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L’apertura della Corte Costituzionale alle istanze dei gruppi di pressione

L’INQUADRAMENTO GIURIDICO DEL LOBBISMO IN ITALIA

2. Le Lobby nei Principi Costituzionali e nelle sentenze della Consulta

2.2 L’apertura della Corte Costituzionale alle istanze dei gruppi di pressione

Non a caso, proprio basandosi su una lettura più conforme allo spirito costituzionale degli articoli 2, 3, 18 e 49 della Costituzione, la Corte, con due note sentenze del 197412, ha riconosciuto come legittima l’attività di influenza svolta da soggetti espressione della società organizzata nei confronti degli organi costituzionali. Chiamata a sindacare la legittimità costituzionale dell’art. 503 dell’allora codice penale, che vietava lo sciopero c.d. “politico” perché finalizzato a esercitare pressione politica sugli organi costituzionali, la Corte ha chiaramente evidenziato come “ammettere che lo sciopero possa avere il fine di richiedere l’emanazione di atti politici non significa affatto incidere sulle                                                                                                                

12 Corte Cost., sent. del 14 gennaio 1974, n.1, e Corte Cost., sent. del 19

competenze costituzionali, bensì ripetere quanto dalla Costituzione già risulta: esser cioè lo sciopero un mezzo che, necessariamente valutato nel quadro di tutti gli strumenti di pressione usato dai vari gruppi sociali, è idoneo a favorire il perseguimento dei fini di cui al secondo comma dell’art. 3 della Costituzione”13. Per la Corte, dunque, l’esercizio dell’attività di pressione sugli organi costituzionali, ove non finalizzato a sovvertire l’ordine stesso ovvero a “ostacolare o impedire il libero esercizio di quei diritti e poteri nei quali si esprime direttamente o indirettamente la sovranità popolare”, deve considerarsi legittima espressione di un diritto costituzionale, e come tale non potrà essere proibito. Infatti, la Costituzione repubblicana, ribaltando l’assetto politico precedente, ossia “rovesciando i principi di quella logica                                                                                                                

13 Corte Cost., sent. Del 19 dicembre 1974, n. 290, punto 4 del considerato in

diritto. Diffusamente sul tema A. Mannino, Lo sciopero politico, Milano, Giuffrè, 1975; e S. P. Panuncio, Lo sciopero politico tra Costituzione e Corte

Costituzionale, in Scritti in onore di Costantino Mortati, 3, Milano, Giuffrè,

1977, pp. 925 e ss.; quest’ultimo autore, in particolare, nel commentare la sentenza in parola, nota in maniera critica come la Corte non abbia posto a fondamento della propria decisione, come avvenuto in precedenza (cfr. sentenza n. 29 del 1960), l’articolo 39 della Costituzione ovvero la libertà sindacale, ma il più generale principio desumibile dall’articolo 2. La Corte, equiparando lo sciopero politico agli altri strumenti di lobbying, sostenendo che il primo, al pari dei secondi, si pone “il mero obiettivo di influenzare le

scelte dell’Autorità politica”, commette un errore (secondo Panuncio) poiché

lo sciopero politico è diretto a “forzare” in un certo senso le scelte dei pubblici poteri, e non solamente a “influenzarle”. Ai fini della disamina, pure tali autorevoli osservazioni possono essere di supporto, nella misura in cui sembrano legittimare le altre azioni di lobbying svolte da soggetti privati al fine di “meramente influenzare” la decisione pubblica.

[repressiva] ha dato ampio spazio alla libertà dei singoli e dei gruppi, riconoscendola e tutelandola con i soliti limiti che risultano strettamente necessari a salvaguardare altri interessi che concorrono a caratterizzare il nuovo assetto democratico della società”.

Le due sentenze, così lette, riconoscono il fondamento costituzionale dell’attività di lobbying e la liceità della stessa azione posta in essere da portatori di interessi particolari al fine di tutelare interessi propri o altrui, orientando le scelte del decision maker, mettendo allo stesso tempo in luce la necessità strutturale di introdurre una regolamentazione che renda effettivo l’esercizio di questo diritto. Ugualmente, secondo Petrillo 14 , può essere interpretata un’altra sentenza della Consulta del 200415 in materia di Statuto regionale dell’Emilia Romagna, che ha riconosciuto come non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate nei confronti degli articoli 17 e 19 della delibera statutaria regionale relativi alla c.d. “istruttoria pubblica” e alla consultazione dei soggetti interessati nel procedimento legislativo. La Corte in questa circostanza ha fugato ogni possibile dubbio circa la rilevanza,                                                                                                                

14 P. L. Petrillo, Il paravento della politica. Le lobbies in Italia tra norme e consuetudine, in G. Macrì (a cura di), Democrazia degli interessi e attività di lobbying, op. cit., pp. 18 e ss.

nell’ordinamento costituzionale italiano, dei portatori d’interessi particolari non generali: in primo luogo, affermando che “la previsione che nei procedimenti riguardanti la formazione di atti normativi ovvero amministrativi di carattere generale l’adozione del provvedimento finale possa essere preceduta da istruttoria pubblica rappresenta l’inserimento — anche a livello statutario — d’istituti già sperimentati e funzionanti, anche in alcune delle maggiori democrazie contemporanee” e che tale istituto non sia

«finalizzato a espropriare dei loro poteri gli organi legislativi o a ostacolare l’attività degli organi di pubblica amministrazione»

bensì miri a “migliorare e a rendere più trasparenti le procedure di raccordo degli organi rappresentativi con i soggetti più interessati dalle diverse politiche pubbliche”16, consentendo a organismi associativi — rappresentativi di significative frazioni del corpo sociale — di poter essere consultati da parte degli organi consiliari. Inoltre, la Corte specifica che “il riconoscimento dell’autonomia degli organi rappresentativi e del ruolo dei partiti politici non viene affatto negato da una disciplina trasparente dei rapporti fra le

                                                                                                               

16 Corte Cost., sent. del 29 novembre 2004, n. 379, punto 5 del considerato in

istituzioni rappresentative e frazioni della cosiddetta società civile”17.

La Corte Costituzionale ha così dato per acquisita e pacifica l’attività d’influenza svolta dai portatori di interessi privati nei confronti dei decisori pubblici, affermando che il loro coinvolgimento nei processi decisionali arricchisce il procedimento stesso di esperienze e conoscenze altrimenti non acquisibili, guardando alla regolamentazione del fenomeno lobbistico come una “fonte di trasparenza”, e ai gruppi di pressione come soggetti in grado di interagire e partecipare con lo Stato nella formazione dell’indirizzo economico-sociale (accogliendone una visione neocorporativistica, sulla scia del “modello partecipativo” di Gerard Lembruch18).

                                                                                                               

17 Corte Cost., 29 novembre 2004, n. 379, punto 6 del considerato in diritto. 18 Filosofo neocorporativista, che nelle sue opere ribadì la collocazione

“naturale” dei gruppi sociali e di interesse all’interno delle politiche pubbliche, sottolineandone la natura partecipativa. Tra le opere più rilevanti dell’autore, si veda Liberal corporatism and party government, in Comparative Political

Studies, 1977, e G. Lembruch, P.C. Schmitter, Patterns of corporatistics policy making, Londra, Sage edition, 1982.

2.3 La partecipazione ai processi decisionali nella proposta