Capitolo 1 – L’EUROSCETTICISMO: PANORAMICA DI UN FENOMENO DIFFUSO
1.2 L’Euroscetticismo e i nuovi media
1.2.7 La risposta delle istituzioni europee: come combattere, via social media,
La direzione intrapresa dalle istituzioni europee per combattere il dilagare del fenomeno dell’euroscetticismo è, senza ombra di dubbio, quella di incrementare la partecipazione e il coinvolgimento dei cittadini rispetto alle decisioni prese a livello comunitario. Anche in questo caso, i ricercatori si dividono tra due diversi tipi di pensiero. Da una parte vi sono coloro, tra cui Moravcsik, Dahl e Saward, i quali credono che la democrazia sia attuabile negli stati-nazione ma non in un gruppo di nazioni come l’Unione Europea. Secondo questi studiosi, l’Unione Europea è adeguatamente democratica in quanto formata da un insieme di democrazie liberali. L’Unione Europea, quindi, nient’altro è che un insieme di differenti stati, con differenti politiche, culture e tradizioni che possono coesistere solo mediante una democrazia rappresentativa. Dall’altra parte, invece, studiosi quali Erikesn, Schmidt e Kholer-Koch supportano l’idea che una più alta partecipazione dei cittadini alle politiche europee comporti grossi benefici alla democrazia dell’Unione Europea stessa. La partecipazione trasparente dei cittadini negli affari comunitari,
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secondo questo secondo filone di pensiero, si tradurrebbe in una maggiore fiducia nelle politiche dell’Unione Europea e in un consolidamento della democrazia anche in termini di supporto e aspettative (Fanoulis e Pena-Rios 2017, 240-245). In realtà la voce dei cittadini è totalmente filtrata dalle organizzazioni della società civile e dai media ed è spesso condizionata dalle istanze e dalle problematiche nazionali, le quali guidano e orientano la discussione comunitaria. In più, in questo passaggio dal cittadino alle istituzioni, passando per le organizzazioni e i media, le richieste provenienti “dal basso” vengono distorte. La soluzione, secondo questa seconda linea di pensiero, è quella di trovare il giusto mix tra la partecipazione civica, la consultazione e la rappresentazione, facendo magari uso delle nuove tecnologie digitali in grado di migliorare la partecipazione civica alle politiche europee.
Una prima applicazione delle tecnologie digitali al fine di aumentare la partecipazione civica risale al 2014 e vide protagonista il Partito Verde Europeo, il quale organizzò una procedura di voto online per far scegliere ai cittadini i candidati verdi al Parlamento Europeo. Una strada simile fu suggerita già nel 2013 da Ferro, Loukis, Charalabidis e Osella (cit. in. Fanoulis e Pena- Rios 2017, 244), secondo i quali i social media potevano esser usati per prendere decisioni politiche in maniera più trasparente, inclusiva e partecipativa. Tramite il loro studio, dimostrarono che inizialmente le agenzie governative adoperavano i social media tramite l’utilizzo di pratiche semplici come la condivisione manuale di contenuti, andando poi a leggere le interazioni e le reazioni dei cittadini a tali contenuti per trarre, infine, conclusioni atte a formulare strategie d’indirizzo politico (Ferro, Loukis, Charalabidis e Osella 2013). Recentemente, invece, l’utilizzo dei social media si è fatto più sofisticato ed ha riguardato due diversi livelli:
Livello tecnologico: prevede l’utilizzo della condivisione automatizzata dei contenuti su più piattaforme, sfruttando dalle piattaforme stesse i contenuti generati dai cittadini, selezionati grazie a applicazioni (API) in grado di elaborare i dati;
Livello politico: riguarda il tentativo di comunicare con diversi gruppi di cittadini, aventi diverse culture e valori, al fine di ricevere feedback da ognuno di essi;
L’utilizzo dei social media da parte delle agenzie governative ha quindi come obiettivo quello di stimolare e aumentare la partecipazione civica e il coinvolgimento pubblico, di promuovere la trasparenza e ridurre la corruzione, di implementare e rendere accessibili i servizi pubblici e, infine, di utilizzare le conoscenze pubbliche per sviluppare soluzioni innovative utili a risolvere i complessi problemi della società. Soprattutto per quanto riguarda quest’ultimo utilizzo, le
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piattaforme del web 2.0 aiutano le agenzie governative a trovare nuove idee grazie alla cooperazione con i cittadini, visti questi non più esclusivamente come “users and choosers” dei servizi offerti dai governi, ma anche come “makers and shapers” di essi. L’utilizzo dei social media pone ovviamente una serie di domande del tutto nuove, riguardanti: le modalità del loro utilizzo; la spiegazione di come essi possano favorire l’inclusione sociale piuttosto che l’esclusione di alcuni gruppi; diversi quesiti su come tutelare la privacy e la sicurezza dei cittadini. Domande, queste, che derivano dal fatto che l’evoluzione tecnologia ha cambiato totalmente il modo d’interagire tra l’essere umano e i computer, tra governo e governo e tra gli individui e le agenzie governative. A tal proposito, Riley già nel 2001 cominciò a parlare di “e-governance” (electronic governance), definita come
L’impegno a utilizzare tecnologie appropriate e utili a migliorare le relazioni governative, sia interne che esterne, al fine di garantire il progresso democratico, la dignità umana e l’autonomina, di sostenere lo sviluppo economico e di incoraggiare l’erogazione equa ed efficiente dei servizi (Riley 2001, 125)
L’e-governance racchiude quindi tutte le procedure e le regolamentazioni che riguardano l’uso della tecnologia nell’interazione tra cittadini e governi e tra governi e governi e comprende sia l’e-government che l’e-democracy, quest’ultima importante perché in grado di incoraggiare la partecipazione attiva dei cittadini tramite meccanismi tecnologici (Fanoulis e Pena-Rios 2017). Le ICTs (Information and Communication Technologies) hanno dunque avuto un ruolo fondamentale nella trasformazione delle strutture democratiche, erodendo da una parte le tradizionali forme di potere politico-governative e mettendo a disposizione, dall’altra, nuovi strumenti per il conseguimento degli obiettivi politici e per il raggiungimento di una maggiore trasparenza, partecipazione e coinvolgimento dei cittadini. Permane tuttavia una scarsa partecipazione pubblica, in quanto i governi si sono concentrati più sul mantenimento del controllo sulla comunicazione che sull’incentivare un vero e proprio engagement civico (Freeman e Quirke 2013).
L’utilizzo delle tecnologie digitali in ambito governativo, in particolar modo di Internet e dei social media, non è esente da critiche riguardanti soprattutto la mancanza di competenze tecnologiche da parte dei cittadini, il digital divide e le barriere socioculturali presenti all’interno sia dell’Unione Europea che dei paesi che ne fanno parte. A tal proposito, con la Digital Agenda for Europe, pubblicata nel 2014 dalla Commissione Europea, l’Unione Europea si è prefissata l’obiettivo di creare un mercato del digitale unico fondato sull’internet ultraveloce, su
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piattaforme comuni e sullo scambio dei dati. Ulteriori obiettivi stilati in questo documento sono quello di includere il maggior numero di persone nel mondo digitale, garantendo alfabetizzazione e competenza, e quello di avviare un processo di digitalizzazione dei servizi pubblici e sanitari. Anche il report intitolato “Reaching Out to EU Citizens: A New Opportunity”, stilato da Luc Van den Brande (consulente dell’ex Presidente della Commissione Europea Jean- Claude Juncker) nell’ottobre 2017, dedica ampio spazio all’utilizzo delle nuove tecnologie di comunicazione e alla nuova relazione creatasi tra l’Unione Europea e i cittadini. Nel report si riferisce che, per arginare la crescita dei partiti euroscettici in molti paesi membri, i cittadini europei devono essere messi nella condizione di poter capire meglio le attività giornaliere dell’Unione Europea e di sentirsi parte integrante del progetto europeo stesso. Per assicurare un supporto pubblico in tempi di forti cambiamenti societari vi è quindi bisogno, secondo il report, di chiarezza e coerenza e di avere chiara l’importanza dell’informazione, della comunicazione e del dialogo. Informazione e comunicazione che necessitano pertanto sia di un approccio globale e flessibile sia di una forte cooperazione tra l’Unione Europea e i vari livelli di governance nazionali e locali (stati, regioni etc.), con il doppio fine di creare uno spazio pubblico comune e di sfruttare l’alto potenziale dei social media. Proprio i social media, infatti, facilitano la partecipazione civica nei processi politici e permettono ai cittadini di esprimersi direttamente e di far valere la loro voce di fronte, potenzialmente, a tutti gli abitanti dell’Unione Europea. Secondo Van de Brande, grazie alle nuove piattaforme tecnologiche, i cittadini europei (e non solo) si sono evoluti, passando da una posizione di “ricettori passivi” a una di produttori d’informazioni, abili a influenzare il panorama informativo in presa diretta. Se da un lato i nuovi media hanno incrementato il livello di democraticità, dall’altro – sempre secondo il consulente di Juncker - hanno però introdotto anche effetti negativi come quello relativo alle fake news e hanno costretto i media tradizionali a focalizzarsi sulle notizie sensazionalistiche, al fine di mantenere alto il loro audience. Questi effetti negativi avrebbero facilitato, ovviamente, la crescita del populismo e dell’euroscetticismo. Secondo Van de Brande occorre un nuovo tipo di vigilanza, dove istituzioni e cittadini ricoprono un ruolo centrale ed importante. L’Unione Europea, da una parte, è infatti responsabile della preservazione del pluralismo, della trasparenza e dell’obiettività, nonché della promozione di iniziative per garantire a più persone possibili l’accesso alle tecnologie Internet. Vi è, tuttavia, una preoccupazione condivisa circa la capacità della maggior parte della popolazione di accedere, capire e valutare il flusso informativo online: una significante porzione di cittadini infatti non interagisce sulle piattaforme online, non è a conoscenza della possibilità di poter creare contenuti informativi e non è in grado di
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distinguere le fake news dalle notizie reali. La direzione in cui si sta sviluppando l’e-democracy è quindi quella di adottare un approccio che riesca a connettere più persone possibili, basandosi su una comunicazione multidirezionale in grado di rendere l’Unione Europea più trasparente. La strategia comunicativa dell’Unione Europea deve quindi tener conto di alcuni concetti – quali quelli della trasparenza, integrità, partecipazione e collaborazione – utili a trasmettere un messaggio recepibile da tutti. Tale messaggio, secondo l’apporto di Van de Brande, deve contenere i seguenti elementi:
Chiarezza: chi è che invia il messaggio? È un messaggio da parte dell’Unione Europea o da parte di uno stato membro?;
Identità: il messaggio deve rispettare tre diversi livelli d’identità. L’identità della memoria, l’identità di azione e l’identità di proiezione;
Deve far riferimento ai fondamenti della società;
Deve essere confezionato su misura per specifici gruppi della comunità, in particolar modo verso i giovani europei i quali sono tendenzialmente critici o scettici verso l’Unione Europea;
Quando un messaggio, un’informazione o una notizia sono trasmessi con chiarezza e identità, questo viene recepito facilmente dalla maggior parte dei cittadini, i quali hanno di conseguenza la possibilità di farsi un’idea sulle attività dell’Unione Europea e sui vantaggi che queste portano alla loro vita quotidiana. Il messaggio trasmesso deve essere infatti in grado di rimanere impresso nella memoria del cittadino, rendendolo consapevole delle conseguenze che tale messaggio comporta e dei vantaggi che il contenuto del messaggio offre per il benessere futuro del cittadino stesso. Le soluzioni proposte nel report e riguardanti la comunicazione e l’utilizzo dei social media sono, infine, le seguenti:
Sviluppare una strategia di coordinamento tra le istituzioni europee e gli stati membri, al fine di mobilitare tutti i livelli governativi per combattere le tendenze nazionalistiche Le istituzioni europee, quando comunicano con i cittadini, devono ispirare creatività e emozione e devono rendere il loro messaggio semplice e il più vicino possibile alle preoccupazioni giornaliere delle persone;
L’Unione Europea deve spiegare chiaramente il costo di un’Europa disunita e il vantaggio, invece, della stabilità politica;
Le istituzioni europee devono stimolare il dibattito pubblico attorno a temi europei, in modo da rendere i cittadini partecipi al progetto d’integrazione e ai vari processi politici
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L’UE deve investire nella comunicazione, assumendo un atteggiamento proattivo e meno difensivo e accettando le critiche con apertura al miglioramento;
Le istituzioni comunitarie devono utilizzare a pieno le potenzialità dei social media, utili per il supporto e lo sviluppo dell’e-democracy;
A conclusione del suo report, Van den Brande prende a esempio il referendum britannico del 2016 e le conseguenze che esso ha scaturito all’interno dell’opinione pubblica. Nonostante, a sua detta, in molti pensassero che l’esito referendario segnasse un punto di non ritorno per il fallimento del progetto europeo, l’Unione Europea e l’idea che l’accompagna sembra aver preso nuovo slancio. Questo comporta nuove responsabilità per gli attori politici europei, i quali devono conseguire importanti obiettivi in grado di avvicinare e attivare i cittadini, trasformandoli in protagonisti attivi del progetto comunitario. Tra questi obiettivi, Van den Brande consiglia di mettere in atto politiche che rispondano agli interessi dei cittadini che, oltre a offrire soluzioni, coinvolgano i cittadini stessi offrendo loro diverse soluzioni da discutere, scegliere e attuare. L’ex consigliere di Juncker propone poi di implementare forme di democrazia partecipativa attraverso una stretta collaborazione con i livelli governativi regionali e locali che permetta ai cittadini di sentirsi protagonisti delle politiche attuate dall’Unione Europea.
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