• Non ci sono risultati.

3. La cooperazione in Marx e nel Novecento

3.9 Ambivalenza e antinomie del concetto di cooperazione

Date le riflessioni svolte finora, si ritiene necessario guardare al concetto di cooperazione in modo differente e più complesso rispetto a quello tracciato dai teorici dell’operaismo, del post-operaismo e del capitalismo cognitivo. Come si è cercato di ricostruire, essi, se pur in modo diverso, si allontanano dall’analisi marxiana sulla cooperazione, intendendo quest’ultima come al di là della legge del valore, e considerandola una possibile via, interna al sistema capitalistico, per metterlo in crisi. Sostenere questa lettura significa considerare il fatto che la cooperazione sia in grado di autonomizzarsi dal sistema capitalistico in questo preciso momento storico, dove la sua autonomia sembra realizzarsi nel lavoro immateriale. Al contrario, l’analisi teorica che si vuole qui sostenere, conduce ad un altro possibile modo di intendere la cooperazione, più

326 Anche conosciuto con il suo acronomico TINA, fu lo slogan del governo (1979-1990) di Margaret Thatcher. 327 D. Keay, No such thing as society, in “Woman’s Own”, 1987, https://www.margaretthatcher.org/document/106689, consultato il 23/2/2020.

328 Metafora riportata dal premio Nobel per l’economia (2001) J. E. Stiglitz. Egli è critico nei confronti dell’ideologia nascosta nella suddetta frase e risponde: «l’alta marea ha fatto salire solo i grandi yacht, lasciando molte delle barche più piccole infrangersi contro gli scogli» (J. E. Stiglitz, Invertire la rotta. Disuguaglianza e crescita economica, trad. it. F. Galimberti, Laterza, Roma-Bari 2018, p. 4).

329 Slogan utilizzato da Ronald Reagan nella sua campagna presidenziale nel 1980, anche conosciuto come MAGA, ripreso poi da Hillary Clinton nel 2008 e da Donald Trump nel 2016.

330 Già utilizzato in passato sia da Repubblicani che da Democratici, è attualmente uno dei motti di Donald Trump. 331 Slogan dell’ultima campagna elettorale (2018) di Matteo Salvini.

332 Frase pronunciata da Matteo Renzi in Senato per sostenere la necessaria riapertura delle attività commerciali in Italia (Redazione ANSA, Renzi in aula: “I morti di Bergamo e Brescia direbbero di riaprire”, in “ANSA”, https://www.ansa.it/sito/videogallery/italia/2020/05/01/renzi-in-aula-i-morti-di-bergamo-e-brescia-ci-direbbero-di- riaprire_2cc09f73-e3f7-44ef-a6ab-8235c5b0e4f6.html, consultato il 1/5/2020).

107

fedele alla lettura marxiana e più utile a comprendere i meccanismi complessi che vi si nascondono: porta, infatti, a considerarne la sua ambivalenza e le sue antinomie.

Per sostenere questa posizione è necessario volgere lo sguardo agli studi di Iacono prima, e successivamente, ad un saggio di Michele Filippini.334

È sin dagli anni Settanta che Iacono si esprime sul tema della cooperazione: il suo primo contributo è del ’77, pubblicato per la rivista «Critica marxista». Nel saggio in questione, Iacono pone i termini del problema:

La storia del passaggio dalla cooperazione semplice, alla manifattura, alle macchine, può essere letta come la storia della perdita delle facoltà individuali lavorative degli operai singoli in ragione dello sfruttamento derivante dallo sviluppo tecnico del processo capitalistico di produzione. Ma qui Marx parla di «superamento di limiti individuali» e di «sviluppo della facoltà della specie» e ne parla a proposito del luogo in cui si realizza lo sfruttamento del capitale sulla forza-lavoro, dove cioè l’operaio è spogliato delle sue facoltà lavorative individuali.335

Individuando come necessità quella di guardare alla IV sezione del Capitale, Iacono introduce alcuni temi dei capitoli contenuti su cui ci si è più volte soffermati, quali il comando del capitale come condizione di possibilità del lavoro cooperativo e il cambiamento delle facoltà lavorative degli operai. Il comando precede la forma cooperativa e «il dispotismo che presiede al processo lavorativo nel modo di produzione capitalistico si presenta come depositario della combinazione delle forze-lavoro».336 Come si è sottolineato in precedenza, ciò porta a dover considerare l’intelligenza collettiva come uno strumento dispotico che distrugge le facoltà dei singoli e assume una ben precisa gerarchia, non soltanto nel processo lavorativo. Integrando le sue riflessioni con quelle dei suoi maestri Badaloni337 e Gargani338, Iacono giunge direttamente al cuore del problema che coincide con la cooperazione pianificata dal capitale. Secondo Iacono, «nel quadro della teoria della padronanza operaia, esiste il problema dell’occultamento

334 M. Filippini, Le antinomie del concetto di cooperazione, in «Scienza & Politica», XXVI (2014), n. 50, pp. 77-93. 335 A. M. Iacono, Divisione del lavoro e sviluppo della facoltà della specie umana in Marx, in «Critica Marxista», (XV)1977, n. 3, pp. 99-100.

336 Ivi, pp. 101-102.

337 Cfr. N. Badaloni, Sulla dialettica della natura di Engels e sull’attualità di una dialettica materialistica, in «Annali della Fondazione di Giacomo Feltrinelli», 1976, vol. 17, pp. 7-65. N. Badaloni, Marx e la formazione dell’individuo sociale, in AA.VV, Problemi teorici del marxismo, Editori Riuniti, Roma 1976.

338 Cfr. A. Gargani, Il sapere senza fondamenti. La condotta intellettuale come strutturazione dell’esperienza comune, Einaudi, Torino 1975. A. Gargani, Scienza e forme di vita, in «Nuova Corrente», 1977, n. 72/73, pp. 267-274.

108

della potenzialità alternativa della cooperazione pianificata».339 L’origine e lo sviluppo del processo lavorativo è basato sulla cooperazione pianificata di tipo capitalistico che prevede un tipo di rapporto ben preciso tra capitale e salariati. Le facoltà individuali che i lavoratori perdono nel lavoro cooperativo, nella divisione del lavoro e nell’essere strumenti delle macchine, non possono essere recuperate nella sfera della circolazione, dove i rapporti sociali (voluti dalla produzione) sono rapporti di merci e l’individualità è sinonimo di isolamento. Il lavoro collettivo è, di fatto, nascosto e oscurato dalla circolazione:

Perciò, ai produttori, i rapporti sociali fra i loro lavori privati appaiono come quel che sono, cioè non come rapporti immediatamente sociali fra persone nei loro lavori medesimi, ma come rapporti materiali fra persone e rapporti sociali fra cose.340

Infatti, come individua Iacono con Marx, nelle relazioni sociali dominate dal feticismo

delle merci avviene il nascondimento del lavoro come prodotto della cooperazione tra gli

operai. Questa scoperta di Marx pone un’altra delle grandi contraddizioni del sistema capitalistico: in esso possono coesistere l’essenzialità della cooperazione all’interno del processo di produzione e l’imposizione dell’individuo singolo, il consumatore, nel processo di circolazione. Il lavoratore appartiene a se stesso soltanto fuori dalla produzione, dove con il salario che ha guadagnato vendendo la sua forza-lavoro sembrerebbe avere potere decisionale. In realtà, l’onnipotenza capitalistica, anche nella sfera della circolazione, decide e indirizza le sue scelte consumistiche (oggi in modo ancora più evidente). Il punto critico resta quella forma dispotica di controllo e organizzazione tipica del sistema capitalistico che stravolge il concetto di collettivo: da un lato, nella produzione, si riduce alla privazione di ogni forma di individualità, dall’altro, nella circolazione, si rappresenta come una somma di individui. Di conseguenza, ciò che possiamo dedurre parafrasando Iacono, è che non sia possibile rendere visibile una forma di vita sociale diversa dalle due appena indicate. Per Marx, la risposta a questi modelli distorti è indicabile soltanto in un processo consapevole e regolato da liberi produttori, non in una società governata dallo sviluppo delle forze produttive a tutti i costi, la quale continua a soggiogare uomo e natura. Pertanto, Iacono conclude il suo saggio dichiarando:

339A. M. Iacono, Divisione del lavoro e sviluppo della facoltà della specie umana in Marx, p. 107. 340 K. Marx, Il capitale. Critica dell’economia politica, vol. I, p. 151.

109

il tema attuale della qualità della vita non può prescindere dalla questione della qualità del lavoro collettivo la cui riscoperta è legata, in Marx, alla consapevolezza storico che lo sviluppo delle facoltà individuale avviene in ragione dell’arricchimento delle forme comunitarie di vita lavorativo.341

Come si è più volte tentato di sottolineare, tutto ciò non dipende da una questione etico-morale, ma dalla «ragione storica che una forma comunitaria di vita alternativa è possibile solo se si padroneggia collettivamente la materialità della vita stessa».342

Riportate queste premesse, è possibile cogliere la fondamentale importanza dello studio di Iacono riguardo all’ambivalenza della cooperazione.343 La tesi di fondo è che il concetto di cooperazione come facoltà della specie umana sia per l'appunto ambivalente, poiché, da un lato, è lo strumento attraverso il quale i singoli esplicano le loro facoltà individuali realizzando progetti e compiti impossibili altrimenti, dall’altro, è quella forma che, utilizzata dal capitale tramite le sue funzioni di dominio, opprime e subordina gli individui. Nel saggio dedicatogli, Iacono introduce l’argomento puntualizzando che, dopo la grigia parentesi degli anni Ottanta, la quale vedeva al centro politiche economiche ispirate alla mano invisibile e all’homo economicus344, si è oggi tornati a riflettere sulla

facoltà cooperativa dell’uomo e, in parte, anche sull’immagine dello zòon politikón. A tal proposito, sono stati pubblicati, a partire da differenti prospettive, diversi studi, quali quelli di Richard Sennett345, Michael Tomasello346, Amartya Sen e Martha Nussbaum.347

Le possibili considerazioni comuni da trarre riguardano la constatazione che la cooperazione non riesca ad emergere poiché:

a) Le società complesse non glielo permettono;

b) Non assicura la piena realizzazione emotiva e cognitiva del singolo.

341 A. M. Iacono, Divisione del lavoro e sviluppo della facoltà della specie umana in Marx, p. 114. 342 Ibidem.

343 Oltre agli studi già riportati, Cfr. il suo ultimo contributo a riguardo: A.M Iacono, Marx e il concetto di cooperazione, in Rileggere il Capitale, a cura di C. Giorgi, Manifestolibri, Roma 2018, pp. 85-99.

344 Come nei governi politici di R. Reagan (1981-1989) e di M. Tatcher (primo mandato: 1979-1983; secondo mandato: 1983-1987; terzo mandato: 1987-1990).

345 Cfr. R. Sennett, Insieme. Rituali, piaceri, politiche della collaborazione, trad. it. A. Bottini, Feltrinelli, Milano 2014. 346 Cfr. M. Tomasello, Altruisti nati. Perché cooperiamo fin da piccoli, trad. it. D. Restani, Bollati Boringhieri, Torino 2010.

110 Allo stesso tempo però:

a) Le capacità cooperative degli individui sono più complesse di quanto le società non diano la possibilità di esprimerle;

b) La cooperazione si realizza proprio grazie alle capacità emotive e cognitive dei singoli.

Queste letture sulla cooperazione sono supportate da studi sociologici, etologici, psicologici e antropologici. Con la ripresa di autori quali Marx, Polanyi, Sahlins, Douglas, si restituiscono al sociale alcune dimensioni della vita collettiva che il capitalismo, da un lato oscura, dall’altro utilizza a suo piacimento. Scrive Iacono:

Nella cooperazione come facoltà della specie umana vi è dunque un’ambivalenza, perché essa oscilla tra il modo di liberare le facoltà individuali attraverso lo stare insieme in forma organizzata e il modo di opprimerle attraverso il dominio dispotico di chi sta al comando dell’organizzazione cooperativa. Proprio il potere che contiene in sé la cooperazione, quello per cui gli uomini sviluppano la loro umanità, è anche quello che può trasformarsi in una maledizione.348

Questa considerazione ci porta a notare delle differenze insite nell’esplicazione e nella messa in atto della cooperazione. Si può, infatti, cooperare in modo organizzato, pianificato o spontaneo, in base all’attività da svolgere e al fine richiesto. Iacono riporta degli esempi: si coopera nella musica, nella guerra e nel lavoro. Orchestra, esercito e manodopera possono essere tre modi diversi di cooperare, ma abbisognano tutti di un’organizzazione. Chi organizza, pianifica e gestisce l’attività cooperativa detiene il comando e il potere. Il problema nasce proprio da qui: come si è visto, nella produzione la cooperazione è pianificata dal capitale e dalla sua funzione dispotica. È dunque nel modo di produzione capitalistico che la cooperazione acquista la sua fondamentale importanza (non sarebbe possibile produrre senza il lavoro collettivo), ma diventa il luogo e la forma del peggiore sfruttamento. Marx ha perciò definito la cooperazione un insieme di forze: la forza collettiva è superiore alla somma delle forze individuali. Utilizzando una citazione di Gian Rinaldo Carli349 riferita al settore militare, Marx sottolinea

348 A. M. Iacono, Studi su Karl Marx, p. 46.

349 «La forza di ciascun uomo è minima, ma la riunione delle minime forze forma una forza totale anche maggiore della somma delle forze medesime fino a che le forze per essere riunite possono diminuire il tempo ed accrescere lo spazio della loro azione» (G. R. Carli, Nota a P. Verri, in Scrittori classici italiani di economia politica, vol. XV, p. 196 da K. Marx, Il capitale. Critica dell’economia politica, vol. I, nota a, p. 454).

111

l’ambivalenza della cooperazione che oscilla tra l’essere una facoltà che permette lo sviluppo delle capacità dei singoli e rappresentare uno strumento disciplinare di controllo e dominio.

Ancora Iacono:

Quella che Marx ha definito la facoltà della specie umana, la cooperazione, dove si sviluppa il carattere sociale degli individui, è nello stesso tempo la forma fondamentale delle facoltà individuali e lo sfruttamento della forza-lavoro. Noi viviamo in questa contraddizione tra le capacità umane sociali e cooperative e il loro dominio e sfruttamento.350

Se il merito di Marx è stato l’individuazione della cooperazione come frutto dell’imposizione e dell’organizzazione del capitale nel processo produttivo, ovvero dell’utilizzo di quella forza sociale che solo gli operai riuniti possono generare, il valore della tesi di Iacono è quello di aver spinto lo sguardo ancora oltre, individuando nella cooperazione un possibile modello la cui necessità risulta fondamentale anche fuori dall’ambito della produzione. Infatti, le relazioni che gli individui instaurano all’interno dei sistemi cooperativi e sociali non possono essere riducibili ai soli rapporti produttivi di lavoro. Non solo il lavoro e l’economia sono il risultato della cooperazione, ma anche il linguaggio e la comunicazione, l’educazione e la formazione, la cultura e il sapere, la natura e gli ecosistemi, le relazioni umane e le emozioni, le attività simboliche e il loro mondo circostante. Come si è voluto ampiamente affermare, la cooperazione è stata certamente sussunta sotto il capitale: è necessario riportarla alla luce e svincolarla dall’ottica capitalistica, ripartendo dalle sue caratteristiche distintive, senza mai perdere di vista la sua ambivalenza.

Anche Michele Filippini, nel suo contributo intitolato Le antinomie del concetto di

cooperazione, sottolinea l’importanza di svelare alcune opposizioni insite nella

cooperazione, in modo da restituire al concetto la sua complessità. Uno dei problemi intorno alla cooperazione, infatti, è il mancato approfondimento e l’eccessiva approssimazione con cui viene trattata nel discorso pubblico. Per contrastare questo modo di leggerla, Filippini propone un’indagine accurata, rilevandone due principali antinomie:

112

a) La cooperazione come ampliamento delle facoltà umane in opposizione alla cooperazione come forma di sfruttamento (la stessa individuata da Iacono);

b) La cooperazione come norma societaria contro la cooperazione come movimento

cooperativo.

Per quanto riguarda la prima antinomia, Filippini mette in contrapposizione Smith e Marx. Per Smith, la cooperazione è sempre esistita, ma assume un particolare significato a seconda del sistema politico-sociale in cui agisce. Come scrive ne La ricchezza delle

nazioni, l’uomo che vive in società abbisogna della cooperazione e dell’aiuto dei suoi

simili per soddisfare i suoi bisogni: non è una questione di benevolenza, ma di interesse reciproco. Secondo Smith, la cooperazione è cambiata nel tempo: ha una valenza diversa a seconda della società in cui si trova. A partire da questa lettura, si può spiegare il motivo per cui, nell’analisi del concetto di cooperazione portata avanti sin qui, si è fatto riferimento per buona parte alla sua forma capitalistica: viviamo all’interno del sistema capitalistico e la forma di cooperazione dominante è quella organizzata dal capitale. Per questo motivo, l’indagine intorno alla cooperazione non poteva che partire dalle riflessioni di Marx. Secondo Filippini, con l’avvento del capitalismo, da un lato, la cooperazione viene sottoposta alla valorizzazione del capitale, dall’altro, è lo sviluppo capitalistico che le permette di estendersi e diventare, all’interno delle società complesse, il fondamento dei legami tra gli uomini; «questa cooperazione diventa l’intelaiatura stessa della società, la sua riproduzione una necessità costante».351 Infatti, anche l’analisi di Filippini gioca inizialmente intorno alla contrapposizione tra il pensiero dell’economia classica, individuato principalmente in Smith, e quello della critica all’economia politica di Marx. Per Smith, anche se le azioni umane hanno un fine egoistico, sono presupposte da uno sfondo cooperativo che permette la loro realizzazione. Sostenere questa posizione significa comunque considerare la cooperazione come precedente ai comportamenti dell’homo economicus, il quale non può sottrarsi dal suo utilizzo. Inoltre, in Smith, vi è anche una sorta di continuità tra la cooperazione delle comunità premoderne, con un numero limitato di appartenenti uniti da legami affettivi, e la cooperazione moderna, fondata su un elevato numero di individui e sull’impersonalità delle loro relazioni. Infatti, tra la Teoria dei sentimenti morali352 e La ricchezza delle nazioni, è possibile rilevare una

351 M. Filippini, Le antinomie del concetto di cooperazione, p. 79.

113

differenza: se nella prima Smith sottolinea la simpatia data dai legami dei singoli nelle comunità, nella seconda diventano vigenti le regole convenzionali che si sviluppano nelle società complesse. Tra i due diversi tipi di cooperazione, però, vi è continuità, motivo per cui è possibile, all’interno del pensiero degli economisti classici, leggere un unico concetto di cooperazione che vede nella sua forma capitalistica lo sviluppo ultimo e, dunque, l’unico possibile modello cooperativo. È da questa concezione che, con Marx, si vuole muovere nuovamente una critica agli economisti classici: non si può identificare la cooperazione capitalistica come l’unica possibile, né tantomeno come la forma migliore. Se per Smith la cooperazione è l’origine delle azioni umane ed è precedentemente posta come mezzo per raggiungere i fini individuali, per Marx è il primo stadio della produzione del plusvalore relativo, ovvero la forma con cui si presenta il dominio capitalistico. Come si è visto, per Marx la cooperazione è la base del modo di produzione capitalistico. Quando, infatti, la società capitalistica prende vita, diventando il sistema dominante, anche la cooperazione subisce un cambiamento, finendo per dipendervi e per diventare la forma principale per sfruttare i lavoratori. È proprio da qui che è necessario ripartire: la cooperazione va liberata dall’appropriazione del capitale.

Seguendo Filippini, riguardo al concetto di cooperazione, è possibile ritrovare un’altra novità ambivalente in Marx: se nel Libro Terzo del Capitale le fabbriche cooperative sono individuate come «forme di passaggio dal modo di produzione capitalistico a quello associato»353, dunque viste come possibile modello alternativo, nel manifesto della Prima Internazionale si va nella direzione opposta: «il lavoro cooperativo […] non è in grado di arrestare il progresso geometrico del monopolio, non è in grado di emancipare le masse e neppure è capace di alleviare in modo sensibile il fardello della loro miseria».354 Se dunque le cooperative potrebbero essere la direzione per andare verso la fine del capitalismo, mantengono la stessa concezione di lavoro e di sfruttamento. È, ancora una volta a partire da Marx, che Filippini individua la seconda antinomia del concetto di cooperazione nella contrapposizione tra:

a) Il movimento cooperativo, la forma specifica e storica di organizzazione lavorativa ancora interna alla società capitalistica e al suo modo di produzione;

353 K. Marx, Il capitale. Critica dell’economia politica, vol. III, p. 522.

354 K. Marx, Indirizzo inaugurale dell’Associazione internazionale degli operai, in Marx, Engels, Opere, vol. 20, Editori Riuniti, Roma 1987, p. 12.

114

b) La cooperazione vista come attività societaria, un sistema di norme che ordina i comportamenti degli individui e i loro rapporti sociali.

Per sviluppare un discorso intorno a questa contrapposizione, Filippini riporta due autori che esemplificano i due poli dell’antinomia: Émile Durkheim355 e Alfred Marshall.356 In Durkheim, in modo particolare ne La divisione del lavoro, è possibile ricostruire non soltanto il suo pensiero in merito alla cooperazione, ma «una vera e propria teoria della cooperazione moderna».357 Nell’opera in questione, Durkheim distingue tra la solidarietà meccanica, che si costituisce per somiglianza tra gli individui di società omogenee, e la solidarietà organica, il prodotto della divisione del lavoro delle società industriali. Nel primo caso, gli individui non hanno bisogno di una norma, poiché la loro individualità è costituita dall’omogeneità del gruppo sociale a cui appartengono358,

mentre nel secondo modello, le differenze degli individui necessitano di regole per poter coesistere in modo pacifico.359 Nella solidarietà di tipo organico sono, dunque, le norme e i contratti ad assicurare la convivenza e la cooperazione societaria. Secondo la tesi durkheimiana, le norme cooperative precedono le individualità formate dalle stesse: è la via individuale ad essere nata dalla vita collettiva. Durkheim giustifica il suo pensiero a partire dall’urbanizzazione che ha portato con sé la divisione del lavoro,