• Non ci sono risultati.

La responsabilità colposa del subordinato

CIRCOLAZIONE STRADALE

6. I diversi modelli di cooperazione tra medici e le loro conseguenze sull’operatività del principio di affidamento

6.2. La cooperazione verticale tra medici con differente posizione gerarchica

6.2.1 La responsabilità colposa del subordinato

Per quanto riguarda le figure collocate in una posizione subordinata (quali aiuti, assistenti, specializzandi e personale paramedico) si pongono, in particolare, due ordini di problemi, che limitano l’applicabilità del principio di affidamento; da un lato la circostanza che il subordinato, nell’eseguire una direttiva scorretta del superiore, cagioni un danno alla salute o alla vita del paziente, dall’altro, l’eventualità che il sanitario, assistendo ad una condotta colposa del soggetto apicale, non impedisca il verificarsi dell’evento infausto ai danni del malato.

Con riferimento a tali problematiche, la giurisprudenza ha più volte assunto una posizione di particolare rigore sostenendo che, alla luce della normativa in materia sanitaria, in particolare l’art. 63 d.P.R. n. 761/1979127, il sanitario in posizione subalterna gode di autonomia e indipendenza professionale, nonché di una specifica posizione di garanzia nei confronti dei pazienti, tale da permettergli

126 Cass. pen. Sez. IV, 7 novembre 1988, n. 790 in CED, rv. 180245.

127 Tale articolo attribuisce al medico in posizione iniziale (assistente) un’autonomia tecnica e

professionale (essendogli consentito l’esercizio di funzioni medico-chirurgiche di supporto con assunzione di responsabilità diretta) seppur vincolata alle direttive del primario (c.d. autonomia vincolata) e al medico in posizione intermedia (aiuto) funzioni autonome nell’area dei servizi a lui affidata, relativamente ad attività e prestazioni medico-chirurgiche, sulla base delle direttive ricevute dal primario (c.d. autonomia limitata).

di impedire il verificarsi di eventi infausti, esercitando il proprio dovere di dissentire alle direttive illegittime del primario (non potendosi configurare, rispetto a quest’ultimo, una cieca ed assoluta soggezione agli ordini impartiti) oppure attivandosi per segnalare eventuali violazioni delle leges artis da questi commesse128. Secondo tale linea interpretativa giurisprudenziale, quindi, l’art. 63 d.P.R. n. 761/1979, non attribuisce al medico (neppure in posizione iniziale) un ruolo di mero esecutore delle direttive e istruzioni o di mero osservatore dell’attività del primario, ma ne valorizza l’autonomia decisionale ed operativa129

. Inoltre, tale ricostruzione trova ulteriori conferme nella nuova normativa introdotta dapprima con il d.lgs. n. 502/1992 e, poi, con il d.lgs. n. 229/1999, che ha ulteriormente ampliato gli ambiti di autonomia dei medici in posizione subalterna assottigliando i vincoli gerarchici.

Tale impostazione giurisprudenziale, tuttavia, non può essere interamente condivisa. Infatti, seppur è vero che la normativa ha riconosciuto maggiori spazi di autonomia ai sanitari subordinati, l’orientamento esposto presenta lacune sotto vari aspetti: in primo luogo, non viene pienamente affrontata la questione del grado di vincolatività delle direttive e istruzioni impartite dal primario e, in secondo luogo, la giurisprudenza non sembra analizzare compiutamente le reali possibilità del subordinato di dissentire alle direttive ricevute o di riconoscere l’eventuale errore del superiore. Tale approccio, inoltre, contrasta palesemente col principio di affidamento perché, sancendo il dovere di dissenso da parte del subordinato, presuppone che questi verifichi puntualmente la correttezza delle direttive ricevute e la loro adeguatezza al trattamento da effettuare, di modo che

128 In tal senso Cass. pen. Sez. IV, 18 gennaio 2000, n. 556, con nota di A. VALLINI, Gerarchia in ambito ospedaliero ed omissione colposa di trattamento terapeutico, in Dir. pen. proc., 2000, p. 1626 ss. La Corte afferma, nel caso di illegittime direttive alla cui esecuzione era

conseguita la morte del pazienze, che l’assistente <<ha il potere di opporsi a valutazioni e decisioni operative del primario da lui non condivise>> poiché nella scienza medica <<diretta alla soluzione di complessi problemi spesso con elevati livelli di discrezionalità tecnica, non sarebbe accettabile che la tutela della salute umana possa essere ricollegata a scelte discrezionali (o ad omissioni) incensurabili>>.

129 Secondo la giurisprudenza, anche la locuzione “autonomia vincolata”, che sembrerebbe

alludere ad un rapporto di rigida sovraordinazione-subordinazione, in cui il medico in posizione iniziale non possa dissentire agli ordini ricevuti, vorrebbe, invece, esplicitare l’esistenza di un rapporto dialettico in cui la vincolatività è da ricondurre al fatto che al medico in posizione apicale è sempre data la possibilità di superare il dissenso del proprio collaboratore mediante l’esercizio del potere di avocazione. In tal senso, Cass. pen. Sez. IV, 18 gennaio 2000, n. 556, cit.

non sarebbe possibile confidare, in generale, sulla regolarità delle istruzioni impartite dal proprio superiore.

Per quanto riguarda il primo profilo, è innegabile che alle direttive ed istruzioni del primario vada riconosciuto un certo grado di vincolatività (a cui fa da contrappeso la limitazione del dovere di dissenso del medico in posizione subalterna) poiché, altrimenti, queste sarebbero inefficaci e il primario non potrebbe correttamente ottemperare al proprio dovere di organizzazione e gestione del reparto130. Tuttavia, tale vincolatività non può essere estesa fino a configurare un diritto di sindacato e resistenza nei confronti di qualsivoglia direttiva o ordine del primario (a cui, sotto tale aspetto, può essere paragonata la figura del capo-

équipe); è evidente che, così facendo, si rischierebbe di cagionare pregiudizi al

paziente: se ogni decisione dovesse essere sottoposta alla verifica reciproca di ogni medico, da ciò deriverebbero ritardi e disfunzioni di vario genere. La dottrina, in particolare, dopo aver criticato la sostanziale equiparazione dei due ruoli, da cui deriverebbe il dovere di verifica e di dissenso della direttiva da parte del medico in posizione subalterna, ha ritenuto che la definizione del rapporto intercorrente tra primario e subordinato (nel caso di specie, un assistente) quale <<rapporto professionale critico-dialettico>>131 da cui derivare un principio di <<controllo incrociato>> altro non fosse che una fictio iuris132, tra l’altro in

malam partem (volendosene ricavare conseguenze sul piano delle responsabilità

penali), dal momento che la differente preparazione teorica, ma soprattutto pratica, del medico in posizione subalterna non consente di attribuire a quest’ultimo le stesse responsabilità del primario né tanto meno un preciso compito di supervisione sull’operato del superiore (peraltro neppure imposto a livello normativo). Partendo da tali premesse, la dottrina ha sottolineato la necessità di un approccio il più possibile realistico, in modo da non perdere l’aderenza con la realtà organizzativa del mondo medico, inquadrando la questione sul piano della colpevolezza, e non su quello del fatto o

130

In tal senso, A. PALMA, Paradigmi ascrittivi, p. 150, e A.R. DI LANDRO, Vecchie e

nuove linee, p. 233.

131 Come definito in Cass. pen. Sez. IV, 18 gennaio 2000, n. 556, cit. 132 In tal senso A. VALLINI, Gerarchia in ambito ospedaliero, cit., p. 1629.

dell’antigiuridicità come da alcuni sostenuto133

, dovendosi, dunque, analizzare i profili attinenti ai limiti dell’esigibilità del rifiuto di eseguire l’atto colposo da parte del subordinato134. A tal fine si palesa necessario valutare, da un lato, la posizione del medico subordinato (dovendosi distinguere tra aiuto, assistente e specializzando) e, dall’altro, la sua concreta possibilità di riconoscere l’illegittimità della direttiva ricevuta e, conseguentemente, di dissentirvi135

. Come opportunamente osservato dalla dottrina, riconoscere in capo al medico subordinato un dovere di verifica delle direttive impartitegli dal primario, alla stregua delle leges artis, significa presupporre l’agevole conoscibilità e l’assoluta linearità di queste da parte di ogni medico, anche quello alle “prime armi”136; tale posizione della Cassazione, tuttavia, dimostra un approccio superficiale al problema della colpa medica. Il profilo che merita particolare attenzione, e che non viene valutato nelle pronunce della Corte, è quello della esigibilità del dissenso da parte del medico in posizione subalterna e, quindi, quello della riconoscibilità della criminosità della direttiva ricevuta. Ciò non è sempre agevole dal momento che, in una scienza mutevole come è quella medica, accanto a trattamenti diagnostici o terapeutici la cui efficacia è consolidata e le cui regole di esecuzione sono note a tutti gli operatori sanitari (si pensi alla somministrazione di antibiotici per combattere le infezioni), prevede altri trattamenti la cui funzionalità o la cui esecuzione è ancora controversa. Si tratta, in particolare, di regole cautelari di natura sperimentale la cui conoscenza non deriva da una prassi consolidata (e, dunque, conosciuta da ogni medico) ma dalle superiori conoscenze

133 Parte della dottrina, infatti, ha analizzato la misura della sindacabilità dell’ordine del

primario sostenendo l’applicabilità della scriminante dell’adempimento del dovere di cui all’art. 51 c.p. Tale ricostruzione si legava alla possibilità di configurare il rapporto tra primario e subordinato quale rapporto di diritto pubblico, quantomeno con riferimento ai medici appartenenti alle strutture pubbliche; tuttavia si pongono problemi con riferimento alla legittimità sostanziale dell’ordine, soprattutto in un ambito, come quello medico, in cui la legge non determina né i presupposti né il contenuto dell’ordine, lasciando al medico in posizione apicale un potere discrezionale. La dottrina ha evidenziato che l’art. 51 ult. co. c.p., che esclude la punibilità del subordinato che abbia adempiuto ad un ordine illegittimo insindacabile, per costante orientamento è applicabile solo ai rapporti di subordinazione di tipo militare o equiparati e, quindi, non sarebbe applicabile ai rapporti gerarchici tra medici. Così A. PALMA, Paradigmi ascrittivi, cit., p. 152.

134 In tal senso A. PALMA, Paradigmi ascrittivi, p. 152, A. VALLINI, Gerarchia in ambito ospedaliero, p. 1632 e A.R. DI LANDRO, Vecchie e nuove linee, p. 240.

135

Laddove, ad esempio, <<l’illegittimità e l’illiceità dell’ordine risultino evidenti>>. Come evidenzia G. IADECOLA, I criteri della colpa nell’attività medica in équipe, in Giur. mer., fasc. 1, 1997, p. 226 ss.

dell’agente; un primario, ad esempio, conoscerà ed applicherà tecniche innovative la cui esistenza, per il limitato background pratico, difficilmente sarà conoscibile da un medico in posizione subordinata, soprattutto se alle prime esperienze. Da ciò deriva che l’affermazione della responsabilità colposa debba necessariamente passare da una diversificazione dei parametri del rimprovero, a seconda del tipo di

lex artis e dei diversi gradi di sapere scientifico del medico. Dunque, l’affermato

dovere di verifica, da parte del medico subordinato, della validità tecnica delle istruzioni ricevute dal primario potrà affermarsi solo rispetto a quei trattamenti diagnostici o terapeutici dei quali possa invocarsi una <<diffusa e incontestata

diuturnitas>>137, per la cui esecuzione siano necessarie e sufficienti le conoscenze che devono appartenere a qualsiasi medico; in tali ipotesi il riconoscimento dell’ordine criminoso è sicuramente esigibile da parte del medico in posizione subalterna e, con esso, il dovere di dissenso rispetto alla direttiva ricevuta. Nei casi in cui, viceversa, la direttiva del superiore imponga l’esecuzione del trattamento attraverso protocolli scientifici di natura ancora sperimentale, non potrà esigersi la riconoscibilità della natura colposa della condotta imposta138, poiché, altrimenti, si richiederebbe ad un medico ancora in posizione iniziale (assistente o, perfino, specializzando), privo della necessaria esperienza, di valutare la validità di prescrizioni che richiedono una conoscenza tecnico- scientifica avanzata. A tale assunto fa da corollario il fatto che la riconoscibilità della colposità di una direttiva andrà rapportata, oltre che al suo contenuto, al tipo di qualifica di cui il sanitario è in possesso; un dirigente sanitario con cinque anni di attività, eventualmente anche a capo di una struttura semplice, avrà sicuramente acquisito conoscenze professionali, sia teoriche che pratiche, superiori ad un dirigente alla prima assunzione e potrà, quindi, essere in grado di valutare anche trattamenti sperimentali.

Dunque, l’errore terapeutico realizzato dal medico in posizione subordinata in caso di trattamenti innovativi imposti dal primario, secondo la dottrina139, sarebbe scusabile, ex art. 5 c.p., perché determinato da una fiducia nei confronti del ruolo scientifico-formativo del superiore assolutamente ragionevole, asseverata anche

137 A. VALLINI, Gerarchia in ambito ospedaliero, cit., p. 1635. 138 A. VALLINI, Gerarchia in ambito ospedaliero, cit., p. 1634. 139 A. VALLINI, Gerarchia in ambito ospedaliero, cit., p. 1636.

dalla stessa legge. Tale situazione sarebbe riconducibile ad un errore sul precetto inevitabile, essendo l’erronea informazione stata fornita da un soggetto istituzionalmente abilitato a fornirla.

In conclusione, nessun problema sorge nel caso in cui l’assistente o l’aiuto condividano le scelte terapeutiche proposte dal primario; in tal caso, infatti, si configurerà una cooperazione colposa tra i due sanitari che assumeranno pari responsabilità rispetto all’eventuale evento infausto verificatosi. Viceversa, nel caso in cui il medico in posizione subordinata non condivida le scelte terapeutiche indicate dal primario, sorgerà in capo allo stesso il dovere, ricollegabile alla propria posizione di garanzia, di attivarsi per impedire l’evento lesivo, manifestando il proprio dissenso e astenendosi dal porre in essere la condotta colposa richiesta140. Si tenga presente, inoltre, che qualora il medico subordinato intenda dissentire alle direttive del primario, quest’ultimo potrebbe esercitare il potere riconosciutegli di avocare il caso alla sua diretta responsabilità. In tale scenario, il medico subordinato avrà il dovere141 di prestare la propria collaborazione e, come sostenuto dalla stessa Corte di Cassazione142, in caso di eventuali fatti colposi realizzati, non potrà affermarsi una sua penale responsabilità, avendo egli un preciso obbligo ex lege di collaborare con il primario.

Per quanto riguarda l’altra ipotesi di responsabilità del subordinato, legata ad errori commessi direttamente dal superiore gerarchico da cui sia conseguito un evento dannoso per la salute del paziente, si riscontra un’ulteriore posizione rigororistica della giurisprudenza che, oltre ad affermare l’esistenza di un obbligo per il subordinato di segnalare eventuali condotte erronee, ritiene che su questi

140 Tale posizione è condivisa dalla Corte di Cassazione che ha affermato: << deve ritenersi che

se primario, aiuto ed assistente condividano le stesse scelte terapeutiche, tutti insieme ne assumono la responsabilità. Quando, invece, l’assistente o l’aiuto non condividano le scelte terapeutiche del primario, possono andare esenti da responsabilità solo se abbiano provveduto a segnalare allo stesso primario la ritenuta inidoneità o rischiosità delle scelte>>. In tal senso, Cass. pen. Sez. IV, 5 ottobre 2000, n. 13212, in Riv. pen., 2001.

141 L’art. 63 del d.P.R. n. 761/1979 stabilisce che <<Il primario può avocare casi alla sua diretta

responsabilità, fermo restando l’obbligo di collaborazione da parte del personale appartenente alle altre posizioni funzionali>>.

142

Cass. pen. Sez. IV, 2 maggio 1989, n. 7162, Argelli, in Foro it., 1989. La Corte ha, infatti, sostenuto che <<in caso di esercizio del potere di avocazione da parte del primario, aiuto ed assistente divengono meri esecutori materiali, privi di qualsivoglia spazio di autonomia decisionale>>.

sussista un vero e proprio dovere di controllo sull’operato del primario143 . Secondo i giudici si configurerebbe un <<dovere di controllo incrociato>> del superiore sul subordinato e viceversa. Tale impostazione, tuttavia, non appare corretta. Essa confligge apertamente con il principio di affidamento, quale canone di delimitazione delle sfere di responsabilità dei sanitari che cooperano ad un trattamento medico; tale principio viene meno solo in presenza di un obbligo di controllo, che può discendere ex lege dalla qualifica assunta dal medico oppure sorgere in presenza di elementi fattuali che rendano evidente o prevedibile la realizzazione di un fatto colposo da parte dei propri collaboratori.

Dunque, poiché il medico in posizione subordinata non dispone di alcun dato normativo che sancisca l’esistenza di un dovere di controllo e vigilanza sull’operato altrui (essendo simili obblighi ravvisabili in capo a medici in posizione gerarchica sovraordinata), tale obbligo sorgerà solo in presenza di situazioni che facciano ritenere prevedibile una condotta colposa del superiore, oppure nel caso in cui il soggetto abbia diretta percezione dell’errore. Anche in questi casi, alla luce delle considerazioni precedentemente svolte circa la riconoscibilità delle circostanze che fanno insorgere un obbligo di controllo e di attivazione per emendare gli errori del proprio superiore, bisognerà distinguere a seconda della qualifica che il soggetto subordinato ricopre: dovendosi la responsabilità negare quando, per avvedersi dell’errore del primario, fossero necessarie conoscenze superiori a quelle possedute dal soggetto concreto.

Diverso sarà, invece, il caso in cui l’errore del superiore sia riconoscibile sulla base delle conoscenze comuni a ciascun medico. In tali casi, in forza della posizione di garanzia ricoperta, in capo al medico subordinato sorge il dovere di attivarsi segnalando al superiore l’eventuale violazione delle leges artis commessa, altrimenti concorrerà con condotta omissiva, rilevante ex art. 40, comma 2, c.p. nel fatto di reato materialmente realizzato da quest’ultimo.

143

Cass. pen. Sez. IV, 5 gennaio 1982, n. 7006, in Cass. pen., 1983, ha affermato che l’assistente <<non è tenuto soltanto a svolgere gli atti richiesti con cautela, diligenza e perizia, ma anche a sorvegliare nel complesso in ogni suo atto e dettaglio l’intera fase esecutiva dell’operazione>>.

Documenti correlati