• Non ci sono risultati.

Storia e metodi della traduzione audiovisiva. Proposta di traduzione della pellicola cinematografica "El cuento de las comadrejas"

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Storia e metodi della traduzione audiovisiva. Proposta di traduzione della pellicola cinematografica "El cuento de las comadrejas""

Copied!
242
0
0

Testo completo

(1)

DIPARTIMENTO DI

FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA IN LINGUISTICA E

TRADUZIONE

TESI DI LAUREA

Storia e metodi della traduzione audiovisiva. Proposta di

traduzione della pellicola cinematografica El cuento de las

comadrejas.

CANDIDATO

RELATORE

Matteo Andrei

Chiar.ma Prof.ssa Rosa María García

CONTRORELATORE

Chiar.ma Prof.ssa Alesandra Ghezzani

(2)

Introduzione

Il mondo dello schermo mi ha sempre affascinato, inutile negarlo. Dopo aver realizzato una tesi di laurea triennale basata su un corpus linguistico di un quiz televisivo italiano, è sempre stato vivo in me il desiderio di poter rendere questo stesso mondo pure l’oggetto del mio elaborato finale per la tesi magistrale.

E la traduzione audiovisiva mi ha dato la possibilità di esaudirlo. Nello specifico, il prodotto audiovisivo da me scelto, la pellicola cinematografica argentina El cuento de

las comadrejas, mi ha consentito di entrare a contatto con una realtà a me poco nota,

quale lo spagnolo australe, ovvero la varietà di spagnolo parlato in Argentina. Cimentarmi con una varietà ben diversa dallo spagnolo peninsulare ha dunque rappresentato per me una vera e propria sfida, nella quale spero di essere riuscito a mettere sufficientemente in mostra le nozioni relative all’ambito traduttivo che ho appreso in questi due ultimi anni di studio.

Per poterlo fare, però, è stato necessario fare qualche passo indietro. Intendiamoci: nessuna opera traduttiva può esulare da una conoscenza, perlomeno basilare, delle metodologie alla base e, a seconda del tipo di traduzione, delle sue fasi storiche; tutto ciò è più che mai vero nel caso della traduzione audiovisiva. Non è quindi un caso che il primo capitolo dell’elaborato sia esclusivamente dedicato alle metodologie di base di questo tipo di traduzione, nonchè alla loro storia, inesorabilmente legata a fattori sociali, tra i quali soprattutto la censura. Chiunque osi mettersi in gioco con una traduzione audiovisiva dovrà infatti tener conto di qualsiasi tipo di ripercussione che una particolare scelta traduttiva possa avere sul pubblico, cercando di agire sempre nel rispetto del sistema culturale di partenza e di quello di arrivo.

Come ho appena detto, una sfida particolarmente intrigante è stata rappresentata dal fatto che i dialoghi del film pongono in evidenzia soprattutto il registro colloquiale proprio dello spagnolo australe, fatto per il quale la loro traduzione presenta un doppio livello di difficoltà, a livello diatopico e diafasico; ai vari fenomeni lingusitici presenti tra i dialoghi, verrà dedicato un apposito capitolo. Proprio questo è un altro dei motivi alla base della mia scelta orientata verso la traduzione audiovisiva; i suoi prodotti garantiscono la possibilità di imitare, perquanto possibile, la spontaneità del parlato, e l’abilità da parte del traduttore (o dialoghista che sia) consisterà nel saper riprodurre questa stessa colloquialità.

La prima parte della presente opera è focalizzata sulla descrizione delle sue procedure (prime fra tutte doppiaggio e sottotitolazione), accompagnata da accenni tecnici e legislativi legati alla loro realizzazione e a considerazioni teoriche sulla loro natura. Nel capitolo successivo, la varietà dello spagnolo australe sarà esaminata in ottica morfosintattica, lessicale e fonetica, dopo aver preso in considerazione i principali fattori culturali e le fasi storiche che hanno contraddistinto la sua diffusione, e verranno, come detto, considerati in modo più dettagliato i fenomeni tipici dello spagnolo australe presenti tra le battute pronunciate dagli attori. Il terzo capitolo include la scheda tecnica del film, fornita di dati relativi alla sua difusione e al consenso ottenuto dal pubblcio e dalla critica; viene inoltre aprofindita la carriera del suo regista, Juan José Campanella, e sviluppata ampiamente la sua trama. La traduzione di un prodotto audiovisivo comporta infatti una conoscenza sufficiente del background in cui il prodotto viene realizzato, ovvero non può essere realizzata senza possedere in precedenza informazioni

(3)

relative al film o serie tv che sia (carriera del regista, attori, premi eventualmente vinti ecc).

Qualsiasi tipo di traduzione, inoltre, nel momento di una sua analisi, necessita una suddivisione tematica ben articolata. A questo proposito, ho ritenuto opportuno che il quarto e ultimo capitolo, ovvero quello in cui vengono spiegate le scelte traduttive, fosse adeguatamente suddiviso in paragrafi distinti (relativi alle specifiche aree tematiche), in modo da dare vita ad uno studio a 360 gradi che non si limitasse a questioni puramente linguistiche (e, nello specifico, pragmatiche), bensì anche culturali. L’obbiettivo è quello di individuare possibili punti di contatto o divergenze tra il sistema lingusitico di partenza e quello di arrivo.

(4)

Indice

Capitolo 1

La traduzione audiovisiva: accenni storici, i processi più comuni e le metodologie di base pag. 6

1.1. Breve storia della traduzione audiovisiva pag. 10 1.2. La natura multisemiotica dei prodotti audiovisivi pag. 12

1.3. Il doppiaggio pag. 14 - 1.3.1. Storia del doppiaggio: origini e diffusioni pag. 20

- 1.3.1.1. Italia pag. 21 - 1.3.1.2. Spagna pag. 25 -1.3.1.3. Il doppiaggio nella attualità pag. 26

1.4. La sottotitolazione pag. 27 1.4.1. La sottotitolazione per non udenti pag. 28

- 1.4.1.1. Uno studio su effetti e risultati dell’applicazione del SDH pag. 30 - 1.4.1.2. Aspetti legislativi dei sottotitoli per non udenti pag. 32 - 1.4.1.3. Accenni storici della sottotitolazione per non udenti pag. 33

1.4.2. Aspetti teorici e concettuali della sottotitolazione pag. 34 1.4.3. SubTitleMe: film sottotitolati direttamente

dallo smartphone pag. 40 1.4.4. Storia della sottotitolazione pag. 42

1.5. Altre modalità di traduzione audiovisiva pag. 46 1.6. Internet e gli sviluppi della traduzione audiovisiva:

fandubbing e fansubbing pag. 48 Capitolo 2

Lo spagnolo australe: tratti peculiari della varietà

linguistica argentina pag. 50

2.1. Lo spagnolo guaranitico pag. 53 2.2. Lo spagnolo atlantico pag. 53 2.3. Ulteriori varietà dialettali pag. 54 2.3.1. Il lunfardo pag. 55 2.4. Tratti generali pag. 60 2.4.1. Fonetica pag. 60 2.4.2. Morfosintassi pag. 63

- 2.4.2.1. Il voseo pag. 63 - 2.4.2.2. Gli altri tipi di pronomi pag. 67 - 2.4.2.3. Forme verbali pag. 69 - 2.4.2.4. La “a acusativa”: una particolarità dello spagnolo australe pag. 70 - 2.4.2.5. Morfologia derivativa: il suffisso “-ero” pag. 71

2.4.3. Lessico pag. 73 2.5. La prosodia dello spagnolo in Argentina pag. 76 2.5.1. Applicazione del sistema ToBI-A pag. 79 2.6. Lo spagnolo australe in

El cuento de las comadrejas: quali caratteristiche troviamo? pag. 80

2.6.1. Morfosintassi pag. 80 2.6.2. Lessico pag. 90

(5)

Capitolo 3

La scheda tecnica di El cuento de las comadrejas pag. 93

3.1. Interpreti e personaggi pag. 94 3.2. Recensioni pag. 97 3.3. Juan José Campanella: carriera e riconoscimenti pag. 98 3.4. Los muchachos de antes no usaban arsénico pag. 99 3.5. Trama pag. 100

Capitolo 4

Le scelte traduttive di El cuento de las comadrejas pag. 104

4.1. La traduzione degli insulti pag. 104 4.2. La traduzione delle “forme affettive” pag. 108 4.3. La traduzione degli atti assertivi pag. 110 4.4. Gli allocutivi pag. 116 4.5. Scelte traduttive di straniamento

di addomesticamento pag. 118 4.6. I prestiti non adattati pag. 121 4.7. Allusioni culturali pag. 123 4.8. Giochi di parole: quale strategia adottare? pag. 126 4.9. L’ironia pag. 127 4.10. I modi di dire pag. 129 4.11. Gli eufemismi pag. 130 4.12. Scelte di livello morfosintattico pag. 133 4.13. Scelte di livello semantico pag. 135 4.14. Gli acronimi pag. 138 4.15. La traduzione dei tecnicismi pag. 141 4.16. La traduzione del lessico dello spagnolo australe pag. 142 4.17. Esempi di metatesto pag. 143

4.18. I marcatori conversazionali pag. 144 4.19. Le espressioni con funzione focalizzatrice pag. 150

El cuento de las comadrejas: trascrizione dei dialoghi

dei film pag. 153

El cuento de las comadrejas: traduzione in lingua italiana

dei dialoghi del film pag. 190 Conclusioni pag. 232 Ringraziamenti pag. 233 Bibliografia pag. 234

(6)

Capitolo 1

La traduzione audiovisiva: accenni storici, i processi più

comuni e le metodologie di base

La traduzione audiovisiva (TAV) ha come scopo fondamentale l’adattamento di prodotti multimediali da una lingua e/o cultura all’altra; consiste in quel metodo che rende possibile il transfert linguistico di ogni prodotto audiovisivo1, trasmettendo la

traduzione di un testo grazie a due canali, del tutto simultanei e complementari: quello acustico e quello verbale. Ciò su cui si basa la traduzione di tipo audiovisivo è dunque una interazione tra codice verbale e codice non verbale2. Include inoltre informazioni

aggiuntive, necessarie per comprendere in modo totale tutti gli elementi acustici presenti nel prodotto di partenza3 e il suo ruolo è fondamentale nel garantire il diritto

all’informazione per persone con deficit uditivi. Ma non solo. Secondo le parole di Orero (2005), infatti,

“Quando si parla di sottotitolazione per non udenti e persone con deficit uditivi, si potrebbe anche aggiungere: per studenti, per immigranti, per… L’accessibilità, dunque, dovrebbe essere considerata come un fattore che favorisce l’integrazione all’interno della società e la cui applicazione è universale e normale4.”

Per questa ragione si è cercato di rendere questa specifica tipologia di traduzione sempre più accessibile (attraverso l’interpretazione nella lingua dei segni, l’audiodescrizione, la sottotitolazione ecc5), così come i mezzi grazie a cui i prodotti

audiovisivi vengono fruiti; questo perché gli stessi mezzi, nella nostra società, trasmettono tutto un insieme di valori economici, estetici, educativi ecc, dando origine ad atteggiamenti tali da determinare norme sociali6 . Il tutto è però complicato da un

punto di vista legislativo; la normativa relativa all’accessibilità dei prodotti audiovisiva si trova ancora in una “fase embrionale7”, senza che siano stati ancora ultimati decreti

sanzionatori che rendano obbligatorio il suo compimento.

La necessità di indagare in modo più profondo i diversi tipi di traduzione audiovisiva si è sempre più resa manifesta; si tratta di un ambito nel quale i suoi investigatori “devono essere ambiziosi e tentare di includere tutte quelle modalità di intercambio linguistico e culturale che si verificano nell’ambito comunicativo umano tra (almeno) due lingue naturali8”. Questa necessità è dovuta alla progressiva diffusione di prodotti sul mercato,

1 Soler Pardo B., pp. 168

2 Pilar Gonzalez Vera M., pp. 216 3 Patiniotaki E., pp. 174 4 Orero P. (2005), pp. 175 5 Tamayo A., pp. 330 6 Orero P. (2005), pp. 175 7 Ivi, pp. 173 8 Chaume F. (1999), pp. 209

(7)

in particolar modo per quanto riguarda il mercato cinematografico iberico e sudamericano9. Una diffusione che, molto spesso, attira pure l’attenzione da parte degli

studenti, che osservano dunque la TAV nell’ottica di un nuovo oggetto di una ricerca, per una volta, non relazionata a discipline strettamente scolastiche o universitarie. Come affermato da Luis Pérez-González, la maggiore circolazione dei prodotti audiovisivi, nell’era della cultura digitale, va oltre i confini della stessa TAV, attirando l’attenzione da parte degli studenti, tradizionalmente non interessati a questo campo di indagine10. Al tempo stesso, Chaume (1999) ritiene che “la traduzione audiovisiva

dovrebbe avere il suo posto nei piani di studio di oggi, non solo per rispondere a una delle attività di traduzione con una porzione di lavoro più ampia e sempre più presente nella nostra vita quotidiana, ma anche per la sua potenzialità didattica, come esempio di esercizio traduttivo che aiuti a sviluppare la creatività, che consenta di comprendere in modo molto efficace i marigini di libertà che ha il traduttore11.” Il crescente interesse

sviluppatosi nei confronti della TAV rende inoltre i suoi prodotti “un veicolo ideale ed efficace per la trasmissione di supposizioni, valori morali, luoghi comuni e stereotipi12”,

caratterizzati spesso da una vera e propria manipolazione, da sempre “diffusa e

irrispettosa dei regimi politici e culturali che giungono al potere13”.

Dopo un breve accenno alle più importanti tappe della sua storia, prenderemo in considerazione le sue principali modalità (sebbene i campi di applicazione siano in realtà molteplici e di varia natura, come ad esempio il mondo dei videogiochi e la creazione di sovratitoli teatrali14), soffermandoci in particolar modo sulle due più note e diffuse, che

prediligono rispettivamente la dominante acustica e quella visiva15: il doppiaggio e la

sottotitolazione. Inoltre, nonostante doppiaggio e sottotitolazione continuino a risultare le due modalità audiovisive maggiormente impiegate, ulteriori procedure sono nate recentemente per poter venire incontro a qualsiasi tipo di fruitore degli stessi prodotti audiovisivi, tra cui l’audiodescrizione, la sovrapposizione di voci, la sottotitolazione per non udenti e tipi di sottotitolazione non professionali, che esamineremo in modo più dettagliato successivamente.

I vari condizionamenti (non solo economici, ma anche legati alla accessibilità dei prodotti) che contraddistinguono la traduzione audiovisiva rendono questa come una modalità a sé, sebbene sia possibile individuare alcune analogie rispetto alla traduzione di stampo letterario, come afferma Toda (2005). L’autore sostiene infatti che per poter insegnare gli aspetti di base della traduzione audiovisiva sia necessario partire da aspetti tipici della traduzione letteraria, disponendo di mezzi tecnici tali da dimostrare l’effettiva subordinazione della TAV rispetto a questa16. Inoltre, riportando le parole

dello stesso autore, la stessa traduzione audiovisiva deve essere considerata come un tipo di traduzione “speciale e perfino specializzzata, per via dei condizionamenti a cui è

9 Chaume F. (2014), pp. 2 10 Pérez-González L., pp. 2 11 Chaume F. (1999), pp. 210 12 Diaz Cintas J. (2012), pp. 281

13 Diaz Cintas J., Parini I., Ranzato I., pp. 3 14 Carlucci L. pp. 313

15 Mokhtar F.B., pp. 23 16 Toda F., pp. 119

(8)

soggetta17”. Questi stessi condizionamenti inducono peraltro Toda a collocare la TAV

all’interno della cosiddetta traduzione subordinata (traducción subordinada), intendendo con questa “qualsiasi tipo di traduzione influenzata da elementi extralinguistici che influsicano sul modo di produrre il testo tradotto”. Non appare dunque un caso il fatto che in Spagna i due termini risultino essere impiegati praticamente come due sinonimi.

Decifrare le procedure audiovisive è possibile solo ed esclusivamente prendendo in considerazione la stessa TAV come interdisciplinare; i molteplici punti di contatto tra

questa e aspetti quali religione, etnia, sesso, politica ecc. (oltre a quelli, naturalmente, presenti tra la TAV e discipline tradizionalmente relazionate a questa, come la linguistica, studi su media, cinema e televisione) incoraggiano all’applicazione della nozione di intersezionalita18. Non possiamo pretendere di capire l’essenza di un

prodotto audiovisivo senza tenere in considerazione l’influenza da parte dei vari fattori sociali, politici e industriali.

Uno tra questi riguarda la censura: nel corso della storia del cinema, sono molte le

produzioni soggette a forti restrizioni al momento della loro distribuzione internazionale, a causa delle ideologie politiche del paese di arrivo. A questo proposito, nel suo contributo dal titolo “Film censorship in Franco’s Spain: The transforming power of dubbing”, Jorge Diaz Cintas analizza gli effetti degli interventi di censura sui film doppiati in Spagna durante la dittatura di Francisco Franco, soffermandosi in particolar modo sulla censura a cui fu soggetta la versione spagnola della pellicola La contessa

scalza (1954): un vero e proprio “campo di battaglia per la manipolazione ideologica,

che incita lo scatenarsi di un creativo processo di rimedio, atto a celare qualsiasi critica sulle abitudini spagnole e rafforzando i valori tradizionali difesi dal regime”. L’articolo illustra inoltre come i dialoghi in lingua originale di questo film siano stati soggetti a una forte manipolazione, attraverso vari interventi, per rappresentare nel migliore dei modi valori tanto cari al regime spagnolo dell’epoca, come la femminilità, i ruoli all’interno della famiglia, nonché valori morali e religiosi.

Per quanto riguarda, nello specifico, il nostro paese, a partire dal 1939 il regime fascista adottò una censura meno restrittiva nei confronti degli enti di distribuzione cinematografica, contrariando peraltro fortemente la chiesa, che considerava il cinema come “il maggior pericolo per la salute morale della popolazione19”. La svolta fu poi

rappresentata dal passaggio del compito della censura alla neonata direzione Generale della cinematografia, comandata dal suo direttore generale Luigi Freddi, grazie alla Legge n. 65 del 10 Gennaio 1935; a questo punto, infatti, la censura non doveva essere più vista esclusivamente in ottica proibizionista, ma anche in un’ottica, per così dire, “propositiva”, incentivando la realizzazione di prodotti che fossero in linea con gli ideali del regime, o usando le parole di Venturini (2017), in “sintonia”20 con questo. Ben presto

la censura in Italia venne allentata sempre di più; basti pensare alle produzioni cinematografiche nazionali realizzate all’inizio degli anni Quaranta, nelle quali iniziarono a comparire tematiche quali adulterio e suicidio21.

17 Ibidem

18 Zanotti S., Ranzato I., pp. 173 19 Venturini A., pp. 53

20 Ivi, pp. 54 21 Ivi, pp. 56

(9)

L’origine della censura in Italia precede tuttavia l’avvento dell’industria cinematografica. Il regio decreto del 30 giugno 1889 num. 6144 dava ai prefetti il controllo delle rappresentazioni pubbliche e degli spettacoli teatrali, impedendo di esporre “oggetti

offensivi al buon costume o che possano destare spavento o ribrezzo e che non si abusi dell’altrui credibilità22”. La prima legge riguardante la censura cinematografica arriverà nel 1913; con la legge “Facta” viene affidato al governo il potere di vigilare sulla produzione e la diffusione dei film, istituendo una tassa di dieci centesimi per ogni metro di pellicola prodotta23.

Un valido esempio di censura viene poi offerto pure da Joseip Estivill Pérez, che fa riferimento al celebre film Casablanca (1942), diretto da Michael Curtiz. I riferimenti fatti dal protagonista, nella versione originale, alla sua partecipazione alle brigate internazionali durante la guerra civile sono infatti sostituite da una allusione all’Anchluss, legata alla annessione dell’Austra al Terzo Reich nel 193824.

La nozione di censura è inoltre spesso accompagnata (in ottica traduttiva in generale, ma più che mai per quanto riguarda la traduzione audiovisiva) da quella di

manipolazione; molto spesso, la parola tende a essere impiegata come sinonimo della

stessa parola “censura”, vista la forte dipendenza da parte di entrambi i concetti nei confronti di ideologie politiche e potere25. Ad una manipolazione di tipo prettamente tecnico, strettamente legata ai limiti spazio-temporali imposti dal mezzo, si accompagna

una manipolazione di tipo ideologico, che consiste invece nella incorporazione nel testo

tradotto di modifiche che si discostano dal significato semantico espresso nella versione originale del prodotto, interpretando in modo errato ciò che viene detto o mostrato in questa26. Alla base dei processi di manipolazione soggiaciono spesso doveri di carattere

economico o commerciale da dover perseguire, nonchè motivazioni solitamente legate alla sfera politica, religiosa o morale. A detta di Diaz Cintas (2018), la censura può essere considerata come una forma più repressiva di manipolazione, basata sulla falsificazione di informazioni, solitamente istituzionalizzata; per questo, l’autore afferma che “da questo punto di vista, tutta la censura è manipolazione, ma non tutta la manipolazione può essere considerata censura27”.

22 https://www.gazzettaufficiale.it/eli/gu/1889/06/30/153/so/153/sg/pdf 23 Catolfi A., pp. 1 24 Estivill Perez J., pp. 685 25 Diaz Cintas J. (2018), pp. 2 26 Ibidem 27 Ibidem

(10)

1.1. Breve storia della traduzione audiovisiva

La traduzione audiovisiva è diventata oggetto di indagine in modo più intenso solo negli ultimi anni, a partire circa dagli anni Ottanta; questi primi studi tendevano a limitarsi alla discussione di idee “in qualche modo trite e ritrite, che evidenziano la natura pratica di questo campo, come il confronto tra doppiaggio e sototitolazione28” e si basavo su

fattori puramente tecnici e linguistici29; fortunatamente, come Diaz Cintas (2012) ci

ricorda, le discussioni su quale fosse la procedura audiovisiva migliore sono state sostituite negli ultimi anni da un nuovo approccio, basato sul considerarle come differenti pratiche traduttive, ognuna meritevole di una analisi critica30.

Gli albori della traduzione audiovisiva risalgono più o meno alla comparsa dei primi prodotti cinematografici, intorno agli anni Trenta31, quando la modalità impiegata per

garantire una migliore fruizione di quelle che, all’epoca, erano pellicole prive di voci, era l’impiego di didascalie. Grazie a questo espediente, da considerare come vero e proprie

predecessore dei sottotitoli, i suoni e gli argomenti della trama venivano descritti con dei fotogrammi, introdotti tra una scena e l’altra, che includevano appunto testi scritti; il primo film ad averne fatto uso nella storia cinematografica fu Uncle Tom’s Cabin (1903), diretto da Edwin Porter.

Le prime voci all’interno dei film cominciarono ad apparire verso la fine degli anni Venti; questo fatto agì indubbiamente da forte promemoria delle differenze presenti tra le varie lingue e, conseguentemente, tra le varie nazioni e le loro culture. Fu questo il motivo per cui all’interno di paesi quali Italia, Spagna, Germania e Francia si risvegliò un certo orgoglio nazionale, che, per così dire, “puntava il dito” contro il dominio dell’inglese degli Stati Uniti, unica lingua in cui in una prima fase era possibile sentire le voci degli attori. Era appena nato il pretesto per lo sviluppo del mercato cinematografico pure all’interno dei principali paesi europei, praticamente in contemporanea all’innalzamento di barriere protezionistiche che limitassero la circolazione di pellicole provenienti solo ed esclusivamente da Hollywood.

Una notevole svolta fu poi rappresentata dal film Il cantante di Jazz (1927) di Alan Crosland, il primo a presentare suoni realizzati in celluloide, proiettato per la prima volta in Italia il 19 aprile 1929 al Supercinema di Roma32; per la prima volta, il testo scritto

viene sostituito dal linguaggio originale. L’introduzione di voci nelle pellicole cinematografiche aprì la pista alla comparsa dei primi dialoghi, che ebbe come conseguenza immediata la necessità sempre più evidente di traduzoni, al fine di poter estendere il mercato dei prodotti audiovisivi. Alle prime rudimentali tecniche, come per esempio quella di girare da capo scene specifiche o, in certi casi, addirittura film completi, ingaggiando attori che parlassero un’altra lingua, si sostituì progressivamente il doppiaggio, la cui comparsa ebbe come vantaggio più immediato quello di ridurre i

costi di produzione e, soprattutto, consentì alle industrie cinematografiche statunitensi

28 Diaz Cintas J. (2012), pp. 280

29 Diaz Cintas J., Parini I., Ranzato I., pp. 3 30 Ibidem

31 Soler Pardo B., pp. 168 32 Catolfi A., pp. 7

(11)

di superare l’ostacolo creato dalle “barriere linguistiche” a cui abbiamo già accennato, controllando così saldamente il mercato internazionale.

Arrivando ai giorni nostri, risulta facile comprendere come il panorama dei prodotti audiovisivi si sia progressivamente ampliato e continui a farlo, grazie alle innovazioni tecnologiche raggiunte. Queste stesse, infatti, oltre a garantire produzioni più rapide, hanno pure consentito una maggiore distribuzione e, dunque, anche un maggiore consumo di ogni tipo di materiale audiovisivo.

La traduzione audiovisiva come tematica da analizzare, ad ogni modo, fa la sua prima comparsa il 7 agosto del 1960: sulle pagine del New York Times notiamo che la consueta rubrica domenicale del quotidiano è ad opera del direttore della selezione critica cinematografica americana Bowsley Crowther e reca il titolo “I sottotitoli devono proseguire!” (“Subtitles must go!”). Questa fece da apripista a successivi interventi di Crowther sul giornale newyorkese, nei quali andò delineandosi una vera e propria “guerra” tra doppiaggi e sottotitoli. I parametri espressi da Crowther rappresentano così ancora oggi i capisaldi dei doppiaggi e sottotitolazioni sui cui si basa la tradizione audiovisiva di stampo anglo-americano33.

Studi di ampia portata relativi alla traduzione audiovisiva sono comparsi pure nel corso degli anni ’90; a questo proposito, Chaume (1999) ci ricorda il forte contributo da parte della Spagna, in riferimento ai primi due congressi organizzati dalla Università dei Paesi Baschi, dedicati alla relazione tra letteratura, cinema e traduzione.

(12)

1.2. La natura multisemiotica dei prodotti audiovisivi

Tutti i prodotti audiovisivi sono costituiti da due canali, la cui simultanea presenza e la cui fusione garantiscono l’efficienza del prodotto: stiamo parlando del canale visivo e

del canale acustico. Questi stessi, a loro volta, comprendono molteplici aspetti, verbali

e non, legati a diversi codici semantici, che relazionati tra loro consentiranno al pubblico di ricostruire i messaggi. Per quanto riguarda il canale visivo, validi esempi sono l’illuminazione e la scenografia (aspetti non verbali), così come la comparsa sullo schermo di sottotitoli, nomi di vie, giornali ecc. (aspetti verbali). Nel caso del canale acustico, invece, è opportuno ricordare i dialoghi tra gli attori (aspetto, naturalmente, di tipo verbale) e la musica di sottofondo, la colonna sonora del film (aspetto non verbale).

Per quanto riguarda il codice linguistico dei prodotti audiovisivi, questo si basa su un

vero e proprio testo, che deve però apparire del tutto orale e, soprattutto, completamente spontaneo; un equilibrio tuttavia difficile da raggiungere34.

Il codice grafico, invece, consente la rappresentazione sullo schermo del testo scritto,

grazie all’uso di titoli, didascalie, testi e sottotitoli, i quali, con le restrizioni che comportano, influenzeranno il tipo di traduzione. Riportiamo a proposito di questo codice la tabella elaborata da Chaume per quanto riguarda il mercato cinematografico spagnolo.

Citiamo poi pure il codice paralinguistico; questo, infatti, tanto nel doppiaggio quanto

nella sottotitolazione, viene rappresentato attraverso particolari simboli. In Spagna, ad esempio, la risata viene graficamente riprodotta nel doppiaggio attraverso il simbolo (R), mentre le pause e i momenti di silenzio con una barra obliqua posta tra parentesi, (/)35.

34 Chaume F. (2004), pp. 7 35 Ivi, pp. 8

(13)

Il fatto che i prodotti audiovisivi abbiano una natura del tutto particolare è dimostrato da specifici studi, con cui vengono messe in evidenza le differenze tra i testi di tipo audiovisivo e quelli di altra tipologia. Uno di questi, condotto da Agost, sottolinea che le teorie relative alla traduzione possono essere analizzate nella stessa ottica di una conversazione e si basa sui vari tipi e generi di prodotti audiovisivi36. I testi in L1, ovvero

i prodotti audiovisivi da tradurre, nel nostro caso, vengono classificati in base alla specifica categoria di prodotto a cui appartengono, in modo da poter poi individuare, citando le parole dello stesso Agost, “i principali problemi che la traduzione di un testo presenterà”.

Karamitroglou (2000), inoltre, ha condotto un altro studio relativo alla traduzione audiovisiva, nell’ambito del quale vengono considerati fattori di rilevante importanza per realizzare efficientemente un prodotto, quali:

- i vari componenti addetti alla traduzione stessa;

- lo stesso prodotto tradotto, considerato in questo caso in un’ottica puramente semiotica;

- i destinatari (da intendere non come il pubblico in generale, bensì quella parte di pubblico generale che ha “consumato”, usufruito del prodotto in piena consapevolezza, a cui conseguentemente la versione tradotta del prodotto audiovisivo si rivolge in modo specifico);

- la modalità audiovisiva (tale da rendere la natura dei prodotti audiovisiva, come già abbiamo affermato, differente da quella degli altri prodotti);

- infine, l’ente responsabile della diffusione del prodotto, che sia una casa cinematografica o una emittente televisiva ecc.37

Dunque, la comprensione globale del materiale sarà possibile solo se questi diversi fattori riusciranno a far elaborare allo spettatore del film le informazioni trasmesse. In modo più specifico, questo obbiettivo può essere raggiunto attraverso varie modalità di traduzione audiovisiva, la cui scelta dipenderà da vari aspetti, perlopiù legati ai bisogni da parte della produzione. Come già detto, le due modalità di maggiore impiego sono il doppiaggio e la sottotitolazione, molto spesso messe a confronto, per individuarne i principali aspetti positivi e negativi38; sin dalla loro comparsa queste due modalità sono

state entrambe soggette a forti critiche, al punto di arrivare a considerare la traduzione come una procedura che rovinasse l’essenza dei film39.

Sono molti i paesi che hanno preferito optare per una tra le due modalità, fatto alla base della distinzione tra le cosiddette dubbing countries e le subitling countries40. Se, tra i vari paesi europei, Francia, Germania, Spagna, Austria, Svizzera, Repubblica Ceca e Italia mostrano una particolare predilezione per il consumo e la diffusione di doppiaggi (nonostante la crescente tendenza ad apprezzare film e serie in lingua originale e sottotitolati), ecco che invece la sottotitolazione mostra un ampio impiego in Grecia, Portogallo, Olanda, Danimarca, Belgio, Irlanda, Romania e Svezia, paesi nei quali quindi

36 Ivi, pp. 4 37 Chaume F. (2004), pp. 5 38 Perego E. (2015), pp. 190 39 Tweit J. E., pp. 87 40 Grozzavescu D., pp. 108

(14)

le persone sono ormai abituate a mettere in relazione le parole che compaiono nella parte bassa dello schermo con le battute in lingua originale pronunciate dagli attori41.

Nei paesi in cui a prediligere è il doppiaggio, saranno delle convenzioni professsionali più o meno esplicite a determinare il risultato finale del prodotto di cui l’utente usufruirà42.

Tra i vari paesi sudamericani, peraltro, è possibile individuare anche casi di coesistenza di queste due modalità; è quello che ad esempio avviene in Colombia, laddove reti televisive pubbliche optano soprattutto per il doppiaggio, a differenza di quelle private, che diffondono materiale sottotitolati43. Molto spesso, inoltre, nel caso della

sottotitolazione, l’inglese viene adottato come lingua pivot per la traduzione (a partire da lingue come il ceco o il giapponese a lingue come il francese o il tedesco) piuttosto che fare affidamento alla colonna sonora originale44.

Dopo aver analizzato i fattori extralingusitici che influenzano la traduzione audiovisiva, cerchiamo di capire per quale motivo non dobbiamo confondere un testo audiovisivo rispetto a un qualsiasi parlato del quotidiano. La risposta sembra fornircela Motta (2015), il quale ritiene, a questo proposito, che i testi audiovisivi siano caratterizzati da una forte predicibilità, visto che le scelte linguistiche effettuate sono molto spesso

ripetitive; questa predicibilità dipenderà fortemente dal genere a cui apparterrà il prodotto audiovisivo. Ogni genere, infatti, sarà caratterizzato da specifiche peculiarità linguistiche traduttive45.

1.3. Il doppiaggio

Questa procedura rappresenta a, senza alcun dubbio, la migliore strategia grazie a cui riusciamo ad essere costantemente esposti a situazioni, o comunque codici o significati diversi rispetto a quelli della cultura a cui apparteniamo46. Il termine doppiaggio, dal

punto di vista etimologico, racchiude molteplici significati, tra cui quello di “simulazione”, “doppio senso”, “ambiguità” e interpreta quindi adeguatamente in cosa consista questa procedura47. La tecnica del doppiaggio è la più studiata fino ai giorni

nostri in ambito audiovisivo48 e riguarda la componente sonora di un prodotto

audiovisivo a livello diegetico (a differenza della colonna sonora, che ne costituisce invece il livello non diegetico49). Comporta la sostituzione di elementi presenti nel

prodotto in lingua originale; le voci degli attori originali vengono eliminate favorendo l’introduzione di voci di altri attori, figure professionali che, come sostiene Perego, “confezionano50” dialoghi che sostituiranno quelli della lingua di partenza. Questa

procedura comporta una doppia simulazione: dovrà essere ricreata nella lingua di arrivo 41 Diadori P., pp. 529 42 Agost R., pp. 65 43 Orrego Camona, pp. 301 44 Diaz Cintas J. (2010), pp. 346 45 Motta D., pp. 954 46 Canu L., pp. 1 47 Grozavescu D., pp. 109 48 Lertola J., pp. 31 49 Chion M., pp. 67 50 Perego E. (2004), pp. 183

(15)

una parte simulata di lingua parlata che rispecchi la lingua di partenza. Riportando la definizione di Chaume, siamo soliti intendere per doppiaggio la traduzione e l’adattamento di un testo audiovisivo e la successiva interpretazione di questa traduzione da parte degli attori, guidata da un direttore di doppiaggio e di un consulente linguistico51. Quello alla base del doppiaggio, inoltre, può essere definito come un complesso unitario; in questo, infatti, vengono uniti linguaggi di vario tipo, tra cui quello

sonoro, visivo, verbale e non verbale52, fatto per l’appunto già reso chiaro nel paragrafo

precedente.

Elemento di fondamentale importanza per una efficiente realizzazione di un doppiaggio è la sincronia labiale, ben diversa dalla sincronia con i turni del parlato a cui devono

attenersi i sottotitoli (il che peraltro ne rappresenta solo uno delle più logiche costrizioni, oltre alla natura effimera dello scorrere sullo schermo53). L’importanza di creare dialoghi

fedeli ai movimenti labiali da parte degli autori può essere compresa dalle parole del dialoghista Luigi Calabrò, che nello specifico si riferisce in questo caso alle caratteristiche sintattiche diverse che la lingua inglese presenta rispetto alla nostra54:

Non dimentichiamo che noi adattatori siamo sempre condizionati dal sinc. Anche se, tra

i vari condizionamenti, c’è quello più pericoloso: la struttura del linguaggio americano che ci fa chiamare per nome i personaggi pur continuando a dargli del lei, che ci fa dire: “abbi cura di te”, che ci fa dire, “io abitavo al terzo piano dieci anni fa” (con la temporale alla fine), che ci fa usare espressioni estreme (“di tutta la mia vita”, “per il resto della mia vita”), che ci fa esagerare.

Questa sincronia si lega tanto ad aspetti quantitativi (lunghezza delle parole, movimenti della bocca) quanto ad aspetti qualitativi (cambio del tono della voce o velocità di eloquio), nonchè ad elementi di stampo paralinguistico, come la relazione tra le parole dette e il linguaggio del corpo55. La creazione di un prodotto doppiato vedrà dunque il

rispetto della sincronia labiale come una delle norme principali a cui attenersi, pena una perdita di credibilità e un giudizio conseguentemente negativo da parte del pubblico56.

D’altronde, i prodotti audiovisivi “dovrebbero, per convenzione, presentare certe caratteristiche specifiche che contribuiscano al loro riconoscimento da parte del pubblico, per il modo in cui vengono fruiti e, dunque, per il loro prevedibile successo57”.

Una volta che queste convenzioni (il cui peso dipenderà del prodotto audiovisivo specifico con cui si ha a che fare) saranno identificate, “allora dovranno essere valutate per verificare se vanno incontro agli standard qualitativi o se si conformano semplicemente a convenzioni storiche più o meno consolidate58.”

Gli spettatori non devono percepire la sensazione che il film che stanno guardando sia stato realizzato in una lingua diversa dalla loro; questa “sospensione dell’incredulità” in 51 Chaume F. (2004), pp. 32 52 Grozavescu D., pp. 108 53 Tonin R., pp. 214 54 Calabrò L., pp. 92 55 Motta D., pp. 953 56 Chaume F. (2007), pp. 76 57 Ivi, pp. 73 58 Ibidem

(16)

cui è coinvolto il pubblico rende il doppiaggio una illusione, all’interno dell’arte cinematografica59. Tra la battuta del doppiatore e il turno dell’attore vi è dunque totale

corrispondenza temporale. In ogni caso, il labiale stesso, come ricorda la Fois, “non deve diventare una dominante rigida dell’adattamento se tale rispetto va a discapito della piena efficacia comunicativa del prodotto in generale60”.

La creazione di un dialogo doppiato tiene conto non solo di aspetti interlinguistici, ma anche di aspetti di stampo puramente paralinguistico e visivo, impiegando un codice scritto61. Sulla base di questo fatto, possiamo quindi affermare, così come sostenuto da

Duff, che la creazione di un dialogo contribuisca a migliorare le proprie capacità linguistiche, nel rispetto delle espressioni idiomatiche di L1 e dei suoi riferimenti culturali62. In questi casi, l’abilità da parte del doppiatore consisterà soprattutto nel

saper dividere il lavoro nei suoi vari costituenti, individuando i vari aspetti del codice verbale e quello non verbale per poi unirli, al fine di creare un tutt’uno che sia del tutto coerente da un punto di vista semantico e soddisfacente da un punto di vista comunicativo63. Insieme al resto dello staff di produzione di un film, il doppiatore avrà

quindi un ruolo attivo, poiché contribuirà a prendere quelle decisioni che decreteranno il “make-up testuale”, espressione di Diaz Cintas64, del dialogo nella lingua di arrivo.

Il materiale audiovisivo doppiato vanta inoltre un mercato di distribuzione più ampio; basti pensare ad esempio ai vari film di animazione, distribuiti nella maggior parte dei casi in forma esclusivamente doppiata, senza presentare sottotitoli.

Uno dei vantaggi più evidenti del doppiaggio è quello di garantire una esperienza di visione più soddisfacente; il pubblico deve infatti limitarsi ad ascoltare le voci dei personaggi65, senza la preoccupazione della lingua di origine e senza dover concentrare

l’attenzione sulla parte bassa dello schermo. L’effettiva riuscita di un doppiaggio si misura infatti sulla sua capacità di occultare la natura di testo tradotto del proprio testo66; ma saremo comunque consapevoli di avere a che fare con un prodotto

straniero, proprio grazie ai movimenti labiali, non corrispondenti a quelli tipici della lingua italiana, e anche alle immagini, nonché ai vari rimandi culturali67. Tuttavia, come

afferma Osimo (2011), “i film doppiati disabituano a pensare alle differenze culturali, non contribuiscono a mettere a nudo il senso della propria identità culturale e frustrano la curiosità per ciò che è diverso: sono un contributo al provincialismo culturale e un ostacolo alla formazione del relativismo culturale68”.

59 Diaz Cintas J. (2018), pp. 1 60 Fois E., pp. 8 61 Ivi, pp. 9 62 Lertola J., pp. 31 63 Paolinelli M., DI Fortunato E. (2005), pp. 6 64 Diaz Cintas J. (2018), pp. 1 65 Perego E. (2015), pp. 192 66 Osimo B., pp. 187 67 Fawcett P., pp. 76 68 Osimo B., pp. 187

(17)

Opposta a quella di Osimo è l’idea di Danan (2001):

“Il doppiaggio, in breve, è una affermazione della supremazia della lingua nazionale e del suo incontestabile potere politico, economico e culturale all’interno dei confini nazionali69.”

Altro vantaggio riguarda i diretti interessati di questa procedura audiovisiva, ovvero i doppiatori, i quali infatti, nel caso in cui debbano doppiare un prodotto in una lingua per loro straniera, avranno la possibilità di migliorare la loro pronuncia e anche la loro intonazione70. Inoltre, spesso il doppiaggio consente di riprodurre nel modo più fedele

possibile la spontaneità del parlato quotidiano, ricorrendo a strategie come le dislocazioni e le frasi scisse, compensando anche il divario sociolinguistico che si manifesta nel passaggio da lingua di partenza a lingua di arrivo71. La frequenza di tali

costruzioni viene dimostrata dagli esempi che Motta estrae dalla traduzione della serie americana Bewitched (Vita da strega), per quanto riguarda le dislocazioni a sinistra 72.

69 Danan M., pp. 55 70 Lertola J., pp. 31 71 Motta D., pp. 957 72 Ivi, pp. 958

(18)

e dalle traduzioni di varie serie tv per quanto riguarda invece le dislocazioni a destra73.

A questo proposito, Motta si sofferma pure su un altro aspetto linguistico tipico delle traduzioni italiane di serie tv americane74: il ricorso a una sintassi costituita da frasi brevi

ed essenziali.

73 Ivi, pp. 959 74 Ivi, pp. 964

(19)

Lo svantaggio più evidente del doppiaggio è invece rappresentato dal fatto di dover rispettare i tempi di recitazione in una scena e anche la capacità sintetica di una lingua di partenza75. il doppiatore (spesso definito pure come adattatore) deve saper

letteralmente mettere in bocca all’attore le lunghezze, le pause, i labiali e i ritmi76. Vi

sono invece casi in cui risulta impossibile seguire al tempo stesso il movimento delle labbra e il vero significato di ciò che gli attori dicono; andrà quindi stabilito quale sia l’elemento dominante nella nostra traduzione77. In ogni caso, la sottotitolazione,

modalità descritta nel prossimo paragrafo, non deve neppure essere pensata come un impedimento cognitivo alla comprensione del prodotto audiovisivo 78. Altro

svantaggio, che si lega alla idea di Osimo espressa in precedenza, è poi legato dalla perdita di autenticità che il doppiaggio comporta79; le voci originali degli attori del film,

strettamente legate a gesti, espressioni facciali e linguaggio del corpo, vengono infatti rimpiazzate da quelle dei doppiatori. L’importanza della voce in lingua originale è essenziale; basti pensare all’intonazione. Quando non comprendiamo una parola in una lingua, il tono con cui questa viene pronunciata ci può trasmettere moltissime informazioni, evocando il clima di una determinata situazione80.

Non va dimenticato, inoltre, che il doppiaggio risulta svantaggioso rispetto alla sottotitolazione se considerato in termini di spese; il suo costo rispetto alla sottotitolazione è solitamente dalle cinque alle dieci volte maggiore81. Ciononostante,

in molti casi il doppiaggio risulta prediletto grazie alle entrate economiche che garantisce, e questo perché la sincronia dei movimenti labiali degli attori con le voci dei doppiatori rappresentano la strategia di maggiore presa sugli spettatori82.

Una delle classificazioni tipologiche di doppiaggio più note è quella di Burston, peraltro ricordata da Lertola (2019)83; la distinzione riguarda i diversi gradi di difficoltà e si basa

su:

-il doppiaggio di base di un video, consistente nella semplice sostituzione delle voci

originali come le voci di studenti che si vogliano mettere alla prova;

-la creazione di uno scenario, nel caso in cui tali studenti, spesso più esperti, vogliano

cimentarsi pure nella creazione di trame e/o copioni di filmati muti.

Inoltre, al giorno d’oggi sono molte le risorse in rete che stanno rendendo la procedura del doppiaggio sempre più fruibile e alla portata di tutti. Citiamo come esempio Act Inside the Video Environment (ActIVE), la web-app sviluppata da Yachi e Karimata (2008), grazie a cui giovani studenti si possono cimentare nel doppiaggio di corte clip,

75 Fois E., pp. 7 76 Traversi M., pp. 146 77 Osimo B., pp. 185 78 Perego E. (2015), pp. 194 79 Tweit J.E., pp. 92 80 Ivi, pp. 93 81 Ivi, pp. 94 82 Ibidem 83 Lertola J., pp. 33

(20)

nella propria lingua materna o comunque in una lingua straniera a loro nota84.

Per realizzare un doppiaggio, si può ricorrere a diverse strategie85:

1) spostamento: vengono ad esempio impiegate, attraverso variazioni semantiche, espressioni più colorite rispetto a quelle presenti nel testo di partenza, per poter caratterizzare meglio il personaggio;

2) aggiunta: vengono inserite porzioni di testo in più rispetto a quelle presenti nel testo di partenza, specie nei casi in cui non viene inquadrato il personaggio che sta parlando e non vi sono pertanto esigenze di rispettare la sincronizzazione labiale;

3) chiarificazione: vengono spiegate espressioni che possono rendere complicata la comprensione del dialogo;

4) cancellazione: vengono eliminate parole ed espressioni facenti riferimento alla cultura originaria del prodotto audiovisivo, considerate come ignote al pubblico di arrivo.

Chaume (2007) enuncia le priorità che dovrebbero essere rispettate nella creazione di un doppiaggio, tra le quali, oltre alla sincronia del labiale, sono comprese:

a) la stesura di dialoghi credibili e realistici, basati sul registro tipico della lingua di arrivo;

b) la coerenza tra ciò che viene udito e ciò che viene detto e, analogamente, la coerenza tra il copione e la coesione dialogica;

c) la fedeltà nei confronti del testo di partenza, da intendere come fedeltà al contenuto, alla forma, alla funzione;

d) l’ampia gamma di fattori puramente tecnici. La versione originale dei dialoghi deve essere totalmente omessa e il volume delle voci registrate deve essere adeguatemente regolato;

e) una interpretazione da parte degli attori adeguata al tipo di dialogo scritto. Chaume, infatti, sostiene che “ai doppiatori è richiesta una interpretazione tale da far si che il parlato non risulti finto o monotono”.

1.3.1. Storia del doppiaggio: origini e diffusione

Il doppiaggio nasce nel corso degli anni Trenta del secolo scorso; il suo primo prototipo venne realizzato dal fisico austriasco Jakob Karol e consisteva nella sostituzione della colonna sonora relativa al parlato con un’altra con dialoghi tradotti recitati in una lingua diversa rispetto a quella originale86. La sua nascita fu una risposta alla crisi che molte

case cinematografiche europee stavano attraversando in quel momento a seguito dello scoppio della cosiddetta Talkie Revolution, basata sulla commercializzazione di film sonori con annesso dialogo sincronizzato. I regimi totalitari e nazionalisti non potevano che essere contrari alla progressiva diffusione del doppiaggio nel mondo cinematografico, poiché questo avrebbe contribuito alla diffusione globale di ideologie

84 Ivi, pp. 36

85 Diadori P., pp. 530

(21)

contrarie rispetto a quelle dei rispettivi leader dei paesi.

Le varie leggi proibitive imposte dai paesi europei, finalizzate a limitare al massimo, se non vietare totalmente, la diffusione di prodotti provenienti da fuori Europa, mise a dura prova l’industria cinematografica americana. Il doppiaggio rappresentò pertanto una valida soluzione al problema, e perquanto sia vero il fatto che il doppiaggio, almeno nella sua fase primitiva, agisse da vero e proprio filtro censorio, va al tempo stesso ricordato come la sua espansione lo abbia in seguito reso sempre di più lo strumento più efficace, in ambito cinematografico, per la diffusione di una cultura.

1.3.1.1. Italia

La storia del doppiaggio in Italia può essere suddivisa in due fasi:

- la prima di queste ha inizio nel pieno del periodo fascista e termina nel dopoguerra, caratterizzata da un forte atteggiamento conservatore da un punto di vista linguistico;

- la seconda, invece, ha inizio negli anni Settanta, durante cui la comparsa delle prime emittenti televisive private rappresentò un vero e proprio punto di svolta; le società di produzione televisiva imposero una limitazione sui tempi di produzione dei doppiaggi, il che ne limitò ampiamente la qualità.

Il fatto che il doppiaggio sia sorto in Italia nel pieno del periodo fascista ci fa intuire quanto l’unico e solo obbiettivo fosse quello di perseguire una certa “autarchia linguistica”, preservando l’italiano standard e proteggendolo da eventuali influenze di altri varianti linguistiche straniere. Catolfi (2015) parla a tale proposito di “xenofobia linguisitca”, riferendosi più ai dialetti che alle lingue straniere87. Basti

pensare che nel 1929 il Ministro degli Affari Interni vietò espressamente la circolazione di qualsiasi pellicola che non fosse realizzata in lingua italiana, mentre una legge ancor più severa, redatta cinque anni dopo, impose l’esclusione di qualsiasi parola straniera all’interno di un film. Peraltro, il doppiaggio contribuì notevolmente a diffondere una variante linguistica ufficiale per il nostro paese, una lingua pura, “esente da ogni influsso straniero88”, che fino a quel momento era

esistita esclusivamente in forma scritta; all’interno delle varie regioni, infatti, il parlato prediligeva sempre i diversi dialetti.

In maniera analoga alla dittatura di Franco in Spagna, pure quella mussoliniana all’interno del nostro paese fu caratterizzata, in ottica cinematografica, da una forte impronta protezionista; basti pensare alla legge emanata dal Consigilo dei ministri nel 1927, in base alla quale le prime visioni proiettate nelle sale dovevano comprendere una pellicola italiana per ogni dieci pellicole straniere, le quali furono soggette ad una maggiore azione di censura da parte del regime89. Inoltre, tra il 1927

e il 1929 il ministro italiano della finanza dell’epoca, Volpi di Misurata, aumentò le tariffe sull’importazione in Italia di film stranieri. Circa nove anni dopo (settembre

87 Catolfi A., pp. 4 88 Ibidem

(22)

1938) venne imposta dallo stato una legge che decretava il monopolio della importazione cinematografica, fattò che provocò la reazione dei quattro più importanti produttori statunitensi, che decisero in seguito di non importare più film in Italia. Le ripercussioni negative furono evidenti; come possiamo intuire dai dati forniti da Venturini, nel 1038 i film americani rappresentavano ben il 73,5% degli incassi complessivi, e ben 89 erano i film prodotti dalle stesse quattro case cinematografiche americane che avevano annunciato la fine dell’importazione dei loro prodotti in Italia90. In questo arco temporale appena citato, ad ogni modo,

furono molte le leggi promulgate che condizionarono fortemente la diffusione del doppiaggio in italia. Oltre a quella del febbraio 1934, che imponeva il pagamento di 25.000 lire per ogni pellicola estera importata, ricordiamo quella del 11 aprile 1938, con cui viene proibito l’impiego nei doppiaggi del pronome allocutivo “Lei”91.

L’arrivo in italia dei primi film contenenti dialoghi con voci, a partire dal 1927, impose uno sviluppo nelle tecniche e nella produzione cinematografica. Due anni dopo, Stefano Pittaluga, direttore di una delle industrie cinematografiche italiane di maggiore impatto dell’epoca, la Cines, decise di fornire di apparecchiature all’avanguardia le proprie sale di produzione, per poter curare nel migliore dei modi l’aspetto sonoro delle sue pellicole. Per volontà dello stesso Pittaluga, “forse l’unico imprenditore cinematografico italaino dotato in quel periodo di una mentalità in anticipo sui tempi92”, e di Emilio Cecchi, nacque poi, tra il 1930 e il 1932, il primo

stabilimento di doppiaggio in Italia, all’interno della sede della Cines, con lo scopo di sonorizzare e diffondere i film in più lingue93. Nel 1933, poi, venne fondata da

Vincenzo Sorelli la ItalaAcustica, mentre l’ingegnere Salvatore Persichetti attrezzò, nel corso dello stesso anno, lo stabilimento di doppiaggio Fono Roma con strumentario tecnico adeguato94.

Dati relativi alla produzione e distribuzione di film in Italia all’inizio degli anni Trenta sono riassunti nella tabella presente nella pagina seguente95, tratta da Nicoli (2011).

Lo stesso autore ci ricorda che tra il 1929 e il 1933 furono proibite ben 492 pellicole straniere, 360 delle quali provenienti dagli Stati Uniti96.

90 Venturini A., pp. 55 91 Catolfi A., pp. 12 92 Ivi, pp. 9 93 Ivi, pp. 7 94 https://www.treccani.it/enciclopedia/doppiaggio_(Enciclopedia-del-Cinema) 95 Nicoli M., pp. 791 96 Ibidem

(23)

Una delle conseguenze più logiche fu quella di iniziare a pensare a sceneggiature molto più elaborate, rispetto a quelle realizzate fino a quel momento per film privi di dialogo. Un ulteriore problema fu poi rappresentato dalla esportazione delle nostre pellicole all’estero; tale esportazione necessitava infatti non solo l’introduzione del doppiaggio, ma anche la cura della sincronia labiale. Un doppio processo che comportava dunque maggiori spese, che le imprese cinematografiche europee e americane iniziarono a fronteggiare attraverso la produzione dei loro lungometraggi anche in “versione straniera”. Le necessità aumentarono dunque sempre di più, fatto che portò a una nuova legge, quella del 5 ottobre 1933, con la quale venne imposto che il doppiaggio in Italia venisse sempre realizzato da personale artistico e tecnico di nazionalità esclusivamente italiana97.

In ogni caso, occorre ricordare che la comparsa del doppiaggio nel cinema italiano rappresentò una vera e propria svola, per una industria che negli anni Venti stava attraversando una profonda crisi; i dati forniti da Catolfi (2015) indicano che i film muti prodotti in Italia erano passati dai 1029 del 1911 ai 415 del 1920 e addirittura soltanto 23 nel 1929. La comparsa del sonoro nelle pellicole consentì in seguito una crescita delle produzioni italiane, nel 1933 si conteranno infatti 36 film italiani e 260 stranieri diffusi nelle sale del nostro paese98. Oltretutto, la comparsa del doppiaggio

in Italia ebbe tra le sue conseguenze più positive quella di dare vita ad una vera e propria convergenza tra i mezzi; “chi fa la radio o è attore di prosa”, come ci ricorda Catolfi in riferimento a questo fatto, “diventa, per naturale mutazione, attore cinematografico o doppiatore99”.

La comparsa del suono, tuttavia, ebbe per l’industria cinematografica del nostro paese ripercussioni inizialmente negative; questo perché i primi film “parlati” diffusi in Italia erano esclusivamente in lingua straniera, senza contare la carenza di

97 Ivi, pp. 5 98 Ivi, pp. 3 99 Ivi, pp. 6

(24)

adeguate attrezzature, almeno in una prima fase, all’interno delle sale. Oltretutto, i primi film con dialoghi in lingua italiana importati all’estero non furono certo in grado di ottenere lo stesso consenso rispetto a prodotti provenienti da altre nazioni. La prima fase del doppiaggio in Italia può inoltre considerarsi ampiamente sperimentale; molto spesso venivano realizzate le cosiddette “versioni multiple”.

Accadeva in certi casi che quando le versioni erano in due lingue diverse, veniva mantenuto lo stesso regista, come succede nel caso del film L’opera da tre soldi del 1931; diretto da Georg Wilhelm Pabst, ne venne realizzata una versione in tedesco e una in francese100. Un’altra soluzione era quella di creare film “paralleli”, con attori

che parlassero la lingua del paese in cui il film sarebbe stato distribuito

I primi tentativi di film con dialoghi parlati in Italia risalgono per l’esattezza al 17 maggio 1930101; le spese che le industrie cinematografiche italiane dovettero

affrontare per questa innovazione furono garantite dai sussidi economici da parte del governo. Nel corso dello stesso anno, fu prodotto il primo film con dialoghi parlati in italiano, La canzone dell’amore, diffuso in tre lingue diverse (italiano, francese e tedesco), diretto da Gennaro Righeli e presentato per la prima volta il 5 ottobre 1930 al Supercinema di Roma, peraltro in presenza di Benito Mussolini102.

La produzione di film doppiati negli anni Trenta si aggirava economicamente intorno alle 600.000 lire (circa 310 euro).

Molti attori, nel frattempo, iniziarono ad essere ingaggiati dal colosso cinematografico statunitense Paramount, per poter realizzare negli studi di Joinville le versioni italiane di film americani; tra i nomi più celebri dell’epoca, citiamo Andreina Pagnani, Paolo Stoppa e Rina Morelli. Un gran numero di attori italiani cominciò dunque a mettere in mostra una spiccata abilità di doppiare le voci straniere, grazie alla loro capacità di mimetismo; celebre, ad esempio, la voce italiana data a Greta Garbo da Tina Lattanzi, così come la voce in falsetto di Jerry Lewis interpretata da Carlo Romano103.

Con l’arrivo degli anni Quaranta, il doppiaggio italiano sembrò apparentemente destinato ad attraversare una crisi; l’articolo “Vita impossibile del signor Clark Costa”, apparso sul numero 105 del 1940 della rivista Cinema, riassumeva il pensiero dei molti intellettuali del tempo contrari a una ulteriore diffusione del doppiaggio di film stranieri, ritenendo la sottotitolazione una pratica più opportuna. Ma il giornalista Michelangelo Antonioni, autore di quell’articolo, propose successivamente un referendum, che mise in luce l’ormai radicata preferenza da parte del pubblico italiano per la tecnica del doppiaggio. La fondazione della CDC (Cooperativa Direttori Cinematografici) nel 1944 e della ODI (Organizzazione Doppiatori Italiani) nel 1945 contribuì notevolmente ad affermare quelle voci che ebbero un ruolo fondamentale nella diffusione del cinema, specie statunitense, tra gli anni Quaranta e Cinquanta. Proprio agli inizi degli anni Cinquanta un nuovo clima

100 Ivi, pp. 8

101 Nicoli M., pp. 789

102 https://www.treccani.it/enciclopedia/doppiaggio_(Enciclopedia-del-Cinema) 103 Ibidem

(25)

di tensione tra queste due principali società portò ben presto alla loro scissione, conducendo alla nascita di nuove compagnie, come la Ars cinematografica, la CID (Compagnia Italiana Doppiatori), la SAS (Società Attori Sincronizzati) e la CVD (Cine-Video Doppiatori); il successo dei vari telefilm, soap opera e telenovelas importate in seguito dall’estero, a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, avrebbe poi garantitito la nascità di ulteriori società104. Queste, infatti, come afferma Motta (2015), “hanno

giocato un ruolo importante nella storia della televisione italiana, sia quantitativamente sia qualitativamente, offrendo al pubblico italiano importanti modelli linguistici e sociolinguistici105”, fornendo “un contatto diretto con i prodotti

stranieri, e ciò potrebbe avere mitigato la compattezza linguistica delle produzioni televisive nazionali106”.

Come testimoniato i dati presenti alla voce relativa al doppiaggio della enciclopedia online della Treccani, a garantire l’incremento di doppiatori presenti in Italia fu l’avvento delle prime emittenti televisive private, che portò infatti, a partire da circa 300 doppiatori nel corso degli anni Cinquanta, a oltre 1500 nel 2001; al tempo stesso la qualità del lavoro è via via calata a mano a mano che ai doppiatori venivano richiesti ritmi lavorativi sempre più frenetici107.

1.3.1.2 Spagna

Per quanto riguarda la Spagna, uno dei periodi più critici da prendere in considerazione riguardo la diffusione del doppiaggio è senza dubbio quello della dittatura di Franco, dal 1939 al 1975. Le ideologie alla base di questa dittatura, fortemente legata all’idea di nazionalismo linguistico108, così come quella mussoliniana, esercitarono una forte influenza sulla diffusione, e di conseguenza sul potenziale successo, di molte pellicole uscite durante questo periodo all’interno della penisola iberica. Una vera e propria svolta venne rappresentata dalla decisione presa dalla dittatura franchista nel 1941, anno nel quale infatti venne imposto il doppiaggio obbligatorio per tutte le pellicole con voci in lingue straniere diffuse nel territorio spagnolo. Questa decisione consentì alla censura di alterare il contenuto semantico in lingua originale dei dialoghi, in modo tale da poter eliminare eventuali messaggi di propaganda politica contrari all’opinione pubblica. L’imposizione del doppiaggio in Spagna, inoltre, rispondeva alle esigenze dettate dalla politica economica fortemente protezionista del dopoguerra; la situazione in cui si trovava l’industria cinematografica era infatti deficitaria, e per poterla risollevare era necessario incrementare la produzione di pellicole locali, riducendo così l’importazione di quelle straniere. Due anni prima, intanto, il Ministero dell’Industria 104 Ibidem 105 Motta D., pp. 951 106 Ivi, pp. 952 107 Ibidem 108 Estivill Perez J., pp. 678

(26)

e del Commercio spagnolo aveva istituito la Subcomisión Reguladora de la

Cinematografía, avente come scopo quello di “porre le onerose importazioni di film

stranieri al servizio dell’industria nazionale109”; quelle appena riportate sono le

parole presenti nel Boletín Oficial del Estado del 20 ottobre 1939. In linea con l’impronta fortemente nazionalista di Franco, questo nuovo organo emanò nel corso dello stesso anno un decreto che imponeva la realizzazione di almeno una pellicola in lingua spagnola su dieci realizzate; lo stesso decreto, inoltre, imponeva pure il doppiaggio di almeno il 90% delle pellicole straniere importate. Ciò indusse le industrie cinematografiche straniere a cambiare politica commerciale: i film iniziarono a essere doppiati e non più a essere diffusi nella loro versione originale con sottotitoli, dato che il doppiaggio consentiva di raggiungere indubbiamente una porzione di pubblico molto più ampia. Furono molte le imprese cinematografiche che, sollecitate dalle leggi imposte dal mercato, puntarono proprio sulla procedura del doppiaggio, tra le quali le tre più grandi della industria cinematografica spagnola: la Cifesa, la CeA e la Ulargui Films110.

Arriviamo al 23 aprile del 1941, data in cui il Sindacato Nazionale dello Spettacolo (Sindacato Nacional del Espectáculo) stabilì un insieme di misure protezionistiche, atte a incrementare la produzione di film, con cui venne stabilita una tassa per ogni pellicola cinematografica straniera importata; la cifra variava in base alla stima sul potenziale rendimento sul mercato del film (75.000 pesetas per i film di “prima categoria”, 50.000 per quelli di “seconda categoria” e 25.000 per quelli di terza, rispettivamente 450, 300 e 150 euro attuali)111. Due delle quattordici norme stabilite

da questo nuovo mandato si riferiscono al doppiaggio:

- la prima di questa manteneva inalterata la proibizione di proiettare film in altre lingue che non fossero lo spagnolo, a meno che non fosse concessa una autorizzazione speciale. Gli stessi film, inoltre, dovevano essere stati precedentemente doppiati, all’interno di studi rigorosamente situati in Spagna e per mano di professionisti spagnoli;

- la seconda di queste, invece, imponeva per ogni lungometraggio il pagamento a titolo di licenza per il doppiaggio della cifra di 20.000 pesetas.

Le misure imposte dal Sindacato consentirono così di incrementare i fondi economici, facilitando la realizzazione di lungometraggi; i dati forniti da Estivill Perez ci dicono che, in confronto ai 24 e 31 film prodotti in Spagna rispettivamente nel 1940 e nel 1941, ne furono prodotti 52 nel 1942 e 47 nel 1943112.

1.3.1.3. Il doppiaggio nella attualità

Arrivando ai giorni nostri, possiamo affermare l’importanza assoluta che il doppiaggio ha avuto e continua ad avere nel successo delle varie pellicole hollywoodiane. Tuttavia, negli Stati Uniti il doppiaggio non gode della stessa

109 Ivi, pp. 679 110 Ivi, pp. 680 111 Ivi, pp. 682 112 Ivi, pp. 684

(27)

diffusione di cui gode nel nostro continente; questo perché, come ricorda Snegoff, non sono presenti distributori e produttori seriamente intenzionati a investire in questa procedura113. Lo stesso Snegoff, come molti traduttori italiani, ritiene inoltre

che le pellicole europee potranno farsi strada pure nel mercato americano solo dopo essere state doppiate in almeno in una lingua diversa rispetto a quella originale all’interno del nostro continente.

1.4. La sottotitolazione

Questa modalità è basata invece sulla aggiunta di nuovi “indizi” ai codici semantici già presenti nel prodotto di partenza: troviamo parole scritte corrispondenti ai dialoghi (elaborate attraverso una ponderata decisione relativa a cosa rinunciare, nel processo di sintesi che porta alla loro realizzazione114), o semplicemente voci fuori campo, in

sovraimpressione sul video, solitamente in corrispondenza della parte bassa dello schermo; così facendo, si crea una contemporanea presenza tra elementi portatori di significato, presenti appunto in forma visiva, ed elementi privi invece di significato, presenti invece in forma acustica (le battute degli attori)115. Originariamente, il termine

“sottotitolo” faceva riferimento al titolo secondario che spesso segue il titolo originario di un film116.

I sottotitoli garantiscono sia traduzioni di tipo interlinguistico sia di tipio intralinguistico. In ogni caso, al di là della tipologia, celano sempre un doppio passaggio a livello diamesico. Oltre al passaggio dallo scritto al copione, infatti, la sottotitolazione comporta pure quello dal parlato del recitato allo scritto delle linee in cui è compreso sullo schermo117. Consentono quindi di “colmare la distanza118” tra il parlato della lingua

di partenza e lo scritto nella lingua di arrivo

Nel caso dei sottotitoli interlinguistici abbiamo a che fare con sottotitoli generalemnte

costituiti da una o due linee, sempre collocati nella parte inferiore dello schermo. Nel caso dei sottotitoli intralinguistici (noti pure come didascalie119), invece, abbiamo

una coincidenza tra la lingua dei sottotitoli e il programma. Il formato può essere diverso, così come la finalità; possono avere uno scopo educativo, oppure quello di facilitare la comprensione per utenti con problemi auditivi. In questo caso, la trascrizione dei dialoghi è solitamente letterale, senza che vengano dunque omessi elementi o che questi vengano ridotti, tecnica molto comune per la sottotitolazione. Da un punto di vista puramente tecnico, altra distinzione è quella che riguarda i

sottotitoli aperti, da dover distinguere dai sottotitoli chiusi; mentre i primi non possono

essere deselezionati, e sono quindi del tutto “incorporati” alle immagini con cui vengono proiettati, per i secondi vale invece l’opzione di attivarli o meno, in base alle competenze linguistiche (e soprattutto fonetiche) dello spettatore.

113 Snegoff G., pp. 78 114 Tonin R., pp. 214 115 Mokhtar F. B, pp. 23 116 http://www.thatsparole.com/come-nascono-i-sottotitoli 117 Tonin R., pp. 214 118 Foerster A., pp. 83 119 Diaz Cintas J. (2010), pp. 347

Riferimenti

Documenti correlati

Per raccogliere dati definitivi su questo aspetto anco- ra irrisolto relativo alla fruizione del prodotto audiovisivo tradotto ci si prefigge quindi di replicare lo studio in

Dove si sono membri di gang all’interno di una comunità, l’appartenenza è certamente un fattore saliente nella costruzione dell’identità di questi giovani adulti,

Tra le varie problematiche che emergono nella sottotitolazione per persone sorde, l’aspetto più complesso del nostro lavoro è stato l’utilizzo del dialetto nel film, a

responsibility) 18 shown towards others. This means that before finding individual and specific fulfilment, freedom and responsibility are mutually implied as co-freedom

In fact, there was no significant difference in responsiveness to ET-1 between the intact ductus being kept in the dark and the endothelium-denuded ductus exposed to light.. Effect

Membrane gamma-glu- tamyl transpeptidase activity of melanoma cells: effects on cellular H 2 O 2 production, cell surface protein thiol oxidation and NF- B activation

Inutile dire che la semplice menzione nel necrologio non basta per dimostra- re l’appartenenza alla congregazione vallombrosana, dato che queste liste di defunti comprendevano

Non tutte le ipotesi di ritardata esecuzione della prestazione assumono rilevanza giuridica ai sensi della normativa comunitaria (peraltro espressamente richiamata dal combinato