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L'immunita' giurisdizionale degli Stati: le funzioni e il rapporto con le norme a tutela dei diritti umani

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Academic year: 2021

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INDICE INTRODUZIONE

PARTE I - LE IMMUNITÀ: CONSIDERAZIONI GENERALI 1.1 L'immunità funzionale degli organi

1.2 L'immunità di agenti diplomatici e consoli

1.3 L'immunità dello Stato dalla giurisdizione civile straniera 1.4 L'immunità come norma consuetudinaria

1.5 La Convenzione europea del 1972 1.6 La Convenzione di New York del 2004 1.7 L'immunità nella legislazione italiana 1.8 Riflessioni sulle funzioni dell'immunità

PARTE II - IL RAPPORTO TRA IMMUNITÀ E IUS COGENS 2.1 Le analisi dottrinali

2.2 Il diniego dell'immunità nell'esperienza greca 2.3 Il caso Ferrini

2.4 Gli sviluppi dopo la sentenza Ferrini, il caso Milde

2.5 La sentenza della Corte internazionale di Giustizia del 3 febbraio 2012 2.6 L'opinione dissidente del giudice Cançado Trindade

2.7 Dopo la sentenza: immunità e ordinamento costituzionale nell'analisi della dottrina 2.8 Esecuzione della sentenza: riflessioni dottrinali e interventi normativi

2.9 Dopo la sentenza: la giurisprudenza italiana

2.10 La sentenza 238 del 2014 della Corte Costituzionale

2.11 L'analisi della dottrina sulla sentenza della Corte Costituzionale 2.12 Gli ultimi sviluppi: il caso Flatow

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PARTE III - L'IMMUNITÀ NELL'AMBITO DELLA CONVENZIONE EDU 3.1 Il caso Al-Adsani

3.2 La sentenza McElhinney v. Ireland

3.3 La vicenda Jones: presentazione e prime decisioni 3.4 La sentenza Jones della House of Lords

3.5 La sentenza Jones della Corte di Strasburgo 3.6 I commenti della dottrina

3.7 Analisi generale dell'approccio adottato dalla Corte

PARTE IV – PANORAMICA SULL'IMMUNITÀ NELL'ESPERIENZA STATUNITENSE

4.1 Il Foreign Sovereign Immunities Act

4.2 Analisi statistiche e considerazioni dottrinali 4.3 Rassegna di decisioni

CONSIDERAZIONI FINALI BIBLIOGRAFIA

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INTRODUZIONE AI PROBLEMI AFFRONTATI NELLA TESI

L'immunità dello Stato è un istituto del diritto internazionale consuetudinario di antica formazione, che prevede che uno Stato non possa essere sottoposto alla giurisdizione di fronte ai tribunali di uno Stato estero; la funzione della norma è proteggere l'indipendenza e il principio d'uguaglianza tra gli stessi Stati, ratio che è stata esplicitata nel principio “par in parem non habet iudicium”. In origine si trattava di un'immunità assoluta, vigente in qualsiasi caso e situazione; questa impostazione ha però cominciato ad apparire inammissibile quando gli Stati si sono cimentati in attività economiche di sempre maggiore complessità (basti pensare ai monopoli dei regimi del “socialismo reale”). Oggi il diritto internazionale limita l'immunità agli atti iure imperii (ossia quelli propri dell'esercizio delle funzioni pubbliche), che sono distinti da quelli iure gestionis (aventi carattere privatistico); distinguerli nei singoli casi non è peraltro sempre affare semplice, tanto che per le controversie di lavoro, ad esempio, sono state adottate regole specifiche in fonti convenzionali.

Questi argomenti saranno affrontati più nello specifico nella prima parte di questo lavoro, in cui si farà un breve riferimento anche alle “altre” immunità (Capi di Stato, agenti diplomatici...), di origine talvolta ancora più antica e accomunate all'immunità dello Stato spesso da problematiche dottrinali e giurisprudenziali.

La questione, di attualità e assai spinosa, e oggetto di analisi principale della tesi, è però la possibilità di invocare l'immunità quando lo Stato è accusato, in sede civile, di violazioni gravi dei diritti umani1. La soluzione di questo problema è stata negli ultimi anni spesso legata al rapporto tra la norma sull'immunità e le norme imperative del diritto internazionale (ius cogens). Le conclusioni a cui sono giunte le giurisdizioni 1 Anne Peters, Evelyne Lagrange, Stefan Oeter, Christian Tomuschat, Immunities in

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nazionali e internazionali sono state a volte antitetiche. Per la Cassazione italiana (secondo quanto affermato nel caso Ferrini del 2004, di cui si tratterà approfonditamente nel testo), lo ius cogens prevale sulla regola dell'immunità quando le due norme si trovano in contrasto. La Corte internazionale di Giustizia, invece, il 3 febbraio 2012 ha dichiarato che la regola sull'immunità giurisdizionale ha natura procedurale e non viene meno neanche se i fatti delittuosi consistono in una grave violazione del diritto internazionale umanitario, ascrivibile a una violazione appunto dello ius cogens.

Il problema del rapporto tra immunità e ius cogens è però a ben vedere solo una parte di una questione più grande. Il dilemma che tanta dottrina sta cercando di risolvere è anche come conciliare l'immunità degli Stati esteri dalla giurisdizione con il diritto di accesso alla giustizia, garantito ad esempio dall'art. 24 della nostra Costituzione, ma sancito anche dall'art. 6 paragrafo 1 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo. In altre parole, l'immunità non è chiamata a confrontarsi solo con il diritto internazionale consuetudinario. Ciononostante i giudici chiamati a decidere sulle controversie in merito continuano a riconoscere la perenne funzione dell'immunità sul piano delle relazioni internazionali; la stessa Corte di Strasburgo (prima nel caso Al-Adsani, poi nel caso Jones), ha affermato che il diritto di accesso ad un tribunale non è assoluto, ma può essere oggetto di limitazioni, tra cui quelle derivanti dal diritto internazionale.

In questa tesi sul diritto internazionale si affrontano anche tematiche che coinvolgono il diritto costituzionale, in particolare quando si esamina l'interessante pronuncia emessa dalla Corte Costituzionale nel 2014. In essa si è affermato che tra i principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale italiano vi è il diritto al giudice, ossia il diritto di agire (e resistere) in giudizio in difesa dei propri diritti, in particolare ove si tratti di far valere un diritto individuale inviolabile. Questo diritto è ritenuto in contrasto, e prevalente, con la norma consuetudinaria dell'immunità oggetto della ricognizione della Corte

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internazionale di Giustizia nel 2012, che di conseguenza “non spiega alcun effetto” in Italia.

Si impone comunque una considerazione sull'effettiva concretizzazione di questo diritto in capo alle vittime, ossia sull'esecuzione materiale di un'eventuale condanna dello Stato estero; a prescindere da un'analisi specifica sull'immunità dalle misure esecutive (che si è scelto di non sviluppare particolarmente in questo lavoro, ma che troverà comunque una sintetica trattazione e qualche accenno a singoli casi), è evidente che l'esecuzione può rivelarsi impossibile nelle singole circostanze (ad esempio quando lo Stato del foro e quello condannato non intrattengono relazioni tra di loro potrebbero non esservi beni utilmente pignorabili). Insomma, lo spostamento della gestione di queste vicende dal piano del diritto internazionale a quello dei singoli ordinamenti nazionali non è esente da difficoltà di ordine pratico, e comincia a suscitare preoccupazioni anche alla luce del valore principe della norma sull'immunità (quello da cui storicamente ha avuto inizio): assicurare, come si dirà più ampiamente, la stabilità delle relazioni internazionali2. Garantire tutela alle vittime è senz'altro un risultato importante che la giurisprudenza italiana, in prima linea, ha cercato di raggiungere, ma coniugare questo con le altre esigenze, non superate ma anzi altrettanto presenti e attuali, resta una problematica che si continuerà a porre nei prossimi anni.

In questa tesi il capitolo conclusivo è dedicato a una generale analisi di una singola esperienza statale: quella degli Stati Uniti d'America. Sull'immunità degli Stati gli USA hanno infatti promulgato una legislazione, emendata anche di recente, dalle caratteristiche peculiari anche perché condizionata da episodi che hanno segnato la storia contemporanea di quel Paese (ci si riferisce alla minaccia terroristica). Le scelte statunitensi hanno avuto un significativo riverbero anche all'estero, tanto che sono state 2 Il principale studio sulle funzioni dell'immunità si trova in Hazel Fox, The Law of

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menzionate, con giudizi di valore opposti, anche nella sentenza Ferrini della Cassazione del 2004 e nella sentenza della CIG del 2012. La mia esposizione è quindi soprattutto finalizzata a chiarire quanto davvero la normativa in questione si distanzi dal contenuto del diritto internazionale e dalle giurisprudenze degli altri Paesi, per valutarne il possibile impatto sull'evoluzione delle norme consuetudinarie in materia.

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PARTE I - LE IMMUNITÀ: CONSIDERAZIONI GENERALI

Le regole sull'immunità hanno la loro origine nel diritto internazionale classico, la loro funzione va rinvenuta nell'esigenza di tutelare l'indipendenza statale, le relazioni tra gli Stati e il principio di parità tra di essi. Analizzando più nel dettaglio si distinguono varie categorie di immunità: l'immunità dello Stato dalla giurisdizione civile straniera, l'immunità degli organi statuali stranieri, l'immunità di agenti diplomatici e consolari. In conclusione all'analisi delle varie figure verranno presentate riflessioni dottrinali più ampie sulla funzione di queste norme del diritto internazionale.

1.1 L'immunità funzionale degli organi

Riguardo agli organi statuali la regola fondamentale è che le attività svolte nell'esercizio delle loro funzioni non sono imputate ad essi, ma allo Stato del quale sono organi e per il quale tali attività sono state poste in essere (immunità funzionale ratione materiae); il rilievo di questa regola consiste quindi nella mancata imputabilità della condotta all'individuo. L'applicazione di questa regola esclude che le attività in questione siano giudicate internamente da un singolo ordinamento, spostandole sul piano del diritto internazionale e delle relazioni tra gli Stati (la funzione di “rispetto delle reciproche sovranità” è stata riconosciuta nel 2008 anche dalla Corte di Cassazione italiana nel caso Lozano3). Quanto all'individuazione della qualifica di organo va ritenuto che vada effettuata guardando alle norme interne dell'ordinamento per il quale l'individuo agisce (così afferma il progetto di articoli sulla responsabilità dello Stato della Commissione di diritto internazionale); ciò non esclude che vi siano in concreto situazioni di incertezza. La regola dell'immunità funzionale subisce inoltre eccezioni quando le attività costituiscono crimini internazionali, di cui viene chiamato a rispondere anche l'individuo; lo stesso vale per alcune attività “sleali”, quali quelle clandestine di 3 Corte di Cassazione, sez. I penale, 24 luglio 2008, n. 31171

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spionaggio.

L'immunità di Capi di Stato, di Governo e Ministri degli Esteri

Regole particolari vigono per i Capi di Stato, ai quali, oltre all'immunità funzionale, è accordata l'immunità propria degli agenti diplomatici, si tratta di una norma del diritto internazionale consuetudinario richiamata dalla Convenzione di New York del 1969 sulle missioni speciali. È però controverso in giurisprudenza se questa immunità, per gli atti commessi in carica, spetti solo per la durata della carica stessa o continui ad operare anche in seguito. Joanne Foakes nota come il problema sia oggi enfatizzato dal sempre più frequente prestigio internazionale che mantengono i Capi di Stato non più in carica4. La Convenzione del 1969 sembra inoltre

affermare che lo stesso trattamento dei Capi di Stato viga anche per i Capi di Governo. Sui Ministri degli Esteri la Corte Internazionale di Giustizia nel 2002 ha affermato l'esistenza di un'immunità penale completa per la durata della carica, non opponibile però ai tribunali internazionali5; la ratio di questa immunità va rinvenuta ovviamente nelle loro peculiari funzioni

nell'ambito delle relazioni internazionali (l'argomento sarà approfondito nel capitolo Riflessioni sulle funzioni dell'immunità).

I corpi militari all'estero

Quella dei corpi militari all'estero è una posizione su cui non è chiaro il contenuto del diritto internazionale consuetudinario, come si è visto nel 2008 la Cassazione ha riconosciuto l'immunità funzionale, prevalentemente ma non unanimemente ritenuta esistente. L'ampiezza del problema è oggi in ogni caso spesso ridotta dal fatto che la materia è regolata sul piano convenzionale, come avviene in ambito NATO; gli strumenti giuridici a ciò finalizzati sono detti SOFA (acronimo di “Status of Forces Agreement), o ”Visiting Forces Agreement” per le forze 4 Joanne Foakes, The Position of Heads of State and Senior Officials in International

Law, Oxford, 2014

5 Corte internazionale di Giustizia, Arrest Warrant of 11 April 2000 (Democratic Republic of Congo v. Belgium), Judgement, 14 febbraio 2002, in Reports, 2002, 3

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schierate solo temporaneamente, e talvolta forniscono ai militari un'immunità giudiziaria penale estesa a qualsiasi reato6.

6 Scott Snyder, A Call for Justice and the US-ROK Alliance, Center for Strategic International Studies, 18 dicembre 2002

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1.2 L'immunità di agenti diplomatici e consoli

Quando tra due Stati vi sono relazioni diplomatiche, per consentirne il loro pieno e libero svolgimento, operano una serie di immunità a favore dell'agente diplomatico (l'individuo investito di funzioni diplomatiche a seguito della procedura di accreditamento). Il beneficiario di questi privilegi, vista la loro ratio, è però non l'individuo ma lo Stato accreditante, che quindi è l'unico a potervi rinunciare.

La materia, per moltissimo tempo regolata dal diritto internazionale consuetudinario, è oggi disciplinata anche dalla Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche del 1961; la prima norma è quella dell'inviolabilità della persona dell'agente diplomatico, che quindi non può mai essere limitato nella sua libertà; egli inoltre beneficia dell'immunità funzionale, e di un'immunità processuale per gli atti compiuti come privato per la durata della missione; l'immunità dalla giurisdizione è piena in materia penale, mentre in materia civile e amministrativa incontra alcune limitazioni (circa l'esercizio di un'attività commerciale o di una professione liberale, nelle azioni reali riguardanti un immobile situato nello Stato del foro, nelle azioni successorie).

I consoli, che più che funzioni di relazioni internazionali svolgono compiti amministrativi per conto dello Stato di invio, beneficiano invece (salvo diverse disposizioni pattizie) solo dell'immunità funzionale, oltre a una parziale inviolabilità personale (la Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari del 1963, che disciplina la materia consente l'arresto di un console solo in due casi: per “reato grave” con la garanzia di un'apposita decisione dell'Autorità Giudiziaria, e in seguito a una sentenza penale definitiva.

Le inviolabilità di sede

A beneficio delle relazioni diplomatiche e consolari sono previste inoltre le inviolabilità della sede della missione diplomatica, dei mezzi di trasporto e della corrispondenza, dei locali usati per la funzione consolare, degli archivi e documenti consolari.

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1.3 L'immunità dello Stato dalla giurisdizione civile straniera

Il principio dell'immunità dello Stato, che lo esenta dalla giurisdizione civile straniera evitando quindi che possa essere convenuto in un tribunale di un altro Stato, è un principio appartenente al diritto internazionale classico; il celebre studioso sir Ian Brownlie ritrova la sua origine nell'immunità personale attribuita al monarca in visita all'estero, espressa dalla massima par in parem non habet imperium7. Questo brocardo, oggi frequentemente utilizzato nella variante più specifica par in parem non habet iurisdictionem, è ancora attuale nell'esprimere la ratio del principio: evitare che l'azione giurisdizionale in uno Stato interferisca con l'esercizio delle funzioni sovrane di un altro, di cui viene così garantita la personalità internazionale; il principio è quindi un'inferenza di uno dei cardini del sistema, l'uguaglianza tra gli Stati stessi, che impone che le controversie tra pari vengano risolte con gli strumenti appositi del d.i. e non all'interno di un singolo ordinamento.

In questa sintetica esposizione del principio si è fatto riferimento all'”esercizio di funzioni sovrane”, come l'oggetto della tutela garantita dall'immunità; su questo punto occorre però dar conto di un'evoluzione storica. Fino agli inizi del XX secolo l'immunità dello Stato era un'immunità assoluta, attribuita ratione personae (lo Stato estero in quanto tale mai poteva essere convenuto in giudizio); l'impostazione era il riflesso di un contesto politico ed economico ancora lontano dall'attuale complessità, in cui questa totale esenzione rimaneva tollerabile ed anzi trovava la totale condivisione della comunità internazionale di allora. Una notevole problematica si è posta però quando gli Stati hanno cominciato ad esercitare in prima persona attività commerciali e imprenditoriali (si fa riferimento ai vari monopoli statali e nazionalizzazioni avvenuti in vari Paesi), e ancor più dopo la rivoluzione russa del 1917 con l'imposizione di un 7 James Crawford, Brownlie's principles of International Law, Oxford, 2012

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regime comunista in cui quella statale costituiva l'unica impresa. Era chiaro che l'immunità, per uno Stato-imprenditore, costituiva un privilegio insostenibile e ingiustificato; oggi la dottrina è concorde nel sostenere che l'immunità stessa spetti solo per gli acta iure imperii (appunto quelli con cui lo Stato esercita funzioni sovrane) e non invece per gli acta iure gestionis, quelli aventi carattere privatistico. Questa distinzione è stato sancita per la prima volta dai tribunali belgi e italiani nel XIX secolo (per questo si parla di “tesi italo-belga”). Come per molte altre distinzioni dottrinali, le difficoltà emergono quando si tratta di applicarla nei casi specifici, che possono riguardare attività “miste” (esempio classico, a cui ricorre tra gli altri Cannizzaro, è quello dell'emissione di obbligazioni, che ha dato luogo a significativa giurisprudenza dopo il default argentino); nel precisare meglio il principio Cannizzaro stesso avverte che non si deve guardare alla finalità dell'atto, in quanto lo Stato sempre dovrebbe perseguire fini pubblicistici, ma alla sua “natura”8.

Il principio dell'immunità, come si è visto, appartiene al diritto internazionale consuetudinario; questo non ha escluso che divenisse oggetto di fonti convenzionali, che oltre a essere “dichiarative” hanno dettato regole per punti controversi, come le cause in materia di lavoro dipendente. Nel 1972 è stata adottata la Convenzione europea sull'immunità degli Stati, promossa dal Consiglio d'Europa; in ambito ONU è stata stipulata nel 2004 la “Convenzione sull'immunità giurisdizionale degli Stati e i loro beni” (c.d. Convenzione di New York), che però a settembre 2017 non è ancora entrata in vigore, perché non si sono raggiunte le 30 ratifiche previste a ciò dall'art. 30. L'Italia ha aderito nel 2013, mentre non ha ratificato la Convenzione europea. Oltre alle fonti internazionali molti ordinamenti si sono dati leggi ad hoc, importanza rivestono gli State Immunity Acts dei Paesi di common law (in particolare quello statunitense del 1978), 8 Vincenzo Cannizzaro, Corso di diritto internazionale, Torino, 2016, pp. 346-348

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per alcune particolari regole che dettano ad es. in materia di terrorismo.

Tema specifico è quello del riconoscimento dell'immunità a sottodivisioni dello Stato, specialmente se questo si è dotato di un ordinamento federale, una scuola nega questa possibilità poiché solo lo Stato centrale potrebbe agire iure imperii, questa conclusione non è condivisa da tutti nella sua assolutezza, lo stesso State Immunity Act statunitense ammette l'immunità agli “stati” entità costituenti di un Paese federale, se soddisfano i requisiti previsti dalla legge; la Convenzione di New York segue un'impostazione parzialmente diversa: condiziona l'immunità all'abilitazione delle entità in questione a porre in essere atti corrispondenti a funzioni sovrane (e ovviamente all'utilizzazione di questa capacità nel singolo caso in questione); secondo Brownlie la convenzione ONU si avvicina così a quella che è la posizione della migliore giurisprudenza9. La Convenzione europea del 1972 segue una strada diversa, subordinando la possibilità dell'immunità per le “unità costituenti di uno Stato federale” a un'apposita dichiarazione dello Stato; effettivamente dichiarazioni in tal senso sono state presentate da Austria, Germania e Belgio.

L'immunità dalle misure esecutive e cautelari

Riguardo a questo problema, che concerne la fase del procedimento civile di cognizione e quella dell'esecuzione forzata, non è esclusa la possibilità di procedere verso beni di uno Stato estero situati nello Stato del foro. Deve trattarsi però di beni non destinati a uno degli scopi pubblicistici protetti dalla generale regola dell'immunità (la Convenzione di New York fa riferimento a beni strettamente finalizzati a soddisfare la pretesa fatta valere in giudizio dall'attore e a beni utilizzati per finalità commerciali e privatistiche). Nella prassi l'esigenza di soddisfare le legittime pretese del creditore ha portato talune Corti ad andare molto oltre queste regole, giungendo addirittura a sequestrare, ad es., navi da guerra; ciononostante il “test di 9 Crawford, Brownlie's principles of International Law, cit.

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scopo” è quello che oggi meglio esprime lo stato del diritto internazionale.

L'immunità dello Stato dalla giurisdizione civile è rinunciabile, così come lo è quella dalle misure esecutive e cautelari. La questione della rinuncia, anche preventiva, è regolata in modo articolato dalla Convenzione europea del 1972 e da quella ONU del 2004.

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1.4 L’immunità come norma consuetudinaria

L'immunità dalla giurisdizione può essere definita come “l'esenzione di determinate persone dalla giurisdizione civile, penale o amministrativa, in virtù di norme del diritto internazionale”. Si tratta di norme di carattere consuetudinario, confermate dalla prassi, oltre che dalla dottrina, dalla giurisprudenza e soltanto molto più recentemente, da fonti pattizie (queste ultime peraltro non sono necessariamente dichiarative del diritto consuetudinario, e non di rado possono contenere previsioni più ampie che estendono le immunità).

Il diritto internazionale consuetudinario garantisce l’immunità a: Stati stranieri, agenti consolari, agenti diplomatici, capi di stato, altri agenti governativi, organizzazioni internazionali e il loro personale, nonché navi da guerra straniere e truppe regolarmente ammesse nel territorio dello Stato del foro. Tra questi Paul Reuter10 identifica due distinti gruppi di immunità giurisdizionali, ognuna con origini diverse. Il primo gruppo comprende le immunità riguardanti servizi diplomatici e consolari, navi da guerra estere e truppe straniere che occupano un territorio dello Stato. Queste immunità sono fondate sulla necessità di garantire legalmente il diritto degli agenti stranieri stabiliti in un altro Paese di svolgere liberamente le proprie attività, si deve inoltre assicurare l’inviolabilità delle proprietà di Stati stranieri situate in tale territorio. Il secondo gruppo comprende l'immunità giurisdizionale degli Stati, che deriva dai diritti fondamentali che agli Stati stessi sono garantiti, ossia l'indipendenza e l'uguaglianza giuridica, entrambi corollari del concetto di sovranità. Infatti, come si può consentire ai tribunali di uno stato di affermare la propria giurisdizione - una delle funzioni più espressive della sovranità statale – nei confronti di uno Stato straniero altrettanto sovrano? Proprio per questo nel 10 Paul Reuter, Quelques réflexions sur la natura delle immunità del État en droit international public in Paul Reuter, Le développement de l'ordre juridique internationale: Écrits de Droit international, 1995

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XIX secolo si è fatto ricorso, per descrivere la ratio del principio, all'antico motto feudale “par in parem non habet imperium” e ai necessari adattamenti ”par in parem non habet judicium” o “jurisdictionem”. Per quanto riguarda le organizzazioni internazionali, è da ritenere che l'immunità giurisdizionale si fondi su una necessità funzionale: per le grandi organizzazioni con ambito universale, ma forse anche per alcune organizzazioni regionali è indispensabile per svolgere le proprie funzioni con efficienza e piena indipendenza.

Le immunità e i privilegi diplomatici arrivano da molto lontano; Celso de Albuquerque Mello nota che nell'antichità gli agenti diplomatici erano rivestiti da un’aura sacrale; a Roma la violazione dell'immunità dei ambasciatori romani era ragione sufficiente per una “giusta guerra”11. In generale è palese che l’immunità diplomatica costituisca una delle norme più conosciute del diritto internazionale.

Per quanto riguarda le origini dell’immunità statale, già nel XVI secolo gli studiosi giuridici internazionali avevano riconosciuto l'immunità personale dei singoli sovrani, come i re e le regine, in aggiunta all’'immunità degli ambasciatori. Ma solo nel XIX secolo, quando ormai si era consolidato il moderno Stato-nazione, è emersa anche la dottrina della sua immunità all'estero, riconosciuta come entità distinta da quella spettante alla persona del sovrano. La norma si è poi evoluta principalmente attraverso la graduale accumulazione della prassi statale sotto forma di decisioni giudiziarie e in misura minore di legislazione. I tribunali nazionali hanno svolto un ruolo di primo piano nello sviluppo di questa dottrina, ed è spesso citata la sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti nel 1812 nel caso Schooner Exchange v. McFaddon12, deciso dal Chief Justice Marshall nell’ottica dell’immunità come consenso del sovrano territoriale alla 11 Celso de Albuquerque Mello, Curso de direito internacional público, 1997

12 Corte Suprema degli Stati Uniti, Marshall in Schooner Exchange v. Mc Faddon, 7 Cranch 116 (1812)

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rinuncia alla giurisdizione. La finalità era comunque rinvenuta nella “perfetta uguaglianza e assoluta indipendenza dei sovrani, e nell’interesse comune che li spinge a rapporti reciproci”.

La sentenza sopra citata ancora oggi spinge talvolta i giudici statunitensi a trattare l’immunità come una questione di cortesia internazionale. Ma oggi l'idea che l'immunità degli Stati è una norma di diritto internazionale consuetudinario è dominante, ed è stata adottata dalla Commissione di diritto internazionale e dalla Corte internazionale di giustizia; anche chi come Lauterpacht (nel 1951) negava il suo carattere normativo ammetteva la “scarsa ortodossia” della sua interpretazione13.

Quanto al contenuto e all’estensione dell’immunità statale, la dottrina dell’immunità assoluta prevalse fino all'inizio del ventesimo secolo, ed in seguito è invece stata sempre più rifiutata in favore della cosiddetta dottrina restrittiva dell'immunità dello Stato straniero. Secondo la dottrina restrittiva, uno Stato è immune nei confronti delle domande che coinvolgono i suoi atti pubblici o sovrani (jure imperii), ma non i suoi atti a carattere privato o commerciale (jure gestionis). Gli Stati Uniti, per esempio (come si vedrà nel capitolo dedicato), hanno ufficialmente adottato la dottrina restrittiva nel 1952. Già nel 1928 tra l’altro (in un periodo in cui le due dottrine ancora coesistevano) l’immunità giurisdizionale assoluta era stata vietata in via pattizia agli Stati firmatari della Convenzione sul diritto internazionale privato. Oggi, l'approccio restrittivo predomina nettamente, ed è seguito dalle Convenzioni e dalle leggi nazionali in materia.

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1.5 La Convenzione europea sull'immunità degli Stati (1972)

La Convenzione europea nel preambolo fa riferimento a una “tendenza a limitare i casi in cui uno Stato può invocare l’immunità dinnanzi ai tribunali esteri”, per questo la sua disciplina guarda a delimitare i casi in cui l'immunità è esclusa, individuati negli artt. 1-14. Il primo articolo individua l'esclusione dell'immunità per lo stato attore o interveniente presso il tribunale di un altro Stato contraente, anche se presenta domanda riconvenzionale (se invece è presentata nei suoi confronti l'immunità non opera se la domanda deriva dal rapporto giuridico o dai fatti su cui è fondata la domanda principale). L'art. 2 inoltre non consente di invocare l'immunità allo Stato che si sia impegnato ad assoggettarsi alla giurisdizione di un tribunale estero in virtù di un accordo internazionale, di una disposizione espressa figurante in un contratto scritto o di un consenso espresso dato dopo che la controversia sia insorta. Per l'art. 3 “uno Stato Contraente non beneficia dell’immunità dalla giurisdizione dinnanzi a un tribunale di un altro Stato Contraente se, prima d’invocarla, entra nel merito della controversia“, si precisa però che, se dimostra d’aver potuto prendere solo successivamente conoscenza dei fatti sui quali avrebbe potuto fondare l’immunità, può invocare quest’ultima qualora si avvalga di tali fatti non appena possibile (scontata è l'altra puntualizzazione, per cui non si considera rinunciante all'immunità uno Stato che compaia davanti ai tribunali di un altro Stato contraente per invocarla). Come si vede queste norme riguardano la non operatività dell'immunità derivante da rinuncia dell'avente diritto, preventiva o successiva. Gli artt. 4-14 trattano invece casi nei quali la Convenzione non prevede l'immunità sul presupposto che la controversia riguardi attività considerabili iure gestionis (si differenzia la norma dell'art. 13 che esclude che sia una rinuncia all'immunità ex art.1 il fatto che uno Stato faccia valere in un tribunale estero diritti su beni oggetto di una controversia di cui non è parte). Il catalogo comprende le controversie giudiziali su:

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– obblighi derivanti da un contratto che deve essere adempiuto nello stato del foro (subeccezioni: che sia un contratto concluso tra Stati, che le parti abbiano convenuto altrimenti, che lo Stato sia parte di un contratto concluso sul proprio territorio e che l'obbligo sia retto dal proprio diritto amministrativo)

– contratti di lavoro concluso tra lo Stato e una persona fisica, se il lavoro debba essere prestato sul territorio dello Stato del foro (a meno che la persona fisica possieda la cittadinanza dello Stato datore di lavoro al momento in cui è proposta l’istanza o che vi sia patto contrario scritto)

– società, associazione o persona giuridica avente la propria sede reale o statutaria o il suo stabilimento principale sul territorio dello Stato del foro a cui l'altro Stato partecipi, se la controversia riguarda tali partecipazioni (eccezione è il patto contrario scritto)

– un ufficio, un’agenzia o altro stabilimento di uno Stato contraente sul territorio dello Stato del foro mediante il quale il primo esercita, alla stregua di una persona privata, un’attività industriale, commerciale o finanziaria (l'eccezione non è applicabile ove tutte le parti della controversia siano Stati od ove le parti abbiano convenuto altrimenti per iscritto)

– un brevetto d’invenzione, un disegno o modello industriale, una marca di fabbrica o di commercio, una marca di servizio o altro diritto analogo che, nello Stato del foro, è stato chiesto, depositato, registrato o protetto in altro modo e di cui lo Stato è depositante o titolare (o il mancato rispetto di un diritto d'autore nello Stato del foro, o il diritto d’utilizzare una ditta commerciale nello Stato del foro)

– un diritto o obbligo dello Stato su di un immobile, il possesso da parte dello Stato di un immobile o l’uso che esso ne fa, se l’immobile è situato sul territorio

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dello Stato del foro

– un diritto su beni, mobili od immobili, compendio di una successione o di una donazione, oppure vacanti

– il risarcimento di un danno alla persona o materiale risultante da un fatto intervenuto sul territorio dello Stato del foro e se l’autore del danno era ivi presente al momento in cui tale fatto è intervenuto

– un arbitrato accettato per iscritto su controversie già insorte o che potessero insorgere in materia civile o commerciale, presso i tribunali di uno Stato Contraente sul cui territorio o secondo la cui legge l’arbitrato deve aver o ha avuto luogo, per qualsiasi azione relativa alla validità o all’interpretazione del patto d’arbitrato, alla procedura d’arbitrato, all’annullamento del lodo (salvo che il patto d’arbitrato non disponga altrimenti o che sia concluso tra Stati)

– l'amministrazione giudiziale di beni, quali quelli di un trust o di un fallimento, o l'organizzazione o sorveglianza dell’amministrazione, anche se uno Stato Contraente avesse un diritto su tali beni

La norma dell'art. 15 dà al riconoscimento dell'immunità carattere residuale: l'istituto in questione opera in tutti gli altri casi, anche se lo Stato avente diritto dovesse non comparire. Gli art. 29 e 30 precisano però che la Convenzione non si applica nelle materie di sicurezza sociale, danni in ambito nucleare, tasse, multe, diritti doganali e imposte, e per i reclami in materia di esercizio di navi commerciali. Al contrario, negli artt. 31 e 32 si stabilisce che nessuna norma della Convenzione può essere utilizzata per intaccare le immunità per gli atti delle forze armate, così come delle missioni diplomatiche e consolati; in questi ambiti la questione è quindi rimessa al diritto consuetudinario.

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La Convenzione è stata considerata come optante decisamente per l'immunità ristretta, come nota Esther Salamanca Aguado14, e in particolare è stato discusso l'art. 11, che introduce l'eccezione per il risarcimento dei danni provocati nello Stato del foro. Nella sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo McElhinney v. Ireland15 (2001) la maggioranza dei giudici ha convenuto che questa norma non poteva essere ancora considerata appartenente al diritto consuetudinario, e si è valutato poco significativo il ruolo della Convenzione, che all'epoca era stata ratificata da soli 8 Stati.

14 Esther Salamanca Aguado, Inmunidad de jurisdicción del Estado y derecho de acceso a un tribunal a propósito de la sentencia del Tribunal Europeo de Derechos Humanos en el asunto McElhinney c. Irlanda, in Anuario español de derecho internacional, 2002, n° 18, pp. 347-387

15 Corte europea dei diritti dell'uomo, Grande Camera, McElhinney v. Ireland, Appl. n. 31253/96, 21 novembre 2001

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1.6 La Convenzione delle Nazioni Unite sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni (2004)

Nel preambolo di questa Convenzione si sottolinea il carattere consuetudinario delle norme sull'immunità e si individuano due finalità: rafforzare lo Stato di diritto e la certezza del diritto nei rapporti che coinvolgono gli Stati stessi, e promuovere la codificazione del diritto internazionale in questo settore, favorendo l'armonizzazione delle prassi. Ovviamente si afferma che le regole consuetudinarie continuano a non applicarsi alle questioni non disciplinate dalla Convenzione, che (art. 4) non è retroattiva, ed espressamente esclude dal suo campo d'applicazione le immunità diplomatiche, consolari, dei rappresentanti presso le organizzazioni internazionali e dei Capi di Stato (art. 3), oltre a quelle che concernono l'utilizzo di aeromobili e oggetti spaziali. Nel definire il beneficiario dell'immunità, lo Stato, si fa riferimento anche agli organi di governo, e, come si è visto alle componenti di uno Stato federale o le suddivisioni politiche di uno Stato quando agiscono, essendone abilitate, nell'esercizio di un'autorità sovrana; dal punto di vista delle regole sono accomunati alle suddivisioni agenzie, organismi e rappresentanti dello Stato. In capo alle Parti della Convenzione viene posto un obbligo di rispettare l'immunità e anche di vigilare affinché non venga violata dai propri tribunali; poi si precisa che un procedimento giurisdizionale va considerato proposto contro uno Stato (e quindi in violazione delle norme sull'immunità) non solo quando quest'ultimo è citato come parte, ma anche quando mira a recare pregiudizio ai suoi beni, diritti, interessi o attività.

Nella Convenzione non mancano le norme sulla deroga all'immunità per consenso dello Stato avente diritto, che può essere dato preventivamente per quella causa o per l'intera materia tramite accordo internazionale o contratto scritto, può anche essere fatta un'apposita dichiarazione davanti al tribunale o una comunicazione scritta; nell'art. 7

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infine si precisa che il consenso prestato per l'applicazione della legge di un altro Stato non può essere inteso come rinuncia all'immunità16. Invece per l'art. 8 uno Stato non può invocare l'immunità se ha attivato esso stesso il procedimento giurisdizionale o vi è intervenuto, o ha assunto in esso una qualsiasi posizione sul merito (del tutto analoga alla Convenzione europea è la possibilità di avvalersi dell'immunità in seguito se non si conoscevano i fatti su cui si fonda); anche qui si stabilisce che non è considerato consenso intervenire solo per invocare l'immunità, o per far valere un diritto o un interesse nei confronti di un bene in causa, o come testimone; né tanto meno può considerarsi consenso il non intervenire. Per l'art. 9 hanno invece effetto di rinuncia all'immunità per quanto riguarda la domanda principale le eventuali domande riconvenzionali presentate dallo Stato (che se invece è l'attore della domanda principale è tenuto a subire le domande riconvenzionali che ne possono derivare riguardo ai medesimi fatti, diritti o interessi).

Esaurite la parte II sui principi generali, la Convenzione di New York disciplina la questione dei procedimenti in cui gli Stati non possono invocare l'immunità. Coerentemente con lo sviluppo storico di questo ambito del diritto internazionale, la prima norma fa riferimento alle transazioni commerciali. L'art. 2 definisce così questa espressione: ogni contratto o transazione di natura commerciale per la vendita di beni o 16 Questo principio era già stato riconosciuto dalla Corte Suprema svedese in Local Authority of Västerås v. Republic of Iceland, 30 dicembre 1999. Il caso coinvolgeva un contratto tra il Ministero dell'Istruzione islandese e le autorità svedesi per un apprendistato in Svezia di studenti islandesi, in cui si prevedeva per le controversie l'applicazione della legge svedese. La Corte ha ritenuto la materia di rilievo pubblico e ha affermato che la clausola sulla legge applicabile non significa rinuncia da parte dell'Islanda all'immunità.

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la prestazione di servizi, ogni contratto di prestito o altra transazione di natura finanziaria, compreso ogni obbligo di garanzia o d'indennizzo connesso con un simile prestito o una simile transazione, ogni altro contratto o altra transazione di natura commerciale, industriale o concernente la fornitura di beni o servizi, esclusi i contratti di lavoro; si precisa che in ogni caso non rilevano solo natura del contratto o della transazione ma anche gli obiettivi che questi si pongono. Per le transazioni commerciali (la cui disciplina è contenuta nell'art. 10) l'immunità è esclusa quando avvengono “con persona fisica o giuridica straniera” e le regole internazionalprivatistiche assegnano la giurisdizione al tribunale straniero, è espressamente escluso dalla norma (oltre all'ipotesi dell'esplicito consenso alla vigenza dell'immunità) il caso di transazione tra Stati, si afferma inoltre che l'immunità giurisdizionale non è pregiudicata quando coinvolti nella transazione sono enti o imprese statali capaci di stare autonomamente in giudizio o di gestire direttamente beni o interessi (quindi si mette al riparo dalla “minaccia” dell'immunità chi ha a che fare con le situazioni, assai frequenti nella modernità, di enti pubblici economici o simili che operano sul mercato).

Dopo le transazioni commerciali, è disciplinata un'altra questione tradizionalmente spinosa, quella dei contratti di lavoro dipendente (art. 11); anche qui la regola generale è il non operare dell'immunità, quando la prestazione di lavoro sia da eseguire all'estero e competente sia per l'appunto il tribunale estero (ma fa eccezione il caso in cui il lavoratore è cittadino dello Stato datore di lavoro e non ha la residenza permanente nello Stato del foro), sempre che il rapporto di lavoro non riguardi funzioni pubbliche o diplomatiche, o che l'azione non concerna l'assunzione della persona (anche cause di licenziamento possono costituire eccezione, se lo Stato dichiara ragioni di sicurezza, in questo modo la Convenzione cerca di fugare i timori che erano sorti circa la possibilità che un tribunale interferisca con l'organico dei dipendenti di un altro Stato); invece, il

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diverso patto scritto non può sancire l'operatività dell'immunità se vi ostano ragioni di ordine pubblico che fondano la giurisdizione esclusiva dello Stato del foro. L'art. 12 affronta una questione assai diversa, introducendo un'eccezione all'immunità (che però può rientrare in gioco su accordo degli Stati interessati) quando sullo Stato del foro si è verificata una lesione dell'integrità fisica di una persona o un danno a suoi beni tangibili imputabile a un altro Stato, l'eccezione riguarda il procedimento di riparazione pecuniaria e il criterio territoriale impone che l'autore dell'atto o dell'omissione si trovasse nello Stato del foro nel momento in cui si sono verificati. Per l'art. 13 l'immunità è disconosciuta in riferimento a diritti o interessi su beni immobiliari che si trovino nello Stato del foro, o su beni derivanti da successioni o donazioni, o riguardanti l'amministrazione di trust o società disciolte o fallite; analoghe sono le eccezioni all'immunità previste nei tre articoli successivi, rispettivamente in riferimento a diritti di proprietà intellettuale o industriale (es. brevetti), partecipazioni in società, esercizio di navi commerciali. Il catalogo delle eccezioni è chiuso dall'art. 17, in cui si esclude l'immunità nei procedimenti sulla validità, l'interpretazione o l'applicazione di un patto d'arbitrato stipulato per dirimere le controversie su una transazione commerciale, nonché se si discute della procedura arbitrale o della conferma o dell'annullamento del lodo arbitrale (in quest'ultimo caso sempre che non si sia convenuto diversamente). La parte quarta regola l'immunità degli Stati nei confronti delle misure coercitive, per l'art. 18 anteriormente alla sentenza non si può procedere ad alcuna misura di questo genere, salvo che lo Stato lo abbia esplicitamente consentito (il consenso all'esercizio della giurisdizione non è sufficiente). Dopo la sentenza è invece possibile contro beni situati nello Stato del foro e non destinati a funzioni pubbliche (purché abbiano legami con l'ente contro cui è stato avviato il procedimento giudiziario), il catalogo dell'art. 21 esclude specificamente dalle misure alcune categorie di beni che rappresentano tipiche

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funzioni pubblicistiche (come quelli militari).

La Convenzione ha trovato la prestigiosa approvazione di Lady Hazel Fox, che tra l'altro vi ha visto uno strumento importante non solo per la certezza del diritto, ma anche per la stessa difesa della norma consuetudinaria dell'immunità17. Ciononostante l'autrice, pur considerando “benvenuta” la nuova Convenzione, ha individuato nel testo punti in cui le norme sono poco sviluppate e rischiano di non garantire il superamento delle incertezze che possono crearsi: ciò riguarda soprattutto i giudizi di delibazione di sentenze straniere emesse contro uno Stato, e l'immunità dall'esecuzione di beni quali i fondi sovrani di cui spesso non è chiaro l'uso per fini iure imperii o iure gestionis18.

Analizzando la Convenzione di New York alcuni autori vi hanno ravvisato un'”architettura conservatrice19”, favorevole più allo Stato che all'individuo e presumibilmente volta a favorire un maggior numero di ratifiche. In ciò si vedono anche aspetti negativi, in particolare, facendo riferimento alla dottrina italiana, Francesca De Vittor ravvisa il rischio che “la Convenzione, proprio per il suo cristallizzare in un 17 Hazel Fox, In Defence of State Immunity: Why the UN Convention on State Immunity is Important, in International and Comparative Law Quarterly, Vol. 55 (Aprile 2006), pp. 399-406

18 State Immunity and the new UN Convention, Chatham House, 5 ottobre 2005

(intervento di Hazel Fox). Resoconto disponibile su

https://www.chathamhouse.org/sites/files/chathamhouse/public/Research/Internationa l%20Law/ilpstateimmunity.pdf, consultato a settembre 2017

19 Francesca De Vittor, Recenti sviluppi in tema di immunità degli Stati dalla giurisdizione: la Convenzione di New York del 2 dicembre 2004, in Comunicazioni e studi, Istituto di diritto internazionale della Università di Milano, 2007, p. 83

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elenco chiuso le varie eccezioni alla regola dell’immunità, costituisca un ostacolo ad ogni ulteriore sviluppo di natura giurisprudenziale. Una tale evenienza si potrebbe verificare, in primo luogo, qualora la Convenzione fosse ratificata e resa esecutiva da quegli Stati, primo fra tutti il nostro20, nei quali la mancanza di una disciplina legislativa ha permesso pronunce particolarmente innovative. In secondo luogo, non deve essere sottovalutato il rischio che, anche in assenza di ratifica, la Convenzione sia applicata dai giudici interni come diritto consuetudinario senza procedere ad una valutazione della sua effettiva corrispondenza alla prassi; anche un tale comportamento provocherebbe il cristallizzarsi della norma consuetudinaria sul testo della Convenzione21”. Malgrado queste perplessità, l'autrice sottolinea l'importanza della superiore certezza del diritto garantita dalla Convenzione, profittevole tanto per gli individui quanto per gli Stati.

20 L'Italia ha effettivamente ratificato la Convenzione nel 2013. 21 Francesca De Vittor, opera cit., 2007, p. 84

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1.7 L'immunità nella legislazione italiana

In Italia per lungo tempo è mancata una qualsiasi legislazione sul tema dell'immunità degli Stati esteri dalla giurisdizione, che era quindi regolato solo dalle norme di diritto consuetudinarie, recepite come è noto tramite l'art. 10 della Costituzione, il quale fissa un meccanismo di adattamento permanente. Come visto supra, l'Italia è tra i molti Paesi del Consiglio d'Europa che non hanno ratificato la Convenzione di Basilea del 1972. Questa situazione è stata ovviamente foriera di incertezza nell'ordinamento (anche se in una sentenza a Sezioni Unite la Cassazione ha ritenuto la convenzione “documento ricognitivo del diritto consuetudinario internazionale”22), ma probabilmente ha favorito l'emanazione delle storiche pronunce in cui è stata negata l'immunità per le violazioni dello ius cogens, a partire dal caso Ferrini del 2004.

Quella giurisprudenziale è una tematica che sarà affrontata più avanti, in ogni caso ha interferito con le scelte legislative. Queste inizialmente si sono espresse in materia di esecuzione: la legge 1263 del 1926 ha per lungo tempo subordinato, a condizione di reciprocità, ad autorizzazione del Ministro della Giustizia le misure esecutive su beni di Stati esteri; si tratta di una previsione cancellata dalla sentenza 329 del 1992 della Corte Costituzionale23 che, innovando rispetto a una precedente pronuncia del 1963, ha ritenuto la norma non più conforme al diritto internazionale, che ora garantisce l'immunità ai soli beni utilizzati per funzioni pubbliche, e quindi incapace di reggere al confronto con l'art. 24 Cost.. Quando la Corte d'Appello di Firenze (2006) ha iscritto ipoteca giudiziale su Villa Vigoni (residenza utilizzata per fini culturali dallo Stato tedesco), è emersa immediatamente la necessità di una nuova normativa, e il dl 63 del 2010, convertito in legge 98 del 2010, ha sospeso l'efficacia delle misure esecutive in caso di ricorso alla Corte internazionale di Giustizia.

22 Cassazione, sez. un., 15 maggio 1989, n. 2329

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Il superamento del carattere emergenziale della legislazione in materia è avvenuto dopo la sentenza dei giudici dell'Aja del 3 febbraio 2012 sulla controversia con la Germania, decisione sfavorevole a cui l'Italia era però tenuta ad adeguarsi. Proprio al tal fine la legge 5 del 2013 ha autorizzato l'adesione alla Convenzione di New York (si utilizza questo termine perché all'epoca dell'adozione della Convenzione da parte delle Nazioni Unite l'Italia non l'aveva firmata nei tempi previsti, l'unico modo per diventarne parte contraente era quindi l'adesione); nella relazione di accompagnamento si sottolinea il valore di certezza del diritto che il recepimento nell'ordinamento interno della Convenzione perseguiva. Non era peraltro un mistero il legame tra la legge e la sentenza del 2012, difatti l'art. 3 stabiliva la seguente regola:

(...) quando la Corte internazionale di giustizia, con sentenza che ha definito un procedimento di cui è stato parte lo Stato italiano, ha escluso l'assoggettamento di specifiche condotte di altro Stato alla giurisdizione civile, il giudice davanti al quale pende controversia relativa alle stesse condotte rileva, d'ufficio e anche quando ha già emesso sentenza non definitiva passata in giudicato che ha riconosciuto la sussistenza della giurisdizione, il difetto di giurisdizione in qualunque stato e grado del processo. Le sentenze passate in giudicato in contrasto con la sentenza della Corte internazionale di giustizia di cui al comma 1, anche se successivamente emessa, possono essere impugnate per revocazione, oltre che nei casi previsti dall'articolo 395 del codice di procedura civile, anche per difetto di giurisdizione civile e in tale caso non si applica l'articolo 396 del citato codice di procedura civile.”

La sentenza 238 del 2014 ha però annullato in toto l'art. 3, sicché si può affermare che, almeno in attesa dell'entrata in vigore della Convenzione ONU, il tema dell'immunità è tuttora carente di regolamentazione nell'ordinamento italiano.

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1.8 Riflessioni sulle funzioni dell’immunità

La regola dell'immunità statale, come si è accennato, costituisce un corollario del principio di parità tra gli Stati e della loro reciproca sovranità. Ciò che accomuna tutte le immunità è più specificatamente il fatto che svolgono una funzione molto significativa sul piano delle relazioni internazionali, consentendo il loro ordinario svolgersi senza improprie interferenze da parte di procedimenti giudiziari; in seguito si procederà ad analizzare le singole rationes che stanno alla base delle varie figure di immunità.

L'immunità statale, come afferma Lady Hazel Fox in apertura della sua opera The Law of State Immunity, garantisce oltre alle relazioni internazionali la possibilità ad ogni Stato di portare avanti in modo effettivo le proprie funzioni pubbliche. La celebre autrice in particolare individua tre scopi della norma sull'immunità: assicurare stabilità (una “situazione di stallo”) tra due Stati quando privati si rivolgono ai giudici dell'uno per fare valere pretese nei confronti dell'altro; consentire la distinzione in sede giudiziale tra materie riguardanti funzioni pubbliche e pretese di diritto privato (in virtù dell'evoluzione storica di questo ambito del diritto internazionale a cui si è fatto riferimento nei capitoli precedenti); fornire un metodo di individuazione della giurisdizione (soprattutto in senso negativo) in dispute tra Stati che vengono portate davanti ai tribunali nazionali in mancanza di un accordo internazionale per la soluzione della controversia24. Una sintesi si può rinvenire nell'esigenza che iniziative del potere giudiziario o di cittadini privati non finiscano per condizionare od ostacolare l'ambito interstatuale regolato dal diritto internazionale, pretendendo invece di sottoporlo alle norme di un singolo ordinamento nazionale.

Gli scopi dell'antica norma sull'immunità statale sono emersi in modo non solo teorico quando in alcune vicende giudiziarie talune Corti hanno disapplicato l'immunità ad es. in virtù del carattere imperativo di altre norme che si supponevano in contrasto. In Italia, 24 Hazel Fox, The Law of State Immunity, Oxford, 2013

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in esecuzione di sentenze di questo tipo, si è giunti a disporre il sequestro di un immobile di proprietà della Germania utilizzato per fini culturali; una situazione di cui è evidente il carattere destabilizzante qualora divenisse l'ordinario metodo di risoluzione delle controversie tra Stati, eventualità certo anomala e inquietante. Alcuni autori hanno sottolineato come lo stesso Stato italiano non si sia mostrato particolarmente convincente nella difesa dell'atteggiamento dei suoi giudici presso la Corte internazionale di Giustizia, per il timore di essere a sua volta vittima di questo nuovo orientamento, in riferimento ai crimini commessi durante la Seconda Guerra Mondiale. In generale però l'immunità funge da scudo per qualunque Stato, anche dal rischio di “imperialismo giuridico” da parte dei tribunali dei Paesi più ricchi ed economicamente rilevanti, in cui l'esecuzione di una sentenza sfavorevole è suscettibile di produrre le conseguenze più dannose.

Si differenzia maggiormente la funzione dell'immunità personale di Capi di Stato, Ministri degli Esteri, agenti diplomatici. In questo caso si tratta di individui che svolgono un ruolo importantissimo sul piano dei rapporti tra Stati. Quello degli ambasciatori è noto da millenni, per Capi di Stato e Ministri degli Esteri, come osserva Joanne Foakes25, è stato negli ultimi decenni incrementato da viaggi internazionali, conferenze e vertici ad alto livello sempre più frequenti; ambedue i soggetti rappresentano la personalità internazionale dello Stato all'estero. In questo contesto le conseguenze negative dell'esercizio del potere giudiziario nei loro confronti sono notevoli, anche quando la vicenda in esame non ha a che vedere con le funzioni pubbliche dell'individuo. Per quanto riguarda i diplomatici un procedimento penale o anche civile potrebbe compromettere la libertà di svolgimento della missione. Va aggiunto che l'immunità garantisce anche la libertà personale del Capo di Stato, del 25 Joanne Foakes, The Position of Heads of State and Senior Officials in International

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Ministro o del diplomatico da potenziali usi abusivi o distorti dello strumento giudiziario, volti a condizionare volutamente i rapporti internazionali.

Gli ancora attuali fini delle immunità sono solitamente riconosciuti in dottrina. C'è però chi, come Xiadong Yang, si chiede perché queste considerazioni valide e significative, nei singoli casi giudiziari, siano sovente celate dietro una pretesa di tecnicismo nell'applicazione o meno della norma, che genera il sospetto di voler occultare pressioni governative o valutazioni di politica contingente26. Per Yang, insomma, sarebbe opportuno rinnovare il discorso sulle funzioni dell'antica norma dell'immunità, anziché focalizzarsi su aspetti di carattere tecnico-procedurale; ciò consentirebbe di affrontare meglio il problema del suo rapporto con altri valori garantiti dall'ordinamento internazionale, come la protezione dei diritti umani.

Il legame tra immunità statale e immunità ratione materiae degli organi

La ratio dell'immunità statale si concretizza anche nell'immunità funzionale concessa agli organi dello Stato (detta anche “immunità organica”); infatti lo Stato agisce necessariamente tramite persone (ufficiali e agenti), e se queste potessero essere chiamati a rispondere davanti a un tribunale estero delle condotte tenute nell'esercizio delle loro funzioni non sarebbe che un modo per processare indirettamente il comportamento dello Stato, eludendo la sua immunità. Viceversa, le condotte devono essere imputate allo Stato e non all'individuo; è inoltre evidente il carattere di ingerenza che può avere la minaccia della sanzione penale o di conseguenze civili esercitate verso gli agenti di un altro Stato per distoglierli dalle loro funzioni (si può teoricamente immaginare che la minaccia verso gli agenti condizioni in concreto l'esercizio delle funzioni sovrane di un altro Stato, in questa chiave l'immunità funzionale può discendere anche dal divieto di intromissione nella vita costituzionale di ordinamenti stranieri27). La tesi del

26 Xiadong Yang, State Immunity in International Law (Cambridge: CUP 2012), 461 27 Come affermano Riccardo Luzzatto e Ilaria Queirolo in Istituzioni di diritto

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collegamento tra immunità statale e organica è seguita anche dall'art. 2 della Convenzione di New York ed è stata affermata dalla Corte di Cassazione italiana nel caso Lozano, in cui l'immunità degli organi è stata presentata come corollario della norma consuetudinaria sull'immunità degli Stati dalla giurisdizione: “Ogni Stato, indipendente e sovrano, è libero di stabilire la propria organizzazione interna e individuare le persone autorizzate ad agire per suo conto, sicché, una volta individuata la qualità di organo e la sua competenza, le relative condotte individuali esprimono l'esercizio di una funzione pubblica e sono imputabili allo Stato, comportandone, senza indebite interferenze da parte dei tribunali di un altro Stato, solo la responsabilità per l'eventuale illecito internazionale da far valere nei rapporti tra lo Stato leso e lo Stato responsabile”28. Ancora più chiara era stata nella sentenza Milde, in cui aveva dichiarato

che “l'immunità funzionale (…) costituisce specificazione di quella che compete agli Stati, poiché risponde all'esigenza di impedire che il divieto di convenire in giudizio lo Stato straniero possa essere vanificato agendo nei confronti della persona mediante la quale la sua attività si è esternata”29, pur muovendo in questo caso nella direzione di negare entrambe le immunità,

essendo invocate in un processo per crimini internazionali (v. capitolo dedicato).

Malgrado queste considerazioni, il totale allineamento con l'immunità dello Stato è tutt'altro che indiscusso, come nota Hazel Fox30, che auspica uno sviluppo in parte indipendente delle due

norme (già adesso il distacco tra le due immunità si verifica quando lo Stato è responsabile per atti iure gestionis, ma il funzionario no in virtù del suo ruolo ufficiale). Ancora più deciso è il disaccordo di Giovanni Boggero sul legame tra le due immunità, che a suo parere promuove una concezione organicistica dalle conseguenze deleterie sul senso di responsabilità individuale, al punto da poter inconsapevolmente favorire difese come quella di Adolf Eichmann davanti alla Corte Suprema israeliana (il gerarca nazista si era definito una “rotella dell'ingranaggio” del Terzo Reich, era lo Stato che aveva ordinato le azioni ed esso solo ne doveva rispondere). Al contrario per l'autore la tutela dei diritti fondamentali non può che passare dall'esercizio della giurisdizione verso i reali responsabili di violazioni, gli individui, tenendo invece ferma 28 Corte di Cassazione, sez. I penale, 24 luglio 2008, sentenza cit.

29 Corte di Cassazione, sez. I penale, 21 ottobre 2008, n. 1072 30 Hazel Fox, opera cit., 2013

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l'immunità degli Stati31; nota che a conclusioni simili era giunto Keitner32.

31 Giovanni Boggero, Senza immunità (dello Stato), niente responsabilità (dell'individuo), in Diritto pubblico comparato ed europeo, Torino, 2013, vol. 1 32 C. I. Keitner, Officially Immune? A Response to Bradley and Goldsmith, in Yale

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PARTE II – IL RAPPORTO TRA IMMUNITÀ E IUS COGENS 2.1 Immunità e ius cogens secondo la dottrina

La sfida che fa da sfondo al tema di cui si tratta, che il diritto internazionale è sempre più spesso chiamato ad affrontare, è raggiungere un equilibrio ragionevole tra la base del sistema stesso, ossia la sovranità dei suoi attori principali, gli Stati, e la tutela dei diritti dell’individuo considerati fondamentali (tutela tra l'altro talvolta imposta da norme divenute imperative, come i divieti di genocidio o di tortura). Questa esigenza si è manifestata proprio nei casi che verranno analizzati, in cui la regola generale dell'immunità dello Stato si oppone alle norme di ius cogens in materia di diritti umani33; va innanzitutto messo in evidenza che si tratta di due insiemi di regole che hanno obiettivi molto diversi. È bene sottolineare infatti che la ratio della concessone delle immunità giurisdizionali agli Stati va rinvenuta essenzialmente nella necessità di limitare l'esercizio della giurisdizione territoriale da parte degli altri Stati, sostenendo il principio su cui il diritto internazionale si fonda, vale a dire il principio di uguaglianza e indipendenza degli Stati (par in parem non habet imperium, recita un noto brocardo). Senza di ciò, le relazioni internazionali stesse rischierebbero di diventare assai difficoltose34. Dall’altro lato, come è palese, i diritti umani proteggono diritti e libertà ritenuti unanimemente fondamentali dalla comunità internazionale. Questa sfida non è quindi a ben vedere un mero contrasto tra norme o principi, ma si pone invece un obiettivo concreto, ossia fornire stabilità alle relazioni nazionali e internazionali, e allo stesso tempo garantire rispetto dei diritti umani; nel caso specifico dell’immunità significa: consentire stabilità nelle relazioni internazionali con mezzi diversi dal 33 Uno dei primi scritti in cui si affronta il problema è: Lauterpacht, The Problem of Jurisdictional Immunities of Foreign States, in British Yearbook of International Law, 1951, pp. 220 ss.

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sacrificio delle aspettative delle vittime di gravi violazioni dei diritti umani.

Non si può certo dire oggi che questo giusto equilibrio sia stato trovato, né che si sia arrivati, nemmeno in dottrina, a una soluzione definitiva. Questa lotta tra due legittimi valori da garantire si è infatti riflessa negli ultimi anni in vari singoli casi in cui gli individui hanno convenuto in sede civile davanti ai giudici nazionali degli Stati esteri, relativamente a gravi violazioni di diritti umani, come tortura o genocidio, chiedendo un valido risarcimento. Uno dei primi casi illustrativi di questo contrasto è quello Al-Adsani, che dopo essere stato risolto in favore dell'applicazione della immunità dalla giurisdizione del Kuwait nei tribunali del Regno Unito, è stato portato anche davanti alla Corte europea dei diritti dell'uomo, che ha confermato il giudicato britannico, anche se con una risicata maggioranza di 9 a 8 (la decisione è del 2001)35. È stato questo caso a dare al tema dell’immunità una rinnovata attenzione in dottrina e a generare un’importante discussione. Parte degli autori non erano concordi con la decisione, ma le teorie che essi sostenevano si scontravano con una constatazione: secondo il diritto internazionale generale non ci sono regole che fondano un'eccezione all’immunità quando viene fatta valere in processi su gravi violazioni dei diritti umani. A questo proposito si potrebbe anticipare quanto si vedrà nell'apposito capitolo circa l'eccezione alle immunità giurisdizionali in base alla violazione dell’international law internazionale contenuta nel Foreign Sovereign Immunities Act degli Stati Uniti (1976) per varie ipotesi (ad es. esproprio contrario al diritto internazionale) . Il problema è che tale eccezione in se stessa non è sostenuta né dalla prassi né dall’opinio iuris necessarie per poterla considerare una regola di diritto internazionale consuetudinario, e nemmeno che per pensare che ne stia ponendo un nuova in divenire; possiamo osservare che come 35 Corte europea dei diritti dell'uomo, Grande Camera, Al-Adsani v. United Kingdom,

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tale non è stata riprodotta in altra legislazione nazionale in materia, né in codificazioni internazionali, e nemmeno sembra essere accettata nella pratica dei tribunali di altri Stati.

Ma se la legislazione statunitense appare per molti versi una situazione isolata, le proposte specifiche per creare la già citata eccezione dall’immunità giurisdizionale nei casi di gravi violazioni non sono mancate. In particolare è stato fatto un riferimento alla negazione dell’immunità per comportamenti statali tenuti in violazione del divieto di tortura, che abbiano causato la morte o lesioni nella relazione del gruppo di lavoro sulle immunità giurisdizionali istituito su mandato dell’Assemblea Generale dell’ONU per discutere lo stato della codificazione internazionale in materia (nell’ambito del più vasto intento delle Nazioni Unite di codificare il diritto internazionale consuetudinario); questo passaggio della relazione ha in qualche modo riconosciuto la nuova tendenza, ma poi l'impostazione non ha avuto seguito nella Convenzione di New York del 2004. Se in futuro vi fosse la volontà degli Stati di introdurre questa eccezione, si dovrà negoziare l'adozione di un apposito protocollo sui diritti umani alla Convenzione stessa; non sembra però un’eventualità imminente e comunque sarebbe vincolante ovviamente solo per gli Stati che poi procedessero alla ratifica; per gli altri il dibattito sulle statuizioni del diritto consuetudinario rimarrebbe in piedi (anche se innegabilmente una simile decisione in sede ONU avrebbe un notevole impatto).

Tornando alla dottrina, tutti gli autori favorevoli a un’eccezione di questo tipo sostengono che almeno alcuni atti contrari al diritto internazionale non meritano di beneficiare di alcuna immunità giurisdizionale, visto che sono stati commessi crimini internazionali36. Tra questi, vi sono alcuni che propugnano di questa concezione 36 Tra gli sforzi in questo senso si possono citare Jurgen Bröhmer, State Immunity and

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un'estensione generale, mentre altri cercano invece di creare una limitata eccezione, sperando così di conciliare meglio la sovranità dello Stato e l'effettività dei diritti umani. Suggestioni estreme sono l’ipotesi di una giurisdizione civile universale (assai lontana dal contenuto attuale del diritto internazionale) e la creazione di un tribunale internazionale dei diritti dell’uomo (che così salvaguarderebbe l’effettività della tutela delle vittime, problema affrontato nella parte III, ma che non potrebbe vincolare gli Stati non parte del suo statuto). Quanto alla semplice eccezionale all’immunità, varie sono le teorie che cercano di attribuirvi un fondamento giuridico37. Tra queste, la più nota e quella oggetto della maggiore controversia giudiziale è senz’altro la teoria della gerarchia tra norme; tuttavia qui verrà analizzata per ultima, per evidenziare come è meno soggetta alle difficoltà che invece riscontrano le altre. Tutte quelle che verranno trattate di seguito hanno in comune di non considerare più accettabile la tradizionale distinzione tra atti iure imperii e atti iure gestionis che evoca l’immunità assoluta per i primi; sono posizioni che riflettono una tendenza che si sta cristallizzando in alcune sedi nazionali, che contesta il riconoscimento di fatti gravi quali atti sovrani, e respinge il principio dell'immunità statale nel caso di crimini in violazione di norme imperative, the Violation of Human Rights, 1997 e Wendy Adams, In Search of a Defence of the Transnational Human Rights Paradigm: May Jus Cogens Norms be Invoked to Create Implied Exceptions in Domestic State Immunity Statutes?, in Craig Scott, Torture as Tort: Comparative Persepctives on the Development of Transnational Human Rights Litigation, Toronto, 2001

37 Tra la bibliografia in materia utilizzata per questo capitolo si segnalano Carlos Espósito Massicci, Inmunidad del Estado y Derechos Humanos, 2007 e Cecilia Inés Silberberg, Los derechos humanos: ¿una excepción a la inmunidad de jurisdicción del Estado?, in Revista do Instituto Brasileiro de Direitos Humanos, 2013, n. 13, pp. 303-326

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