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L’opinione dissenziente del giudice Cançado Trindade

PARTE II – IL RAPPORTO TRA IMMUNITÀ E IUS COGENS 2.1 Immunità e ius cogens secondo la dottrina

2.6 L’opinione dissenziente del giudice Cançado Trindade

Nel suo parere dissenziente, il Giudice Cançado Trindade presenta i fondamenti della sua posizione di dissenso personale, per quanto riguarda la decisione della Corte nel suo complesso, a partire dalla metodologia che ha adottato, per giungere all’esame delle questioni sostanziali e alle conclusioni della sentenza. La sua dissenting opinion inizia affermando che il quadro più ampio del contenzioso in questione è legato indissolubilmente all’imperativo di realizzazione della giustizia, in particolare in casi, come quello di specie, basati su gravi violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario. Trindade commenta l'evoluzione della dottrina, opera di una generazione di giuristi che ha assistito agli orrori delle due guerre mondiali del XX secolo, un’evoluzione che ha messo l'accento sui valori fondamentali e sulla persona umana, come per il magistrato dovrebbe essere anche oggi. A suo parere, nello specifico le immunità degli Stati sono una prerogativa o un privilegio, che non può essere analizzato continuando a fare astrazione da questa evoluzione del diritto internazionale. Pertanto il giudice rileva che la tensione tra l’immunità statale e il diritto di accesso alla giustizia deve essere giustamente risolta a favore di quest’ultimo. Infine, soprattutto nei casi di crimini a livello internazionale, esprime la sua preoccupazione per la necessità di soddisfare gli imperativi della giustizia ed evitare l’impunità, al fine di evitare che si ripetano in futuro. Sottolinea, quindi, che la soglia della gravità delle violazioni dei diritti umani esclude ogni impedimento all’azione giudiziale, nella ricerca di risarcimenti per le vittime. Nel caso specifico, a suo avviso, la soglia di gravità è stata superata; le politiche criminali dello Stato e l’ulteriore perpetrazione di atrocità non dovrebbero essere al riparo dietro allo scudo dell'immunità. Cançado Trindade sostiene poi che gli Stati non possono rinunciare, tra di loro, a diritti che non sono propri, ma che invece sono inerenti agli esseri umani; a suo avviso queste presunte rinunce sono irricevibili, contrarie all'ordine pubblico internazionale e dovrebbero essere private di

ogni effetto giuridico.

Il giudice Cançado Trindade illustra nel suo parere dissenziente, che molto tempo prima della Seconda Guerra Mondiale la deportazione al lavoro forzato era già vietata dal diritto internazionale; l’illiceità è stata ampiamente riconosciuta a livello politico dalla Convenzione dell'Aia del 1907 e dalla Convenzione OIL del 1930, tale divieto è stato poi riconosciuto in opere di codificazioni ed era anche stato accettato dalla giurisprudenza. Per il magistrato, ciò che mette in pericolo o viola il diritto internazionale sono i crimini internazionali e non le richieste di risarcimento formulate dagli individui. Il problema per la corretta attuazione del diritto internazionale in quest'ottica deriva da chi sta nascondendo questi crimini internazionali, che sono accompagnati dall’impunità degli autori, non certo dalla richiesta di giustizia per le vittime. Quando uno Stato effettua la politica criminale di assassinare segmenti della propria popolazione e la popolazione di altri Stati, non può quindi nascondersi dietro la sua immunità sovrana, visto che quest’ultima non è mai stata concepita per questo scopo. Trindade sostiene che le gravi violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale che costituiscono crimini internazionali sono atti antigiuridici e violazioni dello jus cogens, che non possono essere semplicemente accantonati o sepolti nell'oblio invocando l'immunità dello Stato. Nel contrasto nella giurisprudenza internazionale e nazionale tra immunità dello Stato e diritto di accesso alla giustizia per le vittime va attribuito maggior peso a quest'ultimo, visto lo stato attuale del diritto. Inoltre, il giudice svilisce la tradizionale distinzione tra acta jure gestionis e acta jure imperii, in quanto irrilevante in questo caso; a suo avviso, i crimini internazionali perpetrati da Stati (come quelli commessi dal Terzo Reich durante la seconda guerra mondiale) non sono atti né jure gestionis né jure imperii, ma sono crimini, delicta imperii, per i quali non vige alcuna immunità.

più al rapporto tra persona umana e immunità degli Stati. Questo contrasto deve portare il diritto internazionale (diritto delle genti) a liberarsi dalla rigorosa e miope prospettiva interstatale. Viene ricordato che il termine "immunità" (dal latino immunitas, derivante da immunis) è entrato nel lessico del diritto internazionale in materia di "prerogative" dello stato sovrano in relazione alle "cause di impunità", questo termine si riferisce proprio a qualcosa di molto eccezionale, non è mai stato inteso per essere la regola né una norma di portata generale. Di certo non vi è mai stata intenzione di porre un esonero dalla giurisdizione sui crimini internazionali e le gravi violazioni dei diritti umani, e così occultarli. Pertanto, nel caso di tali crimini, il giudice sostiene che l’accesso diretto dei soggetti interessati alla giurisdizione anche internazionale è quindi pienamente giustificato, per rivendicare i diritti delle singole vittime, anche contro il loro proprio Stato. A suo avviso, al di là della miope visione interstatale, le persone sono chiaramente soggetti di diritto internazionale (e non semplicemente "attori"), e ogni volta che la dottrina si è allontanata da questo criterio, le conseguenze e i risultati sono stati catastrofici. Le persone sono titolari dei diritti e gli obblighi derivanti direttamente dal diritto internazionale (ius gentium), in cui sono confluite negli ultimi decenni regole sui diritti umani, sul diritto umanitario e dei rifugiati, seguite dal diritto penale internazionale, a dare un segnale inequivocabile di questa evoluzione. Nei casi di crimini internazionali, di delicta imperii, c’è un inalienabile diritto individuale di accesso alla giustizia, che copre il diritto al risarcimento per le gravi violazioni dei diritti inerenti l'individuo come persona umana; senza tale diritto, in nessun modo ci può essere un autentico diritto nazionale o internazionale. Di conseguenza, nessuna immunità per delitti come gli omicidi di civili in situazione di impotenza (ad esempio l’eccidio di Distomo, in Grecia, nel 1944, e di Civitella in Italia, anch’esso nel 1944), o la deportazione e la sottomissione ai lavori forzati nell'industria degli armamenti (nel periodo 1943-1945). In questa impostazione è irrilevante che l'atto lesivo in grave

violazione dei diritti umani sia stato di iniziativa pubblica, o privata con l'acquiescenza dello Stato, come è irrilevante che sia stato commesso interamente nello Stato del foro oppure no (la deportazione ai lavori forzati è un crimine transnazionale), in ogni caso l’immunità non può essere opposta nella controversia per il risarcimento nel campo della riparazione di gravi violazioni diritti fondamentali degli esseri umani. A tal fine, Cançado Trindade sostiene come il diritto di accesso alla giustizia in senso lato si concretizzi non solo nell'accesso formale alla giustizia (il diritto di perseguire), ma anche nel rispetto del giusto processo (con l'uguaglianza delle parti), fino al giudizio con la sua fedele attuazione. Condurre la giustizia è comunque di per sé una forma di riparazione, che dà soddisfazione alla vittima.

Il giudice aggiunge che il dovere dello Stato di fornire una riparazione alle vittime di gravi violazioni del diritto umanitario è un obbligo di diritto internazionale consuetudinario e un principio generale di diritto di natura fondamentale. Inoltre, osserva poi, ammettere l'abolizione dell'immunità degli Stati nel campo dei rapporti commerciali, o se gli atti illeciti coinvolgono questioni interne dello Stato del foro (cioè gli incidenti stradali) e, allo stesso tempo, insistere a mantenere la regola dell'immunità nei casi di crimini internazionali caratterizzati da continue e gravi violazioni dei diritti dell'uomo è, a suo avviso, un assurdo legale. Nel caso di specie, ci sono vittime di gravi violazioni da parte della Germania nazista i diritti umani e del diritto internazionale nazionale umanitario che, di fatto, sulla base della legge tedesca, sono state private di ogni riparazione. L'immunità dello Stato non dovrebbe opporsi alla realizzazione della giustizia, garantire la giustizia per le vittime comprende, tra le altre cose, metterle in condizione di richiedere e ottenere riparazione per i crimini che hanno subito.

Nel resto delle riflessioni operate nella sua opinione dissidente, il giudice Cançado Trindade sostiene il primato dello jus cogens e presenta una confutazione della costruzione giuridica effettuata dalla maggioranza dei colleghi. A suo parere, non si può

sostenere un'assenza di conflitto, formalistica e indebitamente prospettata, tra le regole "procedurali" e quelle "sostanziali", col risultato di ingiustificatamente privare lo jus cogens della sua efficacia e delle conseguenze legali. La realtà è che un conflitto esiste, e il primato spetta allo jus cogens, che deve resiste e sopravvivere a questo infondato tentativo di demolizione. A differenza di quanto afferma il positivismo, il diritto e l'etica vanno inevitabilmente insieme, e questo dovrebbe essere preso in considerazione per le corrette prestazioni della giustizia a livello nazionale e internazionale. La questione centrale è il principio della dignità umana; la tesi opposta è invece il frutto di un empirico esercizio di fatto basato sull’incongruente giurisprudenza delle corti e su alcune legislazioni nazionali incoerenti sulla questione in esame. Questo esercizio è caratteristico della metodologia del positivismo giuridico, che fornisce eccessiva attenzione ai fatti e dimentica i valori. Questi positivisti esercizi portano alla fossilizzazione del diritto internazionale e rivelano il suo sottosviluppo persistente anziché il suo sviluppo progressivo. È sbagliato pensare che non ci sia e non ci possa essere conflitto tra le regole di jus cogens sostanziale e le norme procedurali sull'immunità dello Stato. Questa ipotesi porta a tautologiche convalide dell'immunità, anche in circostanze gravi come quelle di questo caso. V'è pertanto un conflitto materiale, anche se forse prima facie non è possibile distinguere un conflitto formalistico, ma è innegabile che chiaramente c'è un conflitto. È il momento di prestare allo jus cogens l'attenzione che richiede e merita, il suo svilimento va a discapito non solo delle singole vittime, ma anche del diritto internazionale in se stesso.

In conclusione, non è possibile continuare a considerare le immunità alla luce di una visione nebulizzata o di un’autosufficienza sufficiente (considerandole in base a se stesse); è necessario considerarle in termini di una concezione integrante del diritto internazionale contemporaneo per intero e del suo ruolo nella comunità internazionale. Cançado Trindade aggiunge che il diritto internazionale non può essere "congelato" per

omissioni continue e prolungate del passato, sia a livello politico (ad esempio nella redazione della Convenzione delle Nazioni Unite del 2004), sia a livello giudiziario (ad esempio, la decisione della maggioranza della Corte europea dei diritti dell'uomo nel caso Al-Adsani del 200179, citato dalla CIG in questa vicenda). Lo jus cogens va posto al di sopra del privilegio dell'immunità degli Stati, con tutte le conseguenze che ne derivano, impedendo così negazione di giustizia e impunità. Sulla base di questo, la ferma posizione del giudice è che nessuna immunità può essere concessa per i crimini di Stato consistenti in gravi violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario. A suo parere, questo è ciò che la Corte internazionale di giustizia avrebbe dovuto decidere nel caso Germania c. Italia.

2.7 Dopo la sentenza: il rapporto tra l'immunità e l'ordinamento costituzionale