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L'Euroscetticismo sui Social Media durante le Elezioni Europee del 2019

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI SCIENZE POLITICHE

Corso di Laurea Magistrale in Comunicazione d’impresa e

gestione delle risorse umane

TESI DI LAUREA

L’EUROSCETTICISMO SUI SOCIAL MEDIA DURANTE LE

ELEZIONI EUROPEE DEL 2019

CANDIDATO

RELATORE

Matteo Petrini

Prof.ssa Roberta Bracciale

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Sommario

INTRODUZIONE ... 1

Capitolo 1 – L’EUROSCETTICISMO: PANORAMICA DI UN FENOMENO DIFFUSO ... 4

1.1 Che cos’è l’Euroscetticismo? ... 4

1.1.1 Evoluzione del sentimento euroscettico in rete: paesi fondatori e nuovi entrati ... 4

1.1.2 L’euroscetticismo: tentativi di classificazione ... 7

1.1.3 L’euroscetticismo all’interno del Parlamento Europeo ... 9

1.1.4 L’euroscetticismo all’interno dei paesi europei: differenze e similitudini ... 13

1.1.5 L’euroscetticismo: ulteriori tipi di classificazione di un fenomeno diffuso in tutta Europa ... 22

1.2 L’Euroscetticismo e i nuovi media ... 26

1.2.1 Il ruolo dei media: strumenti che favoriscono l’euroscetticismo o l’integrazione? Effetti virtuosi e viziosi, cyberottimisti e cyberpessimisti ... 26

1.2.2 Perché i nuovi media amplificano l’euroscetticismo e la contestazione? Varietà di opposizione all’UE nei media ed utilizzo di questi da parte dei cittadini europei ... 29

1.2.3 La relazione tra le variabili sociodemografiche (età, istruzione etc.), nuovi media ed euroscetticismo ... 35

1.2.4 Dalla spirale del cinismo alla spirale dell’euroscetticismo: Media negativity, framing e opposizione all’UE ... 37

1.2.5 Media Negativity: forma di garanzia per la democrazia o fonte di euroscetticismo? 41 1.2.6 Media Framing: uno strumento a disposizione degli euroscettici ... 44

1.2.7 La risposta delle istituzioni europee: come combattere, via social media, l’euroscetticismo? ... 51

Capitolo 2 - LA COMUNICAZIONE POLITICA: CITTADINI, MEDIA E POLITICA ... 57

2.1 La Comunicazione Politica: il rapporto tra cittadini, media e politici ... 57

2.1.1 La Comunicazione Politica: definizione, attori e modelli ... 57

2.1.2 Comunicazione Politica: il rapporto tra cittadini, politica e media sulle nuove piattaforme mediali ... 60

2.2 Il sistema politico: dai partiti ai politici, la comunicazione euroscettica... 63

2.2.1 Comunicazione e euroscetticismo. La Comunicazione Politica dell’Euroscetticismo e dell’anti-europeismo ... 63

2.2.1 I temi della comunicazione euroscettica e il ruolo dei movimenti euroscettici all’interno del Parlamento Europeo ... 65

2.2.2 La narrazione euroscettica sui social media durante le ultime elezioni europee (2014 e 2019) ... 69

2.2.3 Dai movimenti ai soggetti politici: fidem facere et animos impellere. Il comportamento dei leader euroscettici durante le elezioni del 2019 ... 77

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2.3 Il Sistema dei media: spazio all’euroscetticismo? ... 78

2.3.1 Media Diets: tra media tradizionali e nuovi media. Prevale il Sostegno all’UE o l’euroscetticismo? ... 79

2.4 I Cittadini: media, scelte elettorali e Euroscetticismo: influenza reciproca? ... 82

2.4.1 L’effetto della copertura dei nuovi media sul voto euroscettico ... 84

2.4.2 Il sentimento dei cittadini prima e dopo le elezioni europee del 2019: i dati Eurobarometro ... 87

2.5 L’Unione Europa: l’effetto della presenza euroscettica sulla copertura mediale ... 91

Capitolo 3 - LE ELEZIONI EUROPEE 2019 IN ITALIA: LEADER, EUROSCETTICISMO, ENGAGEMENT ... 99

3.1 Dati, metodologia e analisi ... 99

3.2 I leader politici italiani: l’euroscetticismo e le strategie di approccio alle tematiche comunitarie trattate ... 104

3.2.1 Silvio Berlusconi: approccio europeo alle tematiche e critiche limitate ... 104

3.2.2 Luigi Di Maio: minima attività su Twitter e nessun riferimento all’Europa ... 109

3.2.3 Giorgia Meloni: approccio nazionale e posizioni contrarie all’Unione Europea ... 110

3.2.4 Matteo Salvini: il recordman di tweet prodotti tra i leader Europei ... 117

3.2.5 Nicola Zingaretti: contro i sovranisti per riformare l’Europa insieme agli alleati .... 124

3.3 L’Europa e l’euroscetticismo in cinque quotidiani italiani: le issues trattate e lo spazio dedicato alle diverse posizioni politiche ... 128

3.3.1 Corriere della Sera: la neutralità la fa da padrona, ma si fa largo una narrazione favorevole all’Unione Europea ... 129

3.3.2 La Repubblica: l’importanza di essere europei e la critica ai movimenti euroscettici e sovranisti ... 134

3.3.3 La Stampa: leggero vantaggio per le posizioni favorevoli, ma regna l’equilibrio .... 140

3.3.4 Il Giornale: pochi tweet pubblicati, ma una netta tendenza verso posizioni critiche nei confronti dell’Unione Europea ... 145

3.3.5 Libero: pochi tweet pubblicati, nel segno della critica all’Unione Europea ... 149

3.3.6 Fatto Quotidiano: la narrazione scettica prevale su quella favorevole all’Unione Europea ... 153

RIFLESSIONI CONCLUSIVE ... 159

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INTRODUZIONE

Le elezioni europee del 2019 hanno confermato l’importante ruolo dei nuovi media all’interno della campagna elettorale dei partiti di tutta Europa. Eventi quali la crisi economica del 2009 – e le conseguenze che tale crisi ha comportato - e il referendum sulla Brexit hanno contribuito a far emergere un sentimento euroscettico che, oggi più che mai, è diffuso in gran parte degli stati membri. Sentimento che comincia a farsi strada fin dal Trattato di Maastricht del 1992 e che, nel tempo, si è sviluppato e diffuso in maniera diversa all’interno degli Stati membri fino a culminare nei vari successi dei partiti euroscettici alle elezioni europee del 2010 e del 2014 – dove solo cinque paesi su 28 non videro l’elezione di parlamentari euroscettici - e nel referendum sulla Brexit.

Lo scopo di questa tesi è dunque quello di mettere in relazione l’euroscetticismo e i social media, al fine di osservare se le caratteristiche di queste piattaforme mediali – con particolare attenzione ai social network – favoriscano o meno l’emergere di una narrazione euroscettica e di frame negativi nei confronti dell’Unione Europea e delle sue istituzioni.

Il primo capitolo, introduttivo, offre una panoramica del fenomeno euroscettico, definendo dapprima il termine “euroscetticismo” e analizzando in seguito la presenza di tale sentimento all’interno dei paesi europei. L’euroscetticismo, a differenza dell’antieuropeismo, nasce per indicare l’opposizione di alcuni partiti e movimenti verso il processo d’integrazione europea. Opposizione che, di paese in paese, può essere di tipo economico, identitario, politico e istituzionale. Abbracciando diverse tematiche, il sentimento euroscettico non è quindi rappresentato in maniera omogenea all’interno del parlamento Europeo, dove i partiti e movimenti euroscettici presenti promuovono una forte critica verso le istituzioni comunitarie partendo da punti di vista e presupposti di diverso tipo. Con il supporto verso l’Unione Europea in continua decrescita dal 2004, è importante allora osservare la crescita dei partiti euroscettici, individuarne le cause e tentare di prevederne le possibili conseguenze. Crescita che non si registra solo durante le tornate elettorali europee, ma anche in occasione delle elezioni nazionali di molti paesi membri, tra cui Italia, Spagna, Grecia, Francia e Gran Bretagna. Successivamente, l’euroscetticismo è osservato in relazione ai nuovi media e al ruolo che questi giocano in termini di rappresentazione delle istituzioni comunitarie. Così come l’euroscetticismo si è sviluppato in modo eterogeneo all’interno dei paesi europei, anche gli studi relativi al rapporto di tale

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fenomeno con i nuovi media offrono prospettive diverse, che definiscono i media talvolta come euro-positivi, talvolta come euroscettici e talvolta come euro-ambivalenti. Sebbene le attuali conoscenze circa gli effetti dei media sul processo d’integrazione siano limitate, è indubbio che alcune caratteristiche delle nuove piattaforme mediale siano in grado di favorire l’emergere di frame negativi e critici verso le istituzioni europee. Analizzando le diverse strategie presenti all’interno dei nuovi media – quali il media negativity e il media framing – si cerca allora di definire se, effettivamente, le caratteristiche delle nuove piattaforme mediali favoriscano o meno l’emergere della narrazione euroscettica. Gli studi condotti sembrano confermare che i media, rispetto al contesto democratico, sono propensi a adottare un approccio negativo rispetto alla produzione e diffusione di informazioni politiche. Approccio che si basa dunque sulla polemica e sulla critica, dando luogo a quella che i ricercatori definiscono “spirale del cinismo”, all’interno della quale i media sono individuati come i principali responsabili della cattiva reputazione della politica e della mancanza di fiducia nelle istituzioni da parte dei cittadini. Nel contesto politico europeo, la spirale del cinismo si trasforma in una “spirale dell’euroscetticismo” dovuta principalmente alla mancata, o comunque scarsa, diffusione di notizie a supporto dell’integrazione europea. La parte finale del primo capitolo si concentra sulle risposte che l’Unione Europea ha messo e intendere mettere in atto al fine di combattere proprio la crescita dell’euroscetticismo, le quali passano tutte da un incremento della partecipazione e del coinvolgimento dei cittadini rispetto alle decisioni prese a livello comunitario.

Il secondo capitolo individua i tre attori principali dell’arena politica stessa: i cittadini, il sistema dei media e il sistema politico. Questi attori si relazionano tra di loro grazie alla comunicazione politica, che gli studiosi rappresentano attraverso diversi modelli che definiscono il ruolo di ognuno di essi all’interno dello spazio pubblico. In particolar modo, all’interno delle nuove piattaforme mediali, la comunicazione politica ha subito nette trasformazioni che hanno imposto al sistema politico un cambio di rotta in termini di organizzazione interna e comunicazione. Lo sviluppo tecnologico e il nuovo contesto politico-istituzionale hanno permesso, da una parte, ai partiti di allestire una massiccia presenza digitale in grado di raggiungere una larga fetta di elettorato, dall’altra hanno modificato i rapporti esistente tra gli attori politici e il sistema dei media. La narrazione euroscettica, in questo contesto, sembra poter ottenere particolari vantaggi dall’utilizzo delle nuove piattaforme mediali, le quali permettono di condurre campagne elettorali permanenti, di raggiungere i cosiddetti “floating voters” e di

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sfruttare le caratteristiche della rete per mettere in risalto un tipo di comunicazione decostruttiva, polemica e di rottura nei confronti delle istituzioni in grado invece di esaltare le tematiche e le idee proposte dai movimenti e dai partiti che adottano questo tipo di strategia. Sarà quindi analizzato il comportamento dei leader e dei partiti euroscettici non solo in riferimento alle attività in seno al Parlamento Europeo, ma anche riguardo alle ultime tornate elettorali, evidenziando le tematiche affrontate e il modo in cui queste sono trattate all’interno dei social network. Sarà il modo, questo, per capire se all’interno dei nuovi media prevale il sostegno piuttosto che la critica all’Unione Europea e per osservare il comportamento, oltre che degli attori politici, dei cittadini rispetto al modo con cui questi ottengono le informazioni politiche. Si vedrà poi, osservando i diversi report Eurobarometro pubblicati dalla Commissione Europea, che elementi quali la visibilità, il tono e il framing adottati dai movimenti e partiti politici risultano influenti ai fini della copertura mediale e verso le intenzioni di voto dei cittadini e verrà analizzato infine il comportamento dell’Unione Europea in relazione alle strategie comunicative e alla copertura mediale atta a garantire a questa una connessione diretta con i cittadini.

Il terzo e ultimo capitolo analizza, infine, la campagna elettorale per le elezioni europee del 2019 in Italia. La campagna elettorale italiana, infatti, si è distinto durante le ultime elezioni per la grande attività dei leader politici nazionali sui social networks, registrando il maggior numero di contenuti pubblicati sulle diverse piattaforme. Prendendo in considerazione i principali leader politici del nostro paese (Matteo Salvini, Luigi Di Maio, Giorgia Meloni, Silvio Berlusconi e Nicola Zingaretti) e i quotidiani più diffusi e polarizzati (Corriere della Sera, La Repubblica, La Stampa, Libero e Il Fatto Quotidiano), viene osservato l’ultimo mese di campagna elettorale, esaminando la narrazione utilizzata da ognuno di questi soggetti su Twitter. Quali issues sono trattate? Viene dato spazio alle tematiche europee? E come, quest’ultime, vengono affrontate? Una volta data una risposta a queste domande, verrà infine analizzato il livello di engagement dei contenuti riguardanti le tematiche europee – con particolare attenzione ai contenuti euroscettici – per stabilire se, effettivamente, vi è una relazione positiva tra i nuovi media e l’emergere del fenomeno euroscettico. L’analisi si baserà su test statistici quali il test di Kruskal – Wallis e sulla raccolta dei dati dei diversi campioni presi in esame – media, mediana, deviazione standard su tutti. Questi elementi consentiranno di analizzare l’engagement relativo ai tweet che hanno come argomento l’Europa e, in particolar modo, l’euroscetticismo.

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Capitolo 1

L’EUROSCETTICISMO: PANORAMICA DI UN FENOMENO DIFFUSO

1.1 Che cos’è l’Euroscetticismo?

1.1.1 Evoluzione del sentimento euroscettico in rete: paesi fondatori e nuovi entrati

Nell’ottica di studiare e analizzare l’impatto dei nuovi media in riferimento al sentimento euroscettico dilagante in Europa occorre, innanzitutto, definire il termine e esaminare le cause che hanno portato alla nascita e allo sviluppo di tale sentimento. La definizione della parola “euroscetticismo” è inoltre importante per distinguere i cosiddetti euroscettici da coloro i quali vengono identificati con il termine eurofobici. L’euroscetticismo si presenta come una diretta conseguenza del progetto di unificazione politica europea: man mano che nuovi Stati entrano a far parte dell’UE, vi è la necessità da parte dei paesi membri di preservare l’identità europea e di contenere rischi e paure relative all’indebolimento dei flussi economici e sociali.

Il termine euroscetticismo nasce per indicare l’opposizione di alcuni partiti politici nei confronti dell’integrazione europea. Una definizione minima del termine è quella riportata da elaborata da Taggart, secondo il quale esso coincide con:

la nascita di una opposizione identitaria e strumentale al processo di integrazione europea, con riferimento alla Europa come nuova comunità politica, come conflitto su determinate aree di regolazione, come area di ridefinizione identitaria (Cit. in Viviani 2010, 160)

Tuttavia, domande relative al perché l’euroscetticismo nasce e come mai si diffonde rimangono ancora prive di risposte ben precise. Questa difficoltà definitoria, principalmente, può essere imputata all’ampio panorama che l’euroscetticismo abbraccia: il termine, infatti, comprende chi si oppone all’Europa come spazio politico e sociale, chi si oppone all’insieme di regole sovranazionali e chi invece è in contrasto con le politiche attuate a livello comunitario. Sempre secondo Viviani (2010,159-161), esistono quattro diverse dimensioni a cui il concetto di euroscetticismo fa riferimento.

La prima dimensione è di tipo utilitarista e prettamente economica: secondo questa dimensione, l’Europa non porta alcun vantaggio materiale. Questo filone denuncia la liberalizzazione e il libero mercato.

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La seconda dimensione vede l’Europa come un pericolo per l’identità dello stato. È quindi legata al tema della sovranità nazionale: questo filone spinge per un trasferimento di potere dall’Unione Europea agli stati membri e ha ottenuto una forte cassa di risonanza durante la crisi economica, soprattutto dopo la creazione della Troika.

La terza dimensione è invece dominata dalla sfiducia nel progetto europeo di definizione di spazi, regole e attori democratici e si basa sul principio dell’identità nazionale. Riguardo al libero movimento delle persone, si imputa all’Unione Europea di aver incrementato il fenomeno migratorio incontrollato.

L’ultima dimensione è relativa invece al contesto politico e tocca il problema riguardante la democrazia. Secondo questo filone, Il deficit democratico attorno al quale l’Unione Europea è costituita ha, in altre parole, causato una mancanza di trasparenza decisionale e alti costi burocratici. La soluzione proposta è allora quella di ampliare le misure di democrazia diretta e di snellire la burocrazia delle istituzioni comunitarie. L’euroscetticismo nasce quindi da una serie di trasformazioni politico-sociali derivanti dal processo d’integrazione e viene alimentato dal trasferimento di sovranità a livello europeo e dal rapporto tra l’Unione Europa stessa e i vari governi nazionali. Proprio la dimensione nazionale costituisce un elemento importante da considerare, in quanto il rigetto del “progetto Europa” viene spesso giustificato con il desiderio di un ritorno “ai confini familiari dello Stato-nazione” (Mair 2007, 3-4). Ecco allora che il tema si riversa anche all’interno del contesto nazionale, dove i conflitti interni e le articolazioni sociali e politiche rendono ancora più difficile individuare una base di opposizione all’Europa. L’euroscetticismo, secondo Conti e Memoli (2016), assume una certa rilevanza a partire dagli anni Novanta, periodo in cui viene utilizzato come “sinonimo” di ogni sentimento di critica e contrasto verso L’Unione Europea, è generalmente affiancato da una forte sfiducia nel governo e nelle istituzioni pubbliche (De Vreese 2007, 272). Agli albori dell’Unione Europea, i cittadini si dimostrarono in maggioranza disinteressati e propensi a delegare ai propri rappresentanti il processo d’integrazione. Questo comportamento consentì alle élite politiche di controllare ogni dinamica comunitaria almeno fino al Trattato di Maastricht del 1992, vero punto di snodo del sentimento euroscettico presente oggi all’interno dei vari Paesi (Viviani 2010, 157-158). Crespy e Verschueren (2009 cit. in. Viviani 2010) ritengono che proprio il dibattito creatosi attorno a questo Trattato abbia posto fine al “consenso permissivo” che fino a quel momento prevaleva, lasciando il posto a un dissenso costruttivo (Hooghe e Marks 2009, cit. in Viviani 2010) che non ha fatto altro che aumentare il conflitto. Da questo momento in avanti, l’opinione pubblica

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europea risulterà sempre più scettica riguardo ai temi e alle politiche adottate e si svilupperà una netta distinzione tra i nuovi Stati membri e quelli fondatori. Nei primi, infatti, il sostegno all’Unione Europea appare più elevato e la fiducia nelle istituzioni comunitarie è relativamente alta. Nei paesi appartenenti all’UE di lungo corso, invece, l’opinione pubblica risulta maggiormente critica, soprattutto in seguito a grandi eventi come la crisi economica o l’adozione della moneta unica. Con il proseguire degli anni, il percorso di convergenza delle politiche degli Stati membri è andato sempre più frammentandosi, culminando nella mancata approvazione del Trattato per una Costituzione per l’Europa del 2003, rigettato da Francia e Paesi Bassi nel 2005, appena due anni dopo. Come è facile dedurre, lo scontento non ha carattere univoco ma varia sia a seconda delle tematiche al centro del dibattito sia a seconda del paese in cui tali dinamiche vengono affrontate. L’Eurobarometro, ad esempio, elabora un rapporto nazionale denominato “Eurobarometer standard 88” con il quale raccoglie le posizioni dell’opinione pubblica dei cittadini nell’Unione Europea. L’ultimo rapporto, pubblicato per ogni Stato nel Dicembre del 2017 e richiesto dalla Commissione Europea, prende in considerazione tre tematiche principali quali il lavoro, l’immigrazione e l’economia, analizzando il grado di entusiasmo e di scetticismo e misurando la fiducia nelle istituzioni da parte dei cittadini di ogni singolo Paese membro. Prendendo a esempio la domanda “Il suo Paese dovrebbe aiutare i rifugiati?” è possibile evidenziare la netta differenza d’idee in tema di immigrazione che regna nell’Unione Europea. In media, i cittadini europei hanno dato le seguenti risposte: “Sì” al 67%, “No” al 27% e “Non So” al 6%. Concentrandosi sulla risposta “No”, si nota come in Italia essa raccolga il 44%, in Francia il 33%, in Ungheria il 66% e in Germania addirittura solo il 10%. Per quanto riguarda il grado di appartenenza alle istituzioni comunitarie, solo in Italia e in Gran Bretagna (dove i cittadini avevano già votato per l’uscita dall’UE nel 2016) si ritiene che il Paese potrebbe avere un futuro migliore se fosse uscito dall’Unione Europea.

Ceron, Curini e Mainenti (2015), al fine di misurare lo scetticismo diffuso tra i cittadini degli Stati membri, prendono invece in considerazione quattro diverse aree tematiche: austerity, occupazione, unione fiscale e unione bancaria. Anche in questo caso, a seconda del tema toccato, il grado di scetticismo varia da paese a paese. L’austerity, nonostante raccolga i risultati più negativi in assoluto, trova l’approvazione della Germania (51%), seguita da due paesi entrati successivamente nell’Unione Europea come la Romania (43%) e la Polonia (36% circa). Paesi fondatori come Francia e Italia hanno un sentimento pro-austerity pari, rispettivamente, al 15,2% e al 16,2%. Emerge dunque, salvo il caso della Germania, una netta distinzione tra Paesi che da molto tempo fanno parte dell’Unione Europea e “new entry”: mentre i primi risultano

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più scettici, i secondi sembrano vivere ancora una sorta di luna di miele con le istituzioni comunitarie. Legato alle condizioni economiche, questo trend è confermato anche in relazione al tema dell’Euro, dove il sentiment positivo è alto nei nuovi paesi dell’Eurozona quali Croazia, Polonia, Romania e Ungheria e basso i quelli che hanno adottato la moneta unica nel 1999 (Austria, Francia, Italia).

Il sentimento di sfiducia rispetto alle politiche adottate dall’Unione Europea, causa primaria dell’affermazione dei partiti euroscettici, è forte in Paesi centrali come Italia, Francia e Regno Unito (dove il sostegno supera di poco il 30%), mentre è notevolmente inferiore in Germania, Romania e Polonia (il sostegno si avvicina e supera il 50%). Eccezion fatta per la Germania, dunque, tra i paesi membri storici sembra essersi diffuso un sentimento di stanchezza e sfiducia nei riguardi delle istituzioni europee, dovuto sia alle diverse esigenze di ogni paese, sia alla crisi economica che l’intero continente si trova a dover affrontare. La posizione, per certi versi anomala, della Germania è forse comprensibile se si considera il trend “germano-centrico” dell’Unione Europea stessa, trend che spiega di conseguenza il sentimento negativo presente in paesi come Francia ed Italia, i quali non intendono cedere sovranità alla leadership tedesca.

Studiare l’euroscetticismo all’interno del contesto in cui si sviluppa e studiare le diverse forme che esso assume è quindi importante per capire i segnali che tale fenomeno trasmette riguardo al funzionamento delle istituzioni comunitarie. Pur non avendo un impatto diretto sul processo di policy-making dell’Unione Europea, l’euroscetticismo rappresenta infatti un campanello d’allarme che deve essere costantemente monitorato al pari delle altre dinamiche che si creano, sviluppano e evolvono all’interno della società (Usherwood 2014). Un esempio che mette in risalto l’importanza del monitoraggio di tale sentimento è quello relativo al referendum sulla Brexit, quando la vittoria dell’uscita dall’UE (52% dei votanti) mise in evidenza tutte le problematiche relative alle istituzioni europee e alla sfiducia che esse suscitavano tra i partiti politici e la società civile. In generale, il supporto all’Unione Europa è in decrescita dal 2004 e l’unico caso anomalo è costituito dalla Polonia, dove l’apprezzamento per le istituzioni comunitarie si è assestato tra l’80% e l’89% anche negli anni della crisi economia (Guerra 2017, 30-35).

1.1.2 L’euroscetticismo: tentativi di classificazione

Il referendum sulla Brexit rappresenta, a oggi, il punto più alto del continuo declino di supporto nei confronti del processo d’integrazione europea. La partecipazione alle elezioni per il Parlamento Europeo è infatti decresciuta negli anni: basti pensare che alle elezioni del 1999

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votarono circa il 62% degli aventi diritto, mentre in quelle del 2014 solo il 42% (Caiani e Guerra 2017, 2-5). La stessa fiducia nei confronti delle istituzioni europee, secondo i dati raccolti da Eurobarometro nel 2018, è passata dal 57% del 2007 al 42% del 2018, toccando il punto più basso tra il 2012 e il 2014, gli anni della crisi economica. Questa crescente mancanza di sfiducia ha portato, di conseguenza, a una crescita dei partiti euroscettici in molti paesi dell’Unione Europea, come il Front National in Francia (cresciuto di 19 punti percentuali dal 2009, quando raccolse il 6% dei voti, al 2014 quando arrivò invece al 25%), l’UKIP nel Regno Unito (+10 punti percentuali rispetto al 2009), Podemos in Spagna, il Movimento Cinque Stelle in Italia e Syriza in Grecia.

Per tracciare uno schema delle differenze e similitudini tra i vari partiti euroscettici è necessario distinguere questi dai partiti eurofobici. Una prima definizione di euroscetticismo è proposta da alcuni studiosi, tra cui Taggart e Szczerbiak (2002, cit. in Guerra 2017), che operano una prima distinzione tra soft e hard euroscepticism. Il primo fa riferimento a quei partiti o movimenti che non sono contrari al processo d’integrazione europeo o all’appartenenza del proprio paese all’UE, ma che muovono critiche riguardo a specifiche politiche che vanno contro l’interesse nazionale. Partiti che sono riconducibili al soft euroscepticism sono, ad esempio, Podemos e Syriza. Chi appartiene al filone dell’hard euroscepticism, invece, muove una forte critica all’Unione Europea e al processo d’integrazione e supporta l’uscita dall’UE stessa (Guerra 2017, 21-49). Esempi di partiti che appartengono all’hard euroscepticism sono il Front National francese, l’Alternative für Deutschland ed il Party for Freedom di Geert Wilders (Paesi Bassi). In Italia, sia il Movimento Cinque Stelle che la Lega e Fratelli d’Italia sono stati classificati all’interno di questa categoria. Il Movimento Cinque Stelle ad esempio, soprattutto nel periodo iniziale del suo sviluppo, proponeva infatti un referendum per l’uscita dall’Euro al fine di rivitalizzare le politiche sociali e economiche italiane. Punto debole di questa classificazione è il fatto che non prende in considerazione livelli intermedi come, ad esempio, le categorie cosiddette “neutrali” a cui appartengono coloro che non hanno un’idea ben chiara dell’Unione Europea o non sono affatto interessati agli affari comunitari. Un’ulteriore categoria è stata allora introdotta da FitzGibbon (Bijsmans 2017, 73-95), il quale fa riferimento all’Euroalternativism, i cui appartenenti supportano l’integrazione europea e l’Unione Europea ma chiedono un migliore progetto sovranazionale e un approccio diverso alle politiche esistenti.

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Figura 1: Categorizzazione introdotta da FitzGibbon Fonte: Bijsmans 2017, 80)

1.1.3 L’euroscetticismo all’interno del Parlamento Europeo

Per quanto riguarda i partiti euroscettici erano presenti, nel Parlamento Europeo formatosi a seguito dalle elezioni del 2014, 30 formazioni di 18 diversi paesi membri che, unitariamente, collezionavano 125 seggi (16,6%) (Bertoncini e Koenig 2014, 3-5). La “formazione degli euroscettici”, se così può essere definita, è altamente eterogenea e è caratterizzata da una forte critica nei confronti dell’integrazione europea e di molte decisioni politiche prese dalle istituzioni comunitarie. Rispetto al 2009, il fronte euroscettico guadagnò 41 ulteriori seggi, occupati per gran parte dal partito tedesco Alternative für Deutschland (AfD), dal Movimento Cinque Stelle e dal polacco Kongres Nowej Prawic (KNP). Bertoncini e Koenig (2014, 8-11) dividono i partiti euroscettici in tre diversi sottogruppi. Il primo include i partiti che chiedono l’uscita del proprio paese dall’area Euro tramite un referendum (Movimento Cinque Stelle). Il secondo gruppo, invece, non rigetta l’idea della moneta unica ma si batte per una concreta riforma dell’area Euro. Questo raggruppamento include partiti di destra come l’Alternative für Deutschland e partiti di sinistra come lo spagnolo Podemos e il Partito Socialista olandese. Le loro idee, ovviamente, sono diametralmente opposte ma questi partiti si uniscono nel richiedere la possibilità per ogni singolo Stato di scegliere se uscire o meno dall’Eurozona. Il terzo e ultimo gruppo è quello più vicino alle idee eurofobiche e include partiti che chiedono una rinegoziazione dei Trattati e un referendum sull’appartenenza all’Unione Europea. Fanno parte di questo gruppo gran parte dei partiti euroscettici inglesi (come, per esempio, l’UKIP), il partito ungherese Jobbik e il finlandese Finns Party.

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I partiti euroscettici nel 2014 erano formalmente divisi, all’interno del Parlamento Europeo, in tre diversi gruppi: i Conservatori e Riformisti Europei (ECR), la Sinistra Unitaria Europea/Sinistra Verde Nordica (GUE/NGL) e il Gruppo Europa delle Libertà e della Democrazia diretta (EFDD). Proprio durante le elezioni del 2019 si è aggiunto un nuovo gruppo, l’Europa delle Nazioni e delle Libertà guidato dalla Lega di Salvini e dal Rassemblement National di Marine Le Pen, che ha guadagnato 58 seggi in Parlamento.

Alla vigilia dell’ultima tornata elettorale, il Gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei era, con 70 seggi (di cui 54 occupati da partiti euroscettici), il terzo gruppo all’interno del Parlamento Europeo avendo superato, rispetto al 2009 - anno della sua fondazione (57 seggi) - sia i Verdi (ALE) che l’Alleanza dei Democratici e Liberali per l’Europa (ADLE). Dopo le elezioni del 2019, l’ECR ha conservato 62 seggi collocandosi al quinto posto tra i gruppi rappresentati all’interno del parlamento, perdendo così rispetto al 2014 otto seggi. Questo, in parte, è dovuto anche alla formazione del nuovo gruppo Europa delle Nazioni e delle Libertà, il quale ha visto l’adesione di partiti appartenenti in precedenza proprio all’ECR. Tutti i partiti appartenenti al gruppo fanno parte della destra moderata e si definiscono come “euro-realisti” e euroscettici moderati. Ciò che propongono è una nuova direzione e un’Unione Europea riformata sotto forma di una comunità di nazioni che cooperano nelle aree dove vi sono interessi comuni. L’ECR non rigetta il principio d’integrazione europea, ma si oppone alla creazione di un “super Stato” e si batte a favore di un’integrazione più flessibile che rispetti la sovranità nazionale, incrementi il controllo sull’immigrazione e attui il principio di sussidiarietà. Fanno parte dell’ECR, tra gli altri, il Conservative Party inglese, Fratelli d’Italia, ChristenUnie (Olanda), il Finns Party finlandese, il Croatina Conservative Party, Prawo i Sprawiedliwość (Polonia) e la National Alliance lettone.

Il secondo gruppo euroscettico per grandezza era quello della Sinistra Unitaria Europea/Sinistra Verde Nordica, che occupava 52 seggi (57 nel 2009) di cui 42 divisi tra 12 partiti euroscettici collocabili nell’area dell’estrema sinistra. Dopo le elezioni del 2019 questo gruppo è sceso a 41 seggi, perdendo quindi ben undici rappresentanti. Lo slogan del GUE/NGL è “Another Europe is possible”, che sottolinea come questo raggruppamento non sia contrario all’Unione Europea e al processo d’integrazione, bensì favorevole a un cambiamento delle sue caratteristiche. La visione d’Europa sostenuta dal gruppo si basa sulla solidarietà, sull’equità e sulla sostenibilità del sistema politico, economico e culturale del continente. Fanno parte di questo gruppo, tra gli altri, Podemos, Syriza, il Sinn Féin e il Partido Comunista Portugués.

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All’interno del Gruppo Europa delle Libertà e della Democrazia diretta (EFDD - 48 seggi, 31 nel 2009) vi erano solo 4 partiti euroscettici. L’EFDD era il gruppo più euroscettico tra i tre e, dominato dai partiti eurofobici, si oppone duramente al processo d’integrazione proponendo una cooperazione tra stati sovrani che superi l’attuale deficit di democrazia e trasparenza che attanaglia l’Unione Europea. Fanno parte di questo gruppo, tra i partiti euroscettici, il Movimento Cinque Stelle, l’Alternative für Deutschland, Tvarka ir teisingumas (Lituania), il KORWiN (Polonia) e, dalle elezioni 2019, il Brexit Party di Nigel Farage. Dal 2 luglio del 2019 il gruppo si è sciolto, in seguito del passaggio dell’AfD al gruppo Identità e Democrazia.

Il gruppo Europa delle Nazioni e della Libertà, rinominato poi nel 2019 Identità e Democrazia è nato, come detto, alla vigilia delle elezioni del 2014 guidato dalla Lega di Salvini e dal Rassemblement National della Le Pen e occupa attualmente 73 seggi. Il gruppo basa i propri ideali sulla sovranità degli stati e dei cittadini e sulla cooperazione tra le nazioni, rigettando sia l’idea di un super-stato sia quella relativa a un modello sovra-nazionale, proponendo invece uno stretto controllo sull’immigrazione.

Infine, 4 partiti euroscettici, tra cui l’ungherese Jobbik e il Democratic Unionist Party (GB), non fanno parte di alcun gruppo. Questi partiti si spartivano, alla vigilia delle ultime elezioni, 8 seggi.

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Figura 2: Distribuzione dei seggi al Parlamento Europeo durante le ultime tre elezioni Fonte: http://www.europarl.europa.eu

Dalla figura 2 è possibile capire il trend di incremento/decremento seggi di ogni gruppo presente all’interno del Parlamento Europeo nelle ultime tre tornate elettorali: quella del 2009, quella del 2014 e quella del 2019. Il Gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei, “partito” dal 57 seggi, ha avuto un notevole incremento nel 2014 (77 seggi) per poi calare nuovamente nel 2019 a 62 seggi. Questo, come già detto, potrebbe essere dovuto anche alla nuova composizione del Parlamento Europeo stesso, all’interno del quale si sono formati nuovi gruppi euroscettici guidati da partiti a forte trazione nazionale come la Lega di Salvini e il Rassemblement National

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della Le Pen. Rispetto al 2009, comunque, i seggi conquistati dall’ECR sono leggermente più alti (cinque in più rispetto alla prima elezione presa in considerazione). La Sinistra Unitaria Europea/Sinistra Verde Nordica è passata dai 35 seggi del 2009 ai 5 del 2014, assestandosi a 41 seggi nel 2019. Anche in questo caso, dopo un incremento di consensi nel 2014, il gruppo ha riscontrato un calo nel 2019 mantenendo comunque un numero di seggi maggiore rispetto al 2009. L’EFDD, scioltosi poi nel 2019, tra il 2009 e il 2014 vide incrementare i propri seggi e, prima dello scioglimento, era rappresentato da 54 eurodeputati. Infine, il gruppo Europa delle Nazioni e delle Libertà (diventato poi Identità e Democrazia) aveva nel 2014 36 seggi, saliti a 73 nel 2019. Elemento comune tra i gruppi rappresentati dai partiti euroscettici è il picco di consensi durante la tornata del 2014: questo, tra le altre cose, potrebbe essere dovuto al periodo di forte instabilità in cui versava l’Europa a causa della crisi economica. Questo trend dipende ovviamente anche dalle fluttuazioni dei vari partiti, i quali spesso passano da un gruppo all’altro, ma risulta evidente che eventi negativi quali la crisi economica riescono a influenzare l’incremento o decremento della presenza euroscettica all’interno del Parlamento Europeo.

1.1.4 L’euroscetticismo all’interno dei paesi europei: differenze e similitudini

A livello nazionale, i partiti euroscettici hanno avuto un notevole successo durante le ultime tornate elettorali. A cavallo tra il 2010 ed il 2014, infatti, in gran parte d’Europa partiti come Syriza, Movimento Cinque Stelle, Jobbik e The Finns hanno ottenuto un largo consenso, collocandosi un po' ovunque tra il secondo e terzo posto della scala nazionale. Basti pensare che, durante le elezioni del 2014, solo cinque paesi su 28 non hanno eletto nessun parlamentare euroscettico (Estonia, Lussemburgo, Malta, Romania e Slovenia). E, tra questi, solo la piccola isola di Malta non aveva alcun partito di questo tipo partecipante alla competizione elettorale. In Grecia Syriza, addirittura, si è successivamente affermato come il primo partito alle elezioni europee delle 2014, collezionando il 26,6% dei voti. Il sentimento euroscettico, come già affermato, si è accentuato in concomitanza con la crisi economica del 2008 e ha investito in maniera diversa gli stati membri dell’Unione Europea. Il diverso coinvolgimento e la diversa affermazione di tale sentimento dipendono da una serie di fattori - tra cui le politiche di austerity - i quali hanno determinato una reazione eterogenea a livello di supporto o critica delle politiche comunitarie che, brevemente e per alcuni paesi membri, verrà analizzata (Nielsen e Franklin 2014, 17-239). I Paesi selezionati sono la Francia, la Germania, la Gran Bretagna, l’Italia, i Paesi Scandinavi, la Spagna, i Paesi Bassi e il Belgio. Alcuni di questi paesi sono tra i fondatori dell’Unione Europea (Italia, Belgio, Francia, Germania e Paesi Bassi) ma nonostante ciò vivono e hanno vissuto momenti e situazioni economiche, sociali e culturali del tutto diverse. Altri, invece,

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sono paesi membri caratterizzati da contesti eterogenei: la Spagna, a differenza ad esempio dei Paesi Scandinavi, ha sicuramente risentito in maniera più accentuata della crisi economica scoppiata nel 2008, avvicinandosi sotto questo punto di vista alla situazione italiana.

In Francia, storicamente, i due partiti che si opponevano al processo d’integrazione europea erano il Partito Comunista Francese (PCF) e il Rassemblement pour la République (RPR). L’ascesa del Front National (FN) ha però sparigliato le carte e rubato la scena nell’ambito dell’euroscetticismo francese (Reungoat 2016, 17-37). Nato nel 1983, originariamente il Front National si schierò a favore delle istanze europee con l’unico obiettivo di voler difendere il nazionalismo a livello comunitario. Già pochi anni dopo, tuttavia, la posizione del partito mutò anche se le problematiche europee non si collocarono al centro del programma elettorale fino a quando il presidente Mitterrand ratificò il Trattato di Maastricht nel 1992. Da questo momento, nacquero e si diffusero molti partiti euroscettici i quali si diversificavano tra loro per il tipo di criticismo adottato. I movimenti euroscettici francesi possono essere divisi e collocati all’interno di due diverse ideologie: la prima, marcatamente di sinistra e sviluppata dai comunisti, denuncia il modello liberale socioeconomico dell’Unione Europea e la mancanza di democrazia nel suo sistema di governo; la seconda invece, composta da forze politiche di centro destra e dal Front National, si basa sulla difesa dello Stato-Nazione e rivendica la sovranità nazionale francese. Le critiche all’Unione Europea si sono accentuate nel 2009 e amplificate durante le elezioni del 2014, quando le campagne elettorali dei partiti euroscettici sono diventate molto più decise e sono state improntate su una “chiamata al cambiamento” dell’Unione Europea stessa. Il Front National, dal 2011, si batte addirittura per l’uscita dall’Eurozona e per il ritorno al Franco. Le elezioni del 2014 hanno rappresentato un grande successo per l’euroscetticismo francese, rappresentato soprattutto dal Front National di Marine Le Pen che ha raggiunto il 25% dei voti collocandosi al primo posto della competizione elettorale. Il partito della Le Pen, rinominato successivamente Rassemblement National, ha confermato il suo primato durante le elezioni del 2019, attestandosi al 23%. La sorpresa di quest’ultima tornata elettorale è però il risultato raggiunto da Europe Ecologie Les Verts, partito che ha raggiunto il 14% dei consensi e che si colloca nell’ideologia di sinistra che, come descritto precedentemente, critica il deficit democratico delle istituzioni comunitarie

La Germania, come già anticipato, costituisce un caso particolare all’interno del panorama europeo. Il partito euroscettico più importante è da sempre Alternative für Deutschland (AfD), nato nel 2013 come movimento anti-euro per mano di Bernd Lucke, che nel 2014 ha ottenuto il

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7% dei voti conquistando sette seggi all’interno del Parlamento Europeo. Fondato in protesta contro le politiche del governo europeo, si batte per una stretta politica immigrazionista ed è fortemente critico verso l’establishment politico e governativo europeo (Reher 2016, 37-57). L’AfD, in Germania, si batte per la dissoluzione dell’Euro e ha posizioni contrarie al multiculturalismo e all’immigrazione incontrollata anche se, a discapito di quanto successo in altri paesi, in terra tedesca l’euroscetticismo ha da sempre una presa più debole. Secondo l’Afd, l’Euro ha creato una competizione che ha portato i paesi del Sud Europa alla povertà, minando le prospettive delle generazioni future. I leader del partito non si collocano né a sinistra né a destra e non cercano il supporto di partiti estremisti come il National Democratic Party of Germany (NPD). Tuttavia, come detto, chiedono regole stringenti per l’immigrazione sia a livello interno che comunitario. L’AfD ha, tra i suoi sostenitori, sia chi si scaglia ferocemente contro l’Europa e vorrebbe l’uscita della Germania dall’UE, sia chi al contrario sostiene l’Europa e chiede che sia riformata. Durante le elezioni del 2019 l’AfD ha incrementato la percentuale dei votanti, passando all’11%, ma la vera novità è il risultato del GRÜNE (Verdi), attestatosi al 21%.

La Gran Bretagna costituisce un caso ancor più particolare, in quanto le elezioni europee del 2014 si sono svolte attorno al tema della Brexit, ovvero della possibilità uscita del Paese dall’Unione Europea. Il partito euroscettico che ha raggiunto il risultato più eclatante è stato l’UK Indipendence Party (UKIP) che, con il 27% dei voti, si è collocato al primo posto su scala nazionale costituendo, in tal senso, un’anomalia nel sistema politico inglese (Vasilopoulu 2016, 57-83). Per la prima volta, infatti, né il Partito Laburista ne quello Conservatore hanno vinto le elezioni nazionali. Ma, dati alla mano, il successo dell’UKIP non appare, nel panorama politico inglese, del tutto inaspettato: fin dalla sua nascita (1993), infatti, il partito ha visto crescere i suoi voti a discapito dei partiti tradizionali. L’UKIP nacque per mano della Anti-Federalist League, organizzazione fondata nel 1991 già con l’obiettivo di indirizzare i conservatori verso politiche euroscettiche. Il partito si affermò soprattutto dal 2006, anno in cui Nigel Farage conquistò la leadership e indirizzò il movimento verso istanze care alla classe lavoratrice bianca e anziana oppressa, a sua detta, dal sistema politico comunitario. Il partito di Farage riuscì a conquistare consensi cavalcando la paura di fenomeni quali l’immigrazione, la crisi economica e la gestione della crisi greca, evidenziando le incapacità politiche dell’Unione Europea. Questa crescita era dovuta anche al contesto in cui l’UKIP operava: in Gran Bretagna, l’euroscetticismo costituisce da sempre un sentimento preminente. Basti pensare che nel 2011 l’Eurobarometro confermò che solo il 26% dei britannici era favorevole al fatto che la Gran Bretagna rimanesse nell’Unione Europea, risultato che si collocava ben 21 punti percentuali sotto la media comunitaria, mentre

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il 49% aveva un’opinione negativa su di essa. Durante le elezioni del 2014 l’UKIP, collocatosi all’interno del gruppo EFDD, dominò l’intera campagna elettorale in suolo britannico grazie all’idea di voler provocare un terremoto politico scatenato dall’uscita della Gran Bretagna dall’UE. L’UKIP collegò il fenomeno migratorio alla forte disoccupazione e Nigel Farage parlò d’irresponsabilità nel voler aprire le porte a milioni di bulgari e rumeni appena entrati a far parte dell’Unione Europea, sollecitando di convesso un maggior controllo delle frontiere e accusando l’UE di essere poco democratica e troppo burocratica. La campagna elettorale svoltasi attorno alla Brexit, come detto da Alexander Betts in un TedSummit del 2016 intitolato “Why Brexit happened – and what to do next”, si incentrò soprattutto sui temi dell’immigrazione e della sovranità, nel tentativo di convincere i britannici che un voto contro l’Europa era un voto utile per ridurre il numero di rifugiati e richiedenti asilo in Gran Bretagna e in Europa stessa. Proprio nel 2016, in seguito alla vittoria del “Leave” nel referendum sulla Brexit, Nigel Farage abbandonò il partito per formare, successivamente, il Brexit Party. La tornata elettorale del 2019 ha visto Farage, stavolta a capo del Brexit Party, ottenere il 31% dei consensi (primo partito britannico), con l’UKIP che si è fermato invece al 3%. Questi, sommati, hanno raggiunto il 34% e si identificano come i protagonisti dell’hard Brexit. Un altro movimento euroscettico è il Britain First, costituito nel 2011 da Jim Dowson e da alcuni ex membri del British National Party. Britain First si definisce un partito patriottico inglese che punta a difendere la cultura nazionale dal multiculturalismo e dall’Islam. Il movimento di Dowson sta ottenendo diversi consensi soprattutto grazie all’utilizzo dei social, all’interno dei quali la strategia adottata è quella di cavalcare i sentimenti anti-islamici e anti-sistema diffusi in Gran Bretagna. Evento di particolare rilievo, anche in termini di euroscetticismo e utilizzo dei social media, è quello riguardante il referendum per la Brexit. Carole Cadwalladr, durante una TedTalk dell’Aprile 2019 intitolata “Il ruolo di Facebook nella Brexit e le minacce alla democrazia”, ha analizzato gli innumerevoli post pubblicitari ingannevoli che i politici britannici rivolsero agli elettori più vulnerabili, trovando un’analogia con quanto successo alle elezioni presidenziali statunitensi del 2016, stesso anno del referendum d’Oltremanica. Giornalista presso il quotidiano The Observer, Carole Cadwalladr analizza i dati referendari della città di Ebbw Vale, in Galles, dove venne registrata la più alta percentuale a favore del “Leave”: il 62% delle persone aveva infatti votato per l’uscita dall’Unione Europea. La Cadwalladr voleva scoprire il motivo di tale percentuale a favore del “Leave”, nonostante la città avesse beneficiato di diversi fondi europei per la costruzione di plessi atti alla formazione, allo sport, alle infrastrutture e ai trasporti. Conducendo alcune interviste, la giornalista notò che la maggior parte degli abitanti aveva votato per l’uscita

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dall’Unione Europea in quanto riteneva che questa non avesse fatto niente per loro e che la situazione degli immigrati e dei rifugiati era diventata insostenibile, nonostante in realtà il tasso d’immigrazione in città fosse tra i più bassi del paese. Queste contraddizioni portarono la Cadwalladr a porsi la seguente domanda: da quale fonte, i cittadini di Ebbw Vale, si informavano? Roccaforte della sinistra laburista, le risposte fornite dagli abitanti suggerivano però che i tabloid di destra, che durante la campagna adottarono una retorica anti-immigrazionista, dovevano essere i più letti. La giornalista del The Observer non si fermò però solo ai tabloid, ma analizzò anche quanto accadeva su Facebook, dove venivano divulgate notizie negative riguardo tematiche come l’immigrazione. Era tuttavia impossibile avere dati certi, in quanto non vi era un archivio di notizie a cui accedere, né un flusso d’informazioni a cui hanno avuto accesso i cittadini da poter monitorare. La Cadwalladr, durante la conferenza su Ted, denota come la campagna referendaria si sia svolta quasi esclusivamente su Facebook, piattaforma sulla quale è molto difficile condurre indagini conoscitive sulle notizie diffuse e sul loro impatto sulla popolazione, sui dati utilizzati per raggiungere le persone e sui soggetti che inseriscono le notizie e sul loro investimento economico a tal proposito. Solo Facebook, continua la Cadwalladr, ha a disposizione questi dati. Ma si rifiuta di condividerli all’esterno nonostante il Parlamento inglese abbia più volte convocato Mark Zuckerberg (fondatore del social network) per avere spiegazioni. La Cadwalladr, insieme a altri giornalisti, scoprì tuttavia diversi reati commessi su Facebook durante il referendum. Uno riguardava il limite di denaro spendibile, per legge, durante una campagna elettorale: attraverso le piattaforme online, infatti, questo limite viene facilmente bypassato permettendo agli investitori di investire qualsiasi importo. Questo aveva facilitato la campagna “Leave” che, grazie a un riciclo illegale di denaro pari a circa 750.000 sterline, riuscì a riversare su Facebook una campagna di disinformazione massiccia con annunci ingannevoli quali “76 milioni di turchi entrano nell’UE” (la Turchia non aderiva all’Unione Europea) che, targettizzati, erano estranei alla maggior parte delle persone ma raggiungevano i gruppi più influenzabili. La Cadwalladr scoprì anche una connessione tra Nigel Farage e l’equipe di Donald Trump all’interno della società Cambridge Analytica, la quale lavorò sia per il presidente americano che per la Brexit profilando politicamente i cittadini al fine di comprendere le loro tendenze, le loro paure e le loro idee politiche con l’obiettivo di indirizzare al meglio i post di Facebook

L’Italia, secondo una ricerca effettuata da Eurobarometro successivamente alla crisi economica, è uno dei paesi più euroscettici dell’Unione Europea. Questo dato fu confermato nelle elezioni del 2014, quando la metà dell’elettorato votò per partiti euroscettici e populisti, tra cui il

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Movimento 5 Stelle e la Lega Nord (il partito euroscettico più “antico” d’Italia). In Italia il sentimento euroscettico è mosso da una molteplicità di circostanze (dal fenomeno migratorio, alla crisi economica, dalla moneta unica alla disoccupazione etc.) e appartiene, come in Gran Bretagna e in Spagna, principalmente alla destra piuttosto che alla sinistra. Tra i partiti euroscettici che si presentarono alle elezioni del 2014 ricordiamo la Lista Tsipras, il Nuovo Centrodestra, Forza Italia, Lega Nord, Fratelli d’Italia ed il Movimento Cinque Stelle. Tutti questi partiti, ad eccetto della Lista Tsipras, concordavano sulla necessità di indire un referendum per decidere se mantenere o meno l’Italia all’interno dell’eurozona, seppur con alcune differenze tra partito e partito. La Lista Tsipras era contro l’austerity ma non contro l’eurozona e chiedeva una revisione dei Trattati basata sul voto tramite democrazia diretta; Forza Italia si scagliò contro il deficit democratico europeo e l’immigrazione; la Lega Nord ed il M5S cercarono alleanze con l’UKIP e il Front National e erano a favore del ritorno alla Lira. L’Euroscetticismo di Lega e Movimento Cinque Stelle, che formeranno in seguito un governo, parte da una diversa concezione di Europa. Il Movimento 5 Stelle proponeva infatti l’abolizione del fiscal compact e un referendum sulla permanenza o meno nell’Eurozona. Luigi Di Maio, divenuto leader politico del movimento, si pronunciò spesso contro la moneta unica e a favore di una riforma del progetto di integrazione europeo. La Lega Nord, invece, tramite Matteo Salvini definiva l’euro come una “moneta criminale” e chiedeva il rimpatrio di tutti gli immigrati irregolari oltre che il ritorno alla sovranità territoriale, monetaria ed economica (Morini 2016, 83-103). Le elezioni del 2019 hanno visto l’exploit della Lega, passata al 34%, e la notevole crescita di Fratelli d’Italia che, con oltre il 6%, entra per la prima volta all’interno del Parlamento Europeo.

Nei paesi dell’Europa centrale e dell’Est (Croazia, Slovenia, Repubblica Ceca, Bulgaria, Polonia, Romania, Paesi Baltici), la caduta de regimi comunisti lasciò spazio a un forte consenso per il processo d’integrazione europeo ma, seppur tale consenso sia presente tutt’oggi, l’euroscetticismo è riuscito a crescere e a affermarsi. La causa principale della crescita dell’euroscetticismo, in questi Paesi, è stata soprattutto l’inclusione delle questioni europee nelle agende politiche nazionali che, rendendo “concreto” il processo d’integrazione, lo hanno conseguentemente reso meno ideologico e più, per così dire, pericoloso. Nei paesi dell’Est Europa i partiti periferici hanno nel tempo utilizzato l’euroscetticismo per differenziarsi dai partiti tradizionali, i quali condividevano invece una posizione eurofila o avevano una spinta euroscettica particolarmente debole. Bisogna comunque considerare che la fiducia nell’UE è, in questi paesi, ben al di sopra della media europea e è rimasta alta anche dopo la crisi economica dell’Eurozona. Basti pensare che, eccezion fatta per l’Estonia, negli altri paesi la fiducia nella

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Commissione Europea è maggiore rispetto a quella riposta nei governi nazionali. Nei paesi del gruppo di Visegràd (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria), i temi di politica nazionale sovrastano per importanza quelli relativi alle politiche comunitarie. In Polonia i due maggiori partiti euroscettici sono Prawo i Sprawiedliwość (PiS) e il Kongres Nowej Prawicy (KNP): il primo è collocato nel gruppo ECR, mentre il KNP di Korwin-Mikke ha una posizione liberale per quanto riguarda la sfera economica e conservativa rispetto a quella politica. Prawo i Sprawiedliwość (Diritto e giustizia), fondato nel 2001 e guidato da Jaroslaw Kaczynski, adotta un euroscetticismo moderato basato sul conservatorismo nazional-cattolico. Partito di governo, in campo internazionale porta avanti una politica filo-atlantica, con scelte estreme quali quella di acquistare gas liquefatto dagli Stati Uniti d’America. In Ungheria, Fidesz-KDNP ha ottenuto nel 2014 il 51% dei voti (confermati poi nel 2019, quando ha raggiunto il 52%) e 12 seggi all’interno del Parlamento Europeo, mentre Jobbik grazie al 15% (calato al 7% nel 2019) ne ha presi tre. Anche per questi partiti i temi nazionali sono più importanti di quelli comunitari (Stoyanov 2016, 103-125). In particolare, FIDESZ, partito guidato da Viktor Orbàn, è salito alla ribalta delle cronache nel 2018, quando il Parlamento europeo dichiarò il proprio voto a favore delle sanzioni contro l’Ungheria richiamandosi all’articolo 7 del Trattato sull’Unione Europea riguardante i paesi membri che violano i valori fondamentali dell’Unione stessa. Il governo ungherese e il partito di Orban furono accusati di aver favorito l’ascesa di una deriva autoritaria contrastante il carattere democratico dell’Unione Europea.

Anche nei Paesi scandinavi l’euroscetticismo ha trovato il suo spazio, nonostante l’idea di una cooperazione europea non sia mai stata messa in discussione. In Svezia il maggior partito euroscettico, l’ambientalista Miljöpartiet de Gröna (Verdi), si batte per un’Europa più snella che lasci spazio a un maggior controllo da parte dei parlamenti nazionali. Tuttavia, su altri temi come quello della protezione dei minori e dei loro diritti, i Verdi invocano un maggior interventismo da parte delle istituzioni comunitarie. Sverigedemokraterna (SD, Democratici Svedesi) invece adotta una forte politica anti-immigratoria e chiede un referendum simile a quello britannico. I Democratici Svedesi, guidati da Jimmie Akesson, rappresentano un elemento di rilievo nel campo della destra euroscettica e sovranista europea, in quanto nati e cresciuti in un modello democratico che fino a quel momento si riteneva inscalfibile: la socialdemocrazia scandinava. Fondato nel 1988, la Sverigedemokraterna è rimasta per lungo tempo ai margini del panorama politico nazionale. Dal 2006, anno in cui Akesson sale alla guida del partito, i Democratici Svedesi sono riusciti a avvicinare tutti i cittadini delusi dalla crisi del modello svedese, scagliandosi contro l’Europa e contro l’immigrazione massiccia che il paese si era trovata a gestire. In Finlandia, il

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Finns Party (chiamato anche con il nome di Veri Finlandesi), guidato da Jussi Halla-aho, non si pone a favore dell’uscita del paese dall’Unione Europea ma critica fortemente l’Euro e adotta una politica anti-immigrazionista. Disposto a supportare un processo d’integrazione economica al fine di garantire pace e sicurezza, il Finns Party ritiene però prioritaria la sovranità nazionale (Sorensen 2016, 125-149). Elemento distintivo dei Veri Finlandesi è la critica alle battaglie contro i cambiamenti climatici che, a detta di Jussi Halla-aho, rischiano di allontanare le industrie dalla Finlandia.

In Spagna i due principali partiti euroscettici sono Podemos e Vox i quali, alle elezioni del 2019, hanno raggiunto rispettivamente il 10% ed il 6%. Podemos nasce nel 2014 per mano di Pablo Iglesias e di alcuni intellettuali accademici legati al gruppo degli Indignados. Ha raggiunto una grande popolarità dopo la “Marcia per il cambiamento” organizzata nel 2015 a Madrid, durante il quale il leader del partito criticò le èlites nazionali e la finanza europea. Podemos non è contro la moneta unica, ma si scaglia esclusivamente contro le politiche economiche di austerità dettate dall’Unione Europea. Vox, invece, è un partito della destra radicale spagnola guidato da ideologie nazionaliste e anti-immigrazioniste e fondato nel 2013 da ex membri del partito Popolare. Chiusura delle frontiere e lotta al multiculturalismo avvicinano Vox a partiti quali il Rassemblement national francese e l’AfD tedesco. Ma Vox, per certi versi, si spinge oltre e parla di deportazione degli immigrati clandestini nel loro paese di origine, di lotta alle mafie dell’immigrazione clandestina, di chiusura delle moschee e di sospensione dello spazio Schengen. Nei Paesi Bassi, invece, il partito Forum for Democracy (FvD) ha toccato l’11%. Fondato nel 2016 e condotto da Thierry Baudet, l’FvD chiede un controllo maggiore sull’immigrazione e un miglioramento delle relazioni con la Russia e si caratterizza rispetto agli altri movimenti euroscettici europei soprattutto per la campagna eco-scettica che da sempre porta avanti. Baudet, infatti, nega l’esistenza del cambiamento climatico mondiale e critica di conseguenza le politiche portate avanti dalle istituzioni europee riguardo a questa tematica. Ultimo caso preso in esame è quello del Belgio, paese all’interno del quale gran parte delle istituzioni dell’Unione Europea hanno base. Il Belgio è da sempre eurofilo, tanto che nel 2014 il 69% della popolazione valutava positivamente l’appartenenza del paese all’UE, mentre l’euroscetticismo è strettamente legato al regionalismo che da sempre abita in questa nazione. Esempio ne è il Nieuw-VlaamseAlliantie (N-VA) che, dopo aver incrementato i propri voti, è passato dal gruppo dell’European Free Alliance (EFA) a quello dell’ALDE per poi finire nell’ECR, raggruppamento che raccoglie molti partiti euroscettici. All’estrema sinistra troviamo poi il Parti

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du Travail de Belgique (PTB-Go) e il Partij van de Arbeid (PvdA+), i quali rigettano il processo d’integrazione europeo e si oppongono all’economia capitalista comunitaria (Hoon e Brack 2016, 171-197).

IL TREND DEI PARTITI EUROSCETTICI DURANTE LE ULTIME DUE TORNATE ELETTORALI

PARTITO EUROPEE 2014 EUROPEE 2019

Rassemblement National (FR)

25%

23%

Europe Ecologie Les Verts (FR)

9%

14%

AfD (GER)

7%

11%

GRÜNE (GER)

11%

21%

UKIP – BREXIT PARTY (GB)

27%

31%

LEGA (ITA)

6%

34%

M5S (ITA)

21%

17%

Fratelli d’Italia (ITA)

3,5%

6,5%

PiS (PL)

32%

45%

Fidesz (UNG)

51%

52%

Jobbik (UNG)

15%

7%

Podemos (SPA)

8%

10%

Vox (SPA)

2%

6%

FvD (NED)

-

11%

Fonte dei dati: www.europarl.europa.eu

Come è possibile constatare dalla tabella comparativa, in gran parte dei paesi presi in considerazione i partiti euroscettici sono riusciti ad incrementare i propri consensi, aumentando anche considerevolmente le proprie percentuali. Lievi cali sono stati registrati dal Ressemblement National e dal Movimento Cinque Stelle, quest’ultimo penalizzato anche dalla forte ascesa di un altro partito euroscettico – la Lega – che dal 6% del 2014 è passato al 34% nel 2019.

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1.1.5 L’euroscetticismo: ulteriori tipi di classificazione di un fenomeno diffuso in tutta

Europa

Kopecky e Mudde hanno introdotto una critica alla dicotomia tra hard e soft euroscepticism, introducendo un rapporto tra ideologia, strategia, partiti e issues europee e parlando di “supporto diffuso” verso l’integrazione europea e “supporto specifico” verso la realizzazione dell’Unione Europea (Viviani 2010, 157-170). L’euroscetticismo è un tema complesso che non può essere ridotto a una singola dimensione. I due studiosi parlano allora di un euroscetticismo meno inclusivo e distinguono le posizioni in base al supporto nei confronti dell’integrazione europea, il quale può appunto essere di due tipi: diffuso, che approva le idee generali dell’integrazione europea che stanno alle basi dell’UE, o specifico, che sostiene le pratiche generali dell’integrazione. Il primo tipo di supporto, quello diffuso, separa gli eurofili dagli eurofobi: mentre i primi vedono il processo d’integrazione in termini economici e politici, i secondi lo guardano con scetticismo e lo accettano solo dal punto di vista economico (ad esempio, appoggiando la creazione di uno spazio di libero scambio). Il supporto specifico separa invece gli Euro-ottimisti dagli Euro-pessimisti: i primi credono nell’Unione Europea e nel loro sviluppo e sono soddisfatti dei progressi fatti, i secondi invece non supportano l’UE e sono pessimisti circa il suo sviluppo. Queste quattro dimensioni riconducono, alla fine, proprio all’euroscetticismo. Da esse, infatti, vengono dedotti quattro ideal-tipi di posizione partitica:

 Euroenthusiasts: questo gruppo combina l’eurofilia con una posizione euro-ottimista, supportando le idee generali dell’integrazione europea e credendo che l’UE riesca prima o poi a istituzionalizzare tali idee. È la classica posizione dei partiti appartenenti al PPE, all’ALDE e al gruppo S&D. Tra questi, dunque, è utile ricordare il CDU/CSU di Angela Merkel, La Rèpublique en Marche di Macron, + Europa di Emma Bonino, Ciudadanos di Alber Rivera, il Partido Popular e il PSOE in Spagna, l’SPD di Nahes e il Partito Democratico e Forza Italia;

 Eurosceptics: combinano eurofilia e una posizione euro-pessimistica. Supportano le idee generali dell’integrazione europea ma sono pessimistici circa l’utilità dell’UE nel perseguire e realizzare tali idee. È la posizione adottata dal gruppo ECR e dalla Sinistra Unitaria Europea/Sinistra Verde Nordica. A questi gruppi appartengono Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, il Conservative and Unionist Party di Boris Johnson, Europe Ecologie – Les Verts di David Cormand e GRÜNE per la Germania;

 Eurorejects: combinano l’eurofobia a una visione pessimistica dell’UE e non condividono nessuna delle idee che stanno alla base del processo d’integrazione europea. Il gruppo

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più vicino a queste posizioni era, fino al suo scioglimento, quello dell’EFDD, composto dall’AfD di Meuthen e Gauland, Dal Movimento 5 Stelle e dal Brexit Party di Nigel Farage;  Europragmatists: questo gruppo combina l’eurofobia a una posizione euro-ottimistica. Non condivide le idee generali dell’integrazione europea ma supporta l’Unione Europea. Il neonato gruppo Identità e Democrazia, di cui fanno parte la Lega, il Rassemblement National e l’AfD appartiene a questa categoria;

La classificazione dell’euroscetticismo successivamente introdotta da Chaterine E. De Vries tiene invece di conto dell’opinione pubblica riguardo alle politiche adottate dall’Unione Europea e alla forma di governo attorno alla quale l’Unione Europea stessa è strutturata. De Vries distingue tra una forma di supporto chiamata Loyal Support e tre forme di euroscetticismo che prendono il

Figura 3: Ideal-tipi di posizione partitica in Europa Fonte: Kopecky e Mudde 2002, 303

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nome di Policy Scepticism, Regime Scepticism ed Exit Scepticism (De Vries 2018). I due estremi della classificazione sono costituiti dal Loyal Support da una parte e dall’Exit Scepticism dall’altra.

Figura 4:Euroscetticismo - classificazione tra Supporto e Scetticismo Fonte: De Vries 2018, 9

L’exit scepticism caratterizza la maggior parte dei partiti riconducibili all’hard euroscepticism, i quali combinano una forte critica sia alle politiche comunitarie che all’Unione Europea stessa. Questi partiti, che spingono per far uscire i loro paesi dall’UE, ritengono che la sovranità nazionale comporti un vantaggio ben superiore rispetto all’essere stati membri e che lo stato-nazione sia un’alternativa migliore rispetto al sistema politico europeo accentrato. Dalla parte opposta rispetto all’exit scepticism abbiamo invece il Loyal Support, tipo di supporto tipico di quei partiti che vedono in maniera positiva sia le politiche europee che il regime comunitario stesso. Gli altri gruppi, ovvero Regime e Policy Scepticism, si trovano a metà strada tra i due estremi. I primi valutano le regole e procedure nazionali come superiori a quelle comunitarie e credono che la cooperazione sovranazionale sia lo strumento migliore per il conseguimento di obiettivi che sarebbero difficilmente raggiungibili dagli stati-nazione. Gli appartenenti al filone del Policy Scepticism ritengono invece che molte regole e procedure comunitarie siano meglio applicabili se lasciate in mano al livello nazionale, in quanto credono che le decisioni prese a livello europeo siano il frutto di un compromesso basato sul minimo comune denominatore tra i vari paesi (De Vries 2018, 7-12). Facendo un paragone con la distinzione tra hard e soft euroscepticism, possiamo quindi dire che il Regime ed il Policy scepticism appartengono al soft euroscepticism in quanto muovono una critica a specifiche politiche e a determinati aspetti procedurali dell’UE senza rigettare l’UE stessa. Ne è esempio Fidesz, partito di Viktor Orban, il quale non intende lasciare l’Europa ma critica fortemente l’Unione Europea affermando che

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l’Ungheria deve essere protetta da Bruxelles. Altro esempio è quello di Fratelli d’Italia, che storicamente non si batte per l’uscita dell’Italia dall’Europa ma sostiene l’esigenza di riformare l’Unione Europea. Fratelli d’Italia, nel suo programma, propone infatti il passaggio a una Confederazione europea di Stati nazionali liberi e sovrani, capaci di cooperare su questioni quali sicurezza, mercato unico, difesa e immigrazione. L’Exit scepticism, al contrario, è come detto paragonabile all’hard euroscepticism in quanto muove una forte critica sia al processo d’integrazione che all’Unione Europea. Il miglior esempio di Exit scepticism è rappresentato dal Brexit Party di Nigel Farage che, da sempre e fin dai tempi dell’UKIP, si batte per l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, istituzione criticata in ogni sua rappresentazione. I deputati del Brexit Party, alla sessione inaugurale del Parlamento Europeo nel luglio 2009, voltarono addirittura le spalle al momento dell’inno europeo. Nel 2014, queste quattro categorie erano così suddivise in Europa: il Loyal Support al 43%, il Regime scepticism al 23%, il Policy scepticism al 16% e l’Exit scepticism al 18%. Il sentimento scettico, e quindi l’euroscetticismo, era quindi maggioritario, essendo condiviso dal 57% dell’opinione pubblica. Volendo incrociare questa classificazione con quella più generale hard/soft euroscepticism si nota, come è visibile nel grafico seguente, che gran parte dei partiti euroscettici si collocano all’interno dell’Exit scepticism, sia hard o soft euroscettici che siano (42%, di cui 24% sono hard eurosceptic e 18% soft). All’interno delle quattro categorie, come preventivabile, l’hard euroscepticism è “in minoranza” solo tra i Loyal supporter, dove la visione positiva dell’Unione Europea comporta un atteggiamento più morbido anche tra quei partiti che muovono critiche al sistema comunitario.

Figura 5: Comparazione tra due diverse classificazioni di euroscetticismo Fonte: De Vries 2018

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