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La collaborazione fra sanitari aventi diversa specializzazione: i rapporti tra chirurgo e anestesista

CIRCOLAZIONE STRADALE

6. I diversi modelli di cooperazione tra medici e le loro conseguenze sull’operatività del principio di affidamento

6.1. La cooperazione orizzontale tra medici senza vincolo gerarchico: i sanitari appartenenti allo stesso reparto

6.1.2. La collaborazione fra sanitari aventi diversa specializzazione: i rapporti tra chirurgo e anestesista

La terza forma di collaborazione che può essere configurata nell’ipotesi di divisione del lavoro in senso orizzontale è quella tra medici aventi differenti specializzazioni, che si delinea nei casi in cui si renda necessaria la partecipazione di soggetti con competenze sanitarie differenti, da coordinarsi fra loro, al fine di garantire un’efficace tutela della salute del paziente.

È questo il terreno elettivo dell’operatività del principio di affidamento, trattandosi di situazioni in cui sui medici incombono doveri che possono qualificarsi come divisi, per cui ciascun operatore dovrebbe essere tenuto al solo rispetto delle leges artis relative alla propria qualifica, come suggerisce la ratio stessa della divisione del lavoro. È evidente, infatti, che il medico, avendo una differente specializzazione, non è dotato delle conoscenze tecnico-scientifiche necessarie per valutare la correttezza dell’operato del collega e non potrebbe, di conseguenza, prevedere ed evitare l’eventuale errore di costui, a meno che non si tratti di un errore emendabile mediante le conoscenze comuni a ciascun sanitario.

Emblematica in questo senso risulta la cooperazione tra chirurgo ed anestesista che, sebbene riguardi il lavoro di équipe in senso stretto, merita di essere trattata in questa sede, dal momento che il rapporto tra i due operatori rientra precisamente nella forma di collaborazione in analisi.

Relativamente all’individuazione delle responsabilità delle due figure, nel caso in cui da un intervento operatorio sia derivato un evento dannoso per il paziente, la giurisprudenza ha manifestato orientamenti oscillanti. Da un lato, infatti, vi sono state interpretazioni rigoristiche tese a postulare un generale dovere di controllo reciproco tra i due professionisti; così in un caso di intervento di adenotonsillectomia, da cui era derivato il decesso della paziente, i giudici della Suprema Corte sono giunti ad affermare la responsabilità sia dell’anestesista, per aver omesso la dovuta vigilanza sulla possibile insorgenza di complicanze nella fase post-operatoria, sia del chirurgo, per essersi affidato alla vigilanza (mancata) dell’anestesista e non aver controllato personalmente il suo operato115. Dall’altro

115 In tal senso Cass. pen. Sez. IV, 14 giugno 2000, n. 1410, per cui <<se, quindi, nel caso in

esame il chirurgo capo-équipe avesse delegato all’anestesista la fase della vigilanza post-operatoria fino al risveglio della paziente, certamente non avrebbe risposto del mancato intervento in tale

lato, si riscontrano interpretazioni volte a definire una sfera di responsabilità autonoma dei due medici; così, ad esempio, si è esclusa la responsabilità di un gruppo di anestesisti poiché <<non avevano, per posizione gerarchica, un obbligo di prevenire e correggere l’errore del chirurgo>>116

. Specularmente, si rinvengono decisioni che negano ogni addebito di colpa in capo al chirurgo, ritenendo responsabile il solo anestesista <<della preparazione della sala operatoria, della sterilizzazione degli strumenti, del dosaggio delle soluzioni anestetiche e di quanto occorra per l’intervento>>117

.

Questi gli orientamenti della giurisprudenza, che presentano un approccio sostanzialmente casistico.

Tuttavia, per poter correttamente inquadrare la questione, occorre prendere le mosse dal dato normativo, che esclude la subordinazione dell’anestesista rispetto al chirurgo (e viceversa) e permette la distinzione tra i due ruoli. In tal senso, è fondamentale il richiamo all’art. 1, comma 2, della l. 9 agosto 1954, n. 653, che delinea le funzioni dell’anestesista118

individuando, in particolare, due mansioni tipiche di questo soggetto: la somministrazione del trattamento anestetico e la vigilanza sull’andamento dello stesso; la manifestazione del proprio parere sulle condizioni del paziente in relazione al trattamento anestetico.

Alla luce di tale normativa, si inverte la tendenza, fino ad allora imperante nelle strutture ospedaliere, per cui il chirurgo era riconosciuto quale dominus della sala operatoria e unico responsabile sia del c.d. rischio anestetico sia del c.d. rischio chirurgico. Alla luce delle specifiche mansioni attribuite all’anestesista, è possibile indagare sulla ripartizione delle responsabilità, in caso di esito infausto, tra quest’ultimo ed il chirurgo, dovendosi a tal fine distinguere tra le varie fasi dell’intervento.

fase: il fatto è che tale delega non vi fu>>, citata da A.R. DI LANDRO, Vecchie e nuove linee, p. 265 ss.

116

Pret. Verbania, 11 marzo 1998, in Ind. pen., 1999, con nota di M. MANTOVANI, Sui limiti

del principio di affidamento, op. cit..

117 In tal senso, Cass. pen. Sez. IV, 25 ottobre 1955, in Resp. civ. e prev., 1956, p. 359.

118 L’articolo statuisce che <<il medico anestesista pratica direttamente sui malati sotto la

propria diretta responsabilità gli interventi per anestesia, sorvegliando l’andamento del trattamento; esprime il proprio motivato parere sulle condizioni del malato in relazione al trattamento anestetico in tutto quanto possa essere richiesto nei riguardi del servizio di anestesia>>.

Per quanto concerne la fase-preoperatoria non si pongono particolari problemi circa l’attribuzione di eventuali responsabilità, essendo tale fase di competenza esclusiva dell’anestesista; su tale sanitario incombe, infatti, il dovere di preparare il paziente119 per l’intervento, di verificare il corretto allestimento della sala operatoria e dei gas medicinali. In questa fase non si può configurare una responsabilità del chirurgo che, generalmente, neanche vi assiste; in tal senso si è espressa anche la giurisprudenza120.

La prima fase dell’intervento, invece, è quella che vede (oltre alla fase propriamente operatoria) la cooperazione tra chirurgo ed anestesista; in tale fase si registra la valutazione della necessità dell’intervento chirurgico e dei rischi, anche di natura anestetica, ad esso connessi. L’anestesista è chiamato ad esprimere il proprio parere circa il c.d. rischio anestetico (ossia i profili di rischio che potrebbero interessare il malato a causa dell’anestesista, legandosi ciò alle sue peculiari condizioni di salute), bilanciandolo con la necessità dell’intervento chirurgico. Per contro, il chirurgo, anche alla luce del parere dell’anestesista, è tenuto a valutare il c.d. rischio chirurgico, bilanciando la necessità dell’intervento con eventuali pregiudizi che il paziente potrebbe subire a causa della somministrazione dell’anestesia. In questi casi, per valutare la vincolatività del parere dell’anestesista, e i profili di responsabilità conseguenti, in caso di esito infausto, occorre distinguere tra interventi d’urgenza (quoad vitam) e interventi di elezione (quoad valetudinem).

Nel primo tipo di interventi, necessari per salvare la vita del paziente, l’eventuale parere negativo circa la pericolosità della narcosi è stato ritenuto, dalla dottrina121, non vincolante per il chirurgo, le cui eventuali preoccupazioni dovranno cedere davanti al pericolo di un più grave danno alla persona, non

119 In relazione a tale aspetto risulta particolarmente interessante una sentenza della Cassazione,

peraltro confermata da molte altre, in cui si ravvisava l’esclusiva responsabilità dell’anestesista per il non corretto posizionamento del paziente sul tavolo operatorio, estromettendo il chirurgo da qualsiasi responsabilità, non partecipando quest’ultimo alle operazioni preparatorie. Così Cass.

pen. Sez. IV, 14 aprile 1983, in CED, rv. 16004, citata da A. PALMA, Paradigmi ascrittivi, p. 178. 120 Cass. pen. Sez. IV, 4 novembre 1983, n.10868, in Cass. pen., 1986, p. 283. La Corte ha,

infatti, riconosciuto che <<il medico anestesista ha l’obbligo di sorvegliare e controllare che tutte le apparecchiature siano in regola e non sussistano difetti di funzionamento. Tale azione deve essere effettuata prima dell’intervento e del trattamento>>.

121 Così, A.R. DI LANDRO, Vecchie e nuove linee, p. 269, e A. PALMA, Paradigmi ascrittivi,

altrimenti evitabile122. Ci si chiede, dunque, se l’anestesista possa far affidamento sulla correttezza della decisione del collega o se su questi ricada il dovere di controllare che l’effettiva necessità dell’intervento sia stata correttamente valutata dal chirurgo e, in caso contrario, di astenersi dal collaborare. Tuttavia, la dottrina più garantista non ritiene corretto tale ultimo orientamento sostenendo, per contro, che, al fine di rispettare il principio di personalità della responsabilità penale, non sia possibile richiedere tale forma di verifica all’anestesista, che non ha la competenza tecnica per valutare la condotta del chirurgo. Ciò non esclude che nei casi in cui fosse riconoscibile, alla luce delle conoscenze mediche comuni, la non urgenza dell’intervento, si possa riconoscere la responsabilità colposa dell’anestesista che non si sia astenuto dal prestare la propria attività123

; in caso contrario si imputerebbe, invece, all’anestesista un fatto senza l’accertamento di un’autentica rimproverabilità.

Laddove si tratti, invece, di interventi non urgenti, in cui è lo stesso trattamento anestetico ad esporre a pericolo la vita del paziente, a fronte di una condizione patologica che presenta rischi minori (si pensi ad un intervento di chirurgia estetica), si ritiene che il parere dell’anestesia sia vincolante per il chirurgo. Ne consegue che potrà configurarsi la responsabilità colposa a carico del chirurgo, e non dell’anestesista, nel caso in cui il primo decida di procedere all’intervento, nonostante il parere contrario dell’altro, ed il paziente perisca o riporti lesioni gravi a causa dell’anestesia. Viceversa, se il chirurgo si è adeguato all’indicazione dell’anestesista, decidendo di non effettuare l’intervento, e la mancata effettuazione di questo abbia determinato eventi dannosi per la salute del paziente, a causa di una scorretta valutazione dell’anestesista124

, sarà configurabile a carico di quest’ultimo una responsabilità colposa per imperizia mentre nessuna responsabilità sarà ravvisabile in capo al chirurgo. A favore di quest’ultimo, infatti, sarà da riconoscere la piena operatività del principio di affidamento, non

122

Secondo alcuni, in questi casi il chirurgo si troverebbe ad operare in una situazione simile a quella che configura la causa di giustificazione dello stato di necessità di cui all’art. 54 c.p.; per altri invece si dovrebbe trattare di una scusante. In tale ultimo senso A. PALMA, Paradigmi

ascrittivi, p. 180.

123 In tal senso A.R. DI LANDRO, Vecchie e nuove linee, p. 269, e A. PALMA, Paradigmi ascrittivi, p. 180.

124 Mentre, in caso in cui la valutazione sul rischio connesso alla somministrazione

dell’anestetico fosse corretta, non si porranno profili di responsabilità colposa né in capo all’anestesista né in capo al chirurgo. Così A. PALMA, Paradigmi ascrittivi, p. 182.

potendosi pretendere un suo controllo sull’operato del collega, dal momento che questi non ha le capacità tecniche per valutarne la correttezza, essendo specialista in un differente settore.

Per quanto riguarda, invece, la successiva fase intra-operatoria, dovrà riconoscersi la piena applicabilità del principio di affidamento, non potendosi richiedere il controllo dell’anestesista sull’operato del chirurgo, e viceversa, alla luce delle differenti competenze di questi soggetti. Tale soluzione è stata condivisa anche dalla Corte di Cassazione che, affermando l’operatività del principio di affidamento, ha escluso la responsabilità dell’anestesista in un caso di lesioni gravi a un paziente nel cui addome, durante l’intervento, era stata dimenticata una garza laparotomica; i giudici hanno precisato che <<in un’équipe medica, l’anestesista è deputato a controllare lo stato di insensibilità del paziente all’azione chirurgica (…) mentre non ha nessuna competenza e, quindi, nessun incarico di porre o estrarre tamponi dalla cavità soggetta ad operazione. Ne consegue che l’anestesista non risponde del fatto che venga dimenticata nell’addome del paziente una garza laparotomica>>125

. Similmente si assiste a decisioni che, applicando il principio di affidamento, escludono la responsabilità del chirurgo in caso di errori imputabili al solo anestesista.

Per entrambe le figure, dunque, si può dire operante il principio di affidamento fintanto che non sia possibile rilevare, sulla base delle comuni conoscenze della professione medica, una condotta colposa del collega. In tali casi, a carico del sanitario, in forza della posizione di garanzia ricoperta, sorge l’obbligo di attivarsi per emendare errori del collaboratore purché questi non siano settoriali ovvero, pur appartenendo al settore specialistico del professionista, siano talmente macroscopici da essere rilevabili da qualsiasi medico.

Infine, per quanto riguarda la fase post-operatoria, avente ad oggetto il risveglio del paziente dalla narcosi, si torna ad una responsabilità esclusiva dell’anestesista, salvo che l’evoluzione successiva all’operazione non risulti anomala; in presenza di circostanze che facciano emergere delle complicanze,

infatti, il chirurgo è tenuto a non allontanarsi dal luogo di cura al fine di poter intervenire tempestivamente126.

6.2. La cooperazione verticale tra medici con differente posizione

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