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Analisi della capacità inclusiva di un servizio : Casa Faro

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Academic year: 2021

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un servizio: Casa Faro

Studente/essa Relatore/trice

Monica Capitanio

Mengoni Mattia e Pellandini

Lorenzo

Corso di laurea Indirizzo di approfondimento

Lavoro Sociale

Educatrice Sociale

Tesi di Bachelor

Luogo e data di consegna

(2)

«Le nostre opinioni, in quanto disabili, riguardo alla disabilità, non vengono

generalmente considerate importanti […] Per capire la disabilità come

esperienza, come cosa vissuta, abbiamo bisogno di ben più che di “fatti”

medici, per quanto questi siano necessari per determinare una cura

dobbiamo costruire un’immagine di cosa significhi essere disabile in un

mondo condotto da non-disabili. Le nostre esperienze devono esprimersi con

le nostre parole ed essere integrate nella consapevolezza sociale generale, e

questo muove in direzione opposta alla prospettiva derivata dal modello

medico della disabilità.

È vitale insistere sul diritto a descrivere le nostre vite, le nostre disabilità e

prendersi gli spazi e le occasioni per poterlo fare […]».

(Simon Brisenden, 1986)

Ringraziamenti:

Un ringraziamento speciale a tutta l’équipe di Casa Faro e al Responsabile Davide Pedrotti per il sostegno datomi. Ringrazio inoltre l’utenza di Casa Faro che ha contribuito alla realizzazione di questo lavoro concedendomi di fare le interviste.

Grazie di cuore alla mia famiglia e ai miei più cari amici che mi sono saputi stare vicino anche nei momenti di sconforto, credendo sempre in me. Ringrazio in particolar modo la mia cara amica Federica Butti, che è stata al mio fianco durante tutti questi tre anni di formazione, sostenendomi sempre e dimostrandomi il vero valore dell’amicizia, e il mio ragazzo, Emanuele, che ha saputo incoraggiarmi, trasmettendomi sempre positività e allegria, rendendo questo periodo difficile migliore.

Infine ringrazio i docenti Mattia Mengoni e Lorenzo Pellandini per avermi accompagnata durante questi mesi di realizzazione di questo lavoro di tesi.

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ABSTRACT

:

Analisi della capacità inclusiva di un servizio: Casa Faro

 

 

Il tema dell’inclusione è vasto e complesso e spesso vi è ancora una grande confusione intorno ad esso ed al suo significato. È un argomento che mi ha spinta a svolgere un lavoro di approfondimento nel modulo “Pratiche d’intervento educativo – ambito disabilità” dove ho avuto modo di intervistare Michele Mainardi, grande esperto del tema, consentendomi di ampliare ulteriormente la mia visione sull’inclusione.

Il mio interesse per l‘argomento mi ha portata a pormi delle domande riflessive una volta iniziato lo stage: quello che mi premeva capire era come un contesto istituzionale, in questo caso Casa Faro, può promuovere un concetto di inclusione; che strumenti e strategie può mettere in atto e quali sono, invece, i fattori che frenano questo processo. È stato fondamentale per svolgere questo lavoro il manuale: “Inclusione sociale e disabilità: Linee guida per l’autovalutazione della capacità inclusiva di un servizio” di Medeghini, Vadalà, Fornasa e Nuzzo che mi ha permesso di restringere il campo di indagine e mi ha fornito il questionario ACISD (autovalutazione della capacità inclusiva dei servizi per la disabilità), strumento base del seguente lavoro di ricerca.

Oltre al questionario ACISD che ho sottoposto all’équipe di Casa Faro mi sono servita di altri due strumenti: le interviste all’utenza (create a partire dallo stesso questionario) e i diari osservativi.

La mia ricerca mi ha portato a comprendere che vi sono molti fattori che possono ostacolare il processo inclusivo come ad esempio il linguaggio, la poca collaborazione tra i membri della rete, l’autoreferenzialità del servizio e una poca apertura al territorio e la limitazione dell’autonomia e dell’autodeterminazione.

Questo lavoro mi ha permesso inoltre di prendere maggior consapevolezza del fatto che il processo inclusivo è un processo che coinvolge tutti: utenti, operatori, cittadini, politiche e servizi, e implica uno sforzo per andare oltre la routine. Ampliando la riflessione alla figura dell’operatore sociale emerge come esso in un’ottica inclusiva si debba mettere in gioco essendo pronto a cambiare la sua identità da operatore che si prende cura di una persona all’interno dell’istituto a un operatore pronto a uscire nel territorio per avviare delle collaborazioni, ampliare la rete, promuovere un cambiamento di visione nella società per creare le condizioni per star bene assieme, per far sì che il servizio sia un punto di riferimento per la comunità e che tutti possano beneficiare degli stessi diritti e esercitare il diritto di cittadinanza indipendentemente dalle proprie condizioni.

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INDICE:

1. Introduzione ... pag. 1

1.1 Origine della scelta ... pag. 1

1.2 Motivazioni e domanda di ricerca ... pag. 2

2. Descrizione del contesto lavorativo ... pag. 3

2.1 Breve storia dell’Istituzione ... pag. 3

2.2 Cultura e sistema di premesse istituzionale ... pag. 3

2.3 Spazi e strutturazione di Casa Faro ... pag. 4

3. Inclusione: problematica, interrogativi, obiettivi ... pag. 5

3.1 Breve storia ... pag. 5

3.2 Obiettivi del lavoro ... pag. 7

3.3 Scelta metodologica e riferimenti ... pag. 7

4. Indagine esplorativa ... pag.10

4.1 Inclusione: definizione ... pag.10

4.2 La visione degli operatori ... pag.11

4.3 La visione dell’utenza ... pag.18

4.4 Una visione d’insieme ... pag.26

5. Conclusioni ... pag.30

5.1 Riflessione generale sul lavoro svolto ... pag.30

5.2 Difficoltà ... pag.31

5.3 Riflessione sulla domanda di ricerca e conclusioni ... pag.32

5.4 Interrogativi aperti ... pag.33

6. Bibliografia ... pag.35

7. Allegati ... pag.36

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1. Introduzione

1.1 Origine della scelta:

Il tema dell’inclusione mi è parso interessante sin da quando ne sentii parlare per la prima volta durante il primo semestre alla SUPSI, nell’ambito del modulo ʽPercorsi nelle disabilitàʼ. Da quel momento in poi, il principio dell’inclusione è stato un fondamento che mi ha accompagnata lungo tutto il mio percorso formativo.

Nel corso del secondo stage formativo presso Casa Bianca1, mi sono infatti soffermata più volte a riflettere su come fosse possibile promuovere un’inclusione degli ospiti - molti dei quali deficit complessi - e su quali fossero gli strumenti, nonché le tecniche più adatte a tale scopo. Successivamente, e in particolare durante il terzo anno, ho avuto modo di sviluppare ulteriormente le mie riflessioni grazie alla stesura di un approfondito elaborato sul tema dell’inclusione, nell’ambito del modulo ʽPratiche d’intervento educativo – ambito disabiltàʼ.

Questo primo lavoro di ricerca mi ha permesso di fare chiarezza sui vari termini in uso quali ʽinclusioneʼ, ʽesclusioneʼ, ʽintegrazioneʼ e ʽinserimentoʼ. Ho anche avuto la possibilità e il piacere di intervistare il professor Michele Mainardi, grande esperto del tema in questione, che mi ha fornito nuovi importanti spunti di riflessione. Queste indagini preliminari, mi hanno inoltre permesso di conoscere lo sviluppo dei vari approcci teorici, dei modelli e dei principi relativi all’ambito della disabilità.

Di fondamentale importanza in questo senso è l’approvazione della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, che promuove i diritti delle persone disabili. Tra i principi fondamentali sostenuti da tale convenzione vi è anche la promozione della «piena ed effettiva partecipazione e inclusione nella società2».

Parlare d’inclusione implica un cambiamento radicale di pensiero: è necessario comprendere come non sia la persona disabile ad essere un problema per la società, ma come di fatto sia la società ad essere un ostacolo per la persona disabile. Bisogna dunque essere pronti a cambiare il contesto in cui la persona disabile vive: in quest’ottica la sua condizione non sarà più considerata una sola caratteristica della persona, bensì il frutto dell’interazione tra la persona con le sue caratteristiche e l’ambiente.

Ritengo inoltre che il tema dell’inclusione possa, e debba, essere esteso a tutti gli altri ambiti del sociale. Una persona che non riesca a trovare il suo posto nella società, e dunque a ʽincludersi’, spesso viene vista e giudicata come ‘sbagliata’, e non si pensa al fatto che possa invece essere la stessa società ad essere ‘sbagliata‘, poiché non si apre al disabile, offrendogli la possibilità di farne attivamente parte ed esercitare i suoi diritti di cittadino.

                                                                                                               

1 Foyer Casa Bianca, Fondazione OTAF.

2 Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, articolo 3.

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1.2 Motivazioni e domanda di ricerca

L’idea di svolgere la tesi sul tema dell’inclusione a Casa Faro nasce da varie osservazioni svolte durante il mio stage.

In primo luogo ho osservato alcune interessanti dinamiche all’interno della struttura: ho notato che gli utenti collocati negli appartamenti manifestano degli atteggiamenti di insofferenza e di distacco nei confronti delle persone collocate nella sede principale. Tale atteggiamento si manifesta in frasi come «io non vengo a fare la gita con voi, non voglio che mi ricolleghino a quell’utente»; «io non sono come loro che stanno tutto il giorno a grattarsi» o, ancora, «Non ho bisogno che mi diciate cosa fare, non sono come questi che non sono capaci a far niente».

A tale dinamica ne va aggiunta un’altra, rivelatasi molto utile per le mie riflessioni, che riguarda in maniera precipua la collocazione fisica della struttura: essa è ubicata in un quartiere densamente abitato, nel quale i problemi di convivenza sono all’ordine del giorno. Durante lo stage mi è infatti capitato di assistere più volte a liti tra utenti della struttura e proprietari di ristoranti o di negozi vicini; i motivi di tali discussioni andavano dal furto ad atti di nudità in pubblico, e più in generale al poco rispetto nei confronti degli avventori e dei clienti di tali attività commerciali.

Un ultimo spunto di riflessione è scaturito dalle continue richieste degli utenti di Casa Faro di voler tornare a casa propria, nonché dalla conseguente frustrazione generata dal fatto di non poterlo fare.

Tutto questo mi ha spinto a domandarmi: cosa vuol dire veramente per un servizio includere? Come promuove tale inclusione Casa Faro? Diversamente, cosa fa si che si generi esclusione? Che cosa si potrebbe fare per evitarla?

Ho deciso di concentrare questo mio lavoro di ricerca su alcuni aspetti principali individuati grazie al libro Inclusione sociale e disabilità. Linee guida per l’autovalutazione della

capacità inclusiva dei servizi3, che utilizzerò come testo di riferimento per questo lavoro, e

di analizzare la capacità inclusiva di Casa Faro tramite vari strumenti, di cui parlerò successivamente.

Per necessità di concisione e riferendomi al testo sopracitato dove vengono individuati questi tre ambiti specifici dell’inclusione mi concentrerò su: 1) La partecipazione al servizio e al territorio, 2) L’organizzazione e 3) La progettazione, tralasciando altri aspetti, seppur importanti.

Dal punto di vista professionale, credo che indagare in che modo un servizio come Casa Faro possa promuovere l’inclusione dei suoi ospiti sia interessante, nonché utile, poiché tali riflessioni risultano valide ed estendibili a tutti gli ambiti del sociale.

Bisogna inoltre considerare che la maggior parte dei servizi e delle strutture per persone con disabilità di vario tipo, sono strutture che pongono dei vincoli d’accesso, come la necessità di beneficiare di una rendita AI, rendendo la struttura un’organizzazione che                                                                                                                

3 Medeghini R.,Vadalà G.,Fornasa W. & Nuzzo A., Inclusione sociale e disabilità. Linee guida per l’autovalutazione della

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esclude di base tutte le altre persone. Sono dunque servizi ʽesclusiviʼ, rivolti a una certa categoria di persone, con un certo tipo di deficit. Il mio intento è dunque quello di comprendere, tramite un’analisi approfondita della capacità inclusiva della struttura, quali siano gli strumenti che permettano di promuovere una piena inclusione delle persone con disabilità e come possa un servizio riorientare la propria progettazione in questa direzione. Alla luce di quanto detto fino ad ora ho dunque deciso di pormi la seguente domanda:

Come un contesto istituzionale come Casa Faro può promuovere l’inclusione delle persone che ospita e accompagna in tutti i suoi aspetti? Quali dinamiche possono invece frenare tale processo?

2. Descrizione del contesto lavorativo

2.1 Breve storia

La Fondazione Casa Faro nasce negli anni ‘90 con lo scopo di accogliere persone affette da HIV. Le prospettive di vita per le persone immunodepresse in quegli anni non erano molto rosee: lo stigma che le accompagnava era logorante e inoltre la speranza di vita senza i farmaci antiretrovirali era di pochi anni dall’entrata nello stadio sintomatico della malattia. Lo scopo principale dell’istituzione era dunque quello di offrire una seconda casa, un sostegno prolungato e un accompagnamento negli ultimi anni di vita a queste persone, che spesso erano rimaste sole senza nessuno a cui appoggiarsi. Il percorso per l'apertura dell'Istituzione è stato piuttosto burrascoso, poiché sono state molte le difficoltà incontrate nel trovare un appartamento o una casa in affitto: in alcuni comuni, come Tegna e Lodano, il progetto di Casa Faro è stato infatti respinto.

Dal 2004 Casa Faro si trova a Riazzino e beneficia del sostegno dell’ente pubblico (dapprima della Confederazione, ora del Cantone). Nel tempo, il mandato istituzionale è cambiato: l’utenza è ora composta prevalentemente da persone che soffrono di un disagio psichico e sociale.

2.2 Cultura e Sistema di premesse istituzionale 4

Casa Faro è una piccola struttura, definita nel Manuale di Qualità come una struttura «a carattere familiare». Con questo termine non s’intende una comunità nella quale viga un’indifferenziazione dei ruoli e delle funzioni, bensì semplicemente un contesto di piccole dimensioni che si differenzia, sia a livello logistico che a livello organizzativo, dai modelli vigenti nelle grandi strutture di accoglienza.

L'obiettivo principale della Fondazione è quello di contrastare la «cronicità, intesa come stato costante e immodificabile di perdita delle abilità sociali»5 e di promuovere l'autonomia, la crescita personale e le capacità di adattamento, favorendo le relazioni                                                                                                                

4Capitanio M., Progetto autoformativo in previsione dello stage, SUPSI, 2014/15.   5

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sociali attraverso la convivenza nella residenza e le attività svolte negli atelier. Casa Faro si fonda su una serie di valori importanti e fondamentali: apertura, accoglienza, essere con, accompagnare, aumentare, incoraggiare, promuovere, sviluppare, sostenere, favorire, ascoltare e valorizzare.

L’istituzione dispone di un’équipe pluridisciplinare composta da infermieri, educatori Supsi e operatori socioassistenziali. Questo permette alla struttura di offrire ai suoi ospiti vari accompagnamenti. Il lavoro dell'operatore a Casa Faro deve essere finalizzato a promuovere l'autonomia, la crescita personale degli utenti e a costruire insieme ad essi dei ritmi di giornata «normalizzanti»6, per permetterne l'integrazione nella società. Lo scopo primario deve essere dunque la rottura dell'isolamento sociale. L'operatore sociale in questo contesto non deve però solo occuparsi del lato educativo ma, come ben spesso accade nelle strutture di tipo abitativo, deve prendersi carico anche della gestione domestica, dell'igiene e della cura personale degli utenti meno autonomi, nonché delle attività esterne come quelle previste dagli atelier.

Riferendomi a quanto indicato sul manuale di qualità di Casa Faro, i campi d'intervento dell'operatore in questa struttura si suddividono in: abitativo, promozione della salute, lavorativo/occupazione del tempo, ricreativo e sostegno sociale.7

2.3 Spazi e strutturazione di Casa Faro:

Casa Faro accoglie 15 utenti interni e 3 utenti collocati in appartamento protetto; l’organizzazione degli spazi è la seguente: vi è una sede principale rappresentata da una vera propria casa su due piani nella quale alloggiano 6 ospiti; di fronte vi sono dei palazzi in cui sono collocati due appartamenti protetti e tre altri appartamenti nei quali vivono 9 utenti, questi ultimi non sono considerati protetti, poiché le persone che vi risiedono beneficiano di una presa a carico educativa totale8, esattamente come le persone che vivono nella Casa.

Sia la sede principale che i palazzi sono ubicati in un quartiere di Riazzino densamente popolato, in cui si trovano molte altre abitazioni private e attività commerciali, come ristoranti e negozi. L’istituzione dispone anche di un atelier occupazionale a Tenero, dove gli utenti che non hanno un’occupazione esterna hanno modo di trascorrere i propri pomeriggi durante la settimana.

                                                                                                               

6 In questo caso il termine «normalizzazione» è utilizzato per indicare che la persona disabile deve seguire dei ritmi della giornata ben differenziati tra lavoro e tempo libero, così da poter essere reinserita in futuro nella comunità. In questo caso, dunque, non si intende normalizzazione come sinonimo di omologazione, bensì come promozione dell’autonomia nei limiti delle proprie capacità e nel rispetto di sé stessi e degli altri.

7 Capitanio M., Progetto autoformativo in previsione dello stage, SUPSI, 2014/15.  

8 Presa a carico educativa totale: con questo termine si intende che le persone sono seguite dagli operatori 7 giorni su 7, 24 h al giorno.  

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3. L’inclusione- problematica, interrogativi, obiettivi

3.1 Breve storia della disabilità e dei termini in uso

Si sente molto parlare di inclusione, ma spesso vige una grande confusione intorno a questo termine, talvolta utilizzato come sinonimo di integrazione. Per questo motivo parlare di inclusione implica la necessità di tracciare una breve storia della disabilità e dei termini ad essa associati.

Premetto che il mio intento è quello di fare solo una sintesi passando dalle tappe principali della storia dell’inclusione. Inoltre riprenderò il concetto di inclusione in maniera più approfondita nella prima parte della dissertazione.

La storia della disabilità è una storia fatta di grandi marginalizzazioni, di esclusioni e di lotte per la conquista dei diritti. Avendo lavorato in un istituto che accoglie prevalentemente persone che soffrono di un disagio psichico, posso ricondurre il discorso anche alla storia della psichiatria: la follia, in quanto esperienza dell’esistenza, è sempre stata respinta, bandita e rifiutata, così come è accaduto ad altre forme di ‘diversità’. Dagli anni ‘60 si assiste ai primi cambiamenti: sono anni di grande innovazione culturale dove avviene una democratizzazione delle cure in campo psichiatrico.

Con il passare del tempo si comincia a parlare di inserimento, di integrazione e infine, negli ultimi anni, di inclusione. Il termine ʽinserimentoʼ comincia a farsi strada negli anni ’70: implica l’idea, per le persone disabili, di non essere più segregate in luoghi speciali, bensì inserite in contesti considerati ʽnormaliʼ. Il successivo passaggio, che porta a parlare di integrazione, si ha con il riconoscimento del fatto che non sia sufficiente inserire una persona in un contesto, perché essa possa sentirsi parte di quest’ultimo. A questo punto si assiste a un cambiamento sostanziale di prospettiva: non è più solo la persona disabile a doversi adattare all’ambiente che la circonda, ma è anche il contesto che deve adattarsi ad accogliere la persona con disabilità.

Un ulteriore passo è stato fatto introducendo il termine ‘inclusione’: includere significa accettare la persona incondizionatamente e considerare la sua diversità una risorsa; l’ambiente e la società devono modificarsi per permettere a chiunque di esercitare i propri diritti di cittadino, indipendentemente dalle disabilità che presenta.

Per quanto riguarda i modelli interpretativi, invece, possiamo ricordare anzitutto quello biomedico, che si basa sulla diagnosi e sul deficit, il cui scopo è quello di ridurre il deficit della persona disabile, ristabilendo una situazione che sia il più vicino possibile alla normalità. Tale modello implica una logica causale per la quale menomazione (perdita, anomalia), deficit (limitazione conseguente) e handicap (svantaggio) si susseguono necessariamente. Una simile concezione non prevede che si prenda in considerazione l’influenza che l’ambiente circostante ha sulla persona che presenta disabilità, ma che si consideri esclusivamente il soggetto. Questo modello e la classificazione ad esso correlata, ovvero l’ICD (Classificazione Internazionale della malattie e dei problemi correlati), presentavano vari limiti e inadeguatezze, venne così creata l’ICDH, ovvero la

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Classificazione Internazionale delle Disabilità e degli Handicap, nel 1980 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità9. L’ICDH considerava per la prima volta anche le conseguenze sociali legate ad una malattia, ad una trauma o menomazione.10

In contrapposizione al modello medico si fa strada il modello sociale che sposta l’attenzione dal non funzionamento della persona all’influenza che l’ambiente ha sulla stessa.

Il modello biopsicosociale, che trova ispirazione nei due modelli precedenti, considera l’interazione di più fattori (personali, di salute e ambientali), ampliando così lo spettro di analisi e di intervento.

L’ICF, la Classificazione Internazionale del Funzionamento della disabilità e della salute, si fonda sul modello biopsicosociale e viene creato nel 2001, sempre dall’ OMS. In questa classificazione non si parla più di handicap, bensì di disabilità e l’attenzione non è più posta su ciò che non funziona nella persona e sui suoi limiti, ma su ciò che in essa invece funziona. L’ICF riconosce che la disabilità è: «La conseguenza o il risultato di una complessa relazione tra la condizione di salute di un individuo e i fattori personali e i fattori ambientali che rappresentano le circostanze in cui vive l’individuo. A causa di questa relazione, ambienti diversi possono avere un impatto diverso sullo stesso individuo con una certa condizione di salute »11. Il funzionamento della persona viene dunque visto sotto la luce dell’interazione fra più fattori: condizione di salute, funzioni e strutture corporee, attività, partecipazione, fattori personali e fattori ambientali.

Nel 2006 viene ratificata la Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità: lo scopo della Convenzione è quello di permettere alle persone disabili di esercitare i propri diritti nella stessa misura delle altre persone. Con la Convenzione ONU viene inoltre esplicitato che la disabilità non è da considerarsi una malattia, ma che essa deriva dall’interazione tra un individuo con le sue caratteristiche e l’ambiente che lo circonda. Nella Convenzione si parla inoltre di inclusione: nell’articolo 3 dei principi generali, ad esempio, viene conclamato il diritto alla «piena ed effettiva partecipazione e inclusione nella società12». La necessità di sottolineare in un atto simile l’importanza dei diritti delle persone disabili ci porta a riflettere - come bene afferma Mainardi in un’intervista13 - sul fatto che, purtroppo, ancora oggi questi diritti vengano calpestati nella nostra società. 3.2 Obiettivi del lavoro

Come già affermato, l’obiettivo principale del mio lavoro di tesi è quello di comprendere, grazie a un questionario, ad alcune interviste e all’osservazione diretta14, in che modo e                                                                                                                

9 Medeghini R., Valtellina E., Quale disabilità? Culture, modelli e processi di inclusione, Milano, Franco Angeli, 2006, p.44.

10 Medeghini R., Valtellina E., Quale disabilità? Culture, modelli e processi di inclusione, Milano, Franco Angeli, 2006, p.45.  

11Medegini R. et al., Inclusione sociale e disabilità : Linee guida per l’autovalutazione della capacità inclusiva dei servizi, op.cit, p.31.

12  Convenzione  ONU  sui  diritti  delle  persone  con  disabilità.    

13 M. Capitanio, Sardi J., intervista a Michele Mainardi ,in : C.Balerna, M. Mengoni, Pratiche di intervendo- ambito

disabiltà, SUPSI, anno accademico 2014-2015. Allegato n.6.

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con quali strumenti un’istituzione, Casa Faro, riesca a promuovere un processo inclusivo da prima a livello istituzionale e in seguito all’interno della società.

3.3 Scelta metodologica e riferimenti

Per il mio lavoro di ricerca ho scelto di utilizzare tre strumenti di indagine: il questionario, le interviste e il diario osservativo.

Come primo strumento d’indagine ho dunque deciso di utilizzare l’ACISD15 - Strumento per l‘Autovalutazione della Capacità Inclusiva nei Servizi - presente nel libro Inclusione

sociale e disabilità. Linee guida per l’autovalutazione della capacità inclusiva dei servizi16.

Questo strumento è un dispositivo teorico, metodologico e progettuale, frutto di una ricerca promossa da Anffas Lombardia Onlus e da Anffas Onlus17.

Anffas è un’associazione italiana volontaria sostenuta da genitori, famigliari e amici di persone con disabilità intellettiva e/o relazionale, nata a Roma negli anni ‘60, il cui scopo precipuo è quello di «promuovere pari opportunità, non discriminazione ed inclusione sociale e di tutela dei diritti civili ed umani delle persone con disabilità e dei loro genitori e familiari»18.

Lo scopo dello strumento ACISD è quello di fornire ai servizi una linea guida per riorganizzare il servizio in un’ottica inclusiva e dunque atto a orientare le pratiche educative verso l’autodeterminazione, la partecipazione e la cittadinanza. Lo strumento si ispira a un questionario già esistente, il QAIS - Questionario per l’Autoanalisi dell’Inclusione Scolastica - che è un adattamento in italiano dell’Index for Inclusion di Booth e Ainscow, ideato nel 2008.

L’ACISD porta a riflettere sulle possibili barriere19presenti in un’istituzione e all’incidenza del contesto nei processi inclusivi. L’attenzione non è dunque posta sul singolo o sui suoi deficit, ma sull’organizzazione e su ciò che la circonda.

Lo strumento individua tre grandi ambiti d’indagine per l’autovalutazione della capacità inclusiva del servizio: la partecipazione al servizio, l’organizzazione e la progettazione. Per ognuno di questi ambiti si indagano vari aspetti: dal linguaggio utilizzato, alle barriere presenti, alle aspettative, al clima collaborativo, ai rapporti con il territorio, agli spazi e alla partecipazione.

Lo strumento così come è stato creato si rivolge ai responsabili e agli educatori del servizio, ma essendo qualcosa atto a promuovere il concetto d’inclusione, implica necessariamente in un secondo tempo una condivisione e un coinvolgimento degli altri soggetti interessati: persone con disabilità, famiglie, rete, e così via.

                                                                                                               

15 in merito a ciò , vedi questionario , Allegato n.2 .

16 Medegini R. et al., Inclusione sociale e disabilità : Linee guida per l’autovalutazione della capacità inclusiva dei servizi, op.cit.

17 Ibidem.

18 Anffas Onlus, http://www.anffas.net/Page.asp/id=243/l-associazione, consultato il 12.07.2015.

19 Con il termine barriera si indicano i vari ostacoli alla partecipazione a un’organizzazione,al sociale e al diritto di cittadinanza. Gli ostacoli possono essere di vario tipo : concettuali, linguistici, organizzativi, relaznai, fisici. ( Tratto dal glossario allegato al libro Inclusione Sociale e disabilità. Linee guida per l’autovalutazione della capacità inclusiva dei servizi di Medeghini R., et al.)  

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Nel mio percorso di stage ho indagato spesso il rapporto tra famiglia e utenza. Ho appurato come molti ospiti stiano compiendo un percorso di emancipazione dalla famiglia e come altri ancora abbiano rapporti conflittuali e molto delicati con essa. Per questo motivo e per la specificità della casistica, ho dunque fatto la scelta ponderata di non entrare in merito alle dinamiche famigliari.

Ho deciso di proporre il questionario a tutti gli operatori di Casa Faro, nonché al responsabile della struttura. L’équipe di Casa Faro è pluridisciplinare, per questo motivo ho preferito non limitare l’indagine solo sull’équipe educativa, ma bensì di estenderla anche a operatori socio assistenziali e infermieri. Ritengo, infatti, che sia interessante comprendere se collaboratori con una formazione e obiettivi professionali diversi che si trovino a lavorare a stretto contatto e con le stesse persone con disabilità, abbiano una visione simile sull’organizzazione e sulla prospettiva inclusiva della struttura o meno. Ho deciso di presentare lo strumento di indagine integralmente, senza apportare importanti modifiche poiché, una volta analizzato, mi sono resa conto di quanto bene si adattasse al contesto di Casa Faro. Il questionario è frutto di un grande lavoro di ricerca ed è dunque uno strumento molto valido e funzionale; grazie al CD-ROM allegato al libro è inoltre possibile analizzare facilmente i dati raccolti e leggerli in grafici. Gli item che non ho ritenuto opportuni per la realtà di Casa Faro, sono stati identificati con un valore pari a 0 e non sono dunque stati presi in considerazione nell’analisi . L’utilizzo di tale strumento è risultato utilissimo ai fini di questa mia ricerca, giacché mi ha permesso di arricchire il lavoro grazie a una visione scientifica e quantitativa.

Nel manuale “ Inclusione sociale e disabilità. Linee guida per l’autovalutazione della

capacità inclusiva dei servizi20” si sostiene che il questionario possa avere una

caratterizzazione collegiale o individuale, seguita poi da una condivisione all’interno dell’équipe. A tale scopo ho preparato una presentazione da sottoporre all’équipe di Casa Faro, suddivisa in tre parti: nella prima ho esposto i concetti teorici del mio lavoro di tesi, soffermandomi sul significato e sull’evoluzione dei termini ʽinserimentoʼ, ʽintegrazioneʼ e ʽinclusioneʼ; nella seconda ho illustrato i vari modelli - medico, sociale, biopsicosociale - mentre nella terza parte ho approfondito il questionario, esplicitando lo scopo dello strumento e quali fossero gli elementi da tralasciare. Ho dunque distribuito la presentazione a tutti i membri, allegando una copia del glossario fornito dal manuale. In seguito a questa prima fase mi sono messa a disposizione dei vari membri dell’équipe per ulteriori domande o approfondimenti21. Questa parte del lavoro mi ha permesso di creare un linguaggio comune all’interno dell’équipe.

Per comprendere meglio l’analisi dei dati che verrà fatta all’interno del capitolo sulla “visione degli operatori” è necessaria un’ulteriore spiegazione sul questionario e sulla scala di valutazione.

                                                                                                               

20 Medeghini R.et al., Inclusione sociale e disabilità. Linee guida per l’autovalutazione della capacità inclusiva dei

servizi,op. cit.

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Ecco come è strutturato il questionario:

  Ambito  1.  LA  PARTECIPAZIONE  AL  SERVIZIO  E  AL  TERRITORIO    

      Valore  

Da  1  a  6   1.1.  La  partecipazione:  condizioni  à  sottambito  

1.1.1.   Il  servizio  in  cui  operi  progetta  interventi  per  promuovere  l’inclusione  interna   al  servizio  à  indicatori  

  1.1.2.   Il  servizio  in  cui  operi  progetta  interventi  per  promuovere  l’inclusione  nel  

sociale  

 

1.2  Il  superamento  delle  barriere  comunicative  e  linguistiche  

1.2.1   La  cultura  del  servizio  e  le  prospettive  contenute  nel  progetto  generale   sollecitano  tutto  il  personale  a  evitare  stigmatizzazioni  degli  utenti  con   definizioni  stereotipate  

 

Il questionario prevede che per ognuno dei tre ambiti – partecipazione al servizio e al territorio; organizzazione e progettazione – e per i vari indicatori venga posto dall’operatore un valore compreso tra 1 e 6 dove: 1 esprime un totale disaccordo con l’affermazione e 6 un totale accordo con la stessa, «i valori intermedi possono essere usati per esprimere una serie di sfumature che tendono al positivo o al negativo».22

Dopo aver raccolto i dati dei questionari ho deciso calcolare la media dei valori ottenuti, rappresentandola in tre grafici diversi, suddividendo i risultati per le tre categorie professionali presenti nell’équipe: educatori Supsi, operatori socioassistenziali e infermieri. Nell’analisi del questionario mi riferirò dunque ai valori medi ottenuti leggendo i grafici23. Nell’analisi dei dati raccolti ho deciso di mettere in luce per ogni ambito alcuni sottoambiti e indicatori che sono quelli emersi maggiormente dall’analisi dei questionari. Ho inoltre scelto di concentrarmi in particolar modo sugli indicatori che ho utilizzato per creare l’intervista all’utenza al fine di facilitare in seguito la creazione di una visione d’insieme. Come già accennato, mi sono avvalsa di un’ulteriore strumento oltre il questionario, ovvero delle interviste agli utenti di Casa Faro. Le domande dell’intervista sono state tratte dallo strumento ACISD e formulate in modo più semplice e univoco, in modo tale da poterle confrontare con le risposte date dagli operatori e dal responsabile.24

L’intervista ha una valenza molto diversa dal questionario giacché, essendo costituita da domande aperte, mira a una raccolta dei vissuti soggettivi delle persone. Questo suo carattere semi-strutturato permette di apportare al mio lavoro di ricerca anche un aspetto di tipo qualitativo25.

Così come per il questionario proposto ai collaboratori, anche in questo caso ho concentrato le mie considerazioni sugli indicatori che si sono rivelati particolarmente importanti e interessanti.

                                                                                                               

22 Medeghini R. et al., Inclusione sociale e disabilità. Linee guida per l’autovalutazione della capacità inclusiva dei

servizio. op.cit., p. 170.

23 Grafici , Allegato n.3  

24 Le domande poste agli utenti sono un campione di domande maggiormente significative che vanno ad indagare i vari ambiti presenti nello strumento.

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In ultimo, mi sono avvalsa di alcune osservazioni dirette, da me riportate in una sorta di diario, utili al fine di ampliare le mie riflessioni26.

Nelle riflessioni finali ho unito quanto raccolto con i vari strumenti e ricostruito una visione d’insieme, utile per mettere in luce i limiti e le potenzialità del servizio in chiave inclusiva. Anche in questo caso ho messo in luce gli indicatori più importanti emersi sia dalle analisi delle interviste, che dai questionari, avvalendomi anche delle osservazioni svolte nel periodo di stage professionale.

4. Indagine esplorativa

4.1 L’inclusione: teorie di riferimento e definizione

Il mio lavoro di tesi, come già accennato, utilizza quale riferimento teorico principale il volume Inclusione sociale e disabilità. Linee guida per l’autovalutazione della capacità

inclusiva del servizio27, dal quale ho ricavato uno degli strumenti principali utilizzati per il

mio lavoro di ricerca, ovvero il questionario ACISD - Autovalutazione della Capacità Inclusiva dei Servizi per la Disabilità - di cui ho ampiamente parlato in precedenza, e le domande per l’intervista all’utenza.

Nel libro è anche presente un excursus teorico dei termini in uso nel campo della disabilità, dei vari modelli e delle teorie, fino a giungere a definire chiaramente il termine ʽinclusioneʼ.

Un ulteriore fondamento del mio lavoro di ricerca è l’intervista a Michele Mainardi28, svolta lo scorso semestre, che mi ha offerto importanti spunti di riflessione che ho utilizzato per affrontare la tematica il mio lavoro di ricerca.

Parallelamente a questi testi di riferimento ho utilizzato un ampia bibliografia sul tema dell’inclusione e mi sono avvalsa di alcuni spunti teorici appresi nei vari moduli alla SUPSI. Il concetto d’inclusione «non riguarda solo la dimensione della disabilità, ma ha valenza universale ed è riferibile a qualunque persona, mettendone in rilievo il suo carattere di cittadino nel mondo, portatore di diritti e doveri29». Questo aspetto viene messo in risalto anche nella Convenzione ONU che fornisce una chiara linea da seguire affinché ogni individuo, indipendentemente dalle sue condizioni, possa esercitare i propri diritti di cittadino e abbia le stesse libertà di scelta delle altre persone.

Il termine ‘inclusioneʼ si distanzia dal concetto di ‘normalizzazioneʼ, inteso come «mantenere o produrre tramite vari mezzi delle caratteristiche personali, dei comportamenti, delle aspettative conformi a un modello sociale dominante30» e dai termini                                                                                                                

26 Diari osservativi , Allegato.n 5

27 Medeghini R. et al., Inclusione sociale e disabilità. Linee guida per l’autovalutazione della capacità inclusiva del

servizio.op cit.

28 Michele Mainardi, direttore dipartimento formazione e apprendimento presso la Supsi di Locarno, Formazione e ricerca in ambito socio-educativo e scolastico, didattica speciale e inclusive.

29 Medeghini R. et al., Inclusione sociale e disabilità. Linee guida per l’autovalutazione della capacità inclusiva del

servizio.op cit , p. 109.

30 Medeghini R., L’inclusione nella prospettiva ecologica delle relazioni, in: Academia,

http://www.academia.edu/15324096/L_INCLUSIONE_NELLA_PROSPETTIVA_ECOLOGICA_DELLE_RELAZIONI, consultato il 12.06.2015.

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che ne conseguono, come quelli di ‘adattamento’ e ‘compensazione’. Esso porta dunque a superare i classici modelli medici dove vige la categorizzazione basata sull’abilismo31 per andare verso l’idea che il contesto possa avere un ruolo ‘disabilitanteʼ per la persona e dunque verso una cura del territorio e non più solo del singolo soggetto.

L’inclusione porta a pensare a un lavoro di rete che coinvolga non solo la persona e i servizi ma anche le politiche, il piano legislativo, i diversi attori e i luoghi sociali coinvolti: «Significa sostanzialmente porre la questione della disabilità nella dimensione sociale del diritto di cittadinanza, perché riguarda tutti coloro che partecipano alla vita sociale all’interno di un determinato contesto: includere vuol dire offrire l’opportunità di essere cittadini a tutti gli effetti. Ciò non significa negare il fatto che ognuno di noi è diverso o negare la presenza di disabilità o menomazioni che devono essere trattate in maniera adeguata, ma vuol dire spostare i focus di analisi e intervento dalla persona al contesto, per individuarne gli ostacoli e operare per la loro rimozione»32.

Nei capitoli successivi analizzerò da prima i questionari dunque “La visione degli operatori” e successivamente le interviste, “La visione dell’utenza”. In entrambe le analisi ho deciso di prendere in considerazione alcuni indicatori rilevanti. Alcuni di essi si ripropongono nelle due parti, questo poiché come ho spiegato in precedenza, gli item su cui mi sono concentrata maggiormente nell’analisi del questionario sono quelli utilizzati per creare l’intervista per gli utenti.

In particolar modo in entrambi le analisi compaiono: il linguaggio, i rapporti con il territorio e l’accessibilità del servizio, la collaborazione con la rete e la partecipazione.

4.2 La visione degli operatori

In primo luogo analizzerò quanto emerso dai questionari degli operatori. L’analisi dei risultati del questionario si basa sui valori medi ottenuti dagli stessi osservando quanto emerso nei grafici33 e sulle osservazioni dirette svolte durante il periodo di pratica professionale.

Come ho detto in precedenza, ho deciso di sottoporre il formulario ACISD a tutta l’équipe di Casa Faro, suddividendo i dati raccolti in tre categorie: educatori, infermieri e operatori socio assistenziali, per comprendere se formazioni diverse possano generare anche una visione diversa.

In questa parte suddividerò l’analisi nei 3 ambiti principali - partecipazione al territorio, organizzazione e progettazione - e per ogni ambito analizzerò degli indicatori significativi. Essendo gli item del questionario numerosi, oltre 150, ho dovuto fare una scelta per l’analisi. Ho scelto questi item principalmente per due motivi: in primis come appena detto sono gli stessi indicatori utilizzati per l’intervista, in secondo luogo sono quelli in cui emergono dati significativi.

                                                                                                               

31 Distinzione fra deficit e abilità: una persona è classificata come inabile in funzione al deficit, senza tenere conto del contesto.

32 Anffas Ticino, http://www.anffasticino.it/disabili/inclusione-sociale-ticino2.html, consultato il 6.07.2015. 33 Grafici , Allegato n. 3

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1.Partecipazione al territorio

«Quest’ambito intende indagare le condizioni, le possibilità e a traduzione concreta della

partecipazione al servizio e al territorio che, nella prospettiva inclusiva, richiedono di

superare la dicotomia dentro e fuori34».

Dunque qui si vuole mettere il luce l’importanza di sviluppare un pensiero di rete uscendo dall’autoreferenzialità dei servizi ponendo l’attenzione su vari aspetti come la partecipazione e le barriere che la ostacolano, il linguaggio e il clima collaborativo.

Per quanto riguarda la partecipazione al territorio sono stati analizzati i seguenti indicatori:

La collaborazione con la famiglia: In un’ottica inclusiva la famiglia assume un ruolo

importante e per tale motivo deve essere coinvolta attivamente nel progetto di vita della persona disabile.

Come affermato da Medeghini durante una conferenza per Anffas Lombardia: «La famiglia viene vista come uno dei nodi delle reti, compresa quella sociale, pensandola in relazione ai sistemi relazionali, evitando così il rischio di una condizione di solitudine e/o di abbandono35».

Osservando quanto emerso posso asserire che già dalle prime domande emerge un valore basso (tra 2 e 3, rispettivamente in disaccordo con l’affermazione e parzialmente in disaccordo) per quanto riguarda la collaborazione con i familiari.

Le affermazioni prese in considerazione per l’analisi sono state: “Le famiglie sono coinvolte nella costruzione e definizione del progetto individualizzato in una prospettiva consultiva?”, “Le famiglie sono coinvolte nella costruzione e definizione del progetto individuale in una prospettiva informativa?” e “Le famiglie sono coinvolte nella costruzione e definizione del progetto individuale in una prospettiva progettuale?”.

Per quanto ho potuto osservare in prima persona, a Casa Faro il rapporto con i famigliari è spesso fondato su incontri sporadici e non apprezzato da molti utenti.

Anche dove la famiglia è presente i rapporti non sono sempre semplici, soprattutto quelli tra Istituto e famigliari. Spesso nascono delle incomprensioni o contrasti d’opinione, come ad esempio sui medicinali, sui cibi o sugli spostamenti, che si ripercuotono sulla serenità dell’utente.

I famigliari, dunque, a meno che non siano i tutori legali della persona in Istituto, spesso non vengono informati su quello che è il progetto di vita della persona con disabilità o vengono informati solo in una prospettiva informativa più che collaborativa.

Questo in un’ottica inclusiva potrebbe creare una barriera alla partecipazione della persona con disabilità, poiché non essendo il progetto di vita condiviso tra i vari membri                                                                                                                

34 Medeghini R. et al., Inclusione sociale e disabilità. Linee guida per l’autovalutazione della capacità inclusiva del

servizio.op cit., p. 158.  

35 Medeghini, R., Conferenza per Anffas Lombardia:

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della rete non assume una connotazione continuativa, creando così una separazione tra dentro e fuori che non dovrebbe esistere.

Il linguaggio: «Pensare al linguaggio significa interrogarsi sulla propria produzione

epistemologica per evidenziare i saperi di riferimento; sulle proprie pratiche e formazioni discorsive (modi, espressioni, termini, concetti, valutazioni, regole, prescrizioni amministrative, procedure d’osservazione); sull’asimmetria comunicativa, orale e scritta, che fondandosi sui ruoli, marginalizza i discorsi delle persone con disabilità».36

Per quanto riguarda l’attenzione al linguaggio verbale e a quello non verbale i valori emersi dal questionario sono alti: gli operatori affermano di essere “d’accordo” con le affermazioni: “Le pratiche discorsive sono elemento di riflessione per la comunicazione e la progettazione” e “ Gli operatori prestano attenzione al proprio linguaggio non verbale nei confronti degli utenti”.

Il linguaggio a Casa Faro è dunque oggetto di riflessione nell’équipe. Vari membri mi hanno inoltre raccontato che spesso durante le riunioni quello del linguaggio è un tema di grande discussione.

Nel corso del mio stage ho avuto la possibilità di confrontarmi con alcuni operatori sull’uso di alcuni termini specialistici da noi impiegati nei confronti dell’utenza e dell’effetto che essi hanno sugli utenti. In particolar modo, queste discussioni riguardavano l’uso del termine ʽospiteʼ, riferito a chi vive in Istituto: come sottolineato anche dal professor Martignoni nel corso delle sue lezioni, gli ospiti non sono gli utenti, che vivono e abitano nella casa da anni, che vi trascorrono le proprie giornate e le notti ma ad esserlo siamo piuttosto noi operatori. Questo termine potrebbe dunque assumere una connotazione negativa per chi riceve il messaggio, impedendo alla persona di governare il luogo in cui vive, limitandone così anche i diritti e creando un’asimmetria basata sul ruolo.

Il superamento delle barriere alla partecipazione e all’apprendimento lungo la vita: i media

Ho deciso di mettere in evidenza l’aspetto dei media poiché esso è strettamente collegato ad altri item scelti, in quanto indicatore anch’esso di un apertura o meno del servizio verso il territorio.

I valori ottenuti nelle tre categorie sono molto simili e si collocano tra un giudizio “parzialmente d’accordo” e “d’accordo” con l’affermazione (valore medio ottenuto tra 4 e 4,5).

I due item presi in considerazione per quest’analisi sono gli stessi utilizzati in seguito per l’intervista all’utenza: “L’utilizzo dei media trova collaborazione di persone esterne al servizio” e “La distribuzione e la fruizione dei media prodotti dalle persone con disabilità viene attivata anche sul territorio”.

Vorrei a questo punto precisare una cosa: informandomi sul giornalino prodotto a Casa Faro ho appreso che fino ad ora sono stati redatti solo due numeri nel corso di                                                                                                                

36 Medeghini R. et al., Inclusione sociale e disabilità. Linee guida per l’autovalutazione della capacità inclusiva di un

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quest’ultimo anno. Il progetto del giornale è infatti nuovo e per il momento resta confinato all’interno delle mura di Casa Faro e distribuito solo a qualche famigliare. L’unico rapporto con l’esterno riguarda la stampa e non so se vi sia un’idea futura di estendere la distribuzione del giornalino anche al territorio circostante.

Per quanto riguarda la rete, Casa Faro non dispone di un sito web personale, ma un’operatrice mi ha confidato di aver recentemente proposto di creare un sito web nel quale chiunque possa trovare tutte le informazioni su Casa Faro e sui programmi dell’atelier. L’idea sarebbe anche quella di vendere successivamente i prodotti creati dagli utenti all’atelier sul sito web, al fine di ricavare dei fondi utili per le varie attività.

2)L’organizzazione

«Per organizzazione si intende l’emergere di una forma vitale di tipo relazionale che si

manifesta quando dei sottosistemi differenti (operatori, ospiti, famiglie, collaboratori) passano da una sostanziale condizione di in-dipendenza i cui legami sono dati esternamente dal modello organizzativo pre-stabilito, a una inter-dipendenza e complementarietà che si manifestano come autoorganizzazione».

Qui si vogliono dunque indagare vari aspetti (dalla collaborazione, all’accessibilità del servizio, agli spazi e i tempi, alle attività fino all’aspetto della formazione) e si vuole analizzare la capacità del servizio nel creare le condizioni affinché vi sia un equilibrio, una capacità di cambiamento e adattamento, una flessibilità tale da consentire di adottare una visione evolutiva. Anche in questo caso ho scelto di mettere in evidenza alcuni indicatori:

La Location, le caratteristiche e accessibilità del servizio

In un’ottica inclusiva il servizio è parte del territorio e il territorio è parte del servizio, in questo modo dunque non esiste più una separazione tra “dentro” e “fuori” ma bensì un dialogo continuo volto a costituire luoghi e spazi comuni in cui sentirsi bene.

Gli item presi in considerazione sono i seguenti: “L’immagine del servizio rimanda a una struttura aperta alla cittadinanza” e “L’ubicazione della struttura favorisce i contatti con il territorio”.

I valori medi ottenuti nel questionario in questo caso si differenziano nelle tre categorie: negli OSA la media è piuttosto bassa facendo emergere un giudizio di “disaccordo” con l’affermazione, mentre per la categoria Supsi i valori sono nettamente più alti, esprimendo dunque un’opinione “piuttosto d’accordo” con l’affermazione. I valori degli infermieri sono invece diversi per le due affermazioni: la prima il valore è basso (“disaccordo” con l’affermazione), mentre per la seconda il valore è più altro (“parzialmente d’accordo”). Osservando il territorio, ho notato come Casa Faro non sia una struttura facile da trovare: io stessa, pur abitando nel paese vicino, ho faticato a raggiungerla le prime volte, giacché non vi sono indicazioni o cartelli lungo la strada principale. La struttura e i suoi spazi non sono inoltre accessibili alle persone esterne: non vi sono ambienti condivisi con il territorio, ma solo spazi speciali in un luogo speciale per le persone che vi risiedono. Casa Faro si

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trova in un quartiere residenziale, ma come spiegherò successivamente, questa non è l’unica condizione necessaria affinché vi sia un dialogo con il territorio circostante.

Da quanto ho potuto osservare durante i periodi di stage e da quanto emerso parlando con gli operatori, Casa Faro attualmente non organizza attività che coinvolgano l’esterno. Vi è però l’idea, di cui parlerò più diffusamente in seguito, di creare un mercatino gestito dagli ospiti di Casa Faro che sia aperto al vicinato.

Un altro item considerato in questa categoria riguarda gli spazi interni: “La strutturazione degli spazi interni favorisce la partecipazione e la scelta degli utenti”.

I valori ottenuti esprimono un giudizio globale “parzialmente in accordo” con l’affermazione (valore medio ottenuto 4).

Gli ospiti di Casa Faro hanno una camera privata che possono chiudere a chiave. Inoltre, ogni appartamento ha un salotto con dei divani e una televisione, nel quale chi desidera può ritrovarsi per passare del tempo in compagnia.

Attività esterne e interne

Il primo item considerato in quest’analisi è: “Nell’organizzazione si prevedono attività opzionali tendenti a favorire gli interessi degli utenti”. I valori ottenuti nel questionario sono medio/alti, tra “parzialmente d‘accordo con l’affermazione” e “d’accordo con l’affermazione”. Quanto ottenuto è a mio parere in linea con quanto da me osservato nei mesi di pratica professionale. Nel salotto di Casa Faro è appeso settimanalmente un foglio con varie proposte di attività alle quali gli utenti possono scegliere se iscriversi o meno. Le attività variano dalla cucina al canto, dalla musica alle passeggiate all’aperto, fino alle attività manuali come la modellazione della ceramica.

La differenza di giudizio ottenuta potrebbe essere dovuta al fatto che le attività proposte siano molte ma ripetitive, perché riproposte ogni settimana senza variazione alcuna.

Il secondo item considerato in quest’analisi è: “Il servizio organizza attività di tempo libero sul territorio finalizzate alla costruzione di una rete amicale e di relazione sociale”; il valore ottenuto esprime un giudizio “parzialmente in accordo” con l’affermazione.

Casa Faro organizza spesso delle attività fuori sede, ma queste spesso si limitano per lo più a coinvolgere solo gli utenti della struttura e anche quando un evento è aperto a persone esterne, come il “carnevale del cuore”, si limita ad includere persone disabili. ”Nell’organizzazione delle attività si prevedono momenti in cui gli utenti siano seguiti da altre persone previste nella progettazione”, i valori ottenuti per questo item si collocano vicino al “parzialmente in disaccordo” con l’affermazione (valore medio ottenuto 2,75). Come già sottolineato, le attività vengono svolte principalmente con gli operatori di Casa Faro e con e persone che vi risiedono, solo poche prevedono il contatto con persone esterne e in genere sono svolte singolarmente solo da alcuni utenti, come il “thè danzate37”, organizzato dalla Pro Senectute, o l’attività sport organizzata dalla Ftia38.                                                                                                                

37 Thè danzante: pomeriggio organizzato da Pro Senectute al Hotel Belvedere di Losone dove vi è la possibilità di ballare il liscio e incontrare nuove persone.

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3) La progettazione

«La progettazione determina in maniera molto significativa la qualità inclusiva di un

servizio. Si tratta di un elemento complesso e con diverse dimensioni di approfondimento da tenere in considerazione. La costruzione di una progettazione inclusiva, innanzitutto, prende forma attraverso la partecipazione dei vari attori che abitano il servizio, sia in forma diretta che indiretta […] Questo ambito si occupa della dimensione progettuale di un servizio per disabilità al fine di evidenziare l’intenzionalità delle pratiche educative e definire la cornice di senso all’interno della quale si situa ciascuna azione […] Il focus dell’analisi riguarda la progettazione come momento e modalità dell’azione educativa del

servizio39».

In quest’ambito si vuole indagare la capacità del servizio nel creare le condizioni affinché sia possibile una progettazione che coinvolga tutti gli attori attivamente, una progettazione che metta in luce le competenze di ciascuno, che permetta di ampliare le possibilità di esperienza per la persona con disabilità.

Ecco gli indicatori che ho scelto di mettere in evidenza in quest’ambito:

La cultura della partecipazione

Nella prospettiva inclusiva è fondamentale che la persona con disabilità sia coinvolta a pieno nel suo progetto di vita. Il progetto deve inoltre essere sufficientemente flessibile da permettere delle modifiche in itinere se richiesta dall’utente o da altri membri della rete. Per quanto riguarda l’item “Sono previsti degli incontri di verifica insieme all’utenza in merito all’andamento dei progetti stabiliti all’inizio dell’anno”, gli operatori esprimono un giudizio che oscilla tra il “disaccordo” e il “parziale disaccordo” con l’affermazione (valore medio 2,5).

Gli incontri annuali previsti per il progetto di sviluppo individuale erano in corso proprio durante il mio periodo di stage e non sono riuscita a capire se ve ne fossero altri previsti per l’anno in corso. Consultando il manuale di qualità ho potuto appurare che, in linea teorica, oltre all’incontro di definizione del PSI, ne sono previsti altri quattro.

Penso che una verifica continua dell’andamento dei progetti sia importante per garantire alla persona i sostegni necessari e per ovviare agli ostacoli che si presentano durante il suo percorso individuale.

Un'altra domanda volta ad indagare la partecipazione dell’utenza è stata la seguente: “Vengono organizzati gruppi di discussione con gli utenti in cui ci si forma sul tema della partecipazione alla vita sociale”.

A questo item la categoria Osa ha assegnato un valore molto basso: tra il “totale disaccordo” e il “disaccordo” (valore medio ottenuto 1,75); gli infermieri hanno attribuito un                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                

38 Federazione Ticinese Integrazione Andicap.  

39  Medeghini R. et al., Inclusione sociale e disabilità. Linee guida per l’autovalutazione della capacità inclusiva di un

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valore medio pari a 3 esprimendo dunque un giudizio “né positivo né negativo”; mentre il personale Supsi ha assegnato il valore più alto vicino al “parzialmente d’accordo” ( valore medio ottenuto: 3,75).

Ho partecipato personalmente ad alcuni incontri tra utenti, operatori e responsabile, durante i quali ognuno, specialmente l’utenza, era tenuto a dare la propria opinione su un tema specifico. Spesso si è parlato dei problemi relativi alla convivenza tra gli utenti e dei rapporti problematici che essi hanno con il vicinato e con i dipendenti delle attività commerciali ubicate vicino alla struttura.

Le differenze tra i valori ottenuti nei tre settori potrebbero essere dunque date dalla diversa interpretazione dell’item e del contenuto delle riunioni.

La personalizzazione e le competenze di ciascuno

“I progetti individuali promuovono la possibilità per la persona di assumere ruoli diversi”, “La progettazione è flessibile tanto da consentire agli utenti di sperimentare esperienze diverse e/o impreviste”.

I valori ottenuti in entrambi gli item oscillano introno a 4 e 5, dunque tra “parzialmente d’accordo” con l’affermazione e “d’accordo” con la stessa.

È importante in un’ottica inclusiva che i vari attori siano valorizzati nelle loro capacità; il progetto deve permettere dunque ai soggetti di sperimentarsi e assumere un ruolo rilevante a dipendenza della situazione. Ognuno partecipa alla progettazione a seconda delle proprie competenze.

Questo è sottolineato anche nel manuale di qualità, nel quale si pone l’accento sull’importanza di una progettazione individualizzata: «Ogni utente ha un percorso e degli obiettivi diversi durante il suo soggiorno a Casa Faro: in base a questo gli operatori adeguano le regole di base alle esigenze di ogni singolo residente. Ognuno è diverso e deve poter esercitare la propria autonomia discutendone la messa in pratica con gli operatori e il responsabile di struttura».

Ciò è anche quanto afferma Mainardi in un’intervista: «L'inclusione dà il diritto di cittadinanza indipendentemente da come sei. La persona ha il diritto di essere come è all'interno del contesto senza però pregiudicare le finalità del contesto. Se uno è stonato non lo metteremo a cantare, ma magari suonerà o farà altro, se no sarebbe una forzatura: sarebbe una condizione in cui una persona normale non si troverebbe. Se sei normale e stonato non canti, invece a te ti faccio cantare solo perché sei disabile, e non ho il coraggio di dirti che sei stonato. Però in questo modo le cose durano poco, il coro verrà smontato e ricostruito da un’altra parte senza la persona disabile. Bisogna che l'interesse individuale e quello collettivo si incontrino, e questo non vuol dire che devo segregare d'ufficio».

Queste parole ci fanno comprendere che includere vuol dire anche saper dare alla persona un ruolo che le permetta di essere valorizzata nel contesto in cui si trova.

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È anche importante che il progetto sia flessibile e che possa essere modificato in itinere, a seconda delle necessità dei vari attori coinvolti nella progettazione.

Infatti, se un progetto risulta rigido e poco adattabile a cambiamenti non permetterà alla persona di riconoscersi nel suo progetto di vita e dunque i progetto stesso costituirà un ostacolo per la persona.

La valutazione e la documentazione inclusiva

È fondamentale che l’utente si riconosca nel suo progetto di vita e che ne sia il principale attore. Se l’utente non si riconosce negli obiettivi, il progetto non avrà una valenza costruttiva, ma potrebbe essere di ostacolo e fonte di frustrazione per la persona.

Ho analizzato le risposte date alla seguente asserzione: “Esiste la possibilità per gli utenti di manifestare un giudizio rispetto al proprio progetto di vita”.

I valori per questo item vanno da 4,75 a 5,75 dunque da “d’accordo” a “totalmente d’accordo” con l’affermazione.

Questo dato è confermato dall’osservazione: il progetto viene infatti visionato dagli utenti, dal responsabile e dal tutore. L’utente ha pieno diritto di parola e può contestare quello che non condivide del suo progetto. Ho assistito in prima persona a un incontro durante il quale un utente non era d’accordo con una parte del progetto di sviluppo individuale e si è trovato una seconda volta con gli educatori di riferimento per rivederlo e modificarlo.

È dunque fondamentale che l’utente si riconosca nel suo progetto di vita e che ne sia il principale attore. Se l’utente non si riconosce negli obiettivi, il progetto non avrà una valenza costruttiva, ma potrebbe essere di ostacolo e fonte di frustrazione per la persona.

4.3 La visione dell’utenza

Come ho spiegato precedentemente, sono emersi aspetti oltremodo interessanti anche dalle interviste svolte ai vari utenti di Casa Faro.

Procederò seguendo l’ordine dell’intervista e mettendo in luce i punti più importanti. Le varie domande dell’intervista sono state create sulla base del questionario ACISD, cercando di indagare vari aspetti in tutti e tre gli ambiti. Gli indicatori messi in luce sono i sotto-ambiti che raggruppano le varie domande poste. L’analisi si basa su quanto detto dagli utenti nelle interviste e sull’osservazione diretta.

1)Il Linguaggio

Le prime domande rivolte agli ospiti di Casa Faro riguardano il linguaggio utilizzato dagli operatori, sia verbale che non verbale, nei confronti dell’utenza.

Il linguaggio, come già detto, è infatti, un fattore molto importante da analizzare sotto un’ottica inclusiva. Come Medeghini afferma nell’articolo Appunti per un’idea d’inclusione: «Tutto questo può portare ad una comunicazione ed a relazioni in grado di superare le barriere alla partecipazione a condizione che si metta in discussione il concetto di linguaggio dominante che ha nelle dicotomie e nelle gerarchie verbale/non verbale,

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