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La (assenza di una) disciplina organica: le proposte avanzate

L’INQUADRAMENTO GIURIDICO DEL LOBBISMO IN ITALIA

3. La (assenza di una) disciplina organica: le proposte avanzate

La relazione introduttiva del disegno di legge d’iniziativa governativa n. 1866 del 2007, c.d. disegno di legge “Santagata”, ricordava che nel periodo dal 1948 al 2006, ovvero fino al termine della XIV legislatura, furono presentati 25 progetti legislativi in materia di disciplina del fenomeno lobbistico (e delle relazioni tra esponenti dei gruppi di pressione e sistema politico-decisionale), e                                                                                                                

21 In particolare E. De Marzo, La partecipazione ai processi decisionali nel progetto di riforma costituzionale attualmente al vaglio del Parlamento, in A.

Di Gregorio e L. Musselli (a cura di), Lobbying, democrazia e processo

che solo 6 di tra questi erano giunti all’esame delle Commissioni parlamentari cui erano stati assegnati. Allo stesso tempo, veniva menzionata la circostanza che, durante quella stessa legislatura (XV), erano già stati presentati altri 5 progetti di legge in materia. Ad oggi, nel 2018, se ne contano quasi 40. Il dato numerico proposto appare particolarmente indicativo: a fronte di una cospicua serie di input, il sistema politico si è comunque trovato nella condizione di non riuscire a produrre alcun output per addivenire ad un modello di procedimentalizzazione22. Tra i vari tentativi di regolazione della materia, i più significativi risultano essere senza ombra di dubbio quelli prodotti a partire dalla XIII legislatura, momento in cui l’attenzione dei parlamentari sembra registrare un incremento dell’interesse istituzionale finalizzato a prevedere una disciplina normativa.

In particolare sono di doverosa segnalazione: la c.d. “Proposta Veltri” n. 2576 ter del 21 gennaio 199823, con cui per la prima volta fu prevista una compiuta definizione dell’attività di lobbying24                                                                                                                

22 M. C. Antonucci, Rappresentanza degli interessi oggi, il lobbying nelle istituzioni politiche europee e italiane, op. cit., pp. 102 e ss.

23 “Disciplina dell’attività di relazione, per fini non istituzionali o di interesse generale, svolta nei confronti dei membri delle Assemblee legislative e dei responsabili degli organismi amministrativi“.

24 “Ogni attività svolta da persone, associazioni, enti e società attraverso proposte, richieste, suggerimenti, studi, ricerche, analisi e qualsiasi altra iniziativa o comunicazione orale e scritta intesa a perseguire interessi leciti

(altresì chiamata “attività di relazione”), e l’individuazione di una completa serie di soggetti attivi, quali professionisti individuali, associazioni, enti e imprese, variamente dediti ad attività di pressione e relazione, e soggetti passivi del lobbismo, quali parlamentari, presidente del Consiglio, ministri, sottosegretari di Stato. Inoltre, elemento centrale della “Proposta Veltri” fu l’individuazione di un sistema di controllo e monitoraggio dei soggetti operanti mediante pubblico registro 25 , prevedendo l’istituzione di tre registri delle attività di relazione rispettivamente presso la presidenza del Consiglio dei ministri, della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, e prescrivendo una serie di requisiti per l’iscrizione al registro stesso (previo esercizio dell’attività di rappresentanza degli interessi, l’indicazione dei soggetti committenti, una descrizione sintetica delle azioni svolte, spese e dei soggetti contattati), introducendo un espresso onere di rendicontazione sia delle attività che della conseguente contabilità.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                   

propri o di terzi”. Prima di questa definizione, la disciplina del lobbying era

assimilata, seppur con le dovute distinzioni, al più generale settore di relazioni pubbliche. Sul punto, G. Mazzei, Lobby della trasparenza. Manuale di

relazioni istituzionali, Roma, Centro di documentazione giornalistica, 2009. 25 Istituto che, come vedremo, rappresenta elemento di continuità all’interno di

ogni tentativo di disciplina dell’attività lobbistica non solo italiana, ma anche comunitaria ed internazionale.

In seguito, la “Proposta Pisicchio” n. 1567 del 13 settembre 2001, volta ad individuare la “disciplina dell’attività di relazione istituzionale”, appare caratterizzata da una precisa e generale volontà regolativa, richiamata espressamente tramite riferimenti26 al sistema statunitense (sul quale concentreremo successivamente la nostra attenzione). La proposta di legge sanciva, in 6 articoli, l’istituzione di pubblici registri (anche in questo caso presso la presidenza di Camera, Senato e Consiglio dei Ministri), nonché la possibilità di estensione di tale regime di natura pubblica anche alle assemblee regionali, provinciali e comunali. La definizione di “attività di relazione”, data nella presente proposta di legge all’articolo 227, risulta inoltre essere un vero e proprio ampliamento onnicomprensivo della definizione di lobbying prevista inizialmente nella “Proposta Veltri” del 1998, comprendendo in questo caso non solo la codificata attività di contatto con i decisori pubblici e di creazione e proposta di dossier (e position papers), ma “anche ogni                                                                                                                

26 All’interno della relazione introduttiva del disegno di legge.

27 “Ogni attività svolta da persone, associazioni, enti e società attraverso proposte, richieste, suggerimenti, studi, ricerche, analisi e qualsiasi altra iniziativa o comunicazione orale e scritta anche per via elettronica, intesa a perseguire interessi leciti propri o di terzi nei confronti dei membri e funzionari del Parlamento, del governo, dei dirigenti di cui all’articolo 15 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, dei funzionari dei ruoli direttivi, del personale inquadrato nelle posizioni C1 e C2 del comparto Ministeri e posizioni corrispondenti degli altri comparti, della pubblica amministrazione, e di membri delle assemblee elettive regionali, provinciali e comunali”

altra opera di studio, di ricerca e di comunicazione altrimenti intrapresa per fini specifici di rappresentanza di interessi particolari”. In secondo luogo, la “Proposta Pisicchio” del 2001 introduce tra i destinatari del lobbying un’indicazione soggettiva particolarmente ampia di attori politici e amministrativi nazionali, regionali e locali; particolarmente significativa della volontà regolativa appare la previsione di monitorare eventuali attività di lobbismo poste in essere non solo nei confronti di soggetti politici, ma anche di dipendenti dell’amministrazione, sia in funzioni apicali (in particolari i dirigenti amministrativi) sia legati alla carriera di funzionario (come i dipendenti delle categorie “C”, previsti nella carriera direttiva delle amministrazioni). Il testo presentato da Pisicchio avanzava pertanto un’interpretazione particolarmente estensiva e fortemente regolativa, in senso pubblico, testimoniando la sentita urgenza di prevedere una normativa che fosse in grado non solo di incidere sui rapporti tra lobbisti e settore pubblico nella sua più ampia previsione, ma anche di individuare un percorso di professionalizzazione degli operatori di rappresentanza degli interessi, al fine di escludere tutti i soggetti indicati da Mazzei come “lobbisti inconsapevoli e lobbisti abusivi”28.

                                                                                                               

A questo “picco iper-regolativo” — destinato a tutti i soggetti pubblici, sia politici che amministrativi, sia centrali che locali — della “Proposta Pisicchio”, è susseguito però un cammino plurale e frastagliato, caratterizzato da un cospicuo numero di disegni di legge presentati a cavallo tra la XIV, XV e XVI legislatura. Tra questi appare utile ricordare, per l’origine e per le caratteristiche, il testo n. 5567 del 30 novembre 2005, la c.d. “Proposta Colucci”29, che sintetizza e riprende alcune indicazioni emerse da parte di grandi soggetti imprenditoriali italiani durante il corso di un convegno, svoltosi presso la Camera dei deputati nella prima metà del 200430. La proposta, sviluppata sulla base delle indicazioni fornite da FIAT, Mediaset, Telecom Italia ed ENEL, si presentava come concettualmente orientata ad una vera e propria disciplina “minima”, volta a regolare esclusivamente l’attività di lobbying parlamentare: nei 3 articoli di cui la proposta si componeva, veniva affidato alle Camere, sulla base dell’autonomia regolamentare, il compito di provvedere alla definizione della disciplina concreta e specifica della materia. Pur apprendendo alcune linee fondamentali                                                                                                                                                                                                                                                                                                     tutti quei lobbisti che “scimmiottano e sviliscono la professione, mescolandola

con pratiche non trasparenti al limite, e talvolta oltre, il limite della legalità”. 29 “Disciplina dell'attività di relazione istituzionale svolta nei confronti dei membri del Parlamento”.

30 Convegno intitolato “Lobby e trasparenza: una proposta concreta di regolamentazione”.

comuni a tutte le iniziative legislative già presentate (definizione legislativa dell’attività, obbligo d’iscrizione ad apposito registro, previsione di principi generali della materia), la “Proposta Colucci” è segnata da un dato di sistema interessante: per la prima volta alcuni soggetti imprenditoriali che praticano lobbismo si fanno promotori di un progetto di regolamentazione del settore in maniera autonoma rispetto alle associazioni di categoria, come Confindustria. Si tratta quindi di un’inedita volontà di partecipazione come “grandi soggetti economici” alle politiche pubbliche, tentando di rompere quello schema che vedeva praticare l’attività di lobbying nella totale assenza di trasparenza.

Le proposte di legge in materia segnalano un’ulteriore novità di rilievo con la prima iniziativa regolativa assunta dal governo Prodi nel 2007: ovvero il già citato disegno di legge “Santagata” n. 1866 del 31 ottobre 2007 31  frutto di una consultazione particolarmente ampia con il mondo della rappresentanza degli interessi organizzati32 , la cui relazione introduttiva richiama espressamente alla policy di trasparenza della Commissione

                                                                                                               

31 “Regolamentazione della attività di relazione istituzionale e di rappresentanza di interessi particolari”.

32 Anche in questo caso, infatti, il testo scaturisce dalle indicazioni di soggetti

economici, quali Confindustria, Banca Intesa, Greenpeace, Lega Ambiente, ecc.

europea. Tale disegno, a differenza dei precedenti, prevedeva una sorta di “procedimentalizzazione”, anziché di regolamentazione, del lobbismo italiano, al fine di ottenere un chiarimento dei rapporti tra portatori di interessi, rappresentanti di interessi e decisori pubblici, con particolare riferimento al potere esecutivo33. Prevedendo che i principi ispiratori dell’attività di relazione istituzionale fossero la pubblicità, la trasparenza e la partecipazione, anche tale progetto di legge predispose (come strumento per la concretizzazione di tali postulati) la creazione di un registro pubblico dei lobbisti presso il CNEL — recuperando la funzione di tale istituzione come camera di compensazione d’interessi di natura economica differente — con precisi requisiti per l’iscrizione obbligatoria, un codice deontologico e appositi sistemi di rendicontazione delle attività svolte e delle spese sostenute, accompagnati da un sistema di sanzioni di natura amministrativa in caso di inosservanza delle disposizioni. Nonostante questi elementi sicuramente apprezzabili,

                                                                                                               

33 All’articolo 2, comma C, vengono espressamente considerati come soggetti

coinvolti nell’attività decisionale pubblica: il presidente del Consiglio, i ministri, i viceministri, i sottosegretari di Stato, i vertici degli uffici di diretta collaborazione dei ministri, dei viceministri e dei sottosegretari, i titolari di incarichi di funzione dirigenziale generale conferiti ai sensi dell’articolo 19, commi 3 e 4, del D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, i vertici delle autorità indipendenti nell’esercizio dell’attività di regolazione.

la travagliata vita istituzionale della XV legislatura34 non consentiva l’approvazione di un testo che presentava gli indubbi vantaggi di prevedere una regolazione soggettivamente ampia, di beneficiare di una buona architettura delle procedure, dei controlli e delle sanzioni, e di richiamarsi ai principi e alle esperienze proprie della regulation di stampo europeo.

La mancata approvazione del testo pone in luce, una volta ancora, l’esigenza di pervenire ad un esito regolativo conforme all’assetto della cultura politica nazionale in materia di rappresentanza degli interessi: purtroppo, anche i tentativi di disciplina organica promossi durante la scorsa legislatura, tranne alcune eccezioni35, non sono stati in grado di porsi in un’ottica di differenziazione rispetto alle proposte precedentemente esaminate, delineando un quadro statico, ammorbato. Nell’individuare le principali caratteristiche del lobbismo italiano, Graziano richiama

                                                                                                               

34 M. C. Antonucci, Rappresentanza degli interessi oggi, il lobbying nelle istituzioni politiche europee e italiane, op. cit., p. 107.

35 Il principale testo, ancora in discussione, è la cosiddetta “Proposta Orellana-

Battista” che, seppur maggiormente “puntuale” nel suo contenuto rispetto alle precedenti ipotesi regolatorie (poiché a fronte della previsione di obblighi che i lobbisti devono rispettare per poter entrare in contatto con i componenti del Parlamento, sono altresì previsti diritti e facoltà per i lobbisti che si iscrivono al registro pubblico, quali la possibilità di presentare “proposte legislative,

richieste, suggerimenti, studi, ricerche, analisi, memorie scritte, o qualsiasi altra documentazione relativa all’interesse del rappresentato”) non è riuscita a

ottenere attenzione da parte della commissione incaricata, rimanendo ancora, per il momento, un ulteriore tentativo “arenato”.

“il lento e tuttora incompiuto enuclearsi del lobbismo come professione autonomia ed il legame, supposto o reale tra lobbying e corruzione”36, citando i due elementi che rivestono un ruolo fondamentale per capire la “cifra” di un quadro normativo così indefinito, strettamente legati tra loro: la mancanza di una emersione sociale e professionalizzante dell’attività (§ 1), e l’esercizio del lobbismo in presenza di un sistema mediatico che spesso ha generato la diffusa percezione che il lobbying potesse costituire una forma avanzata e raffinata di corruzione. Tutto ciò si è così trasformato in una vera e propria “repulsione” verso la regolamentazione dell’attività lobbistica a livello organico, talmente forte da riuscire a neutralizzare ogni tentativo di effettiva razionalizzazione della disciplina.

Tuttavia, esistono e manifestano una propria rilevanza rispetto a questo deficit altri elementi, anche di natura non prettamente giuridica: il pensiero va alla struttura economica italiana, caratterizzata tradizionalmente da una frammentazione in un vasto numero di piccole e medie imprese, incapaci di unirsi in una rappresentanza unitaria e di imporsi nel procedimento decisionale, bensì capaci solo di “sprigionare interessi di bassa intensità, che                                                                                                                

non richiedevano contatti con le istituzioni”37, e la già ribadita centralità dei partiti italiani come rappresentanti e mediatori degli interessi dei cittadini, che una volta entrati in crisi e travolti dalla propria complicità con i fenomeni di corruttela (tangentopoli — sebbene massimo esempio — rappresenta solo una parte degli avvenimenti che hanno portato alla sfiducia verso il sistema partitico italiano) avrebbero trascinato con sé tutte le organizzazioni di mediazione sociale, rovinando così il campo anche ai gruppi d’interesse ovvero di pressione.38

Tuttavia, della definizione data di “regolazione strisciante ad andamento schizofrenico”, abbiamo — a questo punto — meramente descritto solo la prima delle caratteristiche (ossia l’assenza di una disciplina organica). Risulta necessario un confronto strutturato con le altre: l’esistenza di norme che seppur non espressamente votate alla disciplina di questo fenomeno prevedono obblighi di trasparenza per i lobbisti (e per i decisori

                                                                                                               

37L. Della Luna Maggio, Le lobbies nell’ordinamento italiano: quale regolazione possibile?, in Forum di Quaderni Costituzionali, 2015, disponibile http://www.forumcostituzionale.it/wordpress/wpcontent/uploads2015/04/dellal unamaggio.pdf.

38 In tal senso, si veda la analisi di M. Mazzoni, Il coverage della parola lobby nei giornali italiani. Una spiegazione alle difficoltà di radicamento della cultura delle lobbies, in Problemi dell’informazione, 1, 2013, pp. 102 e ss.

pubblici) e la non applicazione di queste, anche da parte delle stesse Autorità che le avevano introdotte.

4. I Regolamenti Parlamentari, la normativa AIR e VIR