La direzione verso la quale sarebbe auspicabile andare, invece, dovrebbe prevedere un uso non capitalistico della cooperazione, così come della tecnologia, in modo da prospettare un’alternativa al modello vigente. Inoltre, si tenga in considerazione che, mentre alcune interpretazioni mettono al centro la

317 Corsivo mio.

318 A. Del Re, L’inchiesta operaia e le forme di riproduzione della forza-lavoro, in C. Giorgi (a cura di), Rileggere il Capitale, Manifestolibri, Roma 2018, p. 79.

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cooperazione e la condivisione gratuita come possibilità di perdita del comando del capitale, si può constatare, al contrario, l’esistenza di nuovi processi che prevedono una vera e propria guerra all’interno dell’industria culturale, dell’informazione e della tecnologia. Si pensi, ad esempio, alla competizione tra i vari titani del web (Google, Apple, Microsoft, Facebook) per l’acquisizione di dati commerciali e tendenze. Essi lottano continuamente per avere il primato sulla possibilità di tradurre in valore di

scambio comportamenti individuali e sociali, così come le conoscenze. Tramite questa

rinnovata forma di valore cambia l’organizzazione aziendale, ma il fine rimane lo stesso. In questo contesto non sembra possibile accettare l’idea di Vercellone319, per il quale il lavoro vivo diventa ciò che comanda sul capitale fisso, implicando la fine della capacità di controllo del capitale sul lavoro. Al contrario, la sussunzione del lavoro sotto il capitale continua a manifestarsi e ad essere reale. La cooperazione e il sapere restano strumenti e potenze del capitale, necessarie al suo sviluppo e alla produzione. Non si dimentichi, inoltre, di guardare ai danni e alle criticità del sistema neoliberale attuale che ha cercato, in modo particolare nel settore terziario (dei servizi, del turismo, della cultura, della moda e del lusso) un possibile ampliamento della produttività, creando nuovi posti di lavoro che prevedono mansioni a bassa retribuzione e a basso contenuto professionale (anche visto l’incremento dell’innovazione tecnologica).320 Un esempio paradigmatico, indicato da Caruso321, è un nuovo modello aziendale la cui strategia economica si può definire

wikiconomics.322 La wikinomia, teorizzata da Tapscott e Williams, è una nuova modalità

aziendale attraverso cui viene utilizzata un tipo di collaborazione di massa diffusa tramite strumenti open source, come Wikipedia. L’uso di questo tipo di strumenti innovativi è finalizzato alla produzione di un tipo di ricchezza conoscitiva che scaturisce dalla collaborazione di diversi utenti e dalla condivisione di conoscenze. Un’azienda non ha più bisogno di un’equipe specializzata che si occupi di questioni tecniche o contenutistiche, ma può, esternalizzando, utilizzare figure professionali che si connettono da qualsiasi parte del mondo, cooperando virtualmente per realizzare certi compiti. Questa modalità è chiamata sviluppo collettivo o crowdsourcing: gli utenti che vi partecipano lo fanno per scelta, su base volontaria, o perché invitati dalle aziende, e

319 Cfr. C. Vercellone, Capitalismo cognitivo. Conoscenza e finanza nell’epoca postfordista, Manifestolibri, Roma 2006.

320 Cfr. L. Boltanski, A. Esquerre, Arricchimento. Una critica della merce, trad. it. A. De Ritis, Il Mulino, Bologna 2019.

321 L. Caruso, Fabbriche di sapere. Le ambivalenze del lavoro cognitivo, p. 262.

322 Cfr. D. Tapscott, A. D. Williams, Wikinomics 2.0. La collaborazione di massa che sta cambiando il mondo, trad. it. M. Vegetti, Rizzoli, Milano 2010.

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dunque, nella maggior parte dei casi, senza un ritorno economico. Non sembra, anche questo il caso, di un nuovo tipo di sfruttamento della cooperazione, della conoscenza e della tecnologia utilizzato dal capitale per fare profitto? La wikinomia si basa su nuove categorie di soggetti definiti peer pioneers e prosumers: individui considerati dinamici all’interno del sistema economico, poiché produttori non pagati di contenuti e progetti innovativi funzionali alle aziende e alla collettività. Per fare ciò, ci si connette a piattaforme partecipative progettate per condividere idee e contenuti, in quella che viene chiamata ideagora: il mercato di idee dalle quali singoli e imprese possono trovare spunti e conoscenze. Date queste nuove modalità, si può parlare oggi di no employer

organizations, ovvero di aziende che riducono al minimo le assunzioni di personale,

sfruttando l’opportunità data dal nuovo sistema di migliorare la loro produzione con idee competenti messe a disposizione gratuitamente. Un altro tipo di furto e sfruttamento di conoscenze, competenze e tempo avviene ancora nel corso di stage e tirocini (non retribuiti!) presso grandi aziende. Volti a garantire una formazione (nonostante, nella maggior parte dei casi, sia il tirocinante a fornire il suo prezioso contributo) o un possibile ingresso del mondo del lavoro, questi lavori non pagati finiscono per fare promesse aleatorie e mentitrici. Come si può facilmente notare, la rivoluzione post-fordista e tutte le sue implicazioni puntano su cooperazione, creatività e conoscenza. A seguito di queste precisazioni, non sembra corretto vedere un’inversione della gerarchia tra lavoro vivo e capitale fisso. Al contrario, come in Caruso, si vuole qui sostenere che si possa individuare un tipo di processo rovesciato: il nuovo lavoro produttivo di conoscenza che si basa sull’uso di tecnologie, algoritmi, codici e software, incorpora l’intelligenza lavorativa, arrivando così a sussumere alcune figure professionali e mansioni.323 Nel modello post-fordista di produzione del valore, conoscenza, creatività, cooperazione, insieme ad alcune attitudini comunicative e relazionali – quali l’empatia, la sensibilità, l’impegno, la partecipazione, il prendersi cura – sono, se non imposte dal capitale, quantomeno vincolate a certi tipi di forme che devono assicurare novità, stimoli ed incentivi non solo per le aziende, ma anche per i lavoratori e consumatori stessi. Se, dunque, le nuove logiche capitalistiche tentano di creare relazioni cooperative e forme di collaborazione, diventa necessario individuare i lati oscuri di questa strategia, che sono peraltro gli stessi sottolineati già da Marx: il capitale si basa sulla gratuità della forza sociale e sul ricondurre il lavoro collettivo a mero strumento per l’autovalorizzazione del

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capitale. Le contraddizioni, come si è sottolineato, risultano imprescindibili e ben visibili. Le nuove tipologie di lavoro sono divise tra diverse contrapposizioni: competizione e collaborazione, individualismo e cooperazione, esclusione dalle scelte imprenditoriali e richiesta di spirito d’iniziativa, controllo e autonomia, adattamento e libertà, «essendo, infine, il rischio di impresa assunto dal lavoratore, si assiste più a un “farsi capitale” del lavoro che a un “farsi cooperazione” del capitale».324 Se con il post-fordismo sembra venuta meno l’alienazione data dalla meccanizzazione dei gesti e delle mansioni richieste agli operai, con il coinvolgimento della sfera relazionale, emotiva e intellettuale del lavoratore, le richieste sembrano portare nella direzione di un soggiogamento del lavoro, e del lavoratore, ancora maggiore.

Dal punto di vista politico, pare che le esperienze politico-rivoluzionarie degli anni Sessanta-Settanta-Ottanta, così come quella prettamente teorica del post-operaismo contemporaneo, abbiano lasciato le ceneri di una sinistra incapace di guardare con occhio critico al presente e propositivo al futuro. Nel migliore dei casi, questa apatia politica lascia spazio a organizzazioni, associazioni e cooperative territoriali l’opportunità di agire, se pur in modo limitato, contro le logiche distruttive e demagogiche del capitale. Contemporaneamente, è venuto meno il senso di appartenenza alla collettività, così come la facoltà di pensare in termini diversi da quelli solipsistici, e il coraggio di prendere posizioni, sia intellettuali che pratiche, riguardo a tematiche sociali fondamentali. La società e i suoi rapporti sono lo specchio dell’aziendalismo proposto dal modello neoliberale che ha introiettato nelle menti, e di conseguenza sui corpi, l’idea che tutto funzioni meglio seguendo gerarchie, burocrazia e manager. A tal proposito, si vuole sostenere l’analisi critica di Mark Fisher, il quale in Realismo Capitalista sottolinea come l’ideologia manageriale faccia uso di una strategia funzionale agli scopi del capitale: far credere agli uomini che la via migliore è riuscire ad adattarsi con successo.325 Il paradigma aziendalistico si è imposto su ambiti quali l’educazione, la scuola, la sanità, i servizi di

welfare, la cultura e lo spettacolo, puntando al profitto, ai risultati e all’efficientismo,

generando una serie di contraddizioni e aumentando la competizione. A garantire un sistema economico basato sulle disuguaglianze e sull’importanza del settore privato, a danno del pubblico, è senza dubbio la politica. Non è forse giunto il momento di andare oltre a certi motti – che tristemente abbiamo accettato e introiettato – quali There is not

324 Ivi, p. 265.

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alternative326, «La società non esiste, esistono solo gli individui»327, «La marea alza tutte le barche»328, “sii imprenditore di te stesso”, “piccolo è bello”, “non conoscere il significato della parola sconfitta”, “non conta altro che il risultato finale”? O ancora, non è forse il tempo di prendere le distanze da slogan politici e propagandistici quali Make

America great again329, America first330, Prima gli Italiani331, o dall’indicibile frase pronunciata in Senato durante l’emergenza Covid-19: «Se i morti di Bergamo e di Brescia potessero parlare ci direbbero di riaprire»?332

È necessario pensare ad un nuovo modello socioeconomico capace di proiettarsi lontano dall’ideologia neoliberista e dalle contraddizioni attuali per tentare di mettere fine all’idea che è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo.333