LA DISCIPLINA DEL LOBBYING NELL’UNIONE EUROPEA
2. La riflessione giurisprudenziale europea (ed americana) sullo “standing”
In ottica preliminarmente giurisprudenziale, è necessario rilevare la sorprendente assenza di una qualsiasi riflessione della Corte di Giustizia dell’UE sull’esistenza o meno di un “diritto al lobbying” paragonabile all’elaborazione compiuta in terra americana. In quest’ultimo caso, come anticipato, la Corte Suprema americana è giunta a ricondurre l’attività di lobbying nella sfera delle libertà costituzionalmente protette dal Primo Emendamento, e pertanto le limitazioni poste a tale pratica debbono soddisfare lo standard di legittimità più rigoroso in assoluto (c.d. strict scrutiny)18. Nell’ordinamento comunitario, invece, la Corte di Giustizia ha sempre e solo lambito l’argomento, e la riflessione è
18 Lo Strict scrutiny, è stato ricavato dalla nota a piè di pagina 4 del caso U.S. v. Carolene Products Co. del 1938, 304 U.S. 144, 1938. Su questi concetti
cardine del diritto costituzionale americano, con particolare riferimento alla
free speech doctrine, v. ampiamente in K. M. Sullivan, G. Gunther, Constitutional Law, New York, Foundation Press, 2007, pp. 741-753, e L. H.
Tribe, American Constitutional Law, New York, Foundation Press, 2000, pp. 789-794. Entrambi questi testi ricostruiscono l’importante disputa che si ebbe negli anni ’60 dello scorso secolo negli Stati Uniti, tra chi sosteneva che i diritti garantiti dal Primo Emendamento andassero interpretati come “absolute”, e altra parte della giurisprudenza che affermava invece la necessità di sottoposizione a “balancing” con altri interessi concorrenti (la prima sostenuta nella Corte Suprema dal giudice Black, la seconda da Frankfurter e Harlan). In ogni caso, già con U.S. v. Harriss (347 U.S. 612, 1954), i giudici americani imposero di considerare il lobbying come un’attività lecita, nei confronti della quale non potevano essere ammesse restrizioni che ne intaccassero la sostanza, ma soltanto obblighi di disclosure (pubblicità e trasparenza); per un esempio pratico di tale limitazioni, si veda il divieto di contingency fee lobbying (§ 5).
riuscita a spiegarsi soltanto incidentalmente alla questione dello “standing”19, ossia dei requisiti per considerare o meno sussistente la legittimazione ad agire (e quindi ammissibile la presenza in giudizio) di enti che agiscano in rappresentanza di interessi collettivi o diffusi, alla luce della disposizione che, sin dalle origini, prevedeva come requisito necessario — per impugnare un atto comunitario — il fatto che questo lo riguardasse “direttamente e individualmente”20. Un tema che, seppur indubbiamente connesso, solo indirettamente si riflette sulla questione del diritto (in capo ad individui ed enti rappresentativi di interessi particolari) alla
19 R. De Caria, Le mani sulla legge: il lobbying tra free speech e democrazia,
op. cit., pp. 159 e ss.
20 Questa disposizione era inizialmente contenuta nell’art. 173 comma 2 del
Trattato di Roma, prevedendo che “Qualsiasi persona fisica o giuridica può
proporre, alle stesse condizioni, un ricorso contro le decisioni prese nei suoi confronti e contro le decisioni che, pur apparendo come un regolamento o una decisione presa nei confronti di altre persone, la riguardino direttamente e personalmente”. La disposizione fu poi spostata con l’entrata in vigore del
Trattato di Maastricht al comma 4 (sempre all’art. 173, di quello divenuto il Trattato CE), rimanendo inalterata nel suo contenuto, così come mutò nuovamente soltanto collocazione con il Trattato di Amsterdam, divenendo l’art. 230, comma 4. Il testo è stato infine modificato dal Trattato di Lisbona, per cui la disposizione, contenuta all’art. 263, comma 4, attualmente recita “Qualsiasi persona fisica o giuridica può proporre, alle condizioni previste al
primo e secondo comma, un ricorso contro gli atti adottati nei suoi confronti o che la riguardano direttamente e individualmente, e contro gli atti regolamentari che la riguardano direttamente e che non comportano alcuna misura d’esecuzione”. In ogni caso, è bene notare come, sin da subito, i giudici
europei diedero di questa disposizione un’interpretazione restrittiva, limitando di fatto le opportunità di accesso diretto alla giustizia europea in capo ai singoli. Tra le tante, Cfr. la sentenza della Corte 23 novembre 1995, causa C- 10/95 P, Asocarne/Consiglio.
partecipazione ad un procedimento legislativo21. Una di queste, peculiari ipotesi è, però, rappresentata dal caso Atlanta e a./Comunità europea22, tenutosi di fronte al Tribunale di primo grado delle Comunità europee, che intreccia considerazioni relative al generale principio del diritto di difesa con questioni in materia di lobbying. In quest’occasione, le ricorrenti sostenevano che il diritto di difesa, potendo comportare “il diritto di audizione degli interessati nell’ambito di procedimenti amministrativi che possono portare all’irrogazione di sanzioni o all’adozione di altre misure”, secondo quanto affermato dalla Corte in precedente occasione23, implicava analogo diritto di audizione anche nell’ambito del procedimento di adozione di un atto normativo come il regolamento controverso, essendo “indifferente se la situazione giuridica del singolo sia pregiudicata dall’esito di una procedura amministrativa
21 A questo proposito, Cfr. l’ampio lavoro di M. Caielli, Cittadini e giustizia costituzionale. Contributo allo studio dell’actio popularis, Torino,
Giappichelli, 2015.
22 Sentenza 11 dicembre 1996, T-521/93, EU:T:1996:184. Le società ricorrenti
avevano impugnato le disposizioni di un regolamento del 1993 che avevano istituito un contingente tariffario per le importazioni di banane e la relativa ripartizione, chiedendo altresì la condanna della Comunità europea, in persona del Consiglio e della Commissione, al risarcimento dei danni. Dopo la declaratoria della richiesta di annullamento, basata sulla considerazione che non riguardasse le ricorrenti né direttamente né individualmente, il caso era proseguito per l’analisi della richiesta di risarcimento: qui interessa il motivo dei ricorrenti basato su un’asserita violazione dei loro diritti di difesa nell’adozione del regolamento contestato.
23 Tra le altre, Cfr. cause riunite C-97/87, C-98/87 e C-99/87, Dow chemical Ibérica e a./Commissione, EU:C:1989:380, punto 12 del considerato in diritto.
o da quello di una procedura legislativa”. Invece, la Commissione, per procedere a un’audizione, pretese che tutte le parti interessate si presentassero tramite unico soggetto rappresentante, e quindi concordassero su una posizione comune. Ma poiché tale unanimità non era stata raggiunta, l’audizione venne omessa, pertanto “le istituzioni comunitarie avrebbero completamente omesso di prendere in considerazione la situazione particolare di una categoria nettamente distinta di operatori economici”, pregiudicandone gli interessi.
Il Consiglio, nelle sue difese, ribatté che “secondo le disposizioni del Trattato, esso non era assolutamente tenuto a consultare gli ambienti economici interessati prima di adottare il regolamento in questione”. Infatti, nell’iter legislativo europeo “una consultazione con i rappresentanti dei diversi gruppi economici e sociali interviene solo sotto forma di una consultazione del Comitato economico e sociale e ciò osserva ciò che è avvenuto”.
Nella sentenza di primo grado, il Tribunale giudicò a favore delle due istituzioni, respingendo la pretesa risarcitoria dei ricorrenti. Con specifico riferimento al motivo dell’asserita lesione del diritto di difesa, la Corte affermò, infatti, che contrariamente
all’argomento svolto dalle ricorrenti, “il diritto di audizione nel contesto di un procedimento amministrativo che riguarda un soggetto determinato non può essere trasposto nel contesto di una procedura legislativa che conduce all’adozione di misure di carattere generale” e che “nell’ambito della procedura di adozione di un atto comunitario basato su un articolo del Trattato, i soli obblighi di consultazione che il legislatore comunitario deve rispettare sono quelli imposti dall’articolo di cui trattasi”. Ciò, essenzialmente, conduce ad escludere la sussistenza di un obbligo generalizzato di consultazione dei soggetti interessati, e confermando in sede giurisdizionale la “sufficiente consultazione” del Parlamento, laddove prevista24, e del Comitato Economico e Sociale (CES), di cui viene sottolineata l’importanza nell’assicurare la rappresentanza dei gruppi economici e sociali nel loro insieme. Poiché nella vicenda in questione tanto il Parlamento quanto il CES erano stati consultati, il Tribunale concluse che la Commissione non aveva alcun obbligo di consultare anche le varie categorie di operatori economici interessati.
24 Nella sentenza della Corte 29 ottobre 1980, causa 138/79, Roquette Fréres/Consiglio, EU:C:1980:249, la Corte ha statuito che l’obbligo di
consultare il Parlamento, previsto da diverse disposizioni del Trattato, è il riflesso, a livello comunitario, di un “principio democratico fondamentale
secondo cui i popoli partecipano all’esercizio del potere per il tramite di un’assemblea rappresentativa”.
La Corte di Giustizia, seppur annullando formalmente la sentenza di primo grado per aver questa omesso di pronunciarsi su uno dei motivi di ricorso, confermò interamente le affermazioni dei giudici del primo grado25, ribadendo che i soli obblighi di consultazione cui il legislatore comunitario è tenuto ad adeguarsi e a rispettare sono quelli imposti dai Trattati, a seconda della materia in esame. Come osservato in dottrina26, questa impostazione, che porta ad affermare una sostanziale inesistenza di un diritto alla partecipazione nell’ordinamento europeo, è stata sin qui sempre confermata dalle Corti. Ciò si riflette inevitabilmente sulla mancata configurazione di un diritto al lobbying paragonabile a quello elaborato negli Stati Uniti, nonostante nemmeno la giurisprudenza americana abbia mai riconosciuto tout court un procedural due process agli interessati al procedimento legislativo, bensì ammettendo il lobbying come libera facoltà — per il rappresentante di interessi — di interfacciarsi e intrattenere “stabile intermediazione” con il policy-maker, al fine di modularne gli
25 Sentenza della Corte (Quinta sezione) del 14 ottobre 1999, Atlanta AG v. Commissione delle Comunità europee e Consiglio dell’Unione Europea, causa
C-104/97 P., EU:C:1999:498.
26 Cfr. J. Mendes, Participation and the Role of Law After Lisbon: a Legal View on Article 11 TEU, in Common Market Law Review, 48, 2011, pp. 1849-
indirizzi27. Tra le varie ragioni di ordine tecnico e sistematico addotte dai giudici europei a sostegno di tale impostazione, merita quindi sottolineare la considerazione che la tutela degli interessi dei singoli è sufficientemente garantita dal coinvolgimento di altre istituzioni, su tutte il Parlamento europeo e il CES28, e dunque dalla democrazia rappresentativa, che nell’impostazione della Corte e del Tribunale non sembrerebbe abbisognare di correttivi atti a garantire una maggior partecipazione agli interessi particolari coinvolti, sia sul piano del rule-making che su quello giurisdizionale. Mutatis mutandis, questo mancato riconoscimento nell’ordinamento americano si giustifica sulla base di considerazioni sull’efficienza e sostenibilità del processo legislativo e coesiste dunque senza
27 Va tenuto presente che l’inesistenza di un diritto alla partecipazione non
deve essere confusa con il diritto all’esercizio dell’attività di lobbying. La giurisprudenza europea non si è mai, come detto, espressa direttamente sull’attività di lobbying (ma come vedremo, le Istituzioni comunitarie si sono comunque impegnate col tempo a creare strumenti in grado di poter controllare e indirizzare il fenomeno lobbistico, § 2 e ss.); negli Stati uniti, invece, la Giurisprudenza “non è stata disposta ad impiegare il Primo Emendamento per
ricavare dalla Costituzione un diritto individuale di partecipazione al policy- making”, ma ha riconosciuto la facoltà costituzionalmente garantita, per i
portatori di interessi particolari, di premere sul legislatore, e mantenere rapporti più o meno costanti con i decisori pubblici. Per una dettagliata ricostruzione delle sentenze della Corte Suprema in materia di (inesistenza di un) procedural
due process , si veda S. Rose-Ackerman, S. Egidy, J. Fowkes (a cura di), Due Process of Lawmaking, New York, Cambridge University Press, 2014, pp. 90 e
ss.
28 Sul ruolo del CES e sulla sua effettiva influenza nel processo di policy making europeo, si veda C. Honnige, D. Panke, The Committe of the Regions and the European Economic and Social Committe: How influental are Consultative Committess in the European Union?, in Journal Of Common Market Studies, 51, 2013, pp. 452-471.
particolari tensioni con il diritto di individui e gruppi di rivolgersi ai pubblici decisori, intrattenendo rapporti di intermediazione ovvero tentandone l’influenza29.
Nonostante il mancato riconoscimento del diritto alla partecipazione, va infine rilevato come si riscontrano recentissimi casi di fronte ai giudici europei in cui le parti hanno sostenuto, nelle loro difese e per motivazioni diverse, di aver svolto attività di lobbying. A prescindere dal giudizio nel merito, gli stessi giudici hanno ritenuto tale attività come pienamente legittima, che non assurge però al rango di libertà fondamentale, non essendo riconducibile all’alveo della libertà di espressione e manifestazione del pensiero 30 . Tale riconoscimento indiretto sembrerebbe
29 T. M. Susman, R. Gordon (a cura di), The lobbying Manual, Chicago,
American Bar Association, 2009, pp. 228 e ss.
30 Sentenza del Tribunale di Primo Grado (Sesta Sezione) del 13 settembre
2010, Whirpool Europe c. Consiglio dell’Unione, C-314/06, EU:T:2010:390. In questa occasione, una prima versione provvisoria di un regolamento (n. 1225/2009) dispose l’istituzione di dazi antidumping sull’importazione di alcuni tipi di frigoriferi dalla Repubblica di Corea, emanato a seguito di indagini svolte dalla Commissione su impulso di Whirpool. Nelle fasi successive del procedimento, però, la stessa Commissione accolse l’opinione di LG, società coreana che aveva sostenuto, in apposita audizione di fronte alla Commissione, la necessaria restrizione del campo di applicazione del regolamento in questione. Whirpool, promuovendo ricorso contro il testo definitivo, sostenne l’inversione di tendenza delle istituzioni fosse stata causata da un “lobbying dell’ultimo minuto, sulla base di elementi che non compaiono
tuttavia nella motivazione del regolamento impugnato”. Il tribunale però
respinse i motivi del ricorso, affermando che il regolamento impugnato esponesse “in modo giuridicamente sufficiente gli elementi di fatto e di diritto
pertinenti ai fini della valutazione che vi viene svolta”. Da questa pronuncia, e
perfettamente compatibile con la tendenza, propria delle Corti europee, a omettere nel giudizio di merito qualsiasi confronto con le osservazioni — promosse in alcuni ricorsi dai ricorrenti — che hanno definito il lobbismo come attività nociva per la corretta e democratica formazione del processo di policy-making31.
3. Verso una regolamentazione (non vincolante) del