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PRINCIPIO DI AFFIDAMENTO E RESPONSABILITA' PENALE TRA DOGMATICA E PRASSI APPLICATIVA

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DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA

Corso di laurea in Giurisprudenza (LMG)

TRA DOGMATICA E PRASSI APPLICATIVA

La Candidata

Il Relatore

Virginia Zecchillo

Anno Accademico 2018-2019

Chiar.mo Professor Alberto Gargani

PRINCIPIO DI AFFIDAMENTO E RESPONSABILITÀ PENALE

(3)

Alla mia famiglia, che mi ha sempre sostenuto

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INDICE

Introduzione ………... p. V

CAPITOLO I

L

E ORIGINI STORICHE E LO SVILUPPO DEL PRINCIPIO DI AFFIDAMENTO NELLA DOGMATICA TEDESCA

1. Premessa ... p. 1

2. Origini storiche del principio di affidamento … p. 3

2.1. La ricostruzione di Günter Stratenwerth ... p. 6

2.2. La giurisprudenza tedesca in materia di Vertrauensgrundsatz … p. 9 3. Ricerca di un fondamento giuridico del principio di affidamento … p. 14 3.1. Ricostruzione del principio di affidamento come sottocaso del rischio consentito ... p. 14

3.1.1. Critica alla riconduzione del principio di affidamento all’area del rischio consentito … p. 18

3.2. Ricostruzione del principio di affidamento come ipotesi applicativa del principio di autoresponsabilità e sua critica … p. 22

3.2.1. L’inquadramento sistematico di Heribert Schumann … p. 26

CAPITOLO II

F

ONDAMENTI E FUNZIONI DEL PRINCIPIO DI AFFIDAMENTO

NELL

ESPERIENZA ITALIANA

LE APPLICAZIONI GIURISPRUDENZIALI NELL’AMBITO DELLA CIRCOLAZIONE STRADALE

1. Inquadramento sistematico della colpa e riflessi sul principio di affidamento … p. 31

2. La struttura della colpa … p. 39

3. Il principio di affidamento come categoria autonoma … p. 44 3.1. Le caratteristiche del principio di affidamento … p. 47 4. Limiti all’operatività del principio di affidamento … p. 53 4.1. L’individuazione del solo, autentico, limite al principio di affidamento … p. 66

(5)

5. Sviluppo e applicazione giurisprudenziale del principio di affidamento nell’esperienza italiana: il settore della circolazione stradale … p. 66 5.1. Alcune sentenze di legittimità in materia di circolazione stradale e principio di affidamento … p. 71

6. Possibilità di individuare una legittimazione costituzionale del principio di affidamento … p. 82

CAPITOLO III

I

L PRINCIPIO DI AFFIDAMENTO NELL

ATTIVITÀ MEDICO

-

CHIRURGICA

1. Le caratteristiche dell’attività medico-chirurgica plurisoggettiva e le diverse forme di collaborazione … p. 87

2. Le fonti normative relative agli operatori sanitari e i soggetti partecipanti all’attività medica plurisoggettiva … p. 90

2.1. Il dirigente di struttura complessa … p. 93

2.2. Il dirigente di struttura semplice e il dirigente sanitario alla prima assunzione … p. 94

2.3. Lo specializzando … p. 96 2.4. Il personale paramedico … p. 98

3. Il riparto di competenze e la posizione di garanzia del sanitario … p. 99 3.1. Inquadramento della posizione giuridica del sanitario alla luce della concezione formalistico-sostanziale … p. 104

4. La successione nella posizione di garanzia del sanitario … p. 107 4.1. La successione nelle attività inosservanti … p. 114

5. La responsabilità per colpa del medico e l’applicabilità del principio di affidamento … p. 118

5.1. Le regole cautelari in materia sanitaria … p. 125

5.2. La responsabilità penale del medico alla luce della riforma “Gelli-Bianco” … p. 130

6. I diversi modelli di cooperazione tra medici e le loro conseguenze sull’operatività del principio di affidamento … p. 136

6.1. La cooperazione orizzontale tra medici senza vincolo gerarchico: i sanitari appartenenti allo stesso reparto … p. 136

(6)

6.1.1. La collaborazione con medici di altro reparto aventi la medesima specializzazione: la cooperazione per consulto … p. 138

6.1.2. La collaborazione fra sanitari aventi diversa specializzazione: i rapporti tra chirurgo e anestesista … p. 141

6.2. La cooperazione verticale tra medici con differente posizione gerarchica … p. 146

6.2.1. La responsabilità colposa del subordinato … p. 146

6.2.2. La responsabilità colposa del medico in posizione apicale … p. 153 6.2.3. La responsabilità per carenze strutturali ed organizzative … p. 159 6.3. La responsabilità nell’attività medico-chirurgica in équipe: la figura del capo-équipe … p. 161

CAPITOLO IV

I

L PRINCIPIO DI AFFIDAMENTO NEL DIRITTO PENALE DELLA SICUREZZA

SUL LAVORO

1. Premessa … p. 166

1.1 Questioni preliminari … p. 167

2. Le principali posizioni di garanzia nella sicurezza sul lavoro alla luce del d.lgs. n. 81/2008 … p. 170

2.1. Il datore di lavoro … p. 175

2.1.1. Gli obblighi del datore di lavoro … p. 180 2.2. Il dirigente … p. 187

2.2.1. Gli obblighi del dirigente … p. 189 2.3. Il preposto … p. 190

2.3.1. Gli obblighi del preposto … p. 191

2.4. Il principio di effettività e l’esercizio di fatto dei poteri direttivi: l’art. 299 del d.lgs. n. 81/2008 … p. 194

3. Il Servizio di Prevenzione e Protezione aziendale e il suo Responsabile… p. 197

3.1. L’incerta posizione di garanzia del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione … p. 200

(7)

3.2. L’affidamento del datore di lavoro nelle competenze del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione: l’infortunio sul lavoro conseguente a una erronea o incompleta valutazione dei rischi … p. 206

4. Il medico competente … p. 215 5. Il lavoratore … p. 219

5.1. Gli obblighi del lavoratore … p. 220

5.2. La condotta colposa del lavoratore e l’eventuale operatività del principio di affidamento … p. 224

6. La tutela della sicurezza nei lavori in appalto (cenni)… p. 234 7. La delega di funzioni … p. 239

7.1. Requisiti di validità della delega di funzioni … p. 241 7.2. L’obbligo di vigilanza del delegante … p. 248

7.2.1. L’adempimento dell’obbligo di vigilanza mediante il ricorso al modello di verifica e controllo ex art. 30 comma 4 T.U.S.L … p. 250

Bibliografia ……… p. 255

(8)

INTRODUZIONE

Sin dai primi albori della Rivoluzione Industriale la società moderna ha subito una serie di mutamenti che hanno inevitabilmente finito per incidere in maniera profonda sul modo di vivere dei consociati.

In particolare, si è assistito alla proliferazione di molteplici attività che, per le complessità e pericolosità a loro intrinseche, hanno determinato l’esigenza di una collaborazione tra i soggetti partecipanti. Si pensi, ad esempio, allo sviluppo delle imprese e delle attività industriali, emblematicamente rappresentato da Adam Smith1, e a come queste, per aumentare la propria produttività riducendo i costi economici, debbano organizzare il lavoro suddividendolo tra più operatori, ciascuno dei quali sarà chiamato ad occuparsi di una fase del processo produttivo, al fine di ottenere il miglior risultato possibile.

Ne consegue la configurazione della divisione del lavoro in termini di necessità ed organizzazione, icasticamente rappresentata dalle parole di C. Pedrazzi2: <<dire organizzazione è dire divisione del lavoro, ripartizione di compiti e valorizzazione di competenze differenziate>>.

Si noti inoltre che l’operare congiunto di più agenti non deve essere ristretto alle sole attività di tipo produttivo o imprenditoriale ma può, viceversa, legarsi anche ad altre finalità. Si pensi a interazioni sociali che avvengono per pura casualità, come accade nell’ambito della circolazione stradale, o a forme di collaborazione finalizzate alla tutela e al ripristino di beni primari, quali la salute e la vita, che caratterizzano il settore dell’attività medico-chirurgica.

Tuttavia, la collaborazione tra più soggetti, sebbene possa addurre innegabili vantaggi, è a sua volta generatrice di ulteriori rischi3. Dall’interfacciarsi di più

1 Nell’opera “La ricchezza delle nazioni”, del 1776, l’autore, partendo dall’esemplificazione

della manifattura di spille, ha messo in evidenza i vantaggi, in termini di incremento della produttività del lavoro, che derivano dalla divisione delle mansioni. In particolare veniva evidenziato come, suddividendo le varie fasi della produzione e permettendo l’azione simultanea di più operatori, si potesse giungere a un drastico aumento quantitativo dei beni prodotti.

2 C. PEDRAZZI, Profili problematici del diritto penale d’impresa, in Riv. trim. dir. pen. econ.,

1988, cit., p 137.

3

A tal proposito, ex multis, risultano significative le parole di Cass. pen. Sez. IV, 11 luglio 2007, n. 41317, in Riv. pen., 2008, 836, ove la divisione del lavoro viene identificata, oltre che come fattore di sicurezza, anche come fattore di rischio, poiché essa <<fa sorgere, in particolare, rischi nuovi e diversi, essenzialmente derivanti da difetti di coordinamento o di informazione, da

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individui, ciascuno potenzialmente idoneo a commettere errori o a tenere condotte inadeguate, possono infatti scaturire eventi lesivi dell’integrità fisica o della vita altrui.

Nasce pertanto la necessità di determinare in che modo ed entro che limiti sia possibile distribuire le rispettive responsabilità nel caso in cui, da certe interazioni, conseguano questo tipo di eventi infausti.

Si tratta, più nello specifico, di analizzare alcuni tipi di situazioni, quali la circolazione stradale, l’attività medico-chirurgica e la sicurezza sul lavoro, contraddistinte dalla necessaria collaborazione plurisoggettiva, sincronica e diacronica. L’obbiettivo è quello di tracciare i limiti della diligenza che ciascun operatore è tenuto a osservare in ragione delle regole cautelari a questi riferibili, e stabilire conseguentemente un parametro normativo in base al quale delimitare le rispettive responsabilità.

A tale scopo è stato elaborato, a partire dall’esperienza tedesca, il c.d.

Vertrauensgrundsatz, ossia il principio di affidamento: in presenza di attività

intrinsecamente rischiose ma autorizzate dall’ordinamento, per mezzo della disposizione di regole cautelari indirizzate ai soggetti partecipanti, ciascuno è legittimato a confidare nel fatto che coloro con cui si trovi a collaborare, più o meno volontariamente4, onorino le rispettive richieste di diligenza. In tal modo, non sarà richiesto di controllare l’operato altrui, il che potrebbe determinare una minore attenzione alle proprie mansioni, con possibili effetti nefasti. Ne consegue che qualora abbia a verificarsi un evento infausto eziologicamente riconducibile alla colposa condotta di terzi, in assenza di indizi concreti, il soggetto che, pur adempiendo le proprie pretese cautelari, non abbia impedito il verificarsi dell’evento5

non potrà essere ritenuto responsabile a titolo di cooperazione colposa unitamente all’altro agente 6

.

errori di comprensione o dovuti alla mancanza di una visione di insieme, e spesso tra loro collegati>>.

4 Come nel caso della circolazione stradale, contraddistinta dall’anonimia dei soggetti

partecipanti e dalla casualità delle interazioni fra di essi.

5 Di più difficile inquadramento risulta la situazione di colui che è titolare di una posizione

giuridica di garanzia. In tali casi, infatti, il principio di affidamento subirà delle restrizioni, sebbene non si possa parlare di un’inoperatività tout court.

6 Per tale ricostruzione v. M. MANTOVANI, Il principio di affidamento nella teoria del reato colposo, Milano, Giuffrè, 1997.

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Prendendo le mosse dal principio in questione, il presente studio si propone di analizzarne i contenuti ed evidenziarne le differenze applicative a seconda del settore oggetto di considerazione.

In particolare, si tratterà, in un primo momento, di individuare le origini del principio e di delinearlo quale categoria dogmatica autonoma. A tal fine si rivela necessario partire dall’inquadramento sistematico della colpa all’interno del diritto penale, dal momento che il principio di affidamento opera quale limitazione del dovere di diligenza e, dunque, influisce sull’estensione delle regole cautelari, attenendo al reato colposo. In seguito, coerentemente con l’inquadramento dogmatico accolto, si analizzeranno gli effetti che tale principio determina, dal punto di vista della responsabilità penale, sul piano della colpevolezza. Una volta inquadrate le peculiarità del principio di affidamento e individuati i limiti alla sua operatività, ci si concentrerà invece sia sugli adattamenti che esso subisce, nei tre settori di applicazione prescelti, sia sui correlativi orientamenti giurisprudenziali.

Sebbene non sia stato codificato, tale principio può comunque essere desunto da alcune norme costituzionali; esso emerge quale dato qualificante di qualsiasi contesto plurisoggettivo e svolge una funzione fondamentale finalizzata a garantire il rispetto del principio di personalità della responsabilità penale sancito dall’articolo 27, comma 1, della Costituzione.

Invero, alla luce di situazioni contraddistinte dall’operare congiunto di più individui, il principio di affidamento permette di distribuire le eventuali responsabilità coerentemente con il ruolo svolto, di modo che ciascuno risponda solo per un fatto proprio e colpevole, così da evitare illegittimi richiami a responsabilità di tipo oggettivo o per fatto altrui.

Inoltre, esso, garantendo a ciascuno la possibilità di rivolgere la propria attenzione unicamente al proprio operato senza onerarlo del controllo sull’attività altrui, consente di svolgere al meglio le proprie mansioni, fungendo di conseguenza da strumento di implementazione della tutela di beni fondamentali, quali la vita, la salute e l’integrità fisica.

Si cercherà, inoltre, di evidenziare un’ulteriore funzione svolta dal principio in esame.

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In contesti organizzativi complessi, caratterizzati da un fitto reticolato di ruoli e funzioni, l’operatività del principio, infatti, non deve essere limitata ai soli rapporti tra i soggetti partecipanti ma deve essere estesa sino a ricomprendere, in presenza di modelli idonei e trasparenza dei flussi informativi, la possibilità di confidare sull’intero funzionamento della struttura, senza richiedere un controllo capillare sulle singole mansioni svolte dai suoi appartenenti.

A fronte delle plurime e rilevanti potenzialità che il Vertrauensgrundsatz presenta, si è inteso studiarne le caratteristiche e le modalità di estrinsecazione nei tre ambiti oggetto di ricerca, saggiando i fattori alla base della tendenza giurisprudenziale a ridurne la portata, in nome di istanze generalpreventive.

(12)

CAPITOLO I

L

E ORIGINI STORICHE E LO SVILUPPO DEL PRINCIPIO DI

AFFIDAMENTO NELLA DOGMATICA TEDESCA

SOMMARIO: 1. Premessa – 2. Origini storiche del principio di affidamento – 2.1. La ricostruzione di Günter Stratenwerth - 2.2. La giurisprudenza tedesca in materia di

Vertrauensgrundsatz - 3. Ricerca di un fondamento giuridico del principio di affidamento – 3.1.

Ricostruzione del principio di affidamento come sottocaso del rischio consentito – 3.1.1. Critica alla riconduzione del principio di affidamento all’area del rischio consentito - 3.2. Ricostruzione del principio di affidamento come ipotesi applicativa del principio di autoresponsabilità e sua critica – 3.2.1. L’inquadramento sistematico di Heribert Schumann.

1. Premessa

All’interno dello studio della colpa risulta, ormai da tempo, preponderante l’attenzione a valorizzare l’inosservanza della diligenza oggettivamente richiesta a tutti i consociati e finalizzata ad evitare la lesione dei beni giuridici di caso in caso considerati, come primo elemento su cui ricostruire i tratti caratteristici del comportamento colposo. Di particolare interesse, ai fini della presente ricerca, è il profilo intersoggettivo che si lega ai doveri di diligenza, che è configurabile secondo due differenti modalità; da un lato, può esservi un dovere di diligenza indirizzato ad una pluralità indeterminata di destinatari, tale da potersi far coincidere con la globalità dei consociati, dall’altro, vi sono obblighi di diligenza dal contenuto peculiare (relativi, ad esempio, allo svolgimento di attività particolari e rischiose, ma ciò nonostante autorizzate dall’ordinamento, cui si lega il pericolo di realizzazione di eventi che si intendono prevenire, mediante la predisposizione di norme di condotta) riferibili a soggetti specifici, identificabili in relazione al ruolo da essi rivestito all’interno del processo produttivo dell’evento che si intendeva impedire.

In entrambi i casi, si tratta di stabilire entro quali limiti il singolo individuo, destinatario di un autonomo dovere di diligenza, possa rispondere dell’inosservanza (del proprio dovere di diligenza) da parte di soggetti con cui si

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relaziona nello svolgimento di attività tra loro collegate o dipendenti. A tale quesito si è cercato di dar risposta, a partire dall’esperienza tedesca, elaborando sul terreno della colpa il cosiddetto “Vertrauensgrundsatz”, ossia il principio di affidamento.

Tale principio stabilisce che ciascuno possa confidare, e dunque fare affidamento, nel fatto che gli altri membri della società con cui entra in contatto agiranno nel rispetto dei doveri di diligenza di cui sono destinatari, fintanto che non emergano indizi concreti da cui desumere che tali doveri non saranno da essi rispettati. In tal caso all’iniziale affidamento del primo soggetto dovrà sostituirsi un obbligo di adeguare la propria condotta per eliminare i pericoli dovuti all’altrui inadempienza, altrimenti sarà configurabile a suo carico una responsabilità, a titolo di concorso con il soggetto inosservante, per le eventuali conseguenze dovute alla sua riconoscibile inottemperanza.

L’espressione “principio di affidamento” viene mutuata dalla disciplina civilistica del contratto e nell’analisi di tale principio alcuni autori sono giunti a definirlo come una “aspettativa sociale”1

, quale riflesso della presenza di doveri di diligenza riferibili ad altri consociati. L’aspettativa in questione, come si diceva, sarà da ritenersi meritevole di tutela, e determinerà, quindi, un’esenzione da responsabilità, nei limiti in cui essa sia ragionevole, ossia quando non sia ostacolata da circostanze concrete, quali il comportamento visibilmente inosservante dell’altro soggetto, che la facciano venire meno. Tali caratteri vengono a coincidere con i criteri propri della buona fede nell’esecuzione del contratto, di cui all’articolo 1375 c.c., secondo cui (nell’esecuzione del contratto) la parte gode di una tutela relativa ai ragionevoli affidamenti in essa ingenerati dalla controparte, quale conseguenza di un obbligo di lealtà.

Sebbene questa sia l’origine terminologica dell’espressione “principio di affidamento”, è opportuno precisare fin da subito che relativamente ai rapporti tra consociati non è possibile utilizzare come parametro quello relativo allo scambio di prestazioni contrattuali, dal momento che nessun contratto è esistente tra di essi; sarà pertanto necessario ricercare in altra sede il fondamento di tale principio, in modo da garantirgli una reale autonomia nel settore penale.

1 FIANDACA G., MUSCO E., Diritto Penale. Parte Generale, VIIª ed., Bologna, Zanichelli,

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Tanto premesso, per comprendere i successi sviluppi del principio di cui si andrà a trattare, è necessario partire dalle sue origini storiche.

2. Origini storiche del principio di affidamento

L’elaborazione scientifica del principio di affidamento vede le sue origini nella letteratura d’oltralpe; il primo ad utilizzare l’espressione Vertrauensgrundsatz fu il giurista Hermann Gülde che, nel 1938, pubblicò un articolo intitolato << Il

principio di affidamento come criterio-guida del diritto della circolazione stradale>>2, nel quale egli prese posizione in merito ad una questione particolarmente discussa in quegli anni in materia di circolazione stradale, sostenendo che il singolo partecipante al traffico non debba costantemente mettere in conto, avendo ciò riflessi sul quantum di diligenza e sul comportamento a lui richiesti, che gli altri partecipanti si comportino in modo inosservante rispetto alle regole del traffico, così contrapponendosi agli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali dominanti, favorevoli all’opposta soluzione.

Gülde approda a tale conclusione prendendo le mosse dall’ideologia imperante nel momento in cui scrive, vale a dire quella nazionalsocialista, secondo cui tutti i membri della società adempiranno ai doveri di cui sono destinatari; ritenere il contrario e richiedere ad ogni guidatore di tenersi pronto ad infrazioni e scorrettezze da parte dei partecipanti al traffico, come di fatto veniva sostenuto dalla giurisprudenza del Reichsgerichtof, avrebbe, infatti, significato postulare negli altri membri della collettività non già il rispetto delle norme ma la loro violazione e, conseguentemente, avrebbe posto alla base della circolazione stradale un principio opposto a quello di affidamento, ossia un

Miβtrauengrundsatz (un principio di sfiducia), che avrebbe minato le fondamenta

dell’ordinamento giuridico stesso. In tale prospettiva, merita sottolineare come il principio di affidamento svolga in questo senso anche una valenza pedagogica, promuovendo l’osservanza delle norme stradali, poiché ritenendo, viceversa, che ogni partecipante al traffico debba sempre mettere in conto il comportamento scorretto di coloro con cui si relaziona, si finirebbe col favorire la condizione del contravventore il quale non sarebbe affatto motivato all’osservanza delle norme di

2 Articolo pubblicato sulla Juristische Wochenschrift, 1938, p. 2785 ss. con titolo originale << Der Vertrauensgrundsatz als Leitgedanke des Staβenverkehrsrechts>>.

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circolazione sapendo che gli altri partecipanti saranno comunque tenuti a salvaguardare la sua posizione e a impedire gli effetti dannosi delle sue imprudenze.

Il principio di affidamento, per come configurato da Gülde, svolge una funzione di tutela delle aspettative del singolo partecipante al traffico circa il fatto che anche gli altri utenti della strada osservino le norme ad essi rivolte, una tutela che vedrà come nucleo centrale, sia nell’elaborazione dell’autore che nella giurisprudenza successiva degli anni ’50, il diritto di precedenza. Tuttavia, lo stesso autore sottolinea come tale aspettativa e la sua tutela non godano di vigenza assoluta poiché l’efficacia del principio di affidamento non sarà più operante, a favore degli altri partner del traffico, nel momento in cui sia nota o riconoscibile3 l’altrui inosservanza della norma stradale; ciò viene motivato da Gülde asserendo che, nei casi in cui il comportamento inosservante altrui sia riconoscibile, colui che si trovi a rapportarsi col contravventore dovrà orientare la propria condotta in modo da evitare lesioni ai beni primari della vita e dell’incolumità fisica, meritevoli di protezione in quanto appartenenti al popolo intero e non al singolo individuo, secondo quanto sostenuto dall’ideologia nazionalsocialista.

La ricostruzione teorica del principio di affidamento compiuta da Gülde risente della una forte influenza delle teorie, al suo tempo dominanti4, che inquadravano la colpa come forma della colpevolezza, scomponendola in due momenti, ossia rispettivamente la violazione del dovere di diligenza e la prevedibilità dell’evento verificatosi, e non, come avverrà poi in epoca successiva sia in Germania che in Italia, all’interno della tipicità del fatto5. Tuttavia, secondo quanto sostenuto da M. Mantovani, sia che si intenda la colpevolezza come necessario legame psichico fra l’autore (secondo la concezione psicologica) sia che si sottolinei l’antidoverosità del comportamento del soggetto (da cui emergerebbe la sua rimproverabilità secondo la concezione normativa) e si valorizzino le condizioni personali dell’agente circa la sua concreta possibilità di uniformarsi al precetto nella

3 Sul punto è lo stesso Gülde ad essere ambiguo richiedendo in un momento la conoscenza

dell’altrui inosservanza e in quello successivo limitandosi ad esigerne la riconoscibilità, come osserva M. MANTOVANI, Il principio di affidamento nella teoria del reato colposo, Milano, Giuffrè, 1997, p. 14.

4 In particolare l’elaborazione della colpa secondo E. MEZGER, Strafrecht, 1931.

5 In Germania ciò avvenne ad opera di H. WELZEL e K. ENGISCH, in Italia ad opera di M.

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situazione specifica, ad una colpevolezza di tal genere rimarrebbe comunque estraneo il tema delle limitazioni dei propri doveri di condotta, limitazioni derivanti dai doveri comportamentali dei soggetti con cui si entra in contatto, che risultano essere il nucleo centrale del principio di affidamento6. Infatti, la situazione cui si fa riferimento nell’elaborare il principio de quo è quella per cui l’obbligo di attivarsi per impedire gli eventi dannosi dovuti alle condotte scorrette di altri non preesista ma, anzi, sorga solo nel momento in cui l’altrui inosservanza risulti riconoscibile sulla base di indizi concreti; il che significa, dunque, che la presenza di doveri di diligenza imposti ad altri soggetti risulta ab origine un limite a quelli facenti capo al singolo soggetto, limite che viene meno solo nei casi segnalati. Secondo M. Mantovani, suddetti limiti inciderebbero7 sul piano dei doveri cui ogni consociato è tenuto (Sollen) e non su quello della possibilità di uniformarsi al precetto nella singola situazione (Können), come invece accadrebbe secondo coloro che ritengono che il principio di affidamento attenga alla colpevolezza.

Merita, infatti, precisare che la ricostruzione del principio di affidamento quale criterio avente effetti sul piano della tipicità non è uniformemente accettata dalla dottrina che, in parte, più condivisibilmente, ritiene necessario ricondurlo alla sfera di rimproverabilità del soggetto.

Al di là di queste considerazioni, interessa sottolineare che, nell’opera di Gülde, si insista sull’importanza del dovere di diligenza, strettamente legata all’ideologia nazionalsocialista, e sulla circostanza che questa avesse come conseguenza immediata il rafforzamento delle aspettative della società circa il fatto che tale dovere venisse concretamente rispettato, ed è proprio questo elemento che ha favorito l’elaborazione e lo sviluppo del principio di affidamento, in quanto finalizzato alla tutela di dette aspettative.

L’opera di Gülde, in tal senso, risulta essere particolarmente significativa e fungerà da antesignana degli indirizzi successivi soprattutto per quanto concerne la rilevante funzione svolta dal principio di affidamento: esso permette al singolo soggetto, liberandolo dal compito di prevedere e prevenire gli inadempimenti altrui, di concentrarsi sugli obblighi che effettivamente lo riguardano. Assumendo

6 Secondo quanto sostenuto da M. MANTOVANI, Il principio, p. 18. 7 M. MANTOVANI, Il principio, p. 18 ss.

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come prototipo di soggetto, a favore del quale utilizzare il principio de quo, il guidatore con diritto di precedenza, si sottolinea come questi, proprio in ragione dell’affidamento sul fatto che i soggetti provenienti da strade secondarie rispetteranno i propri obblighi, sarà esonerato dall’osservare ogni incrocio con tali strade per verificare eventuali inadempienze da parte dei percorrenti, permettendogli tale esonero di meglio concentrarsi sull’adempimento degli obblighi che più direttamente lo riguardano nel percorrere la strada principale, evitando così pericoli per gli altri partecipanti al traffico e garantendo una maggior tutela dei beni giuridici coinvolti.

L’esonero in questione è collegato alla ripartizione tra più centri, tra cui eventualmente anche la stessa vittima, della tutela di un bene giuridico che si trovi contemporaneamente esposto agli effetti di varie fonti di pericolo; si privilegia, cioè, una vigilanza puntuale e limitata alla singola fonte di pericolo, concernente la propria attività, rispetto ad una vigilanza diffusa, su qualsiasi fonte di pericolo, compresa la condotta altrui, che risulterebbe meno efficace nella protezione del bene.

Applicando il principio di affidamento, che è espressione dell’esonero di cui si parlava, si giunge a richiedere al singolo di concentrarsi sui propri doveri, senza gravarlo di ulteriori oneri di controllo sull’operato di altri, e garantendo così una maggiore effettività della tutela dei beni interessati; ciò purché non sia concretamente riconoscibile l’inadempimento altrui e risulti di conseguenza prevedibile l’evento che da esso può derivare, circostanza che varrebbe ad impedire l’operatività del principio stesso.

Tali caratteristiche del Vertrauensgrundsatz permettono di non confinarne l’operatività negli orizzonti del diritto penale nazionalsocialista ma, anzi, di adattarsi anche ad un diritto penale di stampo liberale, finalizzato alla tutela di beni giuridici.

2.1. La ricostruzione di Günter Stratenwerth

Concentrandosi su tale finalità, più di venti anni dopo, si svilupparono l’opera ed il pensiero di Günter Stratenwerth8 il quale andò ad applicare il principio di

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affidamento riconnettendolo agli ambiti caratterizzati dalla divisione del lavoro, in particolare a quello dell’attività medico-chirurgica in équipe.

Egli osservò nella sua opera come <<un medico, il quale si occupi di tutto

quanto (quindi non solo delle proprie incombenze ma anche dell’adempimento di

quelle dei colleghi) certo non si esporrà al rimprovero penale di aver mancato di

diligenza, difficilmente, tuttavia, sarà un buon medico>>9, volendo così indicare che soltanto delineando una figura di medico sgravato dal dovere di prevenire e risolvere gli errori dei suoi collaboratori si permetterà a questi di meglio assolvere i propri compiti e meglio garantire le cure del paziente, la cui salute è il bene alla cui tutela l’attività sanitaria è finalizzata.

Bisogna, tuttavia, precisare come, pur utilizzando come parametro informatore dell’attività medico-chirurgica il principio di affidamento, Stratenwerth si discosti decisamente dalla elaborazione fattane dalla giurisprudenza e dottrina del tempo relativamente alla circolazione stradale, distinguendone la funzione a seconda dell’ambito di riferimento. Egli, infatti, ebbe a sottolineare come tale principio, nell’ambito della circolazione stradale, rinvenga la propria legittimazione nella categoria dogmatica del rischio consentito (erlaubtes Risiko), di cui sarebbe applicazione. Dato che l’ordinamento autorizza lo svolgimento di un’attività potenzialmente produttiva di pericoli (tra i quali è ricompresa la circostanza che gli altri utenti della strada non rispettino le regole del traffico) in ragione dei vantaggi che da essa derivano, ciò determinerebbe che, la possibilità di confidare sul fatto che gli altri partecipanti al traffico si attengano alle regole di diligenza che li riguardano, risulti essere conseguenza dell’autorizzazione all’esercizio di un’attività che può determinare certi pericoli. Sarebbe questo, ad avviso dell’autore, l’unico fondamento del principio di affidamento in materia stradale, rimanendone estranea ogni considerazione circa la maggiore possibilità di tutela degli altri partecipanti al traffico mediante la sua applicazione. Diametralmente opposto sarebbe, secondo Stratenwerth, il nucleo del principio di affidamento in ambito sanitario. In tale contesto risulterebbe impossibile ricondurre l’affidamento sull’osservanza, da parte dei collaboratori del medico, delle regole di diligenza che li riguardano alla categoria del rischio consentito.

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L’istituto dell’erlaubtes Risiko, sostiene l’autore, potrebbe al più rappresentare la ragione giustificatrice del trattamento medico-chirurgico in sé, in quanto attività che può comportare lesioni ai beni primari di chi vi è sottoposto ma, nonostante ciò, autorizzata dall’ordinamento in ragione dei benefici che ne possono derivare.

Viceversa, per quanto riguarda l’esecuzione del trattamento terapeutico, e dunque la tematica, ad essa collegata, della divisione del lavoro in équipe, Stratenwerth ritiene sia necessario individuarne un fondamento autonomo e diverso da quello dell’attività medico-chirurgica in generale (e della circolazione stradale) di cui si diceva. Egli mette in luce che la divisione del lavoro risulterebbe di per sé evocatrice di pericoli, relativi alla possibilità che vengano commessi errori da parte di altri membri dell’équipe, diversi rispetto a quelli relativi all’attività medico-chirurgica in sé e perciò non coperti dall’autorizzazione fornita dall’ordinamento, da ciò derivando la necessità di individuare un diverso fondamento del Vertrauensgrundsatz in contesti di divisione del lavoro, dovendo questo legarsi al principio di autoresponsabilità.

Resta da accennare a quella che è la funzione svolta dal principio di affidamento secondo Stratenwerth. Si è detto di come, secondo l’autore, l’applicazione di tale principio nell’ambito della circolazione stradale debba essere collegata al tema del rischio consentito; da ciò consegue che il

Vertrauensgrundsatz, in tale settore, non sarebbe finalizzato a garantire una

maggiore tutela dei beni giuridici coinvolti. In realtà, come è stato sottolineato da autorevole dottrina10, tale impostazione non coglierebbe nel segno.

Si è, infatti, rilevato come il principio in questione, permettendo a ciascuno di concentrarsi unicamente sui doveri di cui è diretto destinatario e di confidare sul fatto che gli altri soggetti si comporteranno in egual modo, risulti strumento precipuamente idoneo a garantire la protezione dei beni giuridici che gli stessi doveri di diligenza mirano a preservare da eventi dannosi. Così, ad esempio, il poter confidare, per i titolari del diritto di precedenza, sul fatto che i soggetti provenienti da strade secondarie rispettino i propri obblighi di attesa, permetterà di concentrarsi con maggiore attenzione sull’osservanza delle norme di diligenza che li riguardano, garantendo in tal modo una maggiore attenzione e

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conseguentemente una maggiore protezione dei beni giuridici, quali la vita e l’integrità fisica di pedoni e degli altri guidatori, che tali norme intendono tutelare; diversamente da quanto accadrebbe se si fosse tenuti a mettere in conto la possibilità che i soggetti provenienti da strade limitrofe non rispetteranno il proprio dovere di dare precedenza.

È, dunque, da criticare l’impostazione di Statenwerth, in ragione del fatto che il

Vertrauensgrundsatz, in qualunque settore trovi applicazione, sia esso quello della

circolazione stradale o quello della sicurezza sul lavoro, permette sempre una più efficace tutela dei beni giuridici coinvolti senza poter trovare giustificazione il restringimento di tale funzione al solo settore dell’attività medico-chirurgica in

équipe; è la divisione del lavoro in sé, e non l’ambito in cui questa avviene, a

permettere una frammentazione del rischio di modo che ogni partecipante possa occuparsi di prevenire, rispettando le regole di diligenza di cui è destinatario, solo i pericoli che lo riguardano, favorendo così un innalzamento della sicurezza e, quindi, della tutela dei beni coinvolti.

2.2. La giurisprudenza tedesca in materia di Vertrauensgrundsatz

Procedendo nell’analisi dello sviluppo storico del principio di affidamento all’interno dell’esperienza tedesca, merita adesso accennare alle posizioni giurisprudenziali storicamente succedutesi su questa tematica. In particolare, l’evoluzione del Vertauensgrundsatz ad opera della giurisprudenza d’oltralpe vede due fasi, una precedente ed una successiva alla fondamentale sentenza del 12 luglio 1954 del Bundesgerichtshof.

Nel primo periodo, inquadrabile nei primi anni del dopoguerra, la giurisprudenza tedesca riteneva che potesse avvalersi del principio di affidamento soltanto chi fosse visivamente entrato in contatto con l’altro partecipante al traffico e in ragione di tale percezione visiva del comportamento altrui, che non presentava irregolarità, si fosse convinto che questi avrebbe adempiuto agli obblighi di cui era destinatario, nonostante poi, in concreto, l’incidente stradale si fosse comunque verificato per una imprevedibile inosservanza – da parte di costui - delle norme di diligenza. Dunque, ai fini dell’operatività del principio di affidamento, secondo tale giurisprudenza, non era possibile limitarsi a verificare

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l’esistenza di obblighi di diligenza in capo agli altri partecipanti al traffico, sulla cui osservanza poter confidare, ma era altresì necessario che il soggetto disponesse di indizi concreti, derivanti dalla percezione visiva del contegno altrui, da cui ragionevolmente desumere il rispetto dei propri doveri da parte dell’altro utente del traffico, di modo che il verificarsi dell’evento dannoso che le norme di diligenza miravano a prevenire fosse, di fatti, imprevedibile per l’agente e, quindi, questi non potesse vedersi mosso un rimprovero. In tal modo il principio di affidamento esplicava i suoi effetti di tutela dell’aspettativa solo in presenza di circostanze concrete, proteggendo il ragionevole convincimento, che il soggetto si sarebbe formato circa il comportamento altrui, purché suffragato da indizi fattuali in grado di fondare la conoscenza della condotta futura altrui, nonostante poi tale conoscenza venisse successivamente disattesa dai fatti.

La svolta nell’elaborazione giurisprudenziale del Vertrauensgrundsatz si ebbe in un periodo successivo, inquadrabile a partire dalla fondamentale sentenza del

Bundesgerichtshof del 12 luglio 195411 da cui presero le mosse le elaborazioni successive circa il fondamento del principio in questione e la sua estensione ad ambiti, caratterizzati dall’interazione fra più soggetti, differenti da quello di origine, vale a dire la circolazione stradale. La questione riguardava il diritto di precedenza: in particolare si chiedeva alla Corte di esprimersi in merito alla possibilità, per il titolare di tale diritto, di fare affidamento sul fatto che gli altri utenti del traffico, sebbene non visibili, provenienti da strade secondarie avrebbero osservato gli obblighi loro riferibili, specialmente quello di dare precedenza al soggetto transitante sulla strada principale. Nella sentenza, la Corte Suprema Federale prese le distanze dagli orientamenti giurisprudenziali precedenti cui si è fatto cenno, che permettevano l’applicazione del principio di affidamento soltanto quando fosse visivamente percepito il comportamento altrui e, in ragione di ciò, non vi fossero ragioni che ostassero a ritenere una sua conformità futura. Non sembrava condivisibile, in particolare, che nel caso in cui l’agente non potesse vedere il comportamento tenuto dagli altri partecipanti al traffico, questi avrebbe dovuto mettere in conto un loro possibile comportamento inosservante, senza potersi applicare a suo favore il principio di affidamento.

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Secondo la Corte il richiedere al conducente con diritto di precedenza di dover costantemente preventivare l’eventuale inosservanza da parte dei partecipanti al traffico non visibili, da cui deriverebbe un’impossibilità di affidamento, dovendo adattare in ragione di ciò il proprio comportamento e, dunque, incidendo tale sfiducia sul quantum di diligenza richiesta, avrebbe portato a privare interamente di senso la stessa ratio del diritto di precedenza.

La funzione di tale diritto, secondo la Corte, risulta essere quella di assicurare all’automobilista che ne gode di poter attraversare l’incrocio confidando nel fatto che non verranno posti ostacoli da parte di coloro tenuti ad attendere; viceversa, opinare il contrario non permetterebbe di garantire la fluidità del traffico che la norma sul diritto di precedenza ed il principio di affidamento ad essa collegato mirano ad ottenere. Tale affermazione si concilia con l’idea per cui il fatto di non estendere la richiesta di diligenza del singolo, gravandolo dell’ulteriore obbligo di prevedere le imprudenze altrui, sia da considerare come spiegazione dell’esonero dal controllo di quelle fonti di pericolo che non rientrano nella propria sfera di dominabilità, permettendo di meglio assolvere i propri doveri e garantire così una maggior tutela dei beni giuridici rientranti nella sua sfera di controllo. Da ciò deriva una particolare configurazione del principio di affidamento: legandosi alla necessità di rispettare i propri doveri di diligenza, limitandosi a controllare le fonti di pericolo rientranti nella propria sfera di signoria, potendo confidare che i soggetti con cui ci si relaziona facciano altrettanto, esso permetterebbe di escludere il rischio di una responsabilità per fatto altrui, dal momento che non si può richiedere al soggetto di controllare altrui fonti di pericolo e rispondere per eventi da queste causate, mancando il presupposto fondamentale del dominio su di esse, in presenza del quale è possibile muovere un rimprovero all’agente.

Dall’orientamento sostenuto dal Bundesgerichtshof nella sentenza in esame emerge la volontà di fondare il principio di affidamento su basi nuove rispetto al passato; dovendo l’automobilista con diritto di precedenza dedicare la propria attenzione solo ai propri obblighi e non, in astratto, anche al rispetto delle norme di diligenza facenti capo agli altri partecipanti al traffico non visibili, questi ultimi non potranno contare sul fatto che, in caso di loro inosservanza, altri soggetti saranno tenuti a fronteggiarne le conseguenze e sarà quindi loro preciso compito

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attivarsi per il rispetto degli obblighi relativi alla propria sfera di responsabilità. La giurisprudenza in questione sottolinea come tale meccanismo garantirebbe una corretta ripartizione delle responsabilità tra i soggetti coinvolti in eventuali incidenti stradali così da poter individuare, come evidenziato anche da parte della dottrina tedesca12, il fondamento del Vertrauensgrundsatz nel cosiddetto principio di autoresponsabilità, dovendo ciascuno ritenersi responsabile solamente per la concretizzazione di pericoli rientranti nella propria sfera di signoria. Tale identificazione, ad ogni modo, non può dirsi propriamente corretta, come si vedrà in seguito, in quanto scambia per fondamento quello che è un effetto del principio

de quo; esso, infatti, permette una corretta distribuzione degli obblighi di

diligenza in modo da poter meglio gestire le fonti di pericolo da parte dei soggetti tenuti, in forza di norme cautelari, a prevenire eventi infausti: ognuno dovrà rispondere solamente per eventi legati alla propria sfera di dominabilità.

La Corte Suprema Federale conferisce tutela alle legittime aspettative circa il corretto comportamento degli altri utenti della strada non legandole ad un convincimento in concreto del soggetto, legato ad una percezione visiva, come sostenuto dalla giurisprudenza precedente, bensì ancorandole alla presenza in astratto di norme finalizzate a regolare il comportamento dei partecipanti al traffico, sul rispetto delle quali sarà possibile fare affidamento, entro certi limiti.

Infatti, tale affidamento e la sua conseguente tutela, non opereranno nel caso in cui il contesto concreto in cui agisca il conducente presenti indizi tali da rendere riconoscibile che la situazione effettiva risulti difforme da quella configurata dalle norme su cui egli sarebbe portato a confidare; simile scostamento dalla realtà astratta potrà essere dovuto sia a fattori naturali, indipendenti dal comportamento umano, quali condizioni atmosferiche o irregolarità del fondo stradale, ma anche, e soprattutto, dalla riconoscibile condotta negligente di chi è tenuto a rispettare determinati obblighi. Il riconoscibile comportamento inosservante, infatti, rende prevedibile il verificarsi dell’evento del tipo di quelli che la norma cautelare mirava ad impedire con la conseguenza, per il soggetto, di dover impiegare una diligenza ulteriore rispetto a quella prescritta dalla norma astratta al fine di

12 In particolare, H. SCHUMANN, Strafrechtliches Handlungsunrecht und das Prinzip der Selbstverantwortung der Anderen, 1986, e G. STRATENWERTH, Arbeitsteilung, op. cit.

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neutralizzare le conseguenze dannose del comportamento altrui. Ciò, è bene sottolinearlo, solo a patto che fosse concretamente riconoscibile, per il soggetto entrato in contatto col destinatario della norma violata, la difformità del contegno di questi rispetto alla diligenza richiesta, poiché è proprio questa riconoscibilità a fondare in capo al primo soggetto sia il dovere di impiegare la diligenza necessaria per evitare che l’evento si realizzi sia la sua eventuale corresponsabilità nel caso questo si verifichi. Infatti, il mancato attivarsi secondo la diligenza richiesta, sempre che si sia nel caso di riconoscibilità dell’evento finale legato all’inosservanza altrui, determinerebbe un addebito a titolo di colpa, garantendo così coerenza tra i limiti or ora esposti al principio di affidamento e le concezioni maggioritarie in materia di colpa.

Da quanto esposto discende, in conclusione, che le indicazioni in materia di affidamento fornite dalla Corte nella sentenza del 12 luglio 1954 si fondano su basi profondamente diverse rispetto alle impostazioni precedenti, che limitavano l’applicabilità del principio di affidamento a situazioni concrete in cui l’agente avesse avuto percezione visiva del corretto comportamento altrui; nella sentenza in questione, infatti, si dà rilievo alle aspettative di carattere generale e astratto, derivanti dall’esistenza di norme di diligenza cui i consociati sono tenuti, e non ad aspettative legate alle circostanze concrete; quest’ultime andranno non a fondare un’aspettativa tutelata dall’ordinamento ma anzi, potenzialmente, a rimuoverla. Questa presa di posizione della giurisprudenza tedesca fa emergere due elementi che caratterizzeranno l’essenza del principio di affidamento anche in epoche successive e in altri paesi; il primo riguarda il fatto che le aspettative alla cui tutela è ordinato tale principio siano di carattere astratto, poiché derivano dall’esistenza di norme, appunto di carattere astratto, rivolte ad altri soggetti, il secondo è che proprio la circostanza dell’astrattezza di tali aspettative espone l’affidamento al rischio di essere disatteso; infatti, la possibilità confidare sulle aspettative derivanti dalle norme di diligenza dovrà cedere il passo laddove vi siano elementi concreti che testimonino la loro inosservanza.

A conclusione della disamina storica risulta evidente il motivo per cui il primo campo di applicazione del principio di affidamento sia stato proprio quello della circolazione stradale. Tale ambito si caratterizza per la non conoscenza fra i vari

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partner del traffico ed è in relazione a questo carattere che emerge la rilevanza delle aspettative e la necessità di una loro tutela. La suddetta mancanza di conoscenza degli altri utenti della strada ha come conseguenza la difficoltà di prevederne il comportamento, con il rischio di muovere da una presunzione di inosservanza altrui cui farebbe da necessario corollario il dovere di controllare il comportamento dei soggetti con cui ci si relaziona. A tale rischio si è cercato di ovviare in due modi; da un lato, mediante la predisposizione di norme di carattere astratto rivolte ad una pluralità di soggetti con cui si entra in contatto, con funzione di indicatori dei comportamenti da tenere, e dall’altro, mediante la tutela delle aspettative, ingenerate dall’esistenza di tali norme, circa il rispetto da parte degli altri soggetti sottoposti agli obblighi normativamente imposti, purché queste non siano ostacolate da indizi di segno contrario.

3. Ricerca di un fondamento giuridico del principio di affidamento Si tratta, dunque, di mettere a fuoco il fondamento del principio di affidamento all’interno della dogmatica penale, in materia di colpa.

Il principio di cui si tratta non presenta omogeneità di opinioni per quanto riguarda il suo nucleo essenziale, tanto che ancora oggi persiste un’incertezza circa le basi dogmatiche; pertanto si cercherà di illustrare le varie teorie che a riguardo si sono succedute partendo da quelle, sostenute dalla dottrina tedesca, che lo inquadrano all’interno della più ampia categoria del rischio consentito o del principio di autoresponsabilità, per poi approdare ad una ricostruzione che gli attribuisca un fondamento autonomo, partendo dalla teoria generale della colpa e dalla definizione di reato colposo di cui all’articolo 43 c.p.

3.1. Ricostruzione del principio di affidamento come sottocaso del rischio consentito

Una prima ricostruzione del principio di affidamento, preponderante nella dottrina d’oltralpe, è stata elaborata da Claus Roxin13

, secondo il quale il principio

de quo sarebbe da intendersi come caso particolare di esclusione della

13 C. ROXIN, Strafrecht, Allgemeiner Teil, I, Grundlagen-Der Aufbau der Verbrechenslehre,

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responsabilità colposa riconducibile al genus del rischio consentito, poiché con esso condividerebbe la stessa ragion d’essere.

La categoria del rischio consentito (erlaubtes Risiko) individua una serie di condotte relative a certe attività, di per sé portatrici di pericoli per uno o più beni giuridici penalmente tutelati, che vengono, nonostante ciò, autorizzate dall’ordinamento giuridico in ragione di una loro generale utilità. Il riconoscimento di questa autorizzazione a tenere certi comportamenti, ha carattere di generalità e astrattezza così che l’esclusione di responsabilità, nel caso in cui si verifichino eventi dannosi a causa di tali condotte, operi anch’essa ad un livello generale e astratto, a prescindere dal singolo caso concreto, proprio in ragione della predeterminazione ex ante dall’ordinamento. In tal senso, assume rilievo la circostanza che ciascun comportamento rientrante tra quelli autorizzati, sebbene produttivo di eventi lesivi per certi beni giuridici, determinerà la non integrazione del fatto tipico e non la sua sola antigiuridicità (il che vale a distinguerlo da una causa di giustificazione), avendo come conseguenza, dunque, l’esenzione da responsabilità, a condizione che tale condotta risulti conforme ai limiti e alle indicazioni poste dall’ordinamento per la sua autorizzazione.

Il rischio consentito, per come delineato, trova nella circolazione stradale un esempio paradigmatico, ed è proprio da questa constatazione che prende le mosse la dottrina cui ci si riferisce. Tale attività, infatti, è consentita dall’ordinamento, nei limiti in cui vengano osservate le norme che esso impone per il suo svolgimento, sebbene sia potenzialmente produttiva di pericoli per i beni giuridici coinvolti, in ragione del perseguimento di interessi che l’ordinamento giudica rilevanti. Ne consegue che, se avvenuta nonostante il rispetto delle prescrizioni imposte, l’eventuale causazione di danni ai beni giuridici tutelati risulterà atipica e il soggetto andrà esente da responsabilità.

Tuttavia, nella prassi, tale assunto non risulta pienamente rispettato. Infatti, qualora si verifichi un incidente stradale, da ricondurre all’inosservanza delle regole del traffico da parte di altri partecipanti, si assiste, nella maggioranza dei casi a condanne dell’utente, che sia entrato in contato con tali soggetti, concorrendo a cagionare l’evento, sebbene questi abbia rispettato i propri obblighi. Viceversa, in tali situazioni, secondo quanto esposto, il soggetto

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osservante dovrebbe, di regola, andare comunque esente da responsabilità e non dovrebbe essere tenuto a rispondere delle inosservanze altrui.

Tale criterio ispiratore dei comportamenti dei vari partecipanti al traffico, starebbe a significare che ciascun partecipante, se osservante delle norme che lo concernono, potrà, in generale, fare affidamento sul rispetto da parte degli altri utenti degli obblighi loro riferibili. In quest’ottica, che è quella precisamente sostenuta da Roxin, emerge come il fondamento del principio di affidamento, la sua ragion d’essere, altro non sarebbe che un’applicazione della più generale categoria dell’erlaubtes Risiko.

Questa configurazione del principio di affidamento risulta particolarmente rigorosa e stringente, e necessita, perciò, di alcune precisazioni14 onde evitarne una visione strettamente antipodica rispetto alla concezione solidaristica. Infatti, ai fini dell’operatività del principio de quo non può dirsi sufficiente la semplice osservanza della regola di diligenza nell’esecuzione dell’attività autorizzata dall’ordinamento, da cui deriverebbe la possibilità di far affidamento sul corretto rispetto degli obblighi facenti capo agli altri partecipanti al traffico e la conseguente esenzione da responsabilità in caso di eventi cagionati dalla colposa condotta altrui. Nel giudizio circa la diligenza del soggetto sarà altresì da comprendere l’esistenza di eventuali conoscenze ulteriori di quest’ultimo, che gli rendessero in concreto riconoscibile l’altrui inosservanza e la conseguente possibilità del verificarsi di eventi lesivi. Ciò permette di definire la diligenza oggettivamente richiesta, e dunque i confini del rischio consentito, alla luce non solo del rispetto delle regole cautelari relative al settore di riferimento, nel caso in questione la circolazione stradale, ma anche, e soprattutto, di conoscenze supplementari di cui l’agente disponga. Proprio grazie all’inclusione di tali conoscenze nel giudizio sulla base del quale determinare la riconoscibilità dell’evento verificatosi e il dovere di utilizzare la diligenza necessaria ad impedirlo, si eviterà di limitarsi alla semplice conclusione, propugnata dalla concezione in esame, che basti il solo rispetto delle regole del traffico ad esaurire l’adempimento delle prescrizioni, relative alle attività pericolose, al cui assolvimento si lega l’autorizzazione fornita dall’ordinamento, e a garantire, di

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conseguenza, l’esonero da responsabilità rispetto agli eventi che abbiano comunque a verificarsi, esonero di cui il principio di affidamento sarebbe un necessario riflesso, in quanto derivante dalla mera osservanza delle norme riferibili al soggetto.

Dunque, per stabilire se il soggetto interessato abbia impiegato la diligenza dovuta non sarà sufficiente limitarsi a verificare il rispetto delle prescrizioni cui l’ordinamento subordina lo svolgimento di un’attività pericolosa, così autorizzandola, ma sarà altresì necessario verificare se a questi fossero note, o dovessero esserlo, in ragione di indizi concreti (da cui risulti che i soggetti con cui entra in contatto verosimilmente non si atterranno ai propri obblighi), circostanze che gli rendessero riconoscibile il prodursi di un evento dannoso, del tipo di quelli che la norma cautelare mirava a prevenire, nonostante il rispetto dei propri obblighi; proprio tale riconoscibilità mediata (in quanto legata alla condotta di altri) dell’evento fonderà a carico del soggetto un ulteriore obbligo di diligenza, mirante a neutralizzare le conseguenze dannose delle riconosciute imprudenze altrui.

Emerge in tal modo come uno dei limiti all’applicabilità del principio di affidamento, ossia l’esistenza di circostanze che rendano riconoscibile l’inosservanza di altri soggetti, sia al tempo stesso limite alla configurabilità di una situazione di rischio consentito. Quest’ultimo, per operare correttamente, necessiterà dell’esatto assolvimento di tutte le prescrizioni poste dall’ordinamento per l’esercizio di un’attività pericolosa; prescrizioni in cui andranno necessariamente incluse, oltre a quelle imposte dalle norme cautelari, quelle che originano dall’esistenza di conoscenze superiori in capo all’agente15

, che comprendono la consapevolezza del fatto che i soggetti con cui si entra in contatto non si conformeranno agli obblighi di diligenza per impedire il verificarsi di eventi dannosi, e che rendano perciò prevedibile il concretizzarsi dell’evento. Ne consegue che chi, pur operando nel contesto di un’attività autorizzata dall’ordinamento e rispettando le norme di diligenza ad essa collegate, non ottemperi alle prescrizioni ulteriori derivanti dall’esistenza di sue conoscenze speciali, non potrebbe rientrare nell’area del rischio consentito e non potrebbe,

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conseguentemente, beneficiare di un’esenzione da responsabilità per eventi colposi altrui, riservata solo a coloro che all’interno del rischio consentito si mantengono.

3.1.1. Critica alla riconduzione del principio di affidamento all’area del rischio consentito

Alla luce di quanto esposto in merito alla dottrina di C. Roxin, emergono vari dubbi16 circa la configurabilità del principio di affidamento quale mero riflesso, e, dunque, quale criterio privo di autonomia, del rischio consentito. Tale modo di intendere il Vertrauensgrundsatz non ne esalta né la dimensione intersoggettiva che gli è connaturale né le potenzialità, che gli permettono di assurgere ad elemento in base al quale plasmare le condotte dei consociati, ma, anzi, lo costringe in una prospettiva individuale e di segno negativo, vale a dire come mero criterio di esclusione della responsabilità legata al rispetto delle norme cautelari di settore. Inserito nella sfera del rischio consentito, il principio di affidamento starebbe semplicemente a significare che chi osserva le regole, dettate dall’ordinamento, del settore in cui svolge la propria attività, insieme a quelle relative alle sue eventuali conoscenze superiori, sarebbe per ciò stesso esonerato dall’obbligo di mettere in conto, e dal risponderne nel caso in cui l’evento si verifichi, eventuali negligenze altrui.

Si è visto che l’esistenza di un’aspettativa circa la correttezza del comportamento altrui, basata sull’esistenza di regole di diligenza a carico dei soggetti con cui ci si relaziona, non esonera il suo portatore dall’adempimento degli obblighi di diligenza a lui personalmente imposti; ebbene, queste aspettative del soggetto, altro non essendo che un riflesso delle aspettative dell’ordinamento stesso, preesistono e sono indipendenti dal corretto comportamento di chi le ripone, in quanto non risultano essere effetto della sua conformità al dovere di diligenza, come viceversa accadrebbe se le si riconducesse al fatto che l’agente rispetti i limiti posti dal rischio consentito. Tali aspettative hanno una propria autonomia che deriva dall’esistenza di norme cautelari indirizzate a tutti gli altri membri della comunità o del settore di attività di cui si tratta, il che conferma la

16 Secondo i rilievi di M. MANTOVANI, Il principio, p. 74 ss., e M. MANTOVANI, Alcune puntualizzazioni sul principio di affidamento, in Riv. it. dir. proc. pen., 1997, p. 1054 ss.

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natura strettamente intersoggettiva del principio di affidamento su cui esse si fondano; questa natura del principio non permette di ridurre la tutela delle aspettative del singolo, circa il fatto che i soggetti con cui entri in contatto tengano una condotta diligente, a mero riflesso della correttezza del suo comportamento, secondo una prospettiva strettamente individuale. Viceversa, suddette aspettative risultano avere un carattere generale in quanto derivanti non da un mero convincimento del singolo ma, piuttosto, dall’attesa dell’ordinamento stesso circa il rispetto delle regole di diligenza da esso poste; in tal senso, esse, da un lato, modelleranno positivamente i comportamenti che ci si aspetta dagli altri consociati, poiché essi saranno normativamente vincolati a tenerli, e, dall’altro, forniranno i criteri di orientamento fondamentali per intrattenervi rapporti. Dal carattere generale di dette aspettative, discenderà il fatto che solo in via secondaria (e non primaria come porterebbe a sostenere l’inquadramento del principio di affidamento nella categoria del rischio consentito), esse assumeranno una valenza di segno negativo, per escludere la responsabilità di coloro che a queste si erano affidati, in caso di verificazione di eventi dannosi che le norme di diligenza miravano a prevenire, sempre che non fossero presenti indizi circa l’inosservanza degli altri soggetti coinvolti. Dunque, le aspettative in questione hanno una primaria funzione di segno positivo; esse permettono di adattare le condotte dei singoli a quanto disposto dalle norme, nell’attesa che i soggetti con cui si interagisce faranno altrettanto.

Ulteriori dubbi circa l’inquadramento del principio di affidamento nell’area del rischio consentito sono stati sottolineati dalla dottrina d’oltralpe, che ha evidenziato l’incongruenza delle conseguenze pratiche cui tale collocazione potrebbe dar luogo. Trattando dell’altro ambito, oltre quello della circolazione stradale, in cui il principio in esame ha trovato applicazione, ossia l’attività medico-chirurgica in équipe, parte della dottrina tedesca17 ha sottolineato come lo stretto rapporto tra operatività del principio e liceità dell’attività che esso sarebbe esclusivamente idoneo a disciplinare, condurrebbe al risultato che non potrebbe avvalersene un soggetto che partecipi ad un’attività non autorizzata (come nel caso di un medico che prenda parte ad un intervento non rientrante fra quelli

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consentiti dalla legge). In tal senso, l’illiceità dell’attività impedirebbe automaticamente ogni esenzione da responsabilità, che deriverebbe dall’applicazione del principio di affidamento, relativamente alle conseguenze dell’agire colposo altrui, finendo così per ricostruire la logica del versari in re

illicita.

Questo epilogo, sostiene tale dottrina, potrà essere evitato in un sol modo: non interpretando il Vertrauensgrundsatz come mero caso del rischio consentito, poiché ciò porterebbe ad escludere l’operatività del principio di affidamento in tutti i casi in cui la condotta, svolgendosi in un contesto illecito, debba essere ricondotta al rischio non consentito. In tal senso si postula una configurazione autonoma del principio in esame, in modo che di esso possano avvalersi anche i soggetti che si trovino ad operare in un contesto illecito; così il medico che partecipa ad un intervento chirurgico, sebbene non autorizzato, potrà, in forza del principio di affidamento, confidare sul corretto agire dei colleghi e andare esente da responsabilità in caso di eventi infausti legati all’altrui, non riconoscibile, inadempienza.

Infine, un’ultima considerazione18, che giocherebbe a favore dell’individuazione del fondamento autonomo del principio di affidamento, emergerebbe da un’affermazione, enunciata in un’opera19 dello stesso Roxin, che porterebbe all’applicazione del principio in esame anche al di fuori di contesti caratterizzati dal rischio lecito. In particolare, l’autore si opponeva ad una delle posizioni della giurisprudenza allora imperante, secondo cui non sarebbe mai stato possibile richiamarsi al Vertrauensgrundsatz per l’automobilista che tenesse una condotta contraria alle norme del traffico; egli sostenne che tale ipotesi non fosse applicabile ai casi in cui la violazione di tali norme non avesse esplicato alcuna efficacia nella verificazione dell’evento dannoso. A sostegno di tale tesi si pone l’esempio dell’automobilista che, guidando su una strada con diritto di precedenza in stato di ebrezza, e quindi pur assumendo una condotta inosservante delle regole sulla circolazione stradale, dovrebbe comunque andare esente da responsabilità nel caso in cui un altro guidatore, tenuto ad attendere, non si fosse arrestato per permettergli di passare e si dimostri che l’incidente non sarebbe stato evitato

18 Secondo quanto sottolineato da M. MANTOVANI, Il principio, p. 82 ss. 19 C. ROXIN, Strafrecht, p. 897.

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neppure in caso di sobrietà; ciò per evitare di determinare un’inoperatività del principio di affidamento secondo le logiche del versari in re illicita.

Tale impostazione, per quanto condivisibile, tuttavia non risulta conciliabile con la posizione, sostenuta da Roxin stesso, secondo cui il principio di affidamento sarebbe un caso particolare del rischio consentito. Infatti, dall’esempio emerge che ciò che permette l’applicazione del principio de quo, e la conseguente esenzione da responsabilità, non è la circostanza che la condotta del soggetto fosse riconducibile ad una situazione di rischio consentito, poiché egli teneva una condotta inosservante delle norme di diligenza, quanto piuttosto la dimostrazione del fatto che l’evento non sarebbe stato evitato neanche in caso di sua sobrietà, perché egli non avrebbe potuto comunque percepire segnali che rendessero prevedibile l’evento dannoso. A carico dell’agente non potrà essere riconosciuta responsabilità alcuna perché anche in presenza di un comportamento alternativo lecito, rispettoso degli obblighi a lui imposti, l’evento, non reso riconoscibile da alcun segnale, si sarebbe ugualmente verificato in quanto esso non risulta conseguenza della realizzazione di un rischio illecito creato dall’agente. Giacché l’indagine circa la concretizzazione nell’evento verificatosi del rischio attivato dall’agente presuppone l’illiceità di tale rischio, l’applicazione del principio di affidamento in questo caso non può che basarsi su fondamenta differenti da quelle su cui si instaura il rischio consentito. A tali considerazioni si lega, dunque, la possibilità di applicare il principio di affidamento anche a contesti non caratterizzati dalla liceità della condotta, sempre che, naturalmente, non fosse percepibile l’imprudenza altrui.

È evidente che suddetta impostazione non è conciliabile con la tesi per cui il

Vertrauensgrundsatz sarebbe da ricondurre nell’alveo del rischio consentito, con

la conseguenza che il fondamento del principio non sia riconducibile a tale area tematica. Per queste ragioni si ritiene che debba essere rimosso l’ostacolo che non permette l’applicazione del principio di affidamento, quale criterio autonomo, nelle aree di rischio illecito, vale a dire il suo collegamento con la categoria dell’erlaubtes Risiko.

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