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Il lobbismo tra rappresentanza di interessi e decisione pubblica

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Tesi di Laurea

Il lobbismo

tra rappresentanza di interessi e decisione pubblica

 

 

 

 

 

Relatore:

Chiar.ma Prof.ssa Michela Passalacqua  

Candidato: Alessio Taccola

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INDICE

Introduzione

CAPITOLO I L’attività di Lobbying

1. Gruppi di interesse, gruppi di pressione 2. La definizione di “attività di Lobbying” 3. I caratteri essenziali del lobbismo

3.1 L’aspetto della comunicazione e il rapporto con il sistema partitico

3.2 Quomodo: le modalità di partecipazione degli interessi organizzati al processo decisionale

CAPITOLO II

L’inquadramento giuridico del lobbismo in Italia

1. La natura “strisciante ad andamento schizofrenico” della regolamentazione italiana

2. Le Lobby nei Principi Costituzionali e nelle sentenze della Consulta

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2.1 Una lettura “costituzionalmente orientata” del fenomeno lobbistico

2.2 L’apertura della Corte Costituzionale alle istanze dei gruppi di pressione

2.3 La partecipazione ai processi decisionali nella proposta di riforma costituzionale “Renzi-Boschi”

3. La (assenza di una) disciplina organica: le proposte avanzate 4. I Regolamenti Parlamentari, la normativa AIR e VIR

5. La disciplina regionale: le leggi in tema di rappresentanza degli interessi

5.1 La Legge Regionale Toscana (e del Molise) 5.2 La Legge Regionale dell’Abruzzo

5.3 Le recenti esperienze regolatorie di Calabria e Lombardia

CAPITOLO III

Attività amministrativa e rappresentanza di interessi 1. Il concetto di “Clientela”

2. Partecipazione al procedimento amministrativo e attività di lobbying

2.1 Il ruolo del rappresentante nell’attività di ponderazione degli interessi

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2.2 Le norme in materia di partecipazione al procedimento amministrativo

3. La partecipazione degli interessi particolari alle attività delle Authorities

3.1 Gli incontri informali e i tavoli tecnici 3.2 Le audizioni pubbliche

3.3 Le consultazioni telematiche

4. Il registro della trasparenza del Ministero dello Sviluppo Economico

4.1 La complementarietà della nuova normativa anticorruzione 4.2 La “disciplina dei regali” e del conflitto d’interessi

5. La riforma in materia di contratti pubblici

CAPITOLO IV

La disciplina del lobbying nell’Unione Europea 1. Il modello della “Regolamentazione-Partecipazione”

2. La riflessione giurisprudenziale europea (ed americana) sullo “standing”

3. Verso una regolamentazione (non vincolante) dell’attività di lobbying nell’Unione europea

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3.2 Le disposizioni sul lobbying nei Trattati europei 3.2.1 La portata innovativa dell’Articolo 11 TUE 3.2.2 Altre disposizioni

4. L’attuale disciplina dell’Unione Europea 4.1 Gli accordi interistituzionali 2011-2014

4.2 Il Regolamento del Parlamento europeo sugli interessi finanziari dei MEP

4.3 La Proposta di un registro unico obbligatorio

5. Il lobbying europeo: strumento di promozione della democrazia?

Conclusioni Bibliografia

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INTRODUZIONE

La tradizione giuridica continentale, a causa di un atteggiamento storicamente conservativo, ha da sempre ostracizzato il divenire delle novità giuridiche d’oltreoceano, sottovalutando per lungo tempo e fin troppo semplicisticamente, tra gli altri, il tema dell’attività di rappresentanza degli interessi privati presso i decisori pubblici. Al contrario della riflessione avvenuta negli Stati Uniti, paese identificato già da Toqueville come patria del lobbismo, la dottrina europea si è limitata per lungo tempo ad una mera analisi empirica del fenomeno, declassando tali attività a dato di fatto e componente ineluttabile di qualsiasi sistema di regolazione. Tale interpretazione lato sensu “fisiologica” del lobbying, che impediva un vero approccio scientifico alla materia, è stata ragionevolmente superata in gran parte degli ordinamenti, grazie al contestuale concretizzarsi di una serie di fattori. In primo luogo, la nascita dello stato costituzionale di diritto, che riconoscendo (specialmente negli ultimi venti anni) la trasparenza del law making process come elemento indefettibile per la democraticità del sistema, ha sostanzialmente posto in capo al legislatore l’obbligo di prevedere sistematiche e coerenti procedure

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di interazione tra decisori pubblici — per definizione liberi nella determinazioni delle finalità collettive — e il sistema di rappresentanza degli interessi, vincolato dalla specificità degli obiettivi individuati dai soggetti particolari. In secondo luogo, con lo sviluppo della c.d. “democrazia industriale”, che di pari passo con la caduta verticale dei partiti come soggetti d’intermediazione degli interessi, ha spinto i cittadini ad organizzarsi per promuovere un dialogo diretto e costruttivo con il policy-maker, con l’obiettivo di tutelare le proprie ragioni di natura economica, e non solo.

Partendo da questa articolata premessa, il presente elaborato si propone un duplice obiettivo: rivendicare un necessario superamento della negativa percezione dell’attività di “lobbying”, aprioristicamente confusa nell’ordinamento italiano con forme di corruzione o di inquinamento del circuito democratico-rappresentativo, ed individuare le principali caratteristiche di alcuni dei modelli di regolazione, che — direttamente o incidentalmente — realizzati, hanno concorso alla determinazione di un sistema multilivello di governance nazionale ed europeo sempre più partecipato e aperto al confronto istituzionale con le crescenti istanze pluraliste, nonostante la costante presenza di alcuni elementi di criticità.

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Nello specifico, il primo capitolo si occupa di condurre al cuore della materia in esame, parafrasando e decostruendo tutti quegli elementi che hanno da sempre costituito un vero e proprio interrogativo sull’an ed il quomodo del lobbismo. Attraverso un’analisi prettamente concettuale, verrà proposta una definizione scientifica del fenomeno, ne sarà delineata la natura fortemente associativa, e analizzati i suoi differenti modi di manifestarsi e di influire sui diversi livelli di decision-making.

Il secondo ed il terzo capitolo focalizzano l’attenzione, invece, sul sostanziale disallineamento del sistema italiano di regolazione del lobbying rispetto a quello della maggior parte dei sistemi democratici contemporanei. Il secondo, in particolare, si concentra sui motivi dell’assenza strutturale di un’organica regolazione italiana del lobbismo e sugli infruttuosi tentativi di disciplina che si sono avvicendati nelle ultime legislature. Questo vulnus, fortunatamente, non ha comunque ostacolato la realizzazione di strumenti in grado di incidere e veicolare il comportamento dei rappresentanti di interesse, nonostante un loro utilizzo, nel complesso, arbitrario e piuttosto deludente. Mutatis mutandis, tale vuoto di disciplina ha contestualmente incentivato l’iniziativa di alcuni soggetti politico-decisionali regionali, che,

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sulla base di opportune premesse istituzionali, hanno prodotto autonome forme di regolazione del fenomeno lobbistico nel sistema politico territoriale di riferimento.

Il terzo capitolo si occuperà invece del rapporto tra rappresentanza d’interessi e processo decisionale amministrativo. Saranno pertanto analizzati gli strumenti giuridici che il legislatore italiano ha disposto con l’intento di favorire una migliore (e maggiore) partecipazione delle istanze particolari provenienti dalla società al law making process amministrativo di carattere generale, compreso quello delle authorities. Nonostante le criticità strutturali evidenziate nel secondo capitolo, infatti, il superamento del “modello Gianniniano” tradizionale ha permesso a cittadini e rappresentanti di interessi di divenire il centro dell’agire amministrativo, garantendo così al public decision maker la possibilità di mettere in atto scelte maggiormente consapevoli in termini di impatto sugli attori sociali, e di ottenere una expertise tecnica propedeutica al virtuoso raggiungimento dell’interesse pubblico. A seguito di tale apertura, l’ordinamento ha compensato l’evidente deficit di una disciplina organica con la produzione di specifici anticorpi, in grado di “avvolgere” le condotte dei rappresentanti d’interesse allorquando entrati in contatto con le sedi

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amministrative, quali lo strumento del pubblico registro e il rafforzamento della responsabilità disciplinare dei funzionari pubblici con la recente normativa anticorruzione.

Il quarto ed ultimo capitolo concluderà la presente trattazione con un’indagine storico-evolutiva della regolazione dell’attività lobbistica svolta presso l’Unione europea. Nonostante l’assenza di qualunque riflessione giurisprudenziale sull’argomento da parte della Corte di giustizia, il sistematico rafforzamento della già richiamata multilevel governance europea, in particolare con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona e del suo rivoluzionario articolo 11, ha generato le opportune premesse per un espresso riconoscimento del lobbying come vero e proprio strumento di promozione della democrazia e per la nascita di un nuovo sistema, sinergicamente partecipato dalle istanze particolari provenienti dalla società civile. Pur presentando sostanziali differenze rispetto all’esperienza anglosassone, verranno evidenziate, in questa sede, le peculiarità del lobbismo europeo in rapporto alla sua complessa architettura ordinamentale, i differenti approcci sistematici alle pressioni esterne da parte di Commissione e Parlamento, e i rivoluzionari accordi interistituzionali 2011-2014, attraverso i quali il sistema europeo è riuscito a intraprendere un percorso organico di

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regolazione, attualmente considerato una delle esperienze di regolazione più innovative esistenti.

Ciò che emergerà chiaramente, sin dalle prime pagine, sarà l’incredibile multidisciplinarietà della materia in esame. Nonostante la scarsa considerazione in dottrina, infatti, il fenomeno lobbistico può e deve essere osservato sotto molteplici angoli visuali, che solo coralmente sono in grado di chiosarne la particolare natura, in un certo senso “camaleontica”. È con questa premessa, che il presente elaborato, affrontando la questione del lobbying in chiave prevalentemente giuridica, riconoscerà il necessario apporto di conoscenze provenienti dagli ambiti sociologici, politologici ed economici: l’esigenza di inquadrare giuridicamente l’influenza privata sui decisori pubblici, conseguirà così una ricerca molto più estesa rispetto al suo scopo iniziale, su quello che è oggi l’attuale rapporto tra società civile e ordinamento giuridico. Una conseguenza, figlia di una precisa scelta metodologica: lo studioso del lobbying deve accettarne la natura, cavalcarne le onde e abbandonarsi processo osmotico tra i diversi fattori in gioco. Di fronte a un ambito di studi così orizzontale, si è reso pertanto necessario considerare la globalità degli aspetti che permettono di

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scindere il mondo del lobbismo da altre prassi distorsive del sistema democratico, e di evidenziarne i benefici per l’intera collettività.

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CAPITOLO I

L’ATTIVITÀ DI LOBBYING

1. Gruppi di interesse, gruppi di pressione

Per il compimento di una dettagliata analisi del fenomeno lobbistico e del concetto stesso di “lobbying”, è preliminarmente necessario partire dallo studio dei profili generali relativi ai gruppi di interesse, nonché dei gruppi di pressione. Nonostante nella pubblicistica siano spesso richiamati come sinonimi di lobby, infatti, questi attori del processo decisionale assumono nella teoria giuridico-politica un significato del tutto autonomo tra loro. Richiamando la dottrina più autorevole, ed in particolare gli studi di La Palombara1, è possibile infatti definire i gruppi di interesse come “quegli aggregati di individui interagenti che manifestano dei desideri coscienti riguardanti la gerarchizzazione dei valori, che possono attivarsi politicamente in relazione all’indirizzo politico o all’allocazione autoritativa dei valori in una particolare direzione, generale o specifica”. L’efficacia di questa definizione risiede nella

                                                                                                               

1 J. La Palombara, Interest Groups in Italian Politics, Princeton, Princeton

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sua capacità di superare l’ambivalenza del concetto di gruppo in politica, come richiamato da altri autori 2 , in cui sono alternativamente prevalenti l’elemento aggregante dell’interesse3 ovvero il tema degli atteggiamenti condivisi4 o di coscienza della comune appartenenza5, sintetizzando in maniera compiuta tutti gli elementi che contribuiscono all’identificazione e alla possibilità di attivazione politica del gruppo, prendendo le distanze da quegli approcci metodologici che potrebbero “distrarre” dal nostro scopo in questa sede6. I gruppi d’interesse sono quindi dei corpi intermedi, geneticamente correlati all’emergere della società civile organizzata, all’interventismo della “mano pubblica” nel sistema economico e alla rivendicazione ovvero affermazione della libertà di associazione7, pur non agendo come o contro il sistema politico,

                                                                                                               

2 M. Cotta, D. Della Porta, L. Morlino, Scienza Politica, Bologna, il Mulino,

2001, p. 189.

3 A. F. Bentley, Il processo di governo, Milano, Giuffrè, 1983, p. 211.

4 D. B. Truman, The governmental process. Political Interests and Public Opinion, New York, Knopf, 1951, p. 23.

5 G. Almond, B. Powell, Politica comparata, Bologna, il Mulino, 2000, p. 244. 6 Per un’analisi approfondita della straordinaria varietà di studi condotti sul

tema dei gruppi d’interesse, abitualmente riunificati sotto il profilo degli approcci, metodi e risultati nella teoria pluralista (Bentley), neopluralista (Schattschneider, Olson) e nella group theory of politics (Truman, Latham), si rimanda al manuale di G. Sola, Storia della Scienza Politica, Milano, Nuova Italia Scientifica, 1996.

7 M. C. Antonucci, Rappresentanza degli interessi oggi. Il lobbying nelle istituzioni politiche europee e italiane, Roma, Carocci, 2011, p. 20.

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bensì attivandosi dentro differenti quadri di riferimento8. Infatti, a differenza dei partiti politici, che si fanno portatori dell’interesse generale, i gruppi di interesse non perseguono tale obiettivo, bensì operano per rappresentare interessi particolari o tuttalpiù collettivi, ovvero interessi fatti propri da una o più parti della società9, trovando un fondamento latu sensu ideologico tra le trame della concezione pluralistica10, che, prendendo le distanze da una visione                                                                                                                

8 Una descrizione delle differenti classificazioni dei gruppi d’interesse

richiederebbe un’analisi pressoché strabordante rispetto agli scopi di questo capitolo, che tenta di riassumere nei suoi tratti significativi il “contenuto minimo” della scienza giuridica impegnata nello studio dell’attività di lobbying e dei diversi gruppi. Attualmente, i più rilevanti progetti di ricerca europei sui gruppi di interesse — ovvero l’INTEREURO project (J. Beyers et al., The

INTEREURO Project: Logic and structure, in Interest groups & Advocacy, 3,

2014) e l’INTERARENA project (vedi A. Binderkrantz, et al., Interest Group

Access to the Bureaucracy, Parliament and the Media, in Governance, 28,

2014, p. 5) — sono discordi sulla definizione di gruppo di interesse da porre a base della classificazione, arrivando quindi a risultati differenti: per gli studiosi coinvolti nel progetto INTEREURO, qualsiasi attore (associativo o meno) che abbia un qualche interesse ad intervenire nel processo decisionale deve a tutti gli effetti essere preso in considerazione; per i ricercatori di INTERARENA, invece, soltanto organizzazioni dotate di una qualche membership — sulla base quindi di una analisi orientata sulla organisational definition e dando meno rilievo allo studio dell’influenza nel processo di policy — possono essere sussunte nelle diverse categorie. Dato che la definizione presa in considerazione nel presente elaborato ruota intorno al carattere associativo, ne deriva la preferenza per la classificazione utilizzata dai ricercatori INTERARENA, che suddividono il “sistema degli interessi” in gruppi di tipo imprenditoriale, identitario, istituzionale, di tempo libero, occupazionale, pubblico interesse, religiosi, sindacati.

9 M. Giusti, Diritto Pubblico dell’Economia, Padova, Cedam, 1994, pp.

320-321.

10 Per una definizione di “pluralismo”, il riferimento è alla nozione offerta da

Norberto Bobbio, che intende lo stesso come “quella concezione che propone

come modello una società composta da uno o più gruppi o centri di potere, anche in conflitto tra di loro, ai quali è assegnata la funzione di limitare, controllare, contrastare il centro di potere dominante, identificato storicamente con lo Stato”, vedi N. Bobbio, voce Pluralismo, in Dizionario di

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“legislativa” della democrazia, vede alla democrazia stessa come frutto del contemperamento tra i diversi interessi particolari in gioco11. Da un punto di vista meramente funzionale, inoltre, i partiti concorrono direttamente all’esercizio del potere pubblico, mentre i gruppi d’interesse competono per influenzare il policy maker, incidendo sul potere in via prettamente indiretta, e non assumendo mai di fatto alcuna responsabilità di governo12. Questi elementi “di fluidità” — che hanno permesso a tali attori di poter influenzare il processo decisionale senza figurare mediante coinvolgimenti diretti — sono stati spesso causa del limitato interesse scientifico del fenomeno, che solo recentemente ha subito un processo di

                                                                                                                                                                                                                                                                                                   

politica, diretto da N. Bobbio, N. Matteucci, G. Pasquino, Torino, Cles, 1992,

p. 789. Da un punto di vista storico, invece, la teoria politica pluralistica trova i suoi principali autori di riferimenti in Bentley e Truman, in particolare si vedano A. F. Bentley, The Process of Government: A Study of Social

Pressures, Chicago, The University of Chicago Press, 1908; D. B. Truman, The Governmental Process. Political interests and public opinion, op. cit., pp.

12 e ss.

11 Un’altra dimensione di analisi del lobbismo riguarda il rapporto tra i diversi

gruppi e lo Stato, con particolare riferimento alle politiche pubbliche prodotte da quest’ultimo. Tale dottrina politologica è il c.d. Neo-corporativismo, che affonda le proprie radici nell’idea secondo cui le organizzazioni presenti nella società civile abbiano il diritto di rappresentare i propri interessi nei confronti dello stato attraverso una loro “istituzionalizzazione” (o “corporativizzazione”). Tale ambito di studi è brillantemente sintetizzato nell’antologia La società neo-corporativa, a cura di M. Maraffi, Bologna, Il Mulino, 1981, e nell’opera di L. Bordogna e G. Provassi, Politica, economia e

rappresentanza degli interessi, Bologna, Il Mulino, 1984.

12 Nella definizione di “gruppo d’interesse” fornita da Mattina, in I gruppi di interesse, Bologna, Il Mulino, 2010, p. 13, essi si caratterizzano, oltre che per

alcuni caratteri formali, proprio per il fatto che “cercano di influenzare in loro

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“riscoperta”, data la loro importanza all’interno delle nuove e sempre più complesse dinamiche sociali13. Ciononostante, a partire già dalla seconda metà dell’Ottocento, giuristi come Tocqueville avevano attribuito a questi aggregati la funzione di “articolazione, aggregazione e rappresentanza dei cittadini, rendendo il popolo civile vigilante sui suoi interessi, abituandolo a pensarvi da solo”14, in un sistema come quello politico americano in cui i partiti politici risultano svuotati di ogni funzione associativa15.

I gruppi d’interesse, inoltre, non sono automaticamente identificabili, ma solo assimilabili, ai gruppi di pressione. Un gruppo di pressione è sempre un gruppo d’interesse, ma un gruppo d’interesse non sempre diviene gruppo di pressione, sussistendo pertanto un rapporto di species - genus tra questi attori. Al gruppo di interesse, infatti, può non bastare l’impegno nel sistema sociale, necessitando, pertanto, l’accesso all’arena politica per la difesa e l’espansione delle sue domande e rivendicazioni. È questo

                                                                                                               

13 Come nota M. Magatti in Globalizzazione e politica, in A. Costabile, P.

Fantozzi, P. Turi (a cura di), Manuale di sociologia politica, Roma, Carocci, 2006, p. 318, “la rilevanza della società globale civile come nuovo soggetto

politico passa necessariamente mediante il nuovo ruolo dei gruppi di interesse, non più limitati alla attivazione nella cornice del sistema politico nazionale, ove pure restano influenti, bensì all’interno di un più ampio spazio globale”. 14 A. de Tocqueville, La democrazia in America, Milano, Rizzoli, 1994, p. 94. 15 M. C. Antonucci, Rappresentanza degli Interessi oggi, Il lobbying nelle istituzioni italiane ed europee, op. cit., p. 18.

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passaggio che fa del gruppo d’interesse un gruppo di pressione16. Con “pressione” si guarda alla sfera operativa, al modus operandi dello stesso gruppo, con cui persegue le sue finalità. Prendendo pertanto le distanze dall’opinione comune secondo cui la fenomenologia del “fare pressione” si confonde con metodi di corruttela17, lo stesso termine indica invece il ricorso alla minaccia di sanzioni “al fine di influenzare l’assegnazione imperativa dei valori sociali attraverso il potere politico”18, minaccia che può prendere corpo in numerose modalità (come ad esempio, la sospensione di un apporto consensuale, allorquando la forza politica dia segno di cambiare atteggiamento rispetto a determinati valori). L’aspetto della pressione è quindi tratto peculiare e distintivo, che caratterizza propriamente il sistema di rapporti messo in atto tra gruppo e decisore pubblico: riuscendo ad accedere alle sede

                                                                                                               

16 S. Primavera, È la lobby, bellezza! La politica degli interessi, Catania,

Bonanno Editore, 2008, pp. 52-53. In ogni caso, la dottrina si è dimostrata quasi unanime nel poter ritenere utilizzabili queste due forme come sinonimi. Non essendo tale aspetto, prettamente sociologico, al centro dello scopo del presente elaborato, tali termini verranno utilizzati indistintamente col proseguire dei capitoli.

17 Famoso lo slogan coniato nel 1882 dal cronista parlamentare Edward Martin,

secondo cui il lobbismo si sarebbe sostanziato in “broads, booze, and bribes”, ossia bambole, bottiglie e bustarelle. Per quanto riguarda il rapporto tra lobbying e possibili fenomeni corruttivi, si rimanda all’analisi di A. De Lucia in Lobbying, aziende e amministrazioni pubbliche, Napoli, Le Edizioni Scientifiche Italiane, 2017.

18 G. Pasquino, voce “Gruppi di Pressione”, in Dizionario di Politica, op. cit.,

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formali, e influenzando le scelte del policy maker, il gruppo d’interesse diviene gruppo di pressione19, veicolando le istanze sociali derivanti dalla società (imprenditoriali, socio-economiche, ambientali, ecc.) per orientare le decisioni pubbliche.

2. La definizione di “attività di lobbying”

A seguito di questa breve panoramica, esplicativa dei contenuti essenziali dell’ambito in esame, è possibile dare una definizione di attività di lobbying. Nonostante la non unanimità in dottrina20, un’accezione moderna e completa di lobbying è fornita da Luigi

                                                                                                               

19 M. Mazzoni, Le relazioni pubbliche e il lobbying in Italia, Bari, Laterza

editori, 2010, p. 93.

20 Per ragioni assiologiche, non concentreremo la nostra attenzione sulla

conflittuale definizione di lobbying, che da quasi un secolo rappresenta oggetto di numerosi dibattiti nella dottrina italiana ed internazionale. Ciononostante, è interessante e oltremodo necessario citare il contributo di grandi autori, che hanno permesso di osservare il fenomeno lobbistico da una copiosa varietà di punti di vista: ad esempio, è vasto lo studio condotto da giuristi e politologi che guardano all’attività di lobbying come un processo di comunicazione e informazione. Tra questi, possiamo ricordare L. W. Milbrath, Lobbying as a

communication Process, in The Public Opinion Quarterly, 24, 1960, pp. 32-53,

in cui l’autore sostiene che compito del lobbista è, appunto, trasferire informazioni di parte al decisore pubblico, instaurando con esso un rapporto fiduciario in grado di poter aprire una porta di accesso al processo decisionale, e D. Fisichella, in Lineamenti di scienza politica, Roma, Nuova Italia Scientifica, 1988, p. 159, che definisce il lobbying come il “processo di

comunicazione e informazione mediante il quale i lobbisti tentano di persuadere il personale pubblico ad accettare i desideri dei loro clienti”.

Un’ultima, peculiare lettura di necessaria citazione, è invece fornita da P. Trupia, in La democrazia degli interessi. Lobby e decisione collettiva, Milano, Il Sole 24 Ore, 1989, p. 157, in cui l’autore definisce il lobbying come metodo con una specificità di know-how in grado di “favorire un contatto concreto tra

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Graziano21, che definisce il lobbismo come “l’insieme delle tecniche e di attività che consentono la rappresentanza politica degli interessi organizzati. Il lobbismo è la faccia politica dei gruppi di interesse, una volta che decidano di perseguire finalità pubbliche, mutandosi da associazioni private in gruppi volti all’azione politica, con finalità generale quella di influire sulle decisioni dell’attività di governo tramite la mobilitazione di volontà politiche”. Questa descrizione, grazie alla sua accuratezza, mette in luce il background prettamente associativo dell’attività di lobbying — collegandosi ad elementi legati all’identità e alla identificazione degli appartenenti del gruppo di interesse — e individua la finalità ultima di questo fenomeno nella persuasione del decisore pubblico, da parte di quei gruppi di interesse che, mutati in gruppi di pressione, “vanno accorpandosi intorno alla rivendicazione di bisogni apparentemente irriducibili alla sintesi statale”22. Da un punto di vista soggettivo, la definizione proposta pone in evidenza come gli attori coinvolti siano obbligatoriamente di due ordini di appartenenza: se il lobbismo è praticato attivamente dai gruppi di pressione, esso deve necessariamente vedere coinvolti anche i                                                                                                                

21 L. Graziano, Lobbying, pluralismo, democrazia, Roma, La Nuova Italia

Scientifica, 1995, p. 13.

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soggetti politici, e in senso più ampio, pubblici, ossia votati a decidere delle politiche pubbliche.

Il termine “lobbying”, comparso per la prima volta all’inizio degli anni Trenta in una legge del 193523 che imponeva alle compagnie private erogatrici di servizi di pubblica utilità l’obbligo di registrarsi in un apposito albo delle due Camere che compongono il sistema politico degli Stati Uniti d’America, definisce quindi ad oggi una forma socialmente riconosciuta di rappresentanza di interessi particolari, e, come affermato da Antonucci24, “un metodo codificato di relazione istituzionale che può rappresentare la previsione di nuove e diverse forme per l’assunzione di decisioni collettive in un’ottica di partecipazione”, di cui si sono storicamente avvalse sia persone giuridiche (enti, associazioni, società private, ecc.) che fisiche.

3. I caratteri essenziali del lobbismo

Preso pertanto atto del carattere scientifico, di stampo prevalentemente politologico ma anche giuridico, che ha assunto lo                                                                                                                

23 La legge in questione è la Public utilities holding company act. Per

approfondire si veda: J. M. Meck, Regulation of Corporate Finance and

Management under the Public Utility Holding Company Act of 1935, in Yale Law School Legal Scholarship Repository, 52, pp. 215-256.

24 M. C Antonucci, Rappresentanza degli interessi oggi, il lobbying nelle istituzioni politiche europee e italiane, op. cit. p. 25.

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studio del lobbismo negli ultimi decenni, dopo un’introduzione volta ad un’indagine “statica” del fenomeno, è adesso altresì importante coglierne la portata nella sua dimensione dinamica, ovvero nel suo rapportarsi con il sistema partitico e con le sedi decisionali di riferimento.

3.1 L’aspetto della comunicazione e il rapporto con il sistema partitico

Elemento caratterizzante dell’attività di lobbying, che “sfugge” all’interno della definizione data da Graziano, è rappresentato dal trasferimento d’informazioni che avviene dal lobbista al decisore pubblico. Infatti, è nel momento in cui si trasferiscono le informazioni che il lobbista preme sul policy-maker (effettuando propriamente “lobbying”), tentando di influenzarne le scelte25. Si giunge, pertanto, ad una duplice conclusione: la prima — ovvia e spesso richiamata all’interno dei manuali anglosassoni — è che il lobbista è tenuto a trasferire informazioni di parte, che possano favorire la soddisfazione dell’interesse del proprio gruppo. La seconda, meno ovvia, è che il decisore pubblico necessita ormai pacificamente di tali informazioni e dell’expertise tecnica di coloro                                                                                                                

25 M. Mazzoni, Perché non dobbiamo avere paura delle lobby? Opinione pubblica, cittadini e lobby, Milano, FrancoAngeli, 2015, pp. 32-33.

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che rappresentano le istanze particolari provenienti dalla società. Tale deficit informativo sussiste, secondo Peter Dahlgren26 e gran parte della politologia moderna, da quando viviamo nell’Era della c.d. “politica postmoderna”, in cui le traditional istitutions (partiti, sindacati, associazioni di categoria, ecc.) hanno perso gran parte della loro natura di rappresentanza. Questa perdita, secondo la dottrina più autorevole, è direttamente ricollegabile a due fenomeni sociali in particolare27: il primo noto come “individualizzazione”28 (o “leaderizzazione”), ossia la crescente tendenza nelle diverse forme di azione e organizzazione politica a trovare la propria sintesi nel comportamento di un unico leader, con il conseguente consolidamento di prassi politiche che contribuiscono a determinare la centralità della figura del capo di governo, che, grazie al suo forte accentramento della responsabilità politica (con progressiva identificazione tra party leadership e premiership), riesce ad esercitare un sistematico appello diretto all’elettorato ed ai cittadini,                                                                                                                

26 P. Dalhgren, Media, Citizenship and Civic Culture, in J. Curran e M.

Gurevitch (a cura di), Mass media and Society, Londra, Arnold, 2000 p. 318.

27 Un’ulteriore motivazione alla base della crescente influenza esterna sui

decisori pubblici è la carenza di informazioni tecniche di cui gli stessi decisori dispongono. Tale motivazione, per la sua particolare propensione ad esser oggetto di disamina all’interno del più ampio tema del rapporto tra rappresentanza di interessi e attività amministrativa, sarà pertanto analizzata nel capitolo III.

28 Un’analisi sociologica del fenomeno è brillantemente fornita da P. Mancini,

in Il Post partito. La fine delle grandi narrazioni, Bologna, Il Mulino, 2015, pp. 19 e ss.

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surrogando attraverso la propria figura il ruolo di mediazione esercitato dagli altri attori politici, sociali ed istituzionali solitamente decisivi 29 . il secondo noto, invece, come “disintermediazione”, ossia quel fenomeno (descritto per la prima volta nel contesto economico americano a cavallo tra anni ’60 e ‘70 30 , ma sviluppatosi anche nell’ambito mediatico/politico) definito come “il risultato dell’attitudine propria della modernità a non affidarsi a corpi intermedi, e a voler bypassare ogni filiera per relazionarsi direttamente con l’obiettivo della propria azione”31. Entrambi questi aspetti di natura sociologica, unitamente alla crescente complessità e alla dilatazione della rete decisionale, definibile a oggi come multilevel governance, non solo in senso verticale (pensiamo al rapporto tra Unione Europea, Stati nazionali ed enti locali), bensì anche orizzontale (basti pensare al

                                                                                                               

29 L. Fasano, La democrazia fra disintermediazione politica e rappresentanza organizzata degli interessi, in A. Di Gregorio, L. Musselli (a cura di), Democrazia, lobbying e processo decisionale, Milano, FrancoAngeli, 2015, p.

14.

30 P. Hawken, The Next Economy, New York, Holt, Rinehart, and Winston,

1993, p. 29. Il concetto trae origine dal verificarsi del fatto che i tassi d’interesse che potevano essere ottenuti dai tradizionali canali bancari erano notevolmente inferiori rispetto a quelli ottenibili dalle associazioni private di risparmio e credito.

31 F. Bastoncini, Gruppi d’interesse e rappresentanza: dinamiche evolutive, in

A. Di Gregorio, L. Musselli (a cura di), Democrazia, lobbying e processo

decisionale, op. cit., p. 35. Questa tendenza, collegata in maniera

imprescindibile al fenomeno di mediatizzazione, si manifesta inoltre in vari e apparentemente scollegati contesti: pensiamo a Wikipedia, Booking.com, ecc.

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moltiplicarsi delle autorità indipendenti), ha così generato due ordini di conseguenze. Da un lato, il ridimensionamento della fiducia verso il partito di massa, con la conseguente crisi del sistema politico e della sua capacità d’intercettazione delle istanze sociali: una condizione comunemente nota nella politologia come “crisi dello Stato dei partiti” 32, che ha sostanzialmente posto in capo alla società civile la necessità di riflettere su “cosa sia possibile mettere al posto di questi partiti, che oggi si vanno sfaldando, al fine di garantire un nuova struttura della democrazia”33. Dall’altro, l’apertura di spazi operativi all’interno del “sistema democrazia”, che, causati dal forte clima d’incertezza politico-sociale, hanno determinato l’aumento esponenziale dell’influenza dei gruppi di pressione, che diventano così “un elemento decisivo, che sottrae ai partiti molta parte di quella che dovrebbe essere la loro rilevanza, ma che entro certi limiti assicura l’esistenza stessa della dialettica democratica, spesso difficile nell’ambito di partiti con obiettivi troppo vaghi ed imprecisi”34. In questo contesto, caratterizzato da insicurezza e frammentarietà, le                                                                                                                

32 E. Cheli, Riflessi della transizione nella forma di governo, in Quaderni Costituzionali, 3, 1994, p. 401.

33 Nonostante ciò, dobbiamo ben tenere a mente che gli “attori” del sistema

politico democratico in Italia sono, così come statuito indiscutibilmente dall’articolo 49 Cost., i partiti politici.

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lobby hanno quindi cercato di colmare, almeno in parte, le criticità alla base delle scelte pubbliche, attraverso metodi eterogenei, trasmettendo informazioni necessarie al policy maker e fornendo una vera e propria assistenza tecnica, precedentemente assicurata da parte del partito o del gruppo parlamentare. I gruppi di pressione hanno così mutato ruolo e comportamento in questo spazio di azione, trasformandosi in interlocutori stabili (e talvolta formalizzati) delle istituzioni, a discapito di quei partiti che, a causa della crisi della politica come strumento di “cattura” delle istanze sociali, “cercano rifugio all’interno della società, seguendone le pulsioni e gli egoismi, non riuscendo più a indirizzarli bensì fornendo ad essi forma politica”35. Se è dunque vero che il sistema dei partiti, secondo la politologia moderna, determina l’assetto concreto dei poteri costituzionali36, a seguito dell’affermazione di quello che è stato definito come “Stato degli interessi aggregati”37, risulta pacificamente necessario fare altresì riferimento ai gruppi di                                                                                                                

35 G. Azzariti, Cittadini, partiti e gruppi parlamentari, in Costituzionalismo.it,

3, 2008, p. 225.

36 O che, in altre parole, “la conformazione del sistema partitico ha avuto una cortissima influenza nel plasmare il funzionamento delle forme di governo parlamentari; non meno, e forse più, dei congegni istituzionali predisposti nel corso del secolo per irrobustirle”, G. Amato, F. Clementi, Forme di stato e forme di governo, Bologna, il Mulino, 2006, p. 69.

37 F. Merusi, Dallo stato monoclasse allo stato degli interessi aggregati, in S.

Cassese, G. Guarino (a cura di), Dallo stato monoclasse alla globalizzazione, Milano, Giuffré, 2000, pp. 119 e ss.

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pressione come elemento portante del sistema istituzionale odierno. Per quanto concerne, invece, il rapporto “diretto” tra gruppo e partito (ovvero movimento) politico, ancora LaPalombara38 ha definito “di parentela” questa tipologia di rapporto istituzionale, per indicare l’esistenza di uno stretto e necessario rapporto tra queste due realtà, che, seppur qualitativamente differenti, concorrono alla formazione del sistema degli interessi all’interno di un dato ordinamento. Ciononostante, come spesso ricordato da alcuni autori39, questo rapporto non è sempre sussistito, a causa di una tendenza “storica” ad una cultura politica consensuale, specialmente in alcuni ordinamenti (es. nell’Italia del dopoguerra) in cui i partiti di maggioranza, per ottenere maggior consenso all’interno di determinati segmenti della società, hanno collaborato e cooperato con quelli di minoranza, generando un sistema politico iper-rappresentativo, monopolizzando la rappresentanza e indebolendo (se non annullando) il legame di parentela. In questo modo, è stato

                                                                                                               

38 J. LaPalombara, Clientela e parentela. Studio sui gruppi di interesse in Italia

op.cit, pp. 245 e ss.

39 A. Lijphart, Patterns of democracy: Governments Forms and Ferfomance in thirty-six Countries, New Haven, Yale University Press, 1999.

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riservato alla politica stessa un ruolo di assoluto privilegio, bloccando ogni possibile canale di accesso al decisore pubblico40.

3.2 Quomodo: le modalità di partecipazione degli interessi organizzati al processo decisionale

Prima di passare alla trattazione dell’inquadramento giuridico del fenomeno lobbistico, ossia ad esaminare gli strumenti giuridici adottati dai vari ordinamenti (ed in particolare, oltre all’ordinamento italiano, sarà prestata particolare attenzione all’Unione Europea) per disciplinare e veicolare in determinati canali la possibilità di effettuare attività di lobbying ed influenzare le scelte del decisore pubblico, è necessario concentrarsi preliminarmente sul quomodo del lobbying, ossia sui metodi pratici con cui i gruppi di pressione riescono effettivamente ad incidere sui policy makers. Avendo definito il lobbying come “un insieme di tattiche e attività”, appare evidente nella definizione stessa il fatto che sussista, nella prassi, una pluralità di strumenti persuasori che possono essere utilizzati per incidere sul decisore pubblico. Tale estrema varietà è stata, di fatto, il motivo dei molti tentativi con cui,                                                                                                                

40 L. Morlino, J. R. Montero, Legitimacy and Democracy in Southern Europe,

in R. Gunther, P. N. Diamandourous, H. J. Pule (a cura di), The Politics of

Democratic Consolidation: Southern Europe in Comparative Perspective,

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nella letteratura specializzata, si sono susseguiti molteplici tentativi classificatori delle strategie e delle tattiche di esercizio di tale influenza.

Un primo tentativo classificatorio è declinabile sulla base dell’aspetto “pubblicitario” dell’azione delle Lobby. In questo senso, è facilmente individuabile la “summa divisio” tra quelle che sono lobby palesi e lobby non palesi41: le prime, per il tramite della pubblicità, provvedono ad un riconoscimento volontario della propria organizzazione. Esse sono tipiche nei paesi in cui vi è una certa disciplina o comunque ricevono un determinato riconoscimento sociale attraverso la loro iscrizione in appositi registri. Rientrano nelle lobby non palesi quei gruppi di interesse che non rendono “pubblica” la propria esistenza in modo volontario, e per una loro individuazione è quindi possibile solo far riferimento alla loro azione di pressione svolta nei confronti del policy-maker.

La distinzione forse più nota è, però, quella originariamente proposta da Grant42, che contrappone strategie dirette e indirette: le prime prevedono contatti individuali tra i rappresentanti del gruppo                                                                                                                

41 P. Mastroberardino, C. Nigro, G. Calabrese, Lobbying, potere del soggetto e vincoli istituzionali, in Rivista Economia e diritto del terziario, 3, 2007, p. 577. 42 W. Grant, Pressure Groups: Politics and Democracy in Britain, Londra,

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e i policy-makers, mentre le seconde consistono in una vera e propria serie di azioni volte a porre l’attenzione generale su determinate questioni, in modo da costringere i governanti ad adottare misure concordanti con le preferenze di policy dell’opinione pubblica, del gruppo di riferimento e degli stakeholders43, ossia tutti quei soggetti che, pur non formalmente configurati all’interno dell’assetto istituzionale, detengono un particolare interesse rispetto al recepimento di determinate istanze da parte del decisore pubblico (es. associazioni di volontariato o ambientaliste)44, guardando all’opinione pubblica stessa come un soggetto autonomo del pluralismo, dotato di forza reale, e aprendo

alla c.d. “socializzazione del conflitto”45.

                                                                                                               

43 P. Trupia, Lobbying: la partecipazione influente nello Stato pluriclasse, in Rassegna Parlamentare, 29, 1997, p. 573. All’interno dell’articolo è inoltre

possibile trovare la classificazione, fornita dallo stesso autore, delle diverse categorie di stakeholders.

44 La stessa classificazione è stata poi utilizzata come riferimento da numerosi

autori. Tra le opere più rappresentative che guardano a questo modello, possiamo citare T. Gais, L. Walker, Pathways to Influence in American

Politics, in L. Walker (a cura di), Mobilizing Interests Groups in America: Patrons, Professions, and Social Movements, Ann Arbor, University of

Michigan Press, pp. 103-121, 1991; K. Kollman, Outside Lobbying: Public

Opinion and Interest Group strategies, Princeton, Princeton University Press,

1998, e G. Jordan, W. Maloney, Manipulating Membership: Supply Side

Influences Over Group Size, in British journal of Political Science, 3, 2001, pp.

389-409.

45 Definizione data da E. Schattschneider (1972) ai tentativi di coinvolgimento

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A partire da tale distinzione, la dottrina è arrivata successivamente a distinguere46 tra due tipologie di lobbying diretto e due di lobbying indiretto: nel primo caso, l’obiettivo del contatto e dello scambio diretto di informazioni possono essere le amministrazioni pubbliche (c.d. administrative strategy), oppure il “tradizionale” partito o parlamentare di riferimento, particolarmente impegnato su determinate issues su cui ha desiderio di influire il lobbista (c.d. parliamentary strategy). Per converso, troviamo una forma di lobbying indiretto che si sostanzia nel ricorso a campagne informative e di stampa e nella ricerca di esposizione mediatica (media strategy), ed una forma che tende a sviluppare campagne di informazione da parte dei gruppi, vocate però ad una mobilitazione dei cittadini o dei propri membri, attraverso scioperi e proteste (mobilitazion strategy). Circa il rapporto di preferenza tra queste strategie, in un primo momento, la letteratura specialistica si è sostanzialmente basata su tre assunti fondamentali47: il fatto che, a parità di condizione, i gruppi preferiscano sempre il contatto diretto rispetto alla pressione indiretta; che la possibilità di ricorrere a piacimento strategie dirette fosse appannaggio di una ristretta                                                                                                                

46 A. Binderkrantz, Interest group strategies: Navigating between Privileged Access and Strategies of Pressure, in Political Studies, 53, 2005, pp. 694-715. 47 A. Pritoni, Lobby d’Italia, op. cit., pp. 66-69.

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minoranza di lobbies, cosiddette insider, laddove la stragrande maggioranza dei gruppi fosse per converso costretta ad un utilizzo quasi esclusivo di strategie, definite spesso in senso dispregiativo come “arma dei deboli”48. Infine, che la distinzione tra gruppi insider e quelli outsider fosse netta, basato su una distanza tra le risorse organizzative e relazioni detenute dai diversi gruppi. Tutte queste convinzioni, in realtà, sono state — se non apertamente riviste — ampiamente edulcorate, grazie a studi sempre più specifici, sia da un punto di vista teorico49 che empirico50, che hanno evidenziato come, in realtà, tale impostazione “dogmatica” fosse parzialmente errata. In primis, la preferenza assoluta non va alle strategie di lobbying diretto ogniqualvolta obiettivo del gruppo sia attrarre l’attenzione mediatica su determinate issues, al fine di aumentare la propria membership potenziale (come ad esempio, le proteste e manifestazioni promosse dalle associazioni

                                                                                                               

48 A. Thrall, The Myth of the Outside Strategy: Mass Media News Coverage of Interests Groups, in Political Communication, 23, 2006, pp. 407-420.

49 H. Ward, Pressure politics: a Game-theoretical Investigation of Lobbying and the Measurement of Power, in Journal of Theoretical Politics, 16,2004,

pp. 31-52, e H. Klüver, C. Braun, J. Beyers, Legislative lobbying in Context:

toward a Conceptual Framework of Interest Group, in Journal of European Public Policy, 22, 2015, pp. 447-461.

50 E. C. Page, The insider/outsider Distinction: an Empirical Investigation, in British Journal of Politics and International relations, 1,1999, pp. 205-214 e

A. Dür, G. Mateo, Gaining Access or GoingPpublic? Interest Groups

Strategies in Five European Countries, in European Journal of Political Research, 52, 2012, pp. 680-686.

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ambientaliste)51. Inoltre, il numero di lobby in grado di ricorrere a strategie dirette non è affatto residuale, individuando vari livelli di insiderness, ossia diversi gradi di pervasività del decisore pubblico da parte dei diversi gruppi, potendo quindi parlare di gruppi fortemente insider, moderatamente insider, fortemente outsider, ecc.52.

Infine, un’ultima, particolare dimensione d’analisi del fenomeno lobbistico, affrontata da diversi studi internazionali sul lobbying53, analizza la variabile disposizione dei gruppi attivatisi politicamente alla costruzione di una coalizione di interessi (cd. advocacy coalition)54 ossia un’alleanza, più o meno formalizzata, tra gruppi dello stesso o diverso settore, che si pongono come comune intento quello di avanzare una proposta, chiedere il rinnovo o abrogazione di una specifica disposizione, o in generale il raggiungimento di un comune obiettivo. Queste forme, storicamente meno frequenti (ma comunque in netta ascesa)                                                                                                                

51 L. J. Andsager, How Interest Groups Attempt to Shape Public Opinion with Competing New Frames, in Journalism and Mass Communication Quarterly,

77, 2000, pp. 296-321.

52 B. Fraussen, J. Beyers, T. Donas, The Expanding Core and Varying Degrees of Insiderness, in Political Studies, 63, 2015, pp. 572-574.

53 Tra questi, possiamo citare Interest Group’s Decisions to Join Alliances or Work Alone, M. Hojnacki in American Journal of Political Science, 41, 1997,

pp. 61-87 e M. Heaney e G. M. Lorenz, Coalition Portfolios and Interest

Group Influence Over the Policy Process, in Interest Groups & Advocacy, 2,

2013, pp. 251-277.

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all’interno del contesto continentale europeo, tendono indiscutibilmente ad ampliare il più possibile le risorse a disposizione dei diversi gruppi, e a segnalare ai decisori pubblici che un vasto aggregato di organizzazioni e interessi differenti ha raggiunto un compromesso riguardo a determinate questioni di policy. Compromesso che, se ignorato, potrebbe portare a una sanzione di natura politica, ovvero una eventuale (non) rielezione55. A questo punto, è necessario chiedersi: tutte queste attività, questi metodi d’influenza del policy maker, trovano codificazione all’interno della disciplina vigente in Italia e nei diversi ordinamenti? Colui che esercita la professione di lobbista, ossia che opera in rappresentanza di un gruppo di interesse con l’obiettivo di influenzare il processo di policy-making attraverso un rapporto di stabile intermediazione e di influenza delle sedi decisionali, è tenuto nel suo agire al rispetto di un quadro normativo di riferimento? La risposta varia in maniera sostanziale secondo l’ordinamento cui ci riferiamo: le democrazie più avanzate, riconoscendo come lecita l’attività di questi corpi intermedi, hanno cercato di rendere trasparente la loro “azione di pressione”, per responsabilizzare il decisore pubblico (anche in termini di accountability, intesa come                                                                                                                

55 D. Nelson, S. W. Yackee, Lobbying coalitions and government policy change, in Journal of Politics, 74, 2012, pp. 339-353.

(35)

la responsabilità, da parte degli amministratori che impiegano risorse finanziarie pubbliche, di rendicontarne l’uso sia sul piano della regolarità dei conti sia su quello dell’efficacia della gestione) ed in modo da far conoscere i reali fattori che determinano la formazione dell’indirizzo politico. Altri ordinamenti, invece, non sono ancora stati in grado di cogliere i segnali che testimoniano una maggior necessità di organica regolazione del fenomeno lobbistico e delle relazioni istituzionali nel loro complesso.

(36)

CAPITOLO II

L’INQUADRAMENTO GIURIDICO DEL

LOBBISMO IN ITALIA

1. La natura “strisciante ad andamento schizofrenico” della regolamentazione italiana

Focalizzando l’attenzione sul sistema italiano di regolazione dell’attività di lobbying, è interessante notare come questo modello sia stato definito, a seguito delle ricerche condotte da Petrillo1, come “strisciante ed ad andamento schizofrenico”. Nonostante tale qualificazione (ovviamente negativa) sia formulata proprio sulla base dell’esperienza italiana, essa caratterizza anche altri Paesi, quali Spagna, Costa Rica, Argentina, Messico e Perù2.

Con particolare riferimento al nostro ordinamento, la sussunzione all’interno di tale modello si giustifica in base alla compresenza di tre determinate caratteristiche, ossia 1) l’assenza di

                                                                                                               

1 P. L. Petrillo, Forme di governo e gruppi di pressione. Profili metodologici e comparati, in A. Di Gregorio e L. Musselli (a cura di), Democrazia Lobbying e processo decisionale, op. cit., pp. 51 e ss.

2 Per le peculiarità di queste regolamentazioni, si rinvia a P. L. Petrillo, Formas de gobierno y grupos de presion: las nuevas formas de la democracia representativa. Perfiles de derecho publico comparado, in Annuario italo-iberoamericano di diritto costituzionale 2014, Napoli, Editoriale scientifica,

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una regolamentazione organica del fenomeno lobbistico; 2) la vigenza di un corpus normativo di diverse disposizioni tra loro disomogenee che, seppur non espressamente votate alla disciplina di questo fenomeno, tuttavia prevedono obblighi di trasparenza per i lobbisti e per i decisori pubblici; 3) la mancata applicazione di queste norme, anche da parte delle stesse Autorità che le avevano introdotte.

Tale modello, sul quale ci concentreremo per capirne a fondo le problematiche e le implicazioni giuridiche, è così nominato poiché tipico della nevrosi schizofrenica dichiarare di volersi comportare in un certo modo, per poi fare l’esatto opposto, creando una situazione di perenne instabilità e incertezza: atteggiamento paragonato da Petrillo a quello assunto dal legislatore nazionale3. L’aggettivo “strisciante” è invece utilizzato in quanto le poche norme presenti e (anche non direttamente) applicabili si “insinuano” e “strisciano” nell’ordinamento, imponendosi blandamente di fronte all’operatore di diritto con un contenuto nebuloso e disatteso. Se da                                                                                                                

3 Tale atteggiamento ha addirittura portato parte della dottrina internazionale a

definire la forma di governo italiana come “a interessi oscuri”, ossia privo di norme comportamentali per i decisori pubblici, permettendo al policy maker di negoziare con le lobby il contenuto della decisione stessa, senza che ciò avvenga secondo regole uguali per tutti. Sul punto, Cfr. Id., Il paravento della

politica. Le lobbies in Italia tra norme e consuetudine, in G. Macrì (a cura di), Democrazia degli interessi e attività di lobbying, Soveria Mannelli, Rubbettino

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un lato emerge la consapevolezza del legislatore circa la necessità di garantire la trasparenza nel processo decisionale 4 (ormai pacificamente paradigma costituzionale di questa fase politico-istituzionale5) e la partecipazione al processo stesso da parte di soggetti privati portatori di interessi particolari, dall’altro si evince pertanto una chiara volontà a non voler porre rimedio a queste necessità strutturali6.

2. Le Lobby nei Principi Costituzionali e nelle sentenze della Consulta

Nonostante le indicazioni piuttosto scarne ed indirette, attraverso un’attenta e sistematica analisi della Costituzione, nonché di alcune, significative sentenze della Consulta, è possibile intravedere nella nostra, complessa architettura ordinamentale una possibile concettualizzazione del “diritto al lobbying”, e delle indubbie                                                                                                                

4 È superfluo ribadire come la trasparenza sia assurta, negli ultimi anni, a

paradigma generale e centrale dell’azione pubblica. Rimangono fondamentali le ampie indicazioni in F. Merloni (a cura di), La trasparenza amministrativa, Milano, Giuffré, 2008. Più specificatamente, riguardo alla regolazione della rappresentanza di interesse è stato notato come, in assenza di adeguati meccanismi di pubblicità e trasparenza, il rapporto tra decisore pubblico e Lobby risulti imperscrutabile, ovvero “avvolto da un velo impenetrabile di

oscurità”.

5 D. David, Lobbying, gruppi di interesse e regolazione amministrativa, alcuni segnali di cambiamento?, in Federalismi.it, 24, 2017, p. 7.

6 Cfr, P. L. Petrillo, Lobbies. Le norme ci sono, basterebbe applicarle, in Istituto Bruno Leoni, Focus n. 185 del 5 luglio 2011, pp. 4 e ss, all’indirizzo http://www.brunoleonimedia.it/public/Focus/IBL_Focus_185_Petrillo.pdf.

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conseguenze che tale legittimazione apporterebbe al nostro ordinamento.

2.1 Una lettura “costituzionalmente orientata” del fenomeno lobbistico

Mentre risultano chiaramente individuabili le garanzie costituzionali poste a tutela dei partiti politici (in primo luogo fornite dall’art. 49 Cost.7), esse sono più difficilmente individuabili con riferimento ai gruppi di pressione, a causa di un approccio culturale latu sensu “campanilistico” da parte dei giuristi italiani, che hanno percepito gli stessi gruppi come qualcosa da lasciare al di fuori dell’aula parlamentare per preservarne la “purezza”8, in quanto “malattia dell’ordinamento rappresentativo, male da combattere ed eliminare”9. In realtà, è possibile — secondo la dottrina più moderna ed aperta al confronto in chiave istituzionale con la realtà delle lobby — leggere alcuni articoli della Costituzione italiana in modo da definire una vera e propria “Teoria generale                                                                                                                

7 In base al quale “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.

8 G. Zagrebelsky, La sovranità e la rappresentanza politica, in Lo stato delle istituzioni italiane: problemi e prospettive. Atti del Convegno (Roma, 30

giugno - 2 luglio 1993), Roma-Milano, Giuffré, 1994, pp. 83 e ss.

9 C. Esposito, I partiti politici nello stato democratico, in Scritti giuridici scelti,

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costituzionale della partecipazione”10 al processo legislativo anche da parte dei gruppi di pressione. Possono essere interpretati in questo senso gli articoli 2 e 18 della Costituzione, laddove riconoscono il ruolo costituzionale delle formazioni sociali e garantiscono il diritto di associarsi liberamente, tutelando il pluralismo e la nascita di corpi intermedi, e l’articolo 3, che afferma nella sua seconda parte un vero e proprio diritto alla partecipazione. Inoltre, lo stesso articolo 49 può, secondo alcuni autori, essere letto come fonte di un “diritto di partecipazione permanente che supera e trascende quel diritto di partecipazione solo puntuale garantito dal diritto di elettorato attivo”11. Infine, una lettura sistematica degli articoli 54, 97 e 98 determina in capo al pubblico dipendente (rectius: al decisore pubblico) l’obbligo di assolvere alla propria funzione con dignità, decoro e trasparenza.

                                                                                                               

10 Cfr G. Cotturi, La democrazia partecipativa, in Democrazia e diritto, 1,

2005, pp. 28 e ss. e A. Valastro, Partecipazione, politiche pubbliche, diritti, relazione introduttiva al convegno Le regole della partecipazione. Cultura

giuridica e dinamiche istituzionali dei processi partecipativi, Perugia, 11-12

marzo 2010, p. 13, secondo la quale “non sembra infatti negabile che l’assenza

di un quadro organico di principi generali sulla partecipazione costituisca una lacuna destinata a incidere pesantemente sulle sorti della democrazia”.

11 V. Crisafulli, I partiti nella Costituzione, in Studi per il XX anniversario dell’Assemblea costituente, Firenze, Vallecchi, 1969, pp. 116 ss e pp. 133 e ss.;

l’autore evidenzia come, proprio alla luce di questa possibile lettura, l’articolo 49 garantirebbe il concorso dei partiti alla vita politica in posizione addirittura meramente strumentale rispetto al concorso dei cittadini.

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