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Dalla sfera privata a quella pubblica: l'importanza delle donne africane nelle amministrazioni locali.

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Introduzione

Le donne hanno fatto la loro comparsa sulla scena politica africana agli inizi degli anni ‘90. Molti sono ancora gli ostacoli culturali, economici, politici e sociali da superare, ma una considerevole quantità di candidature femminili si sono registrate alle elezioni presidenziali di Paesi come il Kenya, la Repubblica Centrale Africana, la Nigeria e la Tanzania.

Molti movimenti femminili cercarono di aumentare la rappresentazione parlamentare femminile e, anche se i risultati furono spesso scoraggianti, era stato fatto il primo passo verso una nuova era dal volto anche femminile1.

Una delle ragioni per cui le donne africane reputarono una priorità l’azione politica risiede nella necessità di far fronte quotidianamente alle difficoltà ed alle umiliazioni che subivano nell’ambito domestico. Per questo motivo furono chieste a gran voce le necessarie riforme legislative e costituzionali che potessero migliorare il loro status. I movimenti per le riforme politiche fecero spazio alle nuove organizzazioni femminili che, approfittando di un momento di debolezza interna al partito, riuscirono a staccarsi dal suo influsso, creando così delle nuove agende politiche che avevano come obiettivo primario il miglioramento del loro status sociale ed economico.

Oltre a questo l’aumento dell’istruzione aiutò l’emancipazione. Durante gli anni novanta si videro sulla scena politica molte donne colte e dalle enormi capacità e competenze. Aumentò anche il supporto da parte di movimenti femminili internazionali.

L’autonomia di associazione rese possibile sfidare la corruzione e l’ingiustizia. Ora potevano liberamente scegliere i loro leaders, creare le loro agende politiche. Questo permise di porsi nella scena politica con vigore e determinazione ampliando i loro obiettivi politici e osteggiando addirittura leggi e rigide strutture sociali che le costringevano e confinavano nell’ambito domestico.

I dibattiti interni alle organizzazioni femminili spingono per trovare un punto d’incontro tra etnicità e religione al fine di perseguire gli interessi e creare un

1

Ferguson, Anne, Kimberly Ludwig, Beatrice Liatto Katundu, and Irene Manda. 1995. Zambian Women in Politics: An Assessment of Changes Resulting from the 1991 Political Transition. East Lansing: Michigan State University, pp.26; Tripp, Aili Mari. Women & Politics in Uganda. Oxford: James Currey; Kampala: Fountain Publishers; Madison: University of Wisconsin Press,

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ponte tra la città e la campagna per coinvolgere anche le donne con una minore istruzione.

Esempio di quanto sopra riportato è il caso del Sudafrica, una realtà a sé stante che è riuscita a contraddistinguersi dagli altri Paesi.

Le donne in Sudafrica, infatti, hanno avuto un ruolo primario nel plasmare la società politica, sociale, civica ed economica. Tuttavia la lotta per il riconoscimento dei diritti delle donne in Sud Africa ebbe un processo molto lungo e fu profondamente segnata da tre elementi: la razza, la classe sociale e il genere. Agli inizi del XX secolo, nessuna donna poteva votare né possedere proprietà. Dagli anni 30 le donne bianche potevano votare, mentre fu solo verso la fine di quel secolo che le donne di colore poterono beneficiare dello stesso diritto.

Per queste ultime la lotta per i diritti politici fu legata inesorabilmente a quella per la liberazione nazionale. Le nuove opportunità politiche offerte dalla transizione dall’apartheid alla democrazia, la creazione di una organizzazione autonoma per rappresentare il movimento femminile e la consolidazione della nozione di eguaglianza nel partito dell’African National Congress diedero loro nuove forze. La creazione di una struttura nazionale rappresentativa per il movimento femminile, Women’s National Coalition permise la creazione di una organizzazione strategica formata da donne.

Le difficoltà sono ancora innumerevoli ma si ritiene che i tempi siano abbastanza favorevoli per accettare un maggiore coinvolgimento delle donne nella sfera politica.

1. Decentramento locale e partecipazione della donna.

Il governo decentralizzato è visto in misura sempre maggiore, in molti paesi africani, come la modalità di governance più appropriata, mediante la qual poter concepire, progettare, realizzare, supervisionare e valutare i programmi per ridurre la povertà. Ciò è giustificato dal fatto che il processo di decentramento facilita la partecipazione di più comunità per quanto riguarda l'individuazione, la pianificazione e l'attuazione di progetti, cosa che a sua volta aumenta il senso di appartenenza ed offre una maggiore garanzia di continuità.

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La decentralizzazione è realizzata nel quadro della Dichiarazione del Millennio, che mette in evidenza le potenziali strategie di azione per conseguire gli obiettivi e gli impegni del Vertice del Millennio. Basandosi sul lavoro dei governi, l'intero sistema delle Nazioni Unite (comprese le istituzioni di Bretton Woods, l'Organizzazione mondiale del commercio, le organizzazioni intergovernative, le organizzazioni internazionali, le organizzazioni regionali) e la società civile prestano particolare attenzione al "sostenere gli sforzi del governo per rafforzare la governance locale nelle aree urbane e rurali"2.

Il Vertice mondiale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite del 2005, ha nuovamente sottolineato l'importanza del ruolo delle autorità locali nel raggiungimento degli obiettivi di sviluppo concordati a livello internazionale, compresi gli “obiettivi di sviluppo del Millennio”3.

Il Vertice ha anche ribadito che l'avanzamento delle donne è stato una forma di progresso per tutti, e ha promosso “la maggiore rappresentanza delle donne nel governo del processo decisionale, unito alla loro piena partecipazione al processo politico”4.

La Convenzione sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW), invita gli Stati ad eliminare la discriminazione contro le donne nella vita politica e pubblica del paese, ed a garantire alle donne il diritto di partecipare equamente con gli uomini, nella formulazione delle politiche di governo e della loro attuazione, con la possibilità di occupare le posizioni pubbliche di primo piano, e di assumere le funzioni pubbliche a tutti i livelli di gestione di governo"5.

La dichiarazione globale dell'Unione Internazionale degli Enti Locali (IULA) sulle donne nella gestione delle problematiche locali, afferma che “l'integrazione sistematica delle donne aumenta la base democratica, l'efficacia e la qualità della gestione degli affari pubblici locali. Se la governance locale significa soddisfare le esigenze di uomini e donne, essa dovrebbe essere la somma delle esperienze di

2

Vedasi il documento Ufficiale delle Nazioni Unite A/56/326 del 6 settembre 2001: tabella di marcia per leggere la Dichiarazione del Millennio delle Nazioni Unite: Rapporto del Segretario Generale.

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Documento finale del Vertice mondiale Onu: A/60/L.1 * 20 settembre 2005, pagina 39.

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uomini e donne attraverso un'equa rappresentanza a tutti i livelli ed in tutti i campi decisionali, coprendo la più ampia gamma di responsabilità di affari pubblici locali. Al fine di creare comunità e enti di governo locale duraturi, equi e democratici, in cui le donne e gli uomini abbiano un accesso equo ai processi decisionali, ai servizi, la prospettiva di genere deve essere centrale a tutti i settori di formulazione delle politiche e la gestione di affari pubblici locali”.

In molti paesi africani, la decentralizzazione è vista come una politica di grande valore, utilizzata come uno strumento di trasferimento di potere alle persone, una piattaforma per lo sviluppo di democratizzazione, una mobilitazione di sviluppo economico, un mezzo efficace per la riconciliazione, l'integrazione sociale e il benessere delle persone, nonché un mezzo per la promozione della cultura della buona governance politica, economica, civile, amministrativa e gestionale.

È stato osservato che in alcuni paesi, che hanno attuato politiche di decentralizzazione - come Ruanda, Uganda, Burkina Faso, Sud Africa, Senegal - il numero delle donne nel processo decisionale e di leadership, in particolare nei consigli di amministrazioni locali è aumentato. Tuttavia, è generalmente vero che le donne in molti paesi africani restano escluse dal processo decisionale politico in materia di affari pubblici locali. I risultati di un sondaggio condotto di recente dalla associazione "Città unite e Governi locali” (UCGL), sulle proporzioni delle donne elette in 298 comuni africani, mostrano che le consiglieri e le donne-sindaci, rappresentano, rispettivamente, il 30 ed il 12 per cento di tutti gli eletti6. Tuttavia, la tendenza generale verso una maggiore partecipazione delle donne nella politica in Africa, è positiva.

Ciò è stato dimostrato in particolare dalla elezione del Presidente Ellen Johnson-Sirleaf in Liberia, e dall'alta rappresentanza delle donne in Parlamento del Ruanda.

Le donne riescono ad accedere più alle posizioni decisionali nelle collettività locali e negli altri enti governativi locali, che al governo centrale. Questo è dovuto a vari fattori.

In primo luogo, considerato che le donne sono in genere molto attive nelle loro case e nelle loro comunità, la leadership locale è vista come relativamente più

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facile da sopportare. Di fatti, essa permette alle donne di coordinare meglio la loro vita familiare con le loro responsabilità professionali al livello locale. Esse hanno una buona comprensione dei problemi locali e li affrontano in un modo o nell'altro. La leadership locale è anche vista come uno strumento pratico per aiutare le comunità, contribuire a soddisfare le necessità immediate della vita quotidiana delle donne e delle loro famiglie. Le donne sono coinvolte in attività di sviluppo sociale o di base. Queste attività rafforzano la loro fiducia nella loro capacità di risolvere i problemi locali. Anche la vicinanza geografica consente loro di assumere altre responsabilità.

In secondo luogo, le autorità locali sono più accessibili perché ci sono più posti vacanti e meno concorrenza rispetto al livello degli organi legislativi del governo centrale. La politica locale sembra meno complessa di quella nazionale, e, in generale, alcuni credono sia un terreno di formazione per coloro che aspirano ad assumere un destino nazionale. Inoltre, le elezioni locali sono meno costose, danno luogo a un minor numero di scontri e sono meno aggressive rispetto a quelle nazionali. Questi elementi rendono la donna più vicina alla politica locale che a quella nazionale.

In terzo luogo, alcuni posti sono riservati alle donne nel governo locale, e altre forme di quote facilitano l'accesso delle donne ai posti politici (in alcuni paesi). In quarto luogo, le donne sono più accettate nel governo locale della città e della comunità. Il fatto che i funzionari locali in carica siano generalmente ben noti a tutta la comunità, riduce la distanza di potere tra le donne e le strutture di governance locale. Esse sono quindi meno intimidite.

"È spesso più facile per le donne partecipare al governo a livello locale che a livello centrale, perché i criteri di ammissibilità all’essere eletti a livello locale sono meno rigorosi, e perché la gestione del governo locale è più vicina alla vita del mondo delle donne, e più facile da conciliare con l'educazione dei figli. Essa può essere il primo livello che le donne possono intraprendere e servirsene in tal modo, come un trampolino di lancio per la politica a livello nazionale, consentendo loro di sviluppare le competenze e acquisire esperienza. Allo stesso modo, fare politica a livello locale può essere più interessante per le donne, dal momento che conoscono la loro comunità come principali utilizzatrici dello

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spazio e dei servizi della comunità locale (acqua, energia elettrica, rimozione dei rifiuti, assistenza sanitaria ed altri servizi sociali). Sono inoltre partecipi attivamente nelle organizzazioni del loro ambiente, ed è più facile riuscire a coinvolgere tali organizzazioni nel processo formale del processo decisionale politico a livello locale”7.

Questo perché tale governo è considerato un’estensione del coinvolgimento delle donne nelle loro comunità. La decentralizzazione è quindi utilizzata per promuovere il trasferimento di potere e di empowerment delle donne. Ciò significa che le donne svolgono un ruolo importante nell'attuazione del decentramento, con un impatto sullo sviluppo delle comunità locali. Dato che le preoccupazioni e gli stili di leadership delle donne differiscono completamente da quelle degli uomini, la presenza delle donne ha quindi un impatto sulla governance locale, che è sempre più riconosciuto.

1.1 Il genere

L'uguaglianza di genere è un concetto di relazione orientato verso una nuova forma di socializzazione, più equilibrata dei rapporti tra ragazzi e ragazze, uomini e donne. Il genere non è la donna, ma è il suo status di inferiorità, che fa la differenza; il genere si focalizza sugli uomini e sulle donne e cerca di apportare un cambiamento qualitativo nelle loro relazioni spesso impari. Poiché è volto a ridurre le disparità e la disuguaglianza tra loro, il genere ha preso piede con approcci quali l'Integrazione delle Donne nello Sviluppo (IFD) e Donne e Sviluppo (FED) approvati negli anni '70, ma i cui risultati non sono uniformi. La Conferenza di Nairobi (1985) è stata l'occasione per constatare il fallimento delle teorie delle strategie di sviluppo e di integrazione delle donne, ma il punto di svolta decisivo è stato segnato da quella di Pechino (1995), che ha sancito i concetti di relazioni di Genere che mettono in risalto il carattere sociale, in modo da costruire delle differenze tra i sessi. Questo approccio è basato sulla disuguaglianza delle relazioni sociali tra i sessi e le sue conseguenze, e si propone di modificarle.

7

Annette Evertzen, SNV - Organizzazione per lo sviluppo Olanda: “Genere e Governance Locale”.

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Con l'individuazione della posizione delle donne nella società, questa impostazione si prefigge di capire le differenze e di risolverle a lungo termine. In primo luogo, la dimensione di genere si serve dello strumento statistico per dividere i dati per sesso, età e attività al fine di disporre di una migliore leggibilità delle disparità e delle disuguaglianze sociali tra uomini e donne. D'altro canto, il genere comprende le relazioni sociali, per cui viene utilizzata una griglia strutturata intorno a temi quali: “chi fa cosa?”, “Quando?”, “Con quali mezzi?”, “Chi ottiene cosa?”, “Chi assume decisioni?”, “Chi ha cosa?”.

“Si riferisce agli aspetti culturali e sociali, ai caratteri acquisiti o innati dei ruoli e dei compiti che gli uomini e le donne svolgono nelle loro attività politica, economica e sociale. Questo concetto è interattivo, nel senso che le attività degli uni e delle altre sono definite in funzione alle attività degli altri”8. L'analisi di genere si basa sulla considerazione del rapporto tra l'uomo e la donna al di fuori di ogni determinismo biologico9. Questo dualismo tra i sessi è la fonte di una ideologia che consente agli utenti di classificare gli uomini e le donne. Questo approccio è uno strumento per valutare il funzionamento di una società, “delle norme e dei concetti che determinano la natura dei rapporti tra gli uomini e le donne. Implica che lo status delle donne sia un fatto di cultura e non di natura”10. Le donne costituiscono un gruppo abbastanza complesso. Questo gruppo si compone di figli, spose, nubili, divorziate, vedove ed invalide. Attualmente è riconosciuto che il genere costituisce una condizione di efficienza e di equità delle politiche economiche e sociali11. L'approccio di genere è il risultato della tensione tra i due principali punti di vista in merito alle strategie di sviluppo. L'uno chiamato “Donne nello sviluppo”, l’altro “genere e sviluppo”. Il primo trova

8

I. Jacquet, Sviluppo maschile/femminile. Il genere, strumento di un nuovo concetto, Paris, L'Harmattan, 1995, p. 23.

9

Claude Levi Strauss, I rapporti tra gli uomini e le donne sono al centro di tre pilastri universali della società: il divieto di incesto, l'esistenza di una unione riconosciuta e la divisione del lavoro.

10

R. Ikel, La forza degli obblighi socioculturali nelle relazioni di genere in Camerun, Comunicazione al primo simposio internazionale sul tema “Aspetti dello Stato di diritto” dell’AUF, Genere, disuguaglianza e religione, Dakar, UCAD 25-27 aprile 2006, p. 45.

11

Banca mondiale, Genere, sviluppo, il pensiero della parità dei diritti, risorse e voci, Washington, Banca mondiale (Policy Research Report), New York, Oxford University Press, 364 p; PNUD,

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origine in un contesto storico che integra le donne nel processo di sviluppo a partire dall'allarme lanciato negli anni ‘70 dall’economista E. Boserup12.

In questo approccio, il contributo delle donne è considerato come un elemento di modernizzazione economica13. Per quanto riguarda l’approccio “genere e sviluppo”, esso pone l'accento su una più complessa e sui fondamenti micro-economici e sociali attesi dal cambiamento sociale. È stata dimostrata la necessità di coinvolgere le donne nel processo decisionale per meglio comprendere le disparità tra i sessi. Il neologismo genere talvolta è stato utilizzato in maniera maldestra. Il genere è una categoria non omogenea e multidisciplinare.

1.2 La funzione della donna in posizioni di decision making nei diversi paesi africani.

In nessuna parte del mondo c’è stata una crescita così alta nella rappresentanza politica femminile quanto nell’Africa subsahariana durante gli ultimi quattro decenni14. L’incremento maggiore lo si ebbe tra il 1960 e il 2003 quando il numero delle donne crebbe fino al 14.3%. Il Ruanda divenne il Paese con la rappresentazione più alta, superando addirittura i Paesi del Nord Europa con il 48.8%15.

Negli anni ‘90, nel periodo che seguì la liberazione dal colonialismo, per la prima volta dall’indipendenza, un gran numero di donne aspirarono alla leadership politica, sia a livello locale sia a livello nazionale.

Nonostante il loro impegno i risultati furono assai modesti e molti furono gli ostacoli da superare, ciononostante le nuove voci femminili facevano sentire nuove opinioni in opposizione alla misoginia africana.

I primi esempi di donne che si presentarono sulla scena politica del XX secolo in qualità di capo di stato li troviamo nell’imperatrice dell’Etiopia Zauditu, che regnò tra il 1917 e il 1930, in Dzeliwe Shongwe, sovrana dello Swaziland, che

12

E. Bosurep, La donna di fronte allo sviluppo economico, Paris, PUF, Coll. Sociologia di oggi, 1983.

13

http://www.genreenaction.net/article.php3?id_article=221

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Aili Mari Tripp The Changing Face of Africa’s Legislatures: Women and Quotas, the Implementation of Quotas: African Experiences Pretoria, South Africa, 11–12 November 2003, pp.1

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regnò dal 1982-1983, seguita da Ntombi Thwala reggente dal 1983-1986. Malgrado ciò nessuna di queste fu propriamente eletta dal popolo.

I dati ci mostrano che il 1990 fu il decennio decisivo per le donne africane, poiché la rappresentanza femminile iniziò il lungo lavoro di emancipazione che dura tuttora.

Fino al 1990 era impensabile che una donna si candidasse alla presidenza in Africa, le strutture sociali, ancora altamente patriarcali, non permettevano loro di esprimersi in politica. Tuttavia alcune di esse si imposero con estrema determinazione in una sfera considerata di esclusivo dominio maschile16. Charity Ngilu e Wangari Maathai si proposero per le elezioni nel 1998 in Kenya, Rose Rugendo del partito Chama Cha Mapinduzi in Tanzania e Sarah Jibril in Nigeria si candidarono alle elezioni presidenziali nel 1989. Anche se purtroppo nessuna di esse registrò un successo politico, il loro coraggio servì da esempio, stabilendo un importante precedente.

Ruth Perry in Liberia fu la prima donna a porsi a capo di uno stato africano non monarchico; nel 1994 in Uganda, Specioza Kazibwe divenne in Africa la prima donna vice presidente. Silvie Kinigi divenne primo ministro del Burundi tra il 1993 e 1994, e nello stesso periodo Agate Uwilingiyimana fu primo ministro del Ruanda.

Dal 1960 in poi, quando nel continente africano ci fu la più bassa partecipazione politica femminile, molti stati cercarono di aumentare la percentuale di seggi parlamentari ad esse dedicate. Verso la fine degli anni ‘90 quattordici stati africani ebbero oltre al 12% di rappresentanza femminile, le Seychelles il 23%, la Namibia il 25% ed il Mozambico il 30%.

Alcuni Paesi, come il Sudafrica, riuscirono addirittura a superare la quota del 30%17.

Paragonando questa situazione con quella presente nel resto del mondo si può asserire che l’Africa aveva una buona partecipazione femminile. Tuttavia questi dati erano ancora lontani dall’essere l’effettivo riflesso della popolazione, dove il numero delle donne supera di gran lunga quello degli uomini.

16

Geisler, Gisela, Women and the remaking of Politics in Southern Africa. Negotiating autonomy, incorporation and representation, Nordic Africa Institute, gender studies, 2004, pp.9.

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Dal 1999 ad oggi le donne sono riuscite ad ottenere una quota dell’11,5% nei parlamenti contro il solo 6% del decennio precedente18. Con questi numeri l’Africa poteva confrontarsi con le statistiche europee, che nel 1999 vedevano una presenza politica femminile media del 13%, esclusi i Paesi dell’Europa del Nord dove viene raggiunto il 39%. Nonostante i risultati incoraggianti, risultava essere il fanalino di coda del panorama politico mondiale, chiaramente penalizzata anche rispetto al continente Asiatico e alle Americhe dove le donne in parlamento raggiungevano il 15%. Secondo le statistiche, pertanto molti Paesi africani avevano ancora una percentuale femminile inferiore agli standard.

Negli anni ‘90 molti partiti africani non prendevano ancora in considerazione la presenza di donne tra le loro fila perché spesso le rispettive necessità politiche non coincidevano. Questo spinse alcune di loro a riunirsi autonomamente in partiti politici dando vita ad alcune importanti iniziative: In Zambia nel 1999 Inonge Mbikusita-Lewanika creò il National Party; nel 1999 Margaret Dongo si mise a capo del Union of Democrats; mentre nel Lesotho Limakatso Ntakatsane diede vita al partito Kopanang Basotho.

Questi successi non furono casuali in un continente che ha visto una attiva partecipazione delle donne nelle guerre di indipendenza e ha prodotto delle donne leader che, occuparono con grande entusiasmo e rapidità gli spazi disponibili creati dai nuovi movimenti democratici degli anni ‘90. Esse dimostrarono con grande abilità l’importanza delle lotte politiche ed economiche che rappresentavano sia gli interessi delle donne sia quello degli uomini19.

Negli anni ‘90, tramite i loro partiti politici, le donne incominciarono ad osteggiare la corruzione ed i regimi repressivi, combattendo per i diritti umani attraverso la mobilitazione e le manifestazioni pubbliche. Esse infatti compresero che andava intrapresa una strategia d’azione in campo politico che mirasse a difendere le loro necessità e a migliorare il loro status sociale, politico ed economico20.

18

Inter-Parliamentary Union 1999, United Nations 1991 http://www.ipu.org/wmn-e/world.htm.

19

Geisler, Gisela, Women and the remaking of Politics in Southern Africa. Negotiating autonomy, incorporation and representation, Nordic Africa Institute, gender studies, 2004, pp.10.

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Per capire quali fossero le modalità di inserimento delle donne nell’arena politica, vanno considerati i seguenti elementi:

 l’aumento dell’istruzione femminile ha fatto emergere una nuova figura capace e competente ed in grado di inserirsi nella sfera politica;

 l’espansione della libertà di parola e di associazione e dell’uso dei telefoni cellulari, delle e-mails e di internet alla fine degli anni ’90, favorì la creazione di un network sia internazionale sia locale. L’informazione, le nuove realtà e le organizzazioni strategiche furono alla portata di tutti. Il miglioramento della comunicazione diede un nuovo slancio ai partiti femminili nell’organizzazione di campagne elettorali e nella creazione di un energico supporto politico. Alcune organizzazioni si adoperarono al fine di agevolare e promuovere le nuove tecnologie di comunicazione.  le donne in molti Paesi avevano maggiore esperienza degli uomini nel

creare e gestire associazioni, poiché da molto tempo erano state coinvolte in attività sociali, dalla chiesa e da altre organizzazioni locali e informali. Inoltre le donne avevano da sempre avuto una elevata presenza nelle ONG21.

 le ONG, i corpi ecclesiastici, le ambasciate hanno spesso appoggiato l’inserimento femminile nella realtà locale incoraggiando l’introduzione di quote partecipative nel parlamento a loro riservate. Ciò è evidente in Paesi come l’Uganda, Tanzania, Mozambico, Sudafrica. Nella maggior parte di questi Paesi, le quote parlamentari riservate alle donne, sono il frutto della loro partecipazione alle guerre civili (Eritrea, Mozambico, Randa, Somalia e Uganda) o a quelle della liberazione (Namibia e Sud Africa) in cui il contributo femminile fu molto alto. Proprio in relazione all’attiva presenza femminile tra le fila dei combattenti, ha permesso di ricreare un parlamento che tenesse in debita considerazione le loro necessità. Negli altri Paesi tuttavia questo procedimento non fu semplice poiché riservare delle quote per le donne, avrebbe significato allontanare dalla scena

21

Kante, M. and H. Hobgood et al. Governance in Democratic Mali: An Assessment of Transition and Consolidation and Guidelines for Near-Term Action, Associates in Rural Development, 1994,

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politica, un uomo già titolare della carica, creando pericolose dinamiche psicosociali22.

 il movimento internazionale delle donne ed in particolare le Conferenze sulle donne a Nairobi nel 1985 e a Pechino nel 1995, hanno avuto un ruolo importante nell’incoraggiare le donne ad influenzare la politica e hanno dato maggiore impeto alla mobilizzazione femminile; non solo, ma si posero quale obiettivo, la promozione dell’accesso delle donne alle risorse produttive, il cambiamento di tutte le pratiche sociali che sono causa di discriminazione e sottomissione e di prendere dei provvedimenti rapidi nella prevenzione di atti di violenza contro le donne ed i bambini. Anche se le forze di mobilitazione politica erano interne, ci furono delle pressioni internazionali e norme che danno impeto a queste nuove richieste. Nel 1995 alla conferenza di Pechino sulle donne, l’Inter-Parliamentary Union (IPU), l’organizzazione mondiale dei parlamenti nazionali, rese noto i dati statistici riguardanti la rappresentanza femminile nel mondo della politica. L’IPU adottò un piano di azione per modificare la realtà politica dominata dagli uomini promuovendo una situazione mondiale in cui entrambi i sessi possano rappresentare in modo equo la popolazione in base alle percentuali rappresentative.

 la politica formale in Africa è spesso controllata da un patronato politico informale. Molte donne tendono ad operare ai margini di networks clientelari. Ciò significa che hanno colto l’opportunità di proporsi là dove i networks clientelari erano stati indeboliti da crisi economiche, come in Senegal. Le crisi economiche hanno costretto molte donne a riunirsi in associazioni formali e informali.

Negli anni ‘90 ci fu un incremento del numero delle organizzazioni femminili dovuto ai cambiamenti sulla scena politica che impose ai leaders politici importanti modifiche ai loro programmi. Questi cambiamenti rappresentano nuovi trends significativi e non reversibili. In passato capitava spesso che la mobilitazione femminile venisse incanalata verso un unico partito legato al regime

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Tripp, Aili Mari The Changing Face of Africa’s Legislatures: Women and Quotas, The Implementation of Quotas: African Experiences Pretoria, South Africa, 11–12 November 2003, pp.4.

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vigente, con l’unico scopo di isolare la leadership femminile. In Zambia, per esempio, risultò fondamentale nel porre l’attenzione non sulla capacità politica e gestionale della donna ma sulla moralità delle sue azioni23. È facile capire che queste organizzazioni spesso furono un ostacolo alla realizzazione dell’indipendenza sociale delle donne24 poiché venivano spesso utilizzate per scopi celebrativi. In Malati per esempio il presidente Banda richiedeva alle donne della League of Malawi Women di essere presenti a tutte le funzioni ufficiali, vestite in uniforme e di ballare e cantare in suo onore25. Così facendo i partiti dittatoriali si assicurarono sia il voto femminile sia il totale controllo sull’associazione. Spesso le donne a capo di queste organizzazioni erano le mogli, le sorelle e le parenti dei leaders politici che non avevano alcun interesse a stimolare le velleità riformiste delle compagne26.

Tuttavia la proliferazione di associazioni indipendenti agli inizi del decennio permise alle organizzazioni femminili di sfuggire al controllo centrale, facendo sempre più adepte e coinvolgendole nella loro lotta per una maggiore rappresentanza politica femminile.

Il movimento per le donne in Uganda ad esempio riuscì ad occuparsi di svariate problematiche, come la presenza femminile negli uffici pubblici, la violenza domestica, lo stupro, le molestie sessuali, i diritti riproduttivi, l’educazione sessuale, l’aumento della presenza femminile nei media, la corruzione e molti altri argomenti che raramente venivano stati trattati pubblicamente in Paesi governati da un unico partito politico. In Uganda infatti le strutture claniche profondamente patriarcali hanno iniziato a vacillare quando le attiviste hanno messo in discussione le norme consolidate che regolano la proprietà della terra e che permettono solo agli uomini di possederla. Proprio queste norme hanno creato delle forti discriminazioni sessuali, impedendo alle donne sole o vedove di far valere i propri diritti sulla terra di proprietà del marito che avevano coltivato per

23

Geisler, Gisela. “Sisters Under the Skin: Women and the Women's League in Zambia.” Journal of Modern African Studies 25, no. 1, 1987, pp.43-66.

24

Geisler, Gisela. "Troubled Sisterhood: Women and Politics in Southern Africa." African Affairs 94, 1995, pp. 545-578.

25

Hirschmann, David. “Women and Political Participation in Africa: Broadening the Scope of Research.” World Development 19, no. 12 (1991), pp.1683.

26

Ferguson, Anne, Kimberly Ludwig, Beatrice Liatto Katundu, and Irene Manda.. Zambian Women in Politics: An Assessment of Changes Resulting from the 1991 Political Transition. East

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anni. In Uganda le donne attiviste hanno avuto un enorme successo nel promuovere i diritti delle donne all’interno del contesto di una società multietnica. In questo Paese sono tuttora in atto considerevoli cambiamenti politici ed economici, dovuti all’avvento di una nuova classe femminile, composta da donne istruite, che chiedono, tra le altre cose, di abolire la pratica della mutilazione dei genitali femminili, assai diffusa tra il gruppo etnico dei Sebei. Le richieste si spingono anche a chiedere di annullare le usanze molto radicate, come quelle che riguardano il matrimonio cerimoniale delle ragazze vergini, dette Naku, con il sovrano. Quest’ultima pratica, diffusa, legittimata dalla tradizione e tuttora vigente nel numeroso gruppo dei Ganda, comporta il monarchico stupro delle giovani ragazze. Questa pratica le ha esposte notevolmente al rischio di contagio durante la crisi dell’AIDS, poiché si era diffusa la convinzione che, essendo vergini, non erano affette dal virus e quindi “sicure”27.

In Ghana, il Provisional National Defence Council (PNDC) e il partito denominato National Democratic Congress di Jerry Rawling si è contrapposto alle iniziative del più grande movimento femminile del Ghana, il 31st December Women’s Movement (31DWM). La contrapposizione del PNDC fu dura e portò al soffocamento del movimento femminile poiché presto il partito si rese conto del crescente potere del movimento e cercò di osteggiarlo restringendo il suo raggio d’azione e limitando le richieste avanzate28.

Negli anni 90 le donne si accorsero presto che per poter avanzare le loro richieste, dovevano essere presenti all’interno delle istituzioni politiche. Ne conseguì una notevole mobilitazione a favore di organizzazioni femminili a supporto di candidate alle elezioni, per una maggiore diffusione dell’educazione civica che stimolasse i cambiamenti giuridici dello status giuridico femminile, per la creazione di maggiori posti riservati alle donne e per lo sviluppo di nuove strategie che mirassero alla leadership politica del paese.

27

Tripp, Aili Mari “The Politics of Women’s Rights and Cultural Diversity in Uganda” pp.431-432

28

Dei, George J. Sefa. “The Women of a Ghanaian Village: A Study of Social Change.” African Studies Review 37, no. 2, 1994, pp. 140.

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Anche se si registrava un incremento delle attività sociali, le donne parlamentari in molti Paesi si trovarono senza supporto da parte delle ONG, fattore che rese difficile l’ottenimento dei diritti basilari29.

In passato i politici erano riusciti ad ottenere il voto delle donne attraverso le organizzazioni femminili legate al partito. Quando queste ultime incominciarono a indebolirsi emersero alcuni movimenti indipendenti che davano supporto politico per candidati sia maschi che femmine che rappresentavano i loro interessi.

In Uganda organizzazioni quali Action for Development (ACFODE) focalizzarono la loro attività sulla leadership e sull’educazione civica per coinvolgere il più possibile le donne. Ancora oggi in altri parti d’Africa molte organizzazioni stanno cercando di creare un ponte di unione tra le abitanti delle zone rurali e quelle urbane coinvolgendo le giovani attiviste, poiché la maggioranza delle iscritte tendono ad essere donne di mezza età.

Nello Zambia, le militanti delle ONG, delle comunità religiose e dei partiti politici, formarono nel 1991 un gruppo denominato National Women’s Group (NWLG) con lo scopo di aumentare il numero delle donne nei ruoli chiave del governo, del parlamento e dei partiti politici. Questa lobby ebbe un ruolo molto importante nel promuovere e nell’incoraggiò le donne a candidarsi alle elezioni locali. Il suo obiettivo principale fu quella di eliminare tutta la legislazione discriminatoria e di promuovere corsi per l’insegnamento dei diritti umani e tenere seminari di educazione civica. Nel 1995 la lobby potè vantare più di 2000 iscritti30.

Nello Zambia ci furono numerosi gruppi che si prefiggevano di promuovere la partecipazione femminile alla vita politica. Nel 1996 il gruppo denominato Women’s Lobby sostenne economicamente 44 candidate femminili per le elezioni parlamentari, solo una di queste riuscì ad ottenere una vittoria, tuttavia ciò fu da sprone per molte altre organizzazioni, al punto che la percentuale femminile in parlamento passò dal 7 al 11 %.

29

Geisler, Gisela. "Troubled Sisterhood: Women and Politics in Southern Africa."African Affairs 94, 1995, pp.562

30

(16)

Nonostante tutte queste iniziative, le donne hanno ancora molto da fare per potersi inserire nella sfera politica, poiché spesso mancano loro le risorse, l’esperienza e i contatti politici per candidarsi.

I forti stereotipi popolari vedono l’ambiente domestico più consono per le donne piuttosto che quello politico, un pensiero condiviso sia da uomini che da donne, che trova un riscontro pratico negli schemi elettorali e, di conseguenza, nella presenza femminile al governo.

In Uganda per esempio durante le elezioni presidenziali del 1996 ci furono innumerevoli soprusi, molestie e violenze di mariti nei confronti delle mogli a causa di opinioni politiche divergenti. In tutto il Paese ci furono casi di donne buttate fuori casa, ad altre furono sottratte le tessere elettorali, malmenate e addirittura uccise. L’ovvia conseguenza fu che poche di loro riuscirono ad esercitare il diritto al voto.

Nonostante questi sacrifici, ancora oggi, in molte si astengono dall’iniziare una carriera politica per varie ragioni, prime fra tutte quelle culturali, che impediscono loro di parlare in pubblico davanti agli uomini. Le campagne elettorali e i doveri istituzionali implicano lunghi viaggi, soggiorni notturni esterni alle mura domestiche, frequentare bars ed incontrare uomini; tutte azioni che etichettano la donna come madre snaturata o di facili costumi. Molti stereotipi di genere riguardo all’attività politica femminile, si ritrovano nei commenti degli uomini e delle donne della Tanzania31.

“When I was elected as a village secretary some people told me that I would become a loose woman, a prostitute. I told them that I could never do such a thing and second, I asked them whether they had any proof of the misbehaviour of other women leaders to which they referred? Their answer was "No, this is just what we have heard" (Giovane donna membro del partito vigente in Tanzania Chama cha Mapinduzi).

“There are women who are capable of being leaders, and good leaders too. But it is not easy. Men very often do not trust their wives and think that if they go for seminars, they will betray their husbands. A

31

Andersen, Margrethe Holm. “Women in Politics: A Case Study of Gender Relations and Women's Political Participation in Sukumaland, Tanzania.” Ph.D., Aalborg University, Denmark, 1992.

(17)

woman is like a child as far as the brain is concerned, she can easily be convinced by another man to give way for sex" (Giovane uomo membro del partito Chama cha Mapinduzi).

Alcuni mariti si sentono minacciati dalle interazioni che le loro mogli dovranno avere con altri uomini, altri sentono il peso dello stigma sociale oppure si preoccupano che le ansie politiche possano distrarle dall’ambito famigliare32. A testimonianza di questo è utile citare quanto è stato riferito da una donna in Tanzania:

“Normally husbands are the main causes for their wives not to be leaders . . . .Many of the women are very eager to be leaders. But your husband can ban you and then that is the end. We ask husbands to allow their wives to contest, but many of them dislike it . . . . Here there are many women who are able to work, to lead, and who can build our nation. After all, some are properly educated, but because the husband is in a panic, his wife remains a house wife.33” (Donna membro del partito vigente in Tanzania Chama cha Mapinduzi).

Persino in parlamento le donne denunciano di essere spesso oggetto di scherno e umiliazioni, che tendevano a ridicolizzare il loro operato. Nel 1999, uno studio dettagliato in Uganda condotto nelle fila del governo, dimostrò che, nonostante ci fosse una presenza femminile da più di un secolo, le molestie sessuali erano ancora presenti in alto numero. Diversi Paesi negli anni 90 hanno visto un notevole aumento del coinvolgimento delle donne nella realizzazione dei processi costituzionali. In Sudafrica presero parte alla creazione della bozza della nuova costituzione sudafricana, la quale garantisce eguaglianza tra i sessi, libertà e sicurezza alla persona, difesa da ogni violenza, il diritto a decidere in merito alla riproduzione e il diritto alla sicurezza e al controllo del proprio corpo.

32

Ferguson, Anne E. with Beatrice Liatto Katundu. "Women in Politics in Zambia: What Difference has Democracy Made?" African Rural and Urban Studies, 1, no. 2, 1994, pp.18

33

Andersen, Margrethe Holm. “Women in Politics: A Case Study of Gender Relations and Women's Political Participation in Sukumaland, Tanzania.” Ph.D., Aalborg University, Denmark,

(18)

La coalizione nominata Women’s National Coalition si impegnò strenuamente per riuscire a varare un accordo denominato Women’s Charter che si impegnava per l’eguaglianza, i diritti legali, le questioni economiche, l’istruzione, la salute, la politica e la violenza contro le donne34. La coalizione fu creata nel 1991 con lo scopo di riunire tutte le donne di vari partiti politici tra cui l’ANC, l’Inkatha Freedom Party, il Partito Nazionale, il Pan Africanist Congress, il Azanian Peoples Organizaztion, e il Partito Democratico. Il WNC inoltre unì gli interessi del Rural Women’s Movement, Union of Jewish Women e South African Domestic Workers Union35.

Furono proprio questi gruppi di donne a caratterizzare la mobilitazione femminile. Esse infatti si posero come obiettivo il miglioramento del loro status nella società africana al di là delle differenze etniche, religiose, claniche, razziali e generazionali. L’esempio del Sud Africa è eclatante poiché vide il coinvolgimento di più di tre milioni di donne nella lotta per l’eguaglianza, i diritti, le questioni economiche, l’istruzione, la salute e nella lotta alla violenza sulle donne.

In Zambia il gruppo chiamato National Women’s Lobby Group (NWLG) assieme ad altre sei ONG riuscì ad ottenere l’inserimento nella bozza della costituzione una sezione dedicata alle donne con riguardo alla discriminazione, alla violenza contro di esse e l’implemento della Convenzione dell’ONU riguardante l’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne36.

Nonostante l’opposizione feroce di alcune donne parlamentari, i gruppi femminili continuarono a richiedere l’inserimento nella costituzione gli articoli che garantissero alle donne i diritti riproduttivi e uguali opportunità nell’istruzione. Questo perché secondo la legge, le donne avevano bisogno del consenso del marito per l’uso del contraccettivo e molte famiglie preferiscono ancora istruire i figli maschi poiché si occuperanno della famiglia alla morte dei genitori.

34

Kemp, Amanda, Nozizwe Madlala, Asha Moodley, and Elaine Salo. "The Dawn of a New Day: Redefining South African Feminism." In Challenge of Local Feminisms, edited by Amrita Basu, 131-162. Boulder: Westview Press, 1995, pp.151.

35

Kemp, Amanda, Nozizwe Madlala, Asha Moodley, and Elaine Salo. "The Dawn of a New Day: Redefining South African Feminism." In Challenge of Local Feminisms, edited by Amrita Basu, 131-162. Boulder: Westview Press, 1995, pp. 144-154.

36

Basadi, Emang, The Uganda Women's Caucus, and The Zambia National Women's Lobby Group. African Women in Politics: Together for Change — Three Struggles for Political Rights. New York: The African-American Institute and United Nations Development Fund for Women, 1995, pp. 13.

(19)

Ci sono molte ONG, coalizioni e reti femminili, come nel caso del Senegal “la rete nazionale delle donne rurali”, che mirano ad elaborare strategie per promuovere il coinvolgimento delle donne rurali nelle elezioni e nel processo decisionale. Queste reti di donne hanno una maggiore libertà di partecipazione e di espressioni rispetto a quelle che operano nelle strutture pubbliche e costituiscono le frange più attive della popolazione, sono impegnate in primis nella lotta per l’affermazione dei diritti di espressione e delle libertà e dimostrano posizioni più radicali.

Il PNUD (Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo) sostiene gli sforzi dei governi nazionali, e punta alla mobilitazione di tutti i soggetti interessati (persone fisiche, comunità, società civile, governi locali e nazionali) per promuovere la leadership femminile nella governance in generale e nel governo decentrato, in particolare. Alcune delle strategie elaborate dal PNUD sono le seguenti: 1. Incoraggiare la trasformazione della leadership relativamente al genere, il PNUD intensificherà la sua campagna di lotta all'esclusione sociale ed alle pratiche culturali che ostacolano la leadership delle donne in politica. Ad esempio, nella Repubblica democratica del Congo, il PNUD ha lavorato con l'UNIFEM per migliorare la partecipazione delle donne. Il risultato è che le donne rappresentavano il 60% dei votanti. La trasformazione della leadership faciliterà anche l'interconnessione tra gli enti locali, le associazioni femminili e l’elettorato, su questioni strategiche di sviluppo che darà maggiore visibilità alle donne leader. 2. Continuare a difendere la politica locale e, quando necessario, promuovere l'uso di qualsiasi altro strumento giuridico che potrebbe creare un beneficio alla partecipazione delle donne nel processo decisionale politico. Ad esempio, in Mauritania, il PNUD sta lavorando con altre agenzie delle Nazioni Unite per definire una legge che fissa una quota di donne del 20%, nel governo locale. Questa opportunità, sostenuta dalla creazione di capacità e sostegno concreto alle donne candidate, ha portato ad una migliore rappresentanza delle donne. Pertanto, la percentuale di donne consiglieri nel paese è aumentata dal 3% al 30%. Quattro donne sono state portate alla leadership dei comuni.

3. Rafforzare la capacità delle donne di impegnarsi in politica e di influenzare il processo decisionale. In Kenya, il PNUD, in collaborazione con altre

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organizzazioni, ha attuato dei lavori volti a rafforzare le capacità delle donne. Tale progetto è rivolto sia ai candidati che agli eletti. Serve alla loro formazione, li aiuta a costruire delle reti di collaborazione. Obiettivi di tale progetto sono infatti, la formazione in materia di direzione, le azioni di sensibilizzazione, la gestione di una campagna elettorale, la comunicazione con i media, lo sviluppo e le questioni di genere, nonché la creazione di reti e tecnologie dell'informazione. In Camerun, le donne rappresentavano meno del 20% dei candidati alle elezioni del 2007. L’UNIFEM, attraverso la rete denominata “Più donne in politica”, ha lavorato con le autorità nazionali per la formazione di 400 candidate di vari partiti politici, per le elezioni nel mese di luglio 2007. In Mali, il PNUD ha istruito le donne consiglieri all'approccio dei diritti umani e della parità tra i sessi, al fine di attrezzare meglio, prima ed in modo risoluto il progetto di parità tra i sessi.

4. Lo sviluppo di capitale sociale e politico costituisce un elemento fondamentale per migliorare la rappresentanza delle donne ed un maggiore coinvolgimento nell’attuale governance locale. In Camerun, l'UNIFEM aiuta a promuovere la rete chiamata “Più donne in politica”. In Kenya, il sistema delle Nazioni Unite lavora in collaborazione con la “Lega delle Donne elettrici del Kenya” e l'“Associazione degli avvocati della donna”.

5. Promuovere l'apprendimento, lo scambio e la messa in rete a livello mondiale delle donne in politica. Il PNUD sta lavorando con altre organizzazioni per sviluppare una piattaforma virtuale che incoraggi lo scambio tra paesi. Ad esempio, il PNUD ha facilitato gli scambi tra gli avvocati di sesso femminile della Mauritania e del Marocco, su come migliorare la rappresentanza delle donne nella vita pubblica. La rete politica femminile dello Sri Lanka ha attuato con l'assistenza del PNUD, uno scambio di pareri in Sud Africa dove si è incontrata con i suoi omologhi, allo scopo di accrescere la partecipazione delle donne in Sri Lanka, la loro leadership politica e la loro influenza.

6. Il PNUD permetterà di promuovere ulteriormente l'integrazione della dimensione di genere e delle donne nello sviluppo e nella riforma dei sistemi elettorali, compreso il miglioramento di finanziamento elettorale. In Camerun, il governo, con il sostegno del PNUD, ha contribuito alla informatizzazione del registro elettorale. Informatizzazione che aprirà la strada alla produzione di dati

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per genere e per elezioni, ad informazioni strategiche di monitoraggio ed all'analisi della leadership femminile nel processo politico.

7. I partiti politici hanno tutto l'interesse a rafforzare la prospettiva di genere e a permettere alle donne di applicare con successo la parità di qualifica dirigenziale. Il PNUD ha aiutato molti partiti politici a creare un’unità di sostegno per le donne. 8. Promuovere strategie efficaci per il decentramento con il finanziamento e la gestione necessari, al fine di consentire alle comunità locali di trovare soluzioni adeguate alle popolazioni locali. Il sostegno del PNUD ha avuto successo in molti paesi per quanto riguarda il processo di decentralizzazione e le relative strategie. 9. Incoraggiare gli sforzi per porre fine alla violenza contro le donne in generale e contro le candidate in particolare. In tal senso, molto utile è stato il lavoro svolto con il supporto di UNIFEM, per l'istruzione alle donne del Kenya. Una cella di reazione rapida alla violenza contro le donne è stata istituita per l'elezione del 2007, per tutelare le candidate da attacchi mirati, a causa della loro candidatura. Tale lavoro dovrebbe essere incrementato dalla collaborazione della polizia locale. L'uguaglianza di genere e l'empowerment delle donne sono parte integrante dello sviluppo del millennio e, allo stesso tempo, le donne costituiscono una risorsa importante che dovrebbe essere attivata al fine di raggiungere questi obiettivi. È quindi un segno incoraggiante, veder registrare alcuni progressi nella leadership delle donne a livello locale in Africa. Consapevoli del fatto che la presenza delle donne nella governance decentrata è praticamente ridotta alla sua espressione più semplice, rispetto al potenziale delle donne, il PNUD continuerà a fianco di tutti i principali soggetti interessati, comprese le donne dirigenti, a collaborare per accelerare questo processo di integrazione delle donne nel processo decisionale delle comunità locali37.

1.2.1 Partecipazione delle donne elette o nominate nei governi africani.

Arrivano segnali interessanti per le donne in campo politico.

Prestando giuramento come 23° presidente della Liberia, il 16 gennaio 2006, Ellen Johnson-Sirleaf è diventata la prima donna ad assumere la più alta carica in uno stato africano. La Johnson ha attribuito la sua vittoria al grande sforzo del

37

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movimento delle donne liberiane. La sua nomina ha lanciato un chiaro messaggio a tutte le donne d’Africa: un invito alla partecipazione.

Messaggio prontamente colto.

In Zambia, Edith Nawakwi, già ministro delle finanze, è la candidata più accreditata nella corsa alla presidenza.

In Uganda, il partito del presidente Museveni, il Movimento di resistenza nazionale, ha garantito, in caso di vittoria, il 40% della leadership e la vicepresidenza alle donne.

In Sudafrica, le candidate più attendibili a succedere a Thabo Mbeki nelle elezioni presidenziali del 2008 erano la nuova vice-presidente Phumzile Mambo-Ngcuka, ex ministro delle miniere e dell’energia, e Nkosazana Dlamini Zuma, ex ministro degli esteri.

In Tanzania, nel governo del neoeletto presidente Jakaya Kiwete figurano 7 ministri e 10 vice ministri donne, cui sono stati affidati importanti ministeri: esteri e cooperazione internazionale, giustizia, economia, educazione e sviluppo comunitario.

L’assegnazione del ministero dell’economia alle donne sembra diventare una costante nel continente africano. Un recente rapporto dell’Onu ha riconosciuto che nei ministeri o dicasteri presieduti da donne è minore la corruzione e maggiore è l’efficienza.

Oltre a Ellen Johnson-Sirleaf presidente della Liberia, in Africa ci sono oggi tre donne vice presidenti (Phumzile Mambo-Ngcuka in Sudafrica, Joyce Mujuru in Zimbabwe, Alice Nzomukunda in Burundi) e due donne primi ministri (Luisa Diogo in Mozambico, Maria do Carmo Silveira in São Tomé e Príncipe). Una felice sorpresa potrebbe venire dalla Repubblica democratica del Congo, alle presidenziali del prossimo giugno, dove le donne rappresentano il 70% dell’elettorato. Aminata Traoré, già ministro della cultura, si è candidata alle presidenziali in Mali nel maggio 2007.

Anche un breve esame dei numeri nei parlamenti africani desta una felice sorpresa. Il Ruanda detiene il primato in fatto di donne parlamentari: 49% del totale. In Sudafrica, Mozambico e Burundi il 30% dei seggi è toccato alle donne. Elevate anche le percentuali “rosa” in altre nazioni: Seichelles, 28%; Namibia,

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25%; Tunisia, 22,8%; Eritrea, 22,0%; Etiopia, 21,4%; Guinea, 19,3%; Senegal, 19,2%; Guinea Equatoriale, 18,0%; Isole Mauritius, 17,1%; Zimbabwe, 16,0%, Capo Verde 15,3%.

Metà dei membri della Commissione dell’Unione africana è composta da donne. Nell'ottobre 2006, entrò in vigore il protocollo dell’UA sui diritti delle donne, che impegna i governi a stabilire quote rosa nei parlamenti in tutto il continente. Negli ultimi anni, pur senza salire al potere, donne africane di grande influenza si sono affermate nei più diversi centri di potere. In Nigeria, il presidente Olusegun Obasanjo ha affidato i dossier più riservati del paese a un triumvirato femminile, composto dal ministro delle finanze, Ngozi Okonjo Iweala (formatasi alla Banca mondiale), Oby Ezekwesili, consigliere anti-corruzione, ex presidente di Transparency International Nigeria, e Irene Nkechi Chigube, che ha assunto la direzione dell’agenzia di privatizzazione della Nigeria nel marzo 2005. In Camerun, Françoise Foning, prima donna d’affari del paese, ha fatto capitolare più di un individuo con la sua autorevolezza e professionalità.

Non va dimenticata, infine, la crescente influenza delle donne (a migliaia) alla guida di associazioni della società civile. Tra queste spiccano Djiraibe Kemneloum Delphine, presidente dell’Associazione ciadiana per la promozione e la difesa dei diritti umani; Fatimata Mbaye, presidente dell’Associazione mauritana, fondatrice dell’Associazione Sos-Schiavi, che da anni lotta contro la schiavitù nel paese; Fatima Jibrell, ambientalista somala, che ha svolto un ruolo importante nelle trattative di pace tra le varie fazioni nel complesso panorama clanico del paese.

In Sierra Leone, solo 19 dei 124 parlamentari sono donne (il 15 %), mentre negli enti locali, i cosiddetti «Ward Development Councils», il 50% dei posti sono riservati alle donne.

In Liberia, le donne impegnate in funzioni dirigenziali costituiscono un fenomeno visibile e consolidato e rappresentano il 30% alla camera dei deputati ed il 16,7% al senato.

Nella Repubblica Democratica del Congo, nelle prime elezioni legislative nazionali, 48 donne sono state elette su 500 deputati alla Camera, mentre al Senato solo 8 donne sono state elette su un totale di 120.

(24)

In Camerun la presenza femminile nel Parlamento è pari al 10,6%.

L’elezione di Ellen Johnson-Sirleaf alla Presidenza in Liberia e la volontà dimostrata dal Presidente Paul Kagame di attribuire un ruolo importante alle donne dirigenti in Rwanda, rappresentano alcuni segnali incoraggianti per il cambiamento.

Nel Forum sociale mondiale “africano”, tenutosi a Bamako dal 19 al 23 gennaio 2006, furono le donne le vere protagoniste. Terezinha da Silva, presidente del Forum delle donne del Mozambico, dichiarò: «Il futuro in Africa è donna, a motivo dell’impegno che le donne svolgono in maniera partecipativa nella società civile».

In molte parti del continente stanno aumentando – di numero e di forza – le organizzazioni femminili a sostegno delle donne elette. Il loro scopo è di rendere le “sorelle elette” capaci di mantenere le promesse fatte, equipaggiandole con le abilità e le strategie necessarie ad assicurare che i problemi delle donne siano presi in considerazione nei dibattiti parlamentari. La grande capacità che le donne hanno di “lavorare in rete” ha aumentato la loro potenziale efficacia. Consapevoli che il cammino davanti a loro è ancora lungo, le donne africane credono che il vero cambiamento non stia tanto nel cambio di leggi o nelle “quote rosa” (anche se utili, non sono sufficienti), bensì in un profondo cambiamento di mentalità. Di fatti, se da un lato le statistiche e certi impegni concreti presi da alcuni governi possono dare l’impressione di un cambiamento rispetto al ruolo politico della donna in Africa, nei fatti, il percorso per arrivare ad un’uguaglianza di genere nei settori chiave della politica sembra ancora un obiettivo lontano da raggiungere. Nella realtà le donne sono significativamente svantaggiate rispetto agli uomini, soprattutto in termini di accesso all’educazione e alle pari opportunità.

1.2.2 Rafforzamento del ruolo partecipativo delle donne nel governo locale: alcune iniziative africane.

Ghana: Programmi di Rafforzamento delle Capacità per le donne.

È stato dimostrare che avere un gran numero di donne nel governo locale non significa che le politiche adottate siano sensibili ai bisogni delle donne.

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L’aumento quantitativo delle donne dovrebbe unirsi all’aumento qualitativo del potere e dell’autorità che sono loro concessi.

Il Ghana ha adottato due approcci principali volti a rendere il governo locale più sensibile ai bisogni delle donne ed alle questioni di genere, a sostenere il miglioramento della partecipazione delle donne nel governo:

a. La prima categoria si è focalizzata sul rafforzamento delle capacità delle donne ad ottenere ed esercitare delle funzioni nel governo locale. b. La seconda ha cercato di incoraggiare le istituzioni solidali, quali le

assemblee dei distretti, le istituzioni di formazione e le agenzie di sviluppo, a fornire un sostegno appropriato alle donne attraverso azioni positive ed attraverso la creazione di un ambiente favorevole alla partecipazione delle donne, alla possibilità di argomentare, alla loro istruzione e alla disponibilità di risorse.

Nei due approcci vi è un considerevole sostegno materiale, economico e di assistenza tecnica, soprattutto da parte di altri Paesi, quali ad esempio la Danimarca ed i Paesi Bassi.

Il sostegno allo sviluppo del primo approccio, consisteva nel rafforzare le capacità delle donne quali membri dell’assemblea e protagoniste dell’economia, nonché le capacità dei gruppi di donne.

La seconda serie di attività punta a promuovere un ambiente favorevole alla sensibilità ed alla considerazione delle questioni di genere e dei bisogni delle donne, da parte delle autorità locali.

Nigeria: Programmi di responsabilizzazione economica delle donne.

Le donne delle regioni rurali sono spesso emarginate quando si parla di responsabilizzazione economica. Il governo locale della Nigeria, insieme al governo federale e centrale, ha concepito ed applicato con successo, varie politiche e programmi socio-economici per eliminare la povertà a livello rurale. Il “Programma Miglio Vita alla Donna Rurale” è uno dei numerosi approcci strategici istituzionali attuati per indirizzare alcune delle numerose sfide affrontate da una parte particolare della popolazione.

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Iniziato nel settembre del 1986 dalla signora Maryam Babangida quando, in qualità di First Lady, affrontò le questioni relative alle donne, il Programma puntava alla qualità di vita ed allo status delle donne, sensibilizzandole ed incoraggiandole a realizzare, utilizzare e sviluppare le loro potenzialità per una vita più soddisfacente. I Programmi dell’Organizzazione si concentrano principalmente su:

 Miglioramento delle opportunità, diminuzione della povertà e eliminazione dell’ignoranza tra le donne;

 Miglioramento del benessere economico, sociale e psicologico delle donne rurali, attraverso una strategia ed una collaborazione con il governo, le agenzie non-governative, le organizzazioni private, così come con gli individui sensibili ai problemi delle donne a livello internazionale;

 Potenziare le energie creative e le potenzialità innate delle donne rurali e dei giovani disoccupati della Nigeria, al fine di raggiungere obiettivi sia in quanto individui, sia in quanto gruppi.

I progetti intrapresi sono i seguenti:  Classi di alfabetizzazione;

 Produzione di sapone e di prodotti cosmetici;  Fabbrica di Aso-Oke (vestiti femminili);  Acquisizione di terre per le fattorie BLPARW.

L’obiettivo principale era responsabilizzare i potenziali beneficiari ed integrare queste azioni straordinarie con lo sviluppo nazionale. Il Programma ed il suo sviluppo fanno parte sia del contesto di “genere e sviluppo”, sia di quello dei diritti.

La storia della Nigeria, per la qualità dei servizi, ha attirato le ONG locali ed internazionali ad esercitare e realizzare i loro mandati. Per la lotta contro la povertà, la disoccupazione dei giovani, altri problemi socio-economici, la Nigeria richiede cooperazione strategica e multidisciplinare.

Ruanda: Processo di sviluppo costituzionale.

Il risveglio della coscienza delle donne ruandesi per rompere l'anonimato ed aiutare a gestire il paese iniziò attorno al 1983, all'interno della società civile. Si

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sono conosciute associazioni di promozione economica delle donne, associazioni di difesa dei diritti delle donne e dei bambini.

Già nel 1993, esisteva un gruppo di 13 associazioni per la promozione delle donne chiamate “Profemmes Twese Hamwe”.

Il caso del Ruanda mostra un paese che ha sfruttato l’opportunità di costruirsi dopo il 1994, nel quadro della gestione delle conseguenze del genocidio, per creare una società nella quale gli uomini e le donne giocano un ruolo importante nella costruzione della nazione. In tale contesto, le donne hanno preso parte al rilancio dell'economia ed al ripristino del tessuto sociale lacerato, con coraggio e leadership straordinaria.

Esse hanno cominciato a rompere i tabù e ad affrontare tutte le forme di responsabilità.

Il processo di sviluppo costituzionale era ampliato con consultazioni di uomini e donne a livello elementare. Si concluse con un accordo non solo per l’uguaglianza dei sessi, ma anche per la riduzione attiva delle discriminazioni contro le donne. Questo movimento rafforza la costituzione portandola da semplice dichiarazione di intenti a dichiarazione di obiettivi. Tra le azioni, vi era il rafforzamento dei politici per garantire la massima partecipazione delle donne a livello locale. Il governo del Ruanda, stabilì tre iniziative per garantire l’inclusione delle donne negli organi decisionali:

 Un sistema parallelo di consiglio di donne e consiglio di elezioni riservate solo alle donne che garantissero un mandato per ogni istituzione elettorale.  Questi consigli sono eletti solo da donne ad ogni livello amministrativo.  Un triplo sistema di voto che garantisca l’elezione delle donne con una

percentuale definita dei seggi (30%), ad esse riservati sia a livello distrettuale che comunale.

 La creazione del Ministero di Genere e di Sviluppo delle Donne.

Quest’ultimo ha facilitato la partecipazione delle donne alla conferenza di Pechino nel 1995 ed alla creazione di un Consiglio Nazionale delle Donne, in cui si identificano tutte le donne, a partire dalla più piccola entità amministrativa (Umudugudu), fino al livello nazionale. Questo poiché si tratta della struttura di base per fornire informazioni e formazione alle donne al fine di prosperare ed

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avere la fiducia in se stesse.

1.3. Importanza della partecipazione politica delle donne

La partecipazione delle donne in politica è molto importante per i seguenti motivi:

- La capacità delle donne presenti nelle istanze decisionali di difendere meglio i propri interessi specifici;

- Apportano una visione innovativa alla politica, basata su una maggior incisività e inclusione;

- Hanno un ruolo centrale nella mediazione, nell’organizzazione della vita quotidiana e delle dinamiche sociali di gruppo;

- Hanno un ruolo fondamentale in politica come ‘motori dell’economia’ per le loro capacità di affrontare le crisi economico-sociali;

- Costituendo la componente maggioritaria della popolazione, si sente la necessità di favorire la partecipazione delle donne ai processi decisionali, a partire dalle scelte che hanno impatti rilevanti sulla loro vita (casi particolari di zone post-conflitto).

È necessario partire dal presupposto che il peso della donna in politica dovrebbe bilanciarsi con quello degli uomini. È infatti importante tenere in considerazione che le donne potrebbero dare alla politica una direzione diversa, con approcci consultivi e cooperativi propri degli stili di vita sociali delle donne africane. L’inclusione delle donne nella vita politica è una vittoria della democrazia e un apporto non trascurabile per la soluzione di problematiche varie.

Secondo le ricerche da parte dell’ESCAP delle Nazioni Unite, “i diversi approcci delle donne nella governance sono stati definiti come una forma di cambiamento di leadership, un quadro in cui il potere è usato per creare il cambiamento e per sviluppare le persone e le comunità”. Le donne descrivono la loro leadership come "non-gerarchica e partecipativa, dando priorità ai settori svantaggiati". La loro leadership è incentrata sui “problemi, piuttosto che sui personaggi” e mira a “cambiare il mondo della governance a livello locale, rendendola più sociale, di consultazione e trasparente”. Inoltre, le donne considerano la loro leadership come modo per promuovere una maggiore coerenza delle politiche per la gestione degli

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affari pubblici locali e dei servizi in relazione alle necessità della comunità che servono.

In particolare, l’ESCAP si riferisce a un maggiore coinvolgimento delle donne nelle questioni sociali, a causa del loro:

• maggiore senso di benessere e di felicità nella loro comunità. Le priorità sono più probabilmente concentrate sull’edilizia abitativa, la sicurezza, l'acqua potabile, servizi igienici, l'istruzione, la politica sociale, servizi sanitari, assistenza ai bambini, la riduzione delle povertà e dello sviluppo ambientale.

• impegno a migliorare l'ambiente nelle loro comunità. Nella pianificazione dello sviluppo delle città, le donne coinvolte nella governance locale tengono conto delle caratteristiche fisiche, la qualità della vita, il ruolo di arte e cultura, e lo sviluppo nell'ambiente.

• Disponibilità a trascorrere del tempo su questioni che gli uomini ritengono meno importanti o banali, come ad esempio le questioni di famiglia, i problemi connessi ai regali, dote e violenza contro le donne ed i bambini.

• Determinazione in merito al cambiamento, preferendo un approccio più democratico e trasparente al governo in uno sforzo di distinguersi dall’immagine bivalente dell’opposizione e, in alcuni casi, dalla falsa politica.

La leadership femminile, quindi, è un'opportunità per arricchire il processo decisionale attraverso la rappresentazione di una popolazione nel processo decisionale ed una maggiore diversità di stile di leadership, approcci, visioni ed esperienze.

La presenza delle donne nel governo locale consente loro di esprimere il loro parere, dare una visione più completa, poiché decentrata, alla comunità.

Le donne possono chiamare la coscienza collettiva su alcune questioni importanti, perché una governance efficace influenza le azioni future. Le donne sono ben collegate al livello base e, attraverso la loro partecipazione, costruiscono un dialogo attivo tra le organizzazioni della comunità locale ed il governo decentrato. Un altro vantaggio di una leadership femminile nelle comunità locali è che le donne tendono ad usare la loro leadership per mobilitare sostegno ai progetti di sviluppo della comunità stessa e per risolvere i bisogni concreti della popolazione locale e dei gruppi svantaggiati. Ad esempio, l'associazione delle donne sindaci

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