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PARTE IV – PANORAMICA SULL'IMMUNITÀ NELL'ESPERIENZA STATUNITENSE

CONSIDERAZIONI FINAL

In base a quanto si è esaminato in questa trattazione, non si può non concludere che le immunità, e l’immunità dello Stato in particolare, rimangono norme assai vitali dell’ordinamento internazionale. L’autorevole decisione della Corte Internazionale di Giustizia, si può prevedere, produrrà un perdurante influsso su tutti coloro che nei prossimi anni saranno chiamati a decidere sulla materia; quel processo di evoluzione dell’immunità spesso evocato nei primi anni 2000, nel senso di una maggiore attenzione alle norme di ius cogens e magari della consacrazione del principio di gerarchia, sembra quindi essersi fermato.

Da contraltare fanno due decisioni prese in sede nazionale, assai diverse tra loro ma con un elemento fondamentale in comune: la sentenza 238 del 2014 della Corte Costituzionale italiana e il Justice Against Sponsors of Terrorism Act statunitense. Entrambe introducono (o, nel secondo caso, rafforzano) nel quadro normativo nazionale eccezioni al principio dell’immunità, la cui compatibilità con il diritto internazionale è, stando al dictum della CIG, difficilmente sostenibile. È ancora presto per valutarne le conseguenze, anche se ad oggi abbiamo già registrato le perplessità e i timori della dottrina, malgrado la sapiente costruzione giuridica della sentenza italiana.

L’odierno stato del diritto internazionale ha d’altro canto suscitato le critiche di chi interpreta l’immunità come in contraddizione con l’effettiva protezione dei diritti umani e la lotta ai crimini internazionali. Si tratta dell’affermata equivalenza, con un gioco di parole proposto anche dalla dottrina168, tra “immunità” e “impunità”, che tanto più sembra evidente quando gli interessi delle vittime di crimini appaiono assenti nelle dispute tra gli Stati169.

168 Ad esempio Anne Peters, Evelyne Lagrange, Stefan Oeter, Christian Tomuschat, Immunities in the Age of Global Constitutionalism, 2015

Ma quello che occorre chiedersi è se tra l’immunità, che non è un anacronistico privilegio ma uno strumento finalizzato a salvaguardare i pacifici rapporti e la cooperazione tra gli Stati, e la tutela dei diritti delle vittime di violazioni del diritto internazionale ci sia davvero una necessaria contraddizione. In effetti l’esperienza ha dimostrato che anche le sentenze emesse in disapplicazione dell’immunità hanno garantito risarcimenti sì milionari nel loro ammontare, ma spesso rimasti ineseguiti; questa strada non ha quindi raggiunto il successo sperato nella salvaguardia dei diritti degli individui. Perciò è importante, prima di definire obbligata la via giudiziaria, considerare le strade che lo stesso diritto internazionale offre per la risoluzione delle controversie (quali i meccanismi conciliativi), e magari concentrare gli sforzi su un obbligo a livello nazionale per lo Stato per la protezione diplomatica dei propri cittadini; sono soluzioni che possono garantire risultati positivi nell’ordinamento internazionale attuale, in cui, come osserva Anne Peters, gli individui e gli attori della società civile hanno guadagnato importanza ma gli Stati rimangono necessariamente i protagonisti del gioco170.

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Alla fine di questo elaborato vorrei menzionare mio nonno Luigi, cui è stato rifiutato il risarcimento171 per i due anni di lavori forzati nei campi del Terzo Reich, dove è sopravvissuto proprio grazie alla grande quantità di lavoro che ha potuto dare; forza di volontà che ancora oggi a 94 anni esprime con il suo contributo attivo nella società.

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Per il mio lavoro ringrazio soprattutto la mia relatrice, Prof.ssa Francesca Martines, che ha saputo coniugare perfettamente l'autonomia delle mie idee con i suoi preziosi consigli, dimostrando sempre una grande disponibilità.

Ringrazio anche il correlatore, Prof. Leonardo Pasquali, e tutti i docenti del corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza dell'Università di Pisa, di cui ho potuto apprezzare la competenza e la grande professionalità.

Ringrazio infine tutti i miei cari, che mi hanno sostenuto in questo percorso di studi.

171 Nel rigetto dell'istanza è stato comunicato che il suo caso, come quello della maggior parte delle vittime italiane, non soddisfaceva i requisiti previsti dalla legislazione tedesca