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PARTE III – L'IMMUNITÀ NELL'AMBITO DELLA CONVENZIONE EDU La Corte europea dei diritti dell'uomo è stata chiamata più volte a valutare la legittimità

3.1 Il caso Al-Adsan

La sentenza Al-Adsani v. United Kingdom109 è stata pronunciata il 21 novembre 2001 dalla Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo, in seguito a una domanda presentata il 3 aprile 1997. Il ricorrente, un pilota dell’aviazione del Kuwait, affermava di essere stato torturato nel suo Paese per essere entrato in possesso di materiale compromettente per un personaggio influente (lo “sceicco”), in particolare dei nastri di videocassette poi divenuti di dominio pubblico, circostanza che lo sceicco gli addebitava; contestava anche episodi di minacce avvenuti dopo il ritorno in Inghilterra. Il 29 agosto 1992, in Gran Bretagna, ha avviato un procedimento civile per ottenere risarcimenti dallo sceicco e dallo Stato del Kuwait (in seguito l’istanza si estende ad altre due persone). Il 21 gennaio 1994 Al-Adsani ottiene una pronuncia favorevole dalla Court of Appeal110. Il giudice ha ritenuto, in base alle accuse del ricorrente, che esistessero tre elementi che indicano l'attribuzione allo Stato e conseguente 109 Corte europea dei diritti dell’uomo, Grande Camera, Al-Adsani v. United Kingdom,

21 novembre 2001, Appl. n. 35763/97

110 Court of Appeal, Al-Adsani v. Government of Kuwait and Others, 21 gennaio 1994, ILR 100 (1995), pp. 466-474

responsabilità per gli eventi avvenuti in Kuwait: innanzitutto, il pilota era stato portato in una prigione statale; in secondo luogo, erano stati utilizzati mezzi di trasporto ufficiali; e, in terzo luogo, ai maltrattamenti avevano concorso funzionari pubblici. Inoltre ha osservato che il ricorrente aveva dimostrato in modo soddisfacente, conformemente ai principi del diritto internazionale, che al Kuwait non deve essere concesso l'immunità per questi atti di tortura. C'erano infatti prove mediche che indicavano danni da stress post-traumatico subiti da Al-Adsani mentre si trovava nel Regno Unito, condizione necessaria per avviare qualunque procedimento secondo il regolamento delle corti britanniche, e soddisfacente la sezione 5 dello State Immunity Act del 1978: “Uno Stato non è immune nei confronti dei procedimenti in materia di morte o lesioni personali ... causate da un atto o omissione nel Regno Unito”. Tuttavia il 15 marzo 1995 viene accolta dal tribunale una nuova istanza del Kuwait, volta ad ottenere un order che annulli il precedente procedimento.

La decisione definitiva, in seguito a un nuovo ricorso di Al-Adsani viene presa dalla Court of Appeal il 12 marzo 1996. La Corte ha ritenuto che non fosse stato sufficientemente dimostrato che lo Stato del Kuwait era responsabile delle minacce subite dal pilota nel Regno Unito; la questione importante rimaneva dunque se l'immunità statale andasse applicata in relazione ai presunti eventi in Kuwait. Per Lord Justice Stuart-Smith è chiaro che questi eventi non possono rientrare nell'eccezione della sezione 5 sopradescritta, mentre il resto della legge fornisce l'immunità in tutti i casi che non rientrano nelle eccezioni. Da valutare rimane un’altra argomentazione addotta dal ricorrente, che leggendo le parole del SIA “uno Stato che agisce nell'ambito della legge delle Nazioni è immune dalla giurisdizione se non previsto...” ne ricava che essendo il divieto di tortura un principio di jus cogens esso prevale su tutti gli altri principi del diritto internazionale, compresi i principi ben consolidati dell'immunità sovrana. Nessuna fonte giurisprudenziale o dottrinale è però citata in sostegno a questa

affermazione; va notato inoltre che nella tradizione del common law inglese uno Stato sovrano non poteva essere convenuto contro la sua volontà nei tribunali. La legge del 1978, con le eccezioni in essa contenute, ha limitato notevolmente la portata di questo principio, ma sembra inconcepibile sovraccaricarne il significato vedendovi riferimenti alle norme internazionali sulla tortura, di cui il relatore era consapevole e che quindi avrebbe citato esplicitamente se ne avesse avuta intenzione. Inoltre il giudice cita le sentenze Argentina v. Amerada Hess Shipping Corporation111 e Siderman de Blake v. Republic of Argentina112, in entrambe le quali il tribunale ha respinto l'argomento della presenza di un’implicita eccezione all'immunità dello Stato quando esso ha agito in contrasto con la “legge delle Nazioni”. Infine valuta le conseguenze negative che siffatta eccezione produrrebbe, visto l’elevato numero di persone che si reca nel Regno Unito ogni anno cercando rifugio e asilo, spesso affermando di aver subito torture in patria, accuse che non hanno quasi mai la possibilità di ottenere riscontri.

Il 27 novembre 1996 Al-Adsani si è visto rifiutare il ricorso che intendeva proporre alla House of Lords. I suoi tentativi di ottenere un risarcimento dalle autorità del Kuwait attraverso i canali diplomatici sono falliti. Pertanto nel 1997 ha presentato il ricorso alla Corte EDU contro il Regno Unito, sostenendo che i tribunali inglesi, concedendo l'immunità dalla giurisdizione allo Stato del Kuwait, non abbiano assicurato il godimento del suo diritto a non essere torturato e gli abbiano negato l'accesso a un tribunale, violando così gli artt. 3, 6 § 1 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Sulla parte relativa alla tortura il governo britannico ha presentato tre controargomentazioni: in primo luogo il fatto era avvenuto al di fuori della giurisdizione del Regno Unito; in secondo luogo ogni obbligo positivo derivante dalla Convenzione 111 Argentina v. Amerada Hess Shipping Corporation 488 US 428 (1989)

farebbe riferimento solo alla prevenzione della tortura, non al risarcimento; infine, la concessione dell'immunità al Kuwait non era in alcun modo incompatibile con gli obblighi in materia. Queste argomentazioni vengono considerate persuasive e accolte dalla Corte, visto che il comportamento delle autorità non aveva alcuna connessione causale con il verificarsi del fatto (l‘applicazione extraterritoriale dell’art. 3 viene limitata a casi eccezionali come l’espulsione di un individuo verso uno Stato in cui sono probabili torture).

In merito alle accuse di diniego di accesso a un tribunale, il Regno Unito afferma che l'articolo 6 non può estendersi a questioni al di fuori della competenza dello Stato, e che, i fatti non rientrano nella giurisdizione dei tribunali nazionali anche perché il diritto internazionale prevede un'immunità nel caso di specie. Esiste quindi una chiara, assoluta e coerente regola di esclusione del diritto inglese. Dal canto suo, il ricorrente osserva che la tortura è un illecito civile nel diritto inglese e che gli Stati Uniti in alcune circostanze affermano la propria giurisdizione sui torts commessi all'estero; inoltre nota che la sua domanda contro lo Stato del Kuwait non è stata respinta per motivi di giurisdizione, ma perché l'identità del convenuto gli garantiva l’immunità.

Nella sua decisione, la Corte di Strasburgo ricorda la sua giurisprudenza costante secondo la quale l'articolo 6 § 1 non impone di per sé alcun contenuto particolare al diritto sostanziale degli Stati contraenti. Tuttavia, prosegue, non sarebbe coerente con lo stato di diritto in un società democratica o con il principio fondamentale alla base della norma stessa - vale a dire che le istanze dei singoli devono poter essere sottoposte ad un giudice che le valuti - se, ad esempio, uno Stato potesse, senza controllo da parte degli organismi del Consiglio d’Europa, escludere dalla sua giurisdizione tutta una serie di azioni civili o conferire immunità dalla responsabilità civile a grandi gruppi o categorie di persone. Nel merito inoltre la Corte non accetta l’affermazione del governo, per cui la richiesta di Al-Adsani non aveva alcuna base legale nell'ordinamento interno dal

momento che ogni suo diritto era stato estinto dall’immunità statale. La concessione dell'immunità deve essere qualificata non come una questione di diritto sostanziale ma come una preclusione processuale sul potere dei giudici nazionali di esaminare la vicenda (preclusione che infatti cade in caso di rinuncia dell’avente diritto).

Il diritto di accesso ad un tribunale è stato quindi limitato; ciò è comunque possibile, visto che si tratta di un diritto che per sua natura richiede una regolamentazione da parte dello Stato; le Parti Contraenti godono di un certo margine di apprezzamento, anche se la decisione finale sul rispetto dei requisiti della Convenzione spetta alla Corte. In questo caso il governo ha sostenuto che la limitazione imposta al diritto di accesso ad un tribunale perseguiva uno scopo legittimo ed era proporzionata. È una valutazione che incontra il favore della Corte: “la concessione dell'immunità ad uno Stato in sede civile persegue lo scopo legittimo di rispettare il diritto internazionale, finalizzato a promuovere la cortesia e le buone relazioni tra gli Stati attraverso il rispetto reciproco della sovranità di un altro Stato”. Per valutare anche la proporzionalità i giudici compiono una disamina del diritto internazionale. Pur rilevando il crescente riconoscimento dell’importanza primaria del divieto di tortura, concludono che non v'è ancora l'accettazione nel diritto internazionale di una norma per cui gli Stati non hanno il diritto di immunità nei confronti di cause civili per i danni provocati da presunte torture commesse al di fuori dello Stato del foro. La legge del 1978, che garantisce l'immunità in materia di lesioni personali a meno che il danno non sia stato causato all'interno del Regno Unito, non è in contrasto con le limitazioni generalmente accettate dalla comunità internazionale come parte della dottrina dell'immunità degli Stati. In tali circostanze, l'applicazione da parte dei giudici inglesi di queste disposizioni legislative per sostenere l'immunità del Kuwait non può essere considerata una restrizione ingiustificata all’accesso del richiedente ad un tribunale.

Convenzione, sull'articolo 6 § 1 la decisione favorevole al Regno Unito è presa per 9 voti contro 8. L’opinione dissenziente congiunta dei giudici Rozakis, Caflisch, Wildhaber, Costa, Cabral Barreto e Vajic avrà anzi una notevole importanza nella storia della giurisprudenza sull’immunità, in quanto sarà una delle basi della sentenza Ferrini113 della Cassazione italiana, contiene infatti una nitida declinazione del principio di gerarchia.

In questa dissenting opinion si afferma che il ricorrente è stato privato indebitamente del suo diritto di accesso ai tribunali inglesi; le motivazioni partono dalla constatazione, accettata anche dalla maggioranza della Corte, che la regola sulla proibizione della tortura aveva ormai raggiunto lo status di una norma imperativa del diritto internazionale (jus cogens). Configurandosi il sistema giuridico internazionale in senso verticale, lo jus cogens si sostituisce a qualsiasi altra norma che non abbia lo stesso status; in caso di conflitto tra una regola di jus cogens e ogni altra norma di diritto internazionale, la prima prevale, la conseguenza di tale prevalenza è che la norma contraria è nulla, o, in ogni caso, non produce effetti giuridici che siano in contraddizione con il contenuto della norma perentoria. È chiaro che le norme sull’immunità statale, previste sia dalla consuetudine sia dal diritto internazionale convenzionale, non sono mai state considerate dalla comunità delle nazioni come regole dallo status gerarchicamente superiore (ad esempio in molti casi gli Stati hanno rinunciato ai loro diritti di immunità). L'accettazione della natura di jus cogens del divieto di tortura implica che uno Stato a cui si imputa una violazione non può invocare regole gerarchicamente inferiori (in questo caso, quelle sull'immunità) per sottrarsi alle conseguenze dell’illegittimità delle sue azioni.

Nell’opinione dissidente del giudice Loucaides ci si avvicina invece alla teoria del bilanciamento degli interessi, si afferma infatti che: “ogni forma di immunità, sia essa 113 Corte di Cassazione, 11 marzo 2004, sentenza cit.

basata sul diritto internazionale o nazionale, che viene applicata da un tribunale al fine di bloccare completamente la determinazione giudiziale di un diritto civile, senza bilanciamento degli interessi in gioco, vale a dire quelli connessi con la particolare immunità e quelli relativi alla natura della domanda specifica che è l'oggetto del relativo procedimento, è una sproporzionata limitazione del diritto garantito dall'articolo 6 § 1 della Convenzione”, e per questo motivo costituisce una violazione di tale articolo. La decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo non ha ovviamente soddisfatto quella parte di dottrina che auspicava un suo ruolo più attivo nella promozione di nuove eccezioni all’immunità nel diritto internazionale. La questione nel 2001 rimaneva peraltro molto controversa, come dimostra il margine di un voto in Al-Adsani, che all’epoca suggeriva che il parere della maggioranza della Corte potesse cambiare facilmente alla successiva occasione di riconsiderare l’argomento.

Un esempio è lo scritto di Leandro de Oliveira Moll114, in cui si sostiene che l'indagine della logica alla base del principio dell’immunità statale fornisce argomenti sufficienti per giustificare la sua inapplicabilità in casi come Al-Adsani. Si tratta di circostanze in cui c’è una sola vittima, cittadino dello Stato del foro (che ha quindi interesse ad affermare la sua giurisdizione), non sono processi che causano gravi minacce alla sovranità dello Stato convenuto, e tantomeno alla pace e alla sicurezza internazionale. Nell’analisi dell’autore è vero il contrario: la negazione di un rimedio alla vittima in questi casi rappresenta un regresso lamentevole, considerando che il diritto umanitario si è formato per assicurare una protezione efficace agli individui contro le violazioni di obblighi di importanza vitale a carico degli Stati. L'analisi degli interessi coinvolti 114 Leandro de Oliveira Moll, Al-Adsani v United Kingdom: State Immunity and Denial of Justice with Respect to Violations of Fundamental Human Rights, in Melbourne Journal of International Law, vol. 4, n. 2, ottobre 2003, pp. 561-591

dovrebbe far scegliere per la prevalenza del principio di accesso alla giustizia a scapito del principio dell'immunità dello Stato nei casi connessi alle violazioni dei diritti umani fondamentali, in quanto la garanzia di un rimedio nei confronti di questi è di interesse fondamentale per la comunità internazionale nel suo insieme. I criteri per determinare quando l’immunità può essere legittimamente e proporzionalmente garantita sono piuttosto imprecisi, ammette l’autore, ma va ricordato che i criteri che formano la distinzione tradizionale tra acta jure imperii e acta jure gestionis sono lungi dall'essere chiaramente definiti, e nonostante questo la dottrina dell’immunità assoluta è stata sostituita da un’immunità ristretta.

Lo studioso, al tempo in cui scrive, nota che il principio internazionale dell’immunità degli Stati dalla giurisdizione sembra subire un processo di adattamento alle nuova sfide presenti nel sistema internazionale. Se, nel XX secolo, la sua trasformazione è stata resa necessaria dal commercio internazionale, il cambiamento ora sembra essere guidato dalla necessità di un'efficace tutela dei diritti umani. In questo contesto sembrano avvantaggiati i Paesi di civil law, che generalmente non hanno codificato le norme sull'immunità degli Stati esteri: questo dà loro maggiore flessibilità nell'applicazione del principio; quest’ultima affermazione di Moll può essere considerata quasi come una previsione della sentenza Ferrini.

Tra le posizioni più critiche c'è poi quella di Bou Franch, sostenitore della teoria della gerarchia, per il quale “la maggiore negazione che si possa fare delle norme di ius cogens è privarle del loro valore imperativo subordinandole a norme che non abbiano quel carattere”115.

Naturalmente si può ritrovare anche dottrina favorevole all'approccio della maggioranza 115 Valentín Bou Franch, Inmunidad del Estado y violación de normas internacionales de Jus Cogens: El asunto Al-Adsani contra el Reino Unido, in Anuario Español de Derecho Internacional, 2002

dei giudici della Corte: Giuliano Giardino Mardini considera l'opinione dissidente legata al principio di gerarchia un esempio di confusione sul contenuto del diritto internazionale e di affermazioni prive di solide basi giuridiche. A suo parere non c'è alcun contrasto tra le norme dello ius cogens e quelle sull'immunità, visto che non esiste alcun obbligo universale di giurisdizione verso chi ha violato lo ius cogens stesso; ritiene inoltre che l'approccio dei giudici della minoranza rischia di condurre verso una pericolosa instabilità internazionale, che creerebbe maggiori danni di quelli che si vogliono evitare116.

116 Giuliano Giardino Mardini, Inmunidades vs. Jus Cogens: ¿existe realmente un conflicto entre ambos cuerpos normativos?, in Agenda Internacional, n° 25, 2007, pp. 89-130