Capitolo 1 – L’EUROSCETTICISMO: PANORAMICA DI UN FENOMENO DIFFUSO
1.2 L’Euroscetticismo e i nuovi media
1.2.5 Media Negativity: forma di garanzia per la democrazia o fonte di euroscetticismo?
Per analizzare il ruolo che i media hanno nello sviluppo delle attitudini negative dei cittadini verso l’Unione Europea, il primo passo da fare è quello di studiare le strategie adottate dai politici e dai partiti di riferimento, dalle organizzazioni della società civile e dagli attori individuali che ricoprono un ruolo da protagonisti in campo europeo. Fanno parte di questa analisi, ovviamente, tutti i partiti e gli attori euroscettici, la propaganda anti-UE e gli eventuali rimedi posti dalle istituzioni comunitarie per combattere questo fenomeno. È tuttavia ormai noto che il giornalismo, in generale, adotta un tipo di bias negativo e che, nel selezionare e divulgare le notizie, si basa su una serie di criteri che vanno dalla familiarità alla rilevanza per passare alla negatività: questi criteri vengono utilizzati per la creazione dei frame riguardanti le news politiche e per selezionare quali notizie e quali eventi devono essere divulgati (Galpin e Trenz 2017, 51-55). È altrettanto chiaro, tanto agli studiosi quanto agli addetti ai lavori in ambito giornalistico, che le cattive notizie hanno più rilevanza rispetto alle buone notizie e che la negatività è strettamente correlata alla distanza dei cittadini dagli eventi coperti e divulgati dai media. Proprio per questo motivo, solitamente, alle notizie estere si applica la strategia della media negativity, mentre le notizie locali vengono usualmente trasmesse e divulgate utilizzando una strategia improntata alla positività e ricorrendo a criteri inutilizzabili per il media negativity quali la familiarità, la personalizzazione, la trasparenza e la prossimità culturale. Gli eventi distanti, invece, ottengono maggiore risalto e maggiore copertura quando riguardano trame conflittuali aventi serie ripercussioni sul territorio, trame che i media possono enfatizzare facendo leva sui sentimenti di paura e scetticismo. In più alcuni studiosi, tra cui Ornebring, hanno evidenziato che la regola dell’obiettività giornalistica è applicata con minor frequenza alle notizie di politica europea rispetto che alle notizie di politica domestica e che, comunque, tutte le notizie selezionate che contengono problematiche europee sono usualmente viste tramite una “lente” nazionale (Ornebring 2013). Secondo altri studiosi il fenomeno della media negativity scaturisce da una condizione ben più ampia che riguarda la considerazione dei cittadini europei verso le istituzioni e il grado di appartenenza che questi percepiscono nei confronti dell’Unione Europea. Manca, infatti, una forte identità europea così come manca il sentimento di appartenenza a un elettorato europeo che stimoli i cittadini a votare al di là delle politiche nazionali. Ma più di tutto, secondo Orbebring, manca una vera e propria sfera pubblica europea che nemmeno i media si adoperano per costruire o incentivare. Tutto questo porta a un forte deficit democratico che favorisce la crescita di fenomeni quali il cinismo, il negativismo e
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l’euroscetticismo, sentimenti esaltati anche dall’atteggiamento dei media stessi i quali, riguardo alle notizie europee, incorrono in tre tipi di fallimento:
1. Fallimento di rappresentazione: la copertura mediatica delle notizie europee non riesce a essere comprensibile, realmente informativa e interessante. Finisce, dunque, per essere troppo negativa e incompleta;
2. Fallimento di produzione: la produzione di news riguardanti le tematiche europee risulta semplificata, sensazionalistica e, ancora una volta, improntata sulla negatività;
3. Fallimento di partecipazione: è il risultato dei due fallimenti sopra citati e riguardanti rappresentazione e produzione. I cittadini non si sentono coinvolti riguardo alle tematiche europee e ciò rende impossibile la formazione di una sfera pubblica comunitaria. Di conseguenza, l’Europa è vista sotto un punto di vista negativo;
In ambito europeo, i media sembrano dunque dare maggior risalto ai partiti euroscettici e alle loro campagne proprio perché gli estremismi ottengono più attenzione nei lettori. L’Euroscetticismo risulterebbe quindi strettamente legato alla propensione negativa che i media hanno nella rappresentazione delle notizie riguardanti l’Unione Europea (Galpin e Trenz 2017). Resta tuttavia da capire se la diffusione dell’euroscetticismo dipenda davvero da questa propensione dei media a divulgare le notizie secondo una strategia improntata sulla negatività, oppure se sono i media che filtrano negatività a causa dei partiti euroscettici che trovano ampio spazio all’interno della rete e che riescono a influenzare il flusso mediale delle informazioni. Nel primo caso, la negatività sarebbe intrinseca nelle logiche dei media e l’euroscetticismo deriverebbe dall’atteggiamento dei media stessi; nel secondo caso, la media negativity dipenderebbe invece dall’attività dei partiti euroscettici presenti nella rete, le quali istanze sarebbero amplificate dai giornalisti stessi. Secondo molti ricercatori, infatti, i partiti politici e i vari candidati possono ottenere un grosso impatto sull’opinione pubblica tramite una forte visibilità sui media (Galpin e Trenz 2019). Quando, ad esempio, le informazioni divulgate dai media sono improntate su temi negativi (crisi economica), la visibilità dei candidati non è un indicatore di supporto per l’integrazione europea, ma piuttosto una delle cause che determina la generazione di fenomeni euroscettici.
Secondo diversi studiosi, tuttavia, la media negativity sarebbe in grado di svolgere un ruolo costruttivo all’interno della democrazia, in particolar modo informando i cittadini e incoraggiando la partecipazione critica al dibattito politico. Secondo Soroka (2014) la media negativity sarebbe addirittura un elemento fondamentale della buona democrazia e deve
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essere, per questo, interpretata come un segno di responsabilità democratica. Altri studi hanno provato come le informazioni negative siano in grado d’informare meglio i lettori: Scheufele, in particolar modo, nel 2008 ha dimostrato che i cittadini raggiungono un grado d’informazione più alto riguardo i problemi comunitari quando leggono news che criticano le abilità dei politici a risolvere tali problemi. Altri studiosi ritengono invece che la media negativity possa indurre a una carenza di conoscenze politiche. Patterson (2000), ad esempio, ritiene che le persone perdano interesse nella politica se i media adottano una strategia negativa. Secondo il suo pensiero, le notizie negative possono creare un circolo vizioso all’interno del quale i cittadini perdono sempre più interesse man mano che le notizie diventano incessantemente più negative. Questo circolo si accentua a livello comunitario, dove i media prestano meno attenzione alle politiche europee rispetto che alle politiche nazionali. Vi è quindi una mancanza d’informazioni, ma ciò che conta è anche la qualità delle stesse: una scarsa conoscenza dell’Unione Europea, secondo gli studiosi che aderiscono a questo filone, può contribuire alla creazione di un pubblico disinformato e scettico.
D’altra parte, pubblico e media sono tra loro interdipendenti. Già nel lontano 1989, Gamson e Modigliani (Gamson e Modigliani 1989) affermarono che:
Ogni sistema interagisce con gli altri sistemi: il discorso mediale è parte del processo attraverso il quale gli individui costruiscono il significato, e l’opinione pubblica è parte del processo mediante il quale il giornalista […] sviluppa e cristallizza il significato nel pubblico discorso (Gamson e Modigliani 1989, 2)
Gli studiosi che hanno esaminato questa interdipendenza sono tuttavia giunti a conclusioni ambigue e diverse. Analizzando le ricerche più recenti, i risultati portano a affermare che, effettivamente, vi è una forte interazione tra opinione pubblica e contenuti dei media e che il sostegno pubblico all’Unione Europea porta a un minor ricorso alla negatività da parte dei media. Tuttavia, come già affermato precedentemente, gli eventi negativi hanno un appeal maggiore e sono ritenuti quindi più importanti. Chiunque è coinvolto nel processo di formazione delle notizie è a conoscenza di questo fatto e, per questo, la media negativity è la strategia più utilizzata nella diffusione delle news. Un’altra spiegazione per questa attitudine negativa che si presenta tra le notizie diffuse in particolare sui nuovi media è data dal ruolo che questi ricoprono e dalla responsabilità che da tale ruolo deriva. I nuovi media, infatti, sono individuati come i “guardiani” della stampa (watchdog): hanno il compito di monitorare, identificare e riportare i potenziali problemi, svolgendo in questo modo una funzione democratica importante (Soroka
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2006). Di conseguenza, i media sono portati a concentrarsi più sugli errori, sugli svantaggi e, in generale, sul discontento che aleggia attorno all’Unione Europea rispetto che sui successi, sui vantaggi e sul supporto che essa è in grado di ottenere. In particolar modo, la media negativity si presta bene alle caratteristiche dei nuovi media dove chiunque è, potenzialmente, produttore e divulgatore di news che, sui media tradizionali, difficilmente troverebbero spazio. Se sui media tradizionali si privilegiano quindi le “notizie di sistema”, spesso accentuandone il lato positivo, i nuovi media diventano lo spazio all’interno del quale tutte le notizie negative e i problemi si ritagliano la loro importanza. Nonostante ciò, Soroka (2006, 374) ritiene che la media negativity possa essere un indicatore positivo delle attività governative e una caratteristica della democrazia rappresentativa.
1.2.6 Media Framing: uno strumento a disposizione degli euroscettici
Le notizie, a seconda di come vengono rappresentate e divulgate, possono influenzare positivamente o negativamente il livello d’informazione e conoscenza delle politiche europee ed incentivare, o disincentivare, la partecipazione e l’impegno da parte dei cittadini. Determinante nell’incentivare i cittadini alla partecipazione è però anche il media framing, ovvero la strategia attraverso la quale i media “costruiscono” le notizie in materia europea. I frames sono utilizzati per “semplificare e dare un significato agli eventi, e per mantenere interessato l’audience” (Valkenburg, Semetko e de Vreese 1999, 550-551). La loro dimensione e la loro funzione è quindi quella della selezione, organizzazione ed enfatizzazione di certi aspetti della realtà a discapito di altri. I frames, secondo De Vreese, Peter e Semetko (2001) si suddividono in “issue-specific new frames” e “generic news frames”: i primi riguardano specifici temi o determinati eventi, mentre i secondi sono applicabili a un pacchetto ampio di news, sono validi nel tempo e si adattano a diversi contesti culturali. In politica, i frames hanno solitamente come protagonisti determinati “attori” che, parlando di un problema secondo una propria “cornice”, definiscono e propongono una soluzione a esso. In questo modo, il frame è in grado di impostare i termini del dibattito evidenziando ciò che si ritiene importante ed emarginando invece quello che non si vuole trasmettere. Proprio per questo motivo, studiare i frames e l’utilizzo che ne fanno i media diventa importante per capire in che modo questi condizionano il grado e la forma di mobilitazione e partecipazione dei cittadini. Secondo Della Porta (cit. in. Galpin e Trenz, 2017) il media framing ha avuto un ruolo importante nella contestazione all’Unione Europea durante la crisi del 2009, mentre per De Vreese (2017) le news politiche, selezionate ad arte dai media al fine di esaltarne la conflittualità, possono incentivare i cittadini nella ricerca di un maggiore livello d’informazione e aumentare il grado di democrazia
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dell’Unione Europea, anche solo presentando un più ampio panorama politico che offra agli auditori una maggiore scelta.
Ciò che pare collegare il media framing all’euroscetticismo è il sentimento attorno al quale i media costruiscono e divulgano le notizie: la paura. La paura, infatti, sembrerebbe in grado di inibire la forza critica della popolazione, portandola ad accettare le soluzioni proposte dai partiti euroscettici. L’utilizzo della paura nel costruire le news, specialmente all’interno dei social media, è assimilabile a un vero e proprio fenomeno di clickbaiting (contenuto web la cui funzione è di attrarre il maggior numero possibile di utenti), atto a facilitare la trasmissione dei messaggi all’interno della piattaforma (Soroka, Young e Balmas 2015, 108-115). Come detto, infatti, i frames vengono utilizzati per semplificare il messaggio il quale, che sia utilizzato dai sostenitori dell’Unione Europea piuttosto che da populisti e euroscettici, diventa virale al momento in cui viene condiviso sui nuovi media dal maggior numero di persone possibili. A tal proposito, Caiani e Dalla Porta (cit. in Galpin e Trenz 2016) hanno dimostrato come, all’interno del contesto europeo, i messaggi che trasmettono paura possono minare l’impegno critico da parte dei cittadini a favore di tutte quelle soluzioni e idee che mettono in dubbio la legittimità dell’Unione Europea. È proprio per questo motivo che i partiti euroscettici, all’interno dei social media, costruiscono ed elaborano storie incentrate sulla paura nei confronti delle istituzioni comunitarie che, seppur talvolta risultano infondate, riescono a farsi spazio all’interno del dibattito pubblico. Le storie incentrate sulla paura fanno solitamente riferimento a frames basati su una serie di valori tradizionali inquadrati attorno al concetto di comunità, e hanno l’obiettivo di istituire un confine tra il “noi” e il “loro”. La stessa campagna referendaria inglese sulla permanenza o meno all’interno dell’Unione Europea è stata descritta come una campagna dove i due schieramenti hanno utilizzato il sentimento della paura per convincere i cittadini britannici a votare per la propria causa (da una parte la paura per il flusso di migranti voluto dall’Unione Europea, dall’altra l’eventuale crisi economica derivante dall’uscita dall’Unione Europea stessa). Allo stesso modo, la crisi europea del 2009 è stata raccontata, in molti paesi europei, attraverso l’individuazione di gruppi esterni da incolpare e ricorrendo ai classici stereotipi per descrivere, ad esempio, la popolazione greca e, più in generale, le popolazioni del sud Europa. Questo tipo di frames è servito, secondo Galpin e Trenz (2016), a divulgare la “paura dell’altro” e a limitare la solidarietà tra i cittadini europei di nazioni diverse. Da questo punto di vista, i frame incentrati sulla paura si relazionano positivamente con i frame che fanno leva sul concetto d’identità, sui valori che costituiscono una comunità. Se la media negativity è in grado di limitare la partecipazione critica e attiva dei cittadini, il ricorso alla paura può quindi promuovere
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atteggiamenti e opinioni che mettono in dubbio la legittimità dell’Unione Europea, scatenando una forte ondata di cinismo verso il sistema politico in grado, successivamente, di provocare la già citata “spirale dell’Euroscetticismo” che porta i cittadini a disinteressarsi della politica e a perdere fiducia nel sistema.
Gli effetti provocati dalla media negativity e dal media framing, oltre a causare un sentimento di sfiducia nella politica europea, possono però anche ritorcersi contro i media stessi, minando la fiducia nel giornalismo e nei media che producono tali notizie. Questa sfiducia è dovuta al fatto che, dopo un certo livello di negatività, il collegamento con i partiti populisti ed euroscettici diventa chiaro e la legittimità degli uni – i giornalisti – e degli altri – i partiti e i politici – viene meno. A questa negatività si deve affiancare, allora, la proposta di una sfida per il sistema democratico al fine di attivare direttamente i cittadini e di coinvolgerli all’interno del dibattito riguardante la politica (Gaplin e Trenz 2017, 60-61).
Un interessante studio sul framing applicato ai partiti è quello operato da Donatella Della Porta, Hara Kouki e Joseba Fernàndez (2017), i quali si sono occupati dei partiti di sinistra in Spagna e Grecia durante la crisi del 2009. In Grecia, in particolar modo, il frame adottato per interpretare la crisi fu quello di accostare tale crisi economica a una vera e propria crisi d’identità greca. Il motivo per cui il paese era fallito nelle sue riforme era quindi interno, con i greci che dovevano provare vergogna per il dilagare di corruzione e clientelismo e dovevano incolpare sé stessi per aver obbligato l’Europa a attuare una forte politica di austerity. Implicito a questo frame vi era l’assunto che i paesi mediterranei erano inferiori rispetto al mercato liberale delle economie dei paesi del Centro e del Nord Europa, tanto che dal 2010 al 2015 pure i media nazionali condannavano giornalmente le proteste anti-austerity, presentando questa misura come l’unica soluzione alla bancarotta e alla possibilità che la Grecia uscisse dall’Unione Europea. Nonostante ciò, le proteste aumentarono e i cittadini, considerando i media mainstream parte del problema, si attivarono per trovare altre piattaforme d’informazione che non fossero controllate dal governo, come i social media. Anche i partiti cercarono di cambiare il frame che i media avevano scelto per la crisi: Syriza, in particolare, si spese per far capire che non erano i cittadini greci a doversi vergognare, ma piuttosto l’establishment favorevole all’austerity che includeva i membri del governo, i grandi imprenditori e i media, tutti favorevoli alle politiche neoliberali imposte dalla Germania. Erano quindi i “pro-austerity” ad aver scatenato la crisi e Syriza cercò di imporsi come il partito di tutti, strutturando la sua strategia e il suo discorso sullo scontro tra il “noi, il popolo” e il “loro, l’establishment”. Syriza riuscì, tramite una precisa strategia, a cambiare i
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termini del dibattito: si passò dal discutere circa la partecipazione e il peso del paese all’interno dell’Unione Europea al dibattere sull’Unione Europea stessa e sulla sua governance. Lo slogan, nel 2014, divenne infatti “Votiamo per la Grecia, votiamo per un’altra Europa” e, quando il partito salì al potere nel 2015, mutò in “La speranza sta arrivando, la Grecia sta andando oltre, l’Europa sta cambiando”. L’azione di Syriza riuscì a smuovere l’opinione pubblica, che passò da una posizione vicina agli “euro-rejectionist” ad una prossima agli “euro-critical”. Questo cambio di rotta fu palese anche tra i vertici del partito, con il leader Tsipras che nel 2013 affermò una posizione euroscettica per poi, nel 2014, affermare che l’euroscetticismo era lontano dalle loro idee le quali riguardavano invece una visione dell’Europa diversa da quella attuale (Dalla Porta, Kouki, Fernàndez 2017, 228-232).
In Spagna, paese tradizionalmente favorevole al processo d’integrazione europeo, l’hard euroscepticism non è mai stato al centro del dibattito politico. L’azione di Podemos, guidata da Pablo Iglesias, si concentrò sullo sviluppo di un frame basato sul recupero della sovranità nazionale e dei diritti sociali all’interno del panorama europeo. Il dito fu puntato contro la crisi di legittimazione dell’Unione Europea, contro la mancanza di democrazia e contro il presunto “colpo di stato” a livello finanziario operato a svantaggio degli stati del Sud Europa. Il framing di Podemos si collocava quindi all’interno di un soft euroscepticism di sinistra, ambivalenza che fu ben chiara dopo le elezioni e che sancì una netta spaccatura tra il partito e i suoi elettori. Quest’ultimi, infatti, si dimostrarono più euroscettici degli elettori di altri partiti quali Izquierda Unida che, durante la campagna elettorale, aveva adottato una strategia ben più aggressiva. L’accusa verso l’Unione Europea era quella di aver scatenato la crisi economica del paese con responsabilità ben più gravi rispetto al governo nazionale, ma Podemos continuò a mantenere la sua linea ambivalente: da una parte criticava l’Europa, dall’altra la difendeva. Il partito di Pablo Iglesias fece ampio uso dei social media, soprattutto per criticare il modello neoliberale dell’Unione Europea sulla stessa lunghezza d’onda di quanto fatto da Syriza, partito con il quale Podemos cercò di allearsi al fine di negoziare con le istituzioni europee migliori condizioni per il proprio paese. La successiva debacle del partito greco obbligò però Podemos a cambiare strategia anche a livello mediatico, con i temi riguardanti l’Europa e i riferimenti a Syriza che sparirono da tutti i discorsi dei vari esponenti del partito spagnolo.
Per quanto riguarda i frames creati dai partiti euroscettici e populisti, bisogna innanzitutto specificare che questi prosperano in contesti politici totalmente differenti. L’elemento comune tra alcuni di essi è senza dubbio l’attitudine allo scetticismo e alla sfiducia verso il regime
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europeo, anche se la critica mossa al processo d’integrazione europeo non significa che questo sia ritenuto automaticamente una cattiva cosa. Altri, invece, condividono una forma di cinismo e alienazione che è in stretta opposizione all’Unione Europea e al processo d’integrazione (Krouwel e Abts 2007). In generale, tuttavia, i frames dei partiti e politici euroscettici si caratterizzano grazie a due componenti centrali:
L’enfasi contro le élites corrotte;
Il riferimento alla popolazione come gruppo omogeneo e “pulito”;
Queste due componenti, messe insieme, stabiliscono una divisione tra le persone virtuose e le élites colpevoli, quest’ultime accusate di interessarsi solo alla conservazione della propria posizione e di ignorare la voce della popolazione che rappresentano. La comunicazione euroscettica e populistica introduce quindi soluzioni semplici e atte a rimuovere tali èlites, rimpiazzandole con governi auto-determinati dal popolo, cioè da quella maggioranza di persone virtuose che rimane però inascoltata. La soluzione è spesso, dunque, quella della sovranità popolare, propinata tramite la creazione sia di stereotipi negativi che aiutano a associare le èlites a un gruppo corrotto da combattere, sia di stereotipi positivi che riguardano invece le persone comuni. L’attribuzione della colpa, frame tipico dei partiti euroscettici, è utilizzato e enfatizzato anche dai giornalisti, i quali ricostruiscono le varie tematiche societarie attraverso un’interpretazione che riduce i problemi all’interno di un’opposizione tra “noi, quelli senza colpa” e “loro, i colpevoli”. Questo tipo di frame comporta l’individuazione di un “nemico” al quale addossare la responsabilità di tutti i problemi, creando un giudizio morale che individua