L'ECONOMISTA
GAZZETTA. SETTIMANALE
SCIENZA ECONOMICA, FINANZA, COMMERCIO, BANCHI, FERROVIE, INTERESSI PRIVATI
Anno II - Yol. IV
Domenica
22
agosto 1875
N. 68
SOCIETÀ DI ECONOMIA POLITICA DI PARIGI
(Seduta del 6 agosto 187S)
Nel passato numero del nostro giornale noi ac cennammo brevemente il discorso pronunziato dal- 1’ on. Peruzzi al banchetto degli Economisti a Pa rigi. Siamo lieti ora di poterne dare ai nostri lettori un riassunto più esatto e più esteso di quello che sia stato fatto fin qui. Le parole dette dall’on. Pe ruzzi in quella solenne circostanza hanno per noi un pregio singolarissimo, non tanto perchè partono da un uomo così autorevole e tenuto in gran pregio anche all’ estero, quanto perchè egli espresse gl’in
tendimenti della Società Adamo Smith, di cui è be
nemerito presidente, e dichiarò altamente che coloro che ne fanno parte non mancheranno di difendere la bandiera della libertà economica, quando la ve dessero minacciata. I fatti mostreranno se i timori nutriti dall’ on. Peruzzi e che noi pure abbiamo e- spressi altra volta, con minore autorità sebbene con eguale convincimento, siano fondati ; a ogni modo possiamo esser sicuri che nel Parlamento non man cheranno voci autorevoli per combattere le vecchie idee del protezionismo, qualora si ripresentassero ve stite di nuovi nomi.
Il resto della seduta lo togliamo AcAY Économiste
français.
I trattati d i commercio e l’opinione pubblica in Europa
La presidenza è tenuta dal sig. Michele Chevalier membro dell’istituto, uno dei vice-presidenti.
A questa riunione assistono come invitati vari il lustri scienziati venuti a Parigi per prender parte ai lavori del Congresso delle Scienze Geografiche, come pure alcuni francesi membri di questo Congresso o deputati all’Assemblea Nazionale.
Il Presidente ringrazia gli scienziati stranieri che
hanno voluto onorare la riunione colla loro presenza, e si felicita di vederli riuniti con gli scienziati fran cesi sul terreno neutro delle discussioni scientifiche.
Ogni Congresso internazionale, fosse anche per cose di guerra, deve, secondo lui, aver per effetto lo sta bilire fra i popoli la pace e l’armonia, poiché è. impossibile che uomini distinti si riuniscano, scam biando le loro idee e le loro cognizioni, senza con cepire reciprocamente dei sentimenti di stima e di simpatia. Ma il Congresso attuale, grazie a Dio, non ha nulla di comune colla guerra. Egli vede con piacere fra i presenti alcuni economisti e statisti, cioè uomini che si sono dedicati ai medesimi studi, perchè la statistica è inseparabile dall’economia politica, e gli organizzatori del nostro Istituto nazionale lo hanno in teso riunendo in una medesima sezione queste due scienze gemelle, ambedue strettamente unite alla geo grafia, dalla quale devono ricevere preziosi insegna- menti ed un utile concorso. Che cosa è, infatti, l’eco nomia politica, se non la scienza dello scambio? E come lo scambio, senza il quale non vi sarebbe nè società nè incivilimento, si stabilirebbe tra nazioni, che l’ignorassero tra di loro? La cognizione della geografia, presa nel suo vero senso, come la intende e l’insegna uno scienziato accademico, membro della Società di economia politica, è dunque indispensabile allo sviluppo dello scambio, dal quale dipende la prosperità dei popoli.
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226 L’ ECONOM ISTA 22 agosto 1875
Il barone di Czoernig (corrispondente dell’Acca
demia di scienze morali e politiche, antico presi dente della Società di geografia a Vienna) è il de cano degli statisti presenti alla riunione. E gli ha diretto per molto tempo la statistica del!.Impero austro-ungarico e può far testimonianza circa i felici resultati prodotti in quell’impero, dal ribasso delle tariffe doganali e di altre barriere che l’antica economia di Stato opponeva agli scambii internazionali. In seguito alla riforma economica, si sono viste di anno in anno raddoppiare, triplicare e quadruplicare le importazioni. Ciò non toglie che non vi sia ancora in Austria un par tito protezionista, ma vi è tutta la ragione a sperare che non prevarrà. Un Congresso di economisti libe rali si è riunito quest’anno a Vienna* per agire sui deputati che dovranno rinnuovare o modificare i trattati di commercio, e tutto porta a credere che questi trattati resteranno la fedele espressione, anche più spiccata, dell’ idea progressista che li ha dettati.
Peruzzi, deputato al Parlamento italiano ed ex
ministro è invitato a prendere la parola. Egli ri corda che sette anni sono fu chiamato per la prima volta a prender parte a un’ adunanza della Società . d’ economia politica. Se la questione posta oggi dal- l’on. Presidente fosse stata sottomessa all’ adunanza in quell’ epoca, egli avrebbe potuto rispondere con animo più sodisfatto ; ma questa sera, confessa di alzarsi a parlare con minore confidenza, perchè non gli è possibile di dare in questo momento le stesse assicurazioni che avrebbe date allora.
A quell’ epoca un giovane italiano, d’ ingegno assai distinto, prese pure la parola ; era uno de’ suoi amici; lo è ancora nel 1875, ma nel 1867 era più che non oggi vicino alle sue opinioni. Quest’amico, giovane illustre, il sig. Luzzatti, trovavasi a Parigi per 1’ esposizione universale, esposizione nella quale la Francia ha fatto meravigliare l’ Europa ed ha provato che il libero scambio aveva talmente ecci tato il lavoro in questo paese che l’ industria fran cese vi si era manifestata coi risultati i più sor prendenti. I sig. Luzzatti e Peruzzi erano in com pleta comunanza di idee sul principio che aveva portato sì notevoli frutti.
A questo proposito il sig. Peruzzi ricorda che il trattato di commercio e di navigazione concluso a quell’ epoca secondo gli intendimenti liberali, fu approvato su tutta la costa francese* di cui Marsilia è il gran centro, ma fu assai criticato sulla costa ligure. Alcuni anni passarono, si udirono de’ lagni, ma questi non partivano dalla Liguria, dove il cabotag gio si mostrava sodisfatto della libertà di commercio. 11 sig. Peruzzi vorrebbe oggi parlare con eguale confidenza; ma tre circostanze principali non gli permettono che di esprimere dei dubbi, per essere sincero, davanti ad un’adunanza così illuminata. Sa rebbe lieto di vedere questi dubbi dissipati dai fatti.
Ecco le tre cose che egli vuol segnalare. Innanzi tutto 1’ Italia ha il corso forzato ed egli si affretta a dire che fu introdotto senza un secondo fine si stematico, senza alcuno scopo economico. Si stabilì il corso forzato soltanto per recare sollievo alle dif ficoltà finanziarie ; ma esso ha prodotto effetti diversi da quelli che si volevano ottenere. Fu una vera protezione e la peggiore di tutte. I sistemi di pro tezione hanno una certa logica e procedono dietro un certo criterio, mentre il corso forzato trae seco il danno dell’ uno, 1’ utile dell’ altro senz’ altra cagione che il fatto in sè medesimo, indipendente mente da ogni altra considerazione. Costituisce dunque la proiezione più falsa, più accidentale, più lasciata al caso, di quante mai si possano immaginare. Ma il fatto esiste : a molti in Italia piace, e come seguì anche in Francia, vi trova difensori, perchè è da notarsi che i produttori hanno sempre difensori ze lanti ed operosi, mentre i consumatori non hanno a lor difesa che la voce di coloro che son detti teorici.
V ’ è una seconda difficoltà : le imposte sono au mentate enormemente nel tempo stesso che il biso gno di denaro. Questa è, credo, una malattia gene rale in Europa e il sig. Peruzzi pensa che si po
trebbe forse intendersi per rimediarvi. (Segni di
approvazione).
Finalmente vi è una terza circostanza, che si teme divenga un ostacolo più serio che il corso forzato allo svolgimento del libero scambio in Italia. Ella si riassume, dice il signor Peruzzi, in una frase che trovo nel discorso di uno de’ miei più cari amici, del ministro Minghetti. In questo discorso a’suoi elet tori, il quale fece da programma nelle ultime ele zioni, il signor Minghetti parlò dei trattati di com mercio, come di un mezzo per accrescere le entrate dello Stato; lo che è già pericoloso, ma lecito; ed ha poi aggiunto che le imposte che pesano sul lavoro nazionale reclamavano tutta l’attenzione e tutta la sollecitudine del Governo nell’occasione di rinnuovare i trattati.
Così, per dire un esempio ; siccome la tassa sulla ricchezza mobile grava i prodotti delle industrie italiane, si dovrebbe, secondo il pensiero del mini stro, far sì che le tariffe colpissero le merci estere nella stessa proporzione con cui le merci italiane sono gravate da quella tassa.
Le parole del ministro, Io confesso, hanno abba stanza allarmato coloro che credono che l’ interesse dei consumatori non sia subordinato soltanto alle necessità finanziarie dello Stato, ma anche al torna conto di certi fabbricanti nazionali.
22 agosto 1875 IV ECONOMISTA 227
cettare il principio annunziato dal signor Minghetti. È questa la nuova scuola che ha provocato i dis sensi che Fon. Peruzzi ha segnalati tra il signor Luzzatti e gli economisti dell’antica scuola liberista. La nuova vuole introdurre nell’ economia politica certe teorie e segnatamente un’ ingerenza del Go verno, che sono sembrate di molto pericolose a co loro che sono ortodossi e che oggi sono chiamai* pedanti perchè parlano di principiò.
Un articolo di viva critica del signor Ferrara su questa questione, ne provocò uno non meno vivo del signor Luzzatti. Quest’ ultimo ebbe l’ idea di fondare una nuova Società che si propone di far trionfare i principii della nuova scuola. Noi abbiamo dal canto nostro formata a Firenze un’ altra Socie tà, della quale sono presidente, che ha preso il ti
tolo significante di Società Adamo Smith. Nè l’una
nè l’altra di queste Società hanno fatto grandi cose; di che io mi dolgo tanto meno perchè io professo attualmente in politica e in economia la massima:
Sapientia, inertia.
Credo, pertanto, che ci terremo sulle difensive fin tantoché il governo non verrà a proporre 1’ appli cazione dei principii ¿Iella nuova scuola. Ma quando esso lo tenti, allora faremo tutto quel che dipenderà da noi, affinchè i vecchi e veri principii dell’eco nomia pubblica, che noi difendiamo, siano conser
vati. ( Viva approvazione nell’ adunanza)
Del resto, leggendo attentamente le pubblicazioni della nuova scuola non vi si trova se non quello
che voi in Francia chiamate i pechés mignons; ma
bisogna stare all’ erta, bisogna ben guardare che non si passi ai peccati grossi. In tale caso, lo ripeto, noi combatteremo energicamente nel Senato e nella Camera dei Deputati, dove l’ economia politica ha numerosi rappresentanti.
Se venissero mossi degli attacchi, si alzerebbero di certo per difendere le verità economiche, voci eloquenti, come si udirono in Francia in circostanze analoghe e fra le altre quella del nostro onorevole Presidente. Quanto alle conseguenze di cotesta lotta, nello stato di cose che io ho pur ora indicato, sa
rebbe difficile il prevederle. ( Vivi applausi).
Il signor Giulio Faucher (direttore della rivista
trimestrale di economia politica di Berlino) spera che la politica economica inaugurata dai trattati di commercio si manterrà in Germania. I protezionisti vi sono in poco numero e poco influenti, special- mente nel Parlamento, ed i tentativi di reazione che sono stati fatti non hanno avuto alcun successo. La situazione della Germania, del resto, consiglia di re star fedele al principio del libero scambio. La Ger mania non ha il corso forzoso, ella ha ricevuto dalla Francia molto oro. Il signor Faucher vuol dire che lo ha ricevuto il governo e non il popolo. Questo aumento di numerario ha fatto rialzare tutti i prezzi:
le importazioni hanno di gran lunga oltrepassato le esportazioni, e l’oro è rientrato in Francia per mille canali. Queste circostanze però non hanno scosso gli amici della libertà commerciale, che pensano solo a premunirsi per l’avvenire, e sostengono anche una lotta, qualche volta vivissima, contro gli economisti della nuova scuola, quelli che sono stati chiamati « socialisti della cattedra. » L’anno venturo vi sarà a Monaco un congresso di economisti, ma il signor Faucher dubita che i protezionisti vi si facciano rap presentare.
Il signor Engel (direttore della statistica del regno
di Prussia) assicura che la scissura tra la nuova scuola economica e l’antica non è così profonda come si vuol far credere, e che ambedue tendono a svi luppare lo scambio col ribasso delle tariffe doganali. Il bureau di statistica a Berlino è una vera scuola,
un seminario di economisti, da dove è uscito lo
stesso signor Faucher, e che non produce nè socia listi, uè protezionisti. La questione fra le due scuole è semplicemente di sapere se in materia economica, lo Stato deve esser ridotto a far la parte di « guar dia notturna» o può prender parte attiva e feconda nella produzione e negli scambi. La nuova scuola si attiene a questa seconda dottrina, ed il signor En gel sembra seguirla. In tutti i casi cerca di scolpare questa scuola dalle tendenze protezioniste, di cui è sospettata ed afferma che non è là che il libero scambio incontrerà degli avversarii.
Il sig. Meitzen (sotto-direttore della Statistica in
Germania) conosce tutti i giovani professori delle università della Germania ed afferma che tra di loro non vi è un protezionista. Gli preme rettificare ciò che il sig. Faucher ha detto della situazione finan ziaria della Germania in questi ultimi anni. Incari cato della statististica del commercio interno, egli crede saper meglio di tutti come stanno le cose, e poter sostenere che i miliardi della Francia non sono per nulla nell’eccedente d’importazione segnalato da! sig. Faucher. Questo eccedente, assai considerevole è vero, non deriva che dai cereali, dalle carni e dai metalli (ferro e rame) e si spiega nella maniera la più semplice. La Germania da un lato ha avuto cat tive raccolte, ed è stata desolata dalla peste bovina, per cui fu obbligata di domandare all’estero cereali e carni; dall’altro lato ha dovuto comprare ferro ed altri metalli per soddisfare ai bisogni creati dallo sviluppo delle ferrovie e delle sue industrie metal lurgiche.
Il sig. Unfalvij,(presidente della Società di geografia
di Buda-Pest) dice che le questioni economiche al l’ordine del giorno in Austria-Ungheria sono la causa principale della rivalità tra le due parti dell’im- pero, ma che circa i paesi esteri da ambo le parti sono generalmente favorevoli alla libertà commerciale.
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far parte della Commissione incaricata di esaminare il progetto di tariffa che il governo italiano ha co municato al governo francese, crede potere, senza uscire dalla riserva che impongono i negoziati ancora pendenti, fornire all’assemblea alcuni dati in propo sito. Il trattato che esisteva tra la Francia e l’Italia essendo stato denunziato a tempo, debito, deve ces sare di aver il suo effetto nel corso dell’ anno ven turo. L’Italia ha comunicato al governo francese un progetto di tariffa, che propone di mettere in vigore allo spirare del trattato. Essa non ha formalmente proposto di rinnovare questo trattato, ma ha desi derato di sentire prima l’opinione del governo fran cese sulla tariffa che si propone di stabilire, perchè niente venga a turbare le buone relazioni esistenti tra le due nazioni.
Questa comunicazione ha sollevato una prima que stione: conviene egli legarsi all’Italia con un trattato formale ed obbligatorio, o non sarebbe meglio la sciare a ciascuna delle due nazioni perfetta libertà d'azione? Un trattato formale è sembrato preferibile alla maggioranza della commissione, come quello che offrirebbe all’industria più sicurezza e certezza per un tempo maggiore : essa ha dovuto per conse guenza esaminare e discutere il progetto comunicato dall’Italia, nella supposizione che potesse servire di base ad un trattato.
Questa tariffa è sembrata loro il resultato di tre differenti idee. 1° Il desiderio di fornire delle risorse alle finanze italiane; questo pensiero puramente fi scale non ha sollevato alcuna obiezione. 2° il desi
derio di convertire il diritto ad valorem in ^diritti
specifici: i diritti ad valorem benché più giusti in
apparenza, sono non ostante una sorgente di conte- stazioni e di frodi; il governo italiano se ne lagna vivamente, e tutti gli economisti doganali riconoscono che questa convenzione è indispensabile, ma il pas saggio da una legislazione all’altra .non è senza dif ficoltà. I diritti specifici hanno l’inconveniente, ap poggiandosi sui valori medii, di gravitare più sulle mercanzie comuni, che sui prodotti ricchi, il che è un controsenso economico. Non si scansa questa dif ficoltà che dividendo ciascuna specie di prodotti, in un dato numero di categorie, e caratterizzandone con molta cura i segni esterni e le condizioni di lavora zione che devono servire di base a ciascuna catego ria: il progetto italiano lasciava per ciò delle forti lacune. Il governo francese dietro gl’indizi forniti dai principali industriali e le stipulazioni del trattato inglese, ha creduto potergliele accennare. 5° un certo valore protezionista che si scorge in varie disposi zioni del progetto della tariffa, ha dato luogo ad al cune osservazioni per parte del governo francese; il governo italiano ha protestato contro quella inten zione, allegando che il massimo dei diritti che si propone d’imporre alle mercanzie importate non ol
trepassa il dieci per cento; il governo francese ha riconosciuto che diritti ristretti in questo limite non eccedevano la misura di protezione che uno Stato può ragionevolmente accordare alla sua industria, senza ledere i buoni rapporti che esistono con gli Stati vicini, e prendendo atto di quella dichiarazione, ha acconsentito a farne la base generale dei negoziati, salvo alcune deroghe parziali che potrebbero esser rese necessarie da certe circostanze.
Peruzzi è lieto di avere sentito il signor Glapier
rendere giustizia ai negoziatari italiani. Egli ha di chiarato prima di tutto che il governo italiano cer cava coi trattati di accrescere le entrate di cui il paese ha bisogno. Intorno a ciò, non v ’ è che dire, ed egli già riconobbe essere quella una necessità per l’ Italia.
Quanto alla trasformazione del diritto ad valorem
in diritto specifico e principalmente quanto al diritto del IO per cento reclamato per neutralizzare le imposte che pesano sui prodotti del paese, la questione vuol essere esaminata. Su questo pnnto il signor Peruzzi dichiara di mantenere tutte le riserve tanto lui che la Società che ha 1’ onore di presiedere.
Si è d’accordo dall’una e dall’altra parte, nel di chiarare che non si domanda la protezione, che si è partigiani della libertà; ma io temo che di tran sazione in transazione non si finisca per arrivare al protezionismo. I difensori della vecchia economia politica, vogliono lo svolgimento dei principii di li bertà e lo reclamano energicamente. Oggi si cerca l’appoggio dell’imposta per chiedere una compensa zione; non si potrà egli in avvenire valersi di que st’esempio ed appoggiandosi alla mancanza del carbón fossile, o alla inferiorità delle strade in Italia reclamare nuove compensazioni? Non bisogna dunque accettare la base delle negoziazioni annunziata dal mio amico Minghetti e constatata dal sig. Glapier, senza un esame profondo al quale la Società Adamo Smith non mancherà di darsi.
Per ciò che tocca l’azione del governo, il sig. Pe ruzzi dice che vede nello stato non solamente un guar diano di notte, ma un guardiano di notte e di giorno, non per intervenire in ciò che appartiene all’azione individuale, ma per ricercare gli ostacoli morali e materiali, per farli sparire, e facilitare in tal modo la libertà degli scambi pel bene dell’umanità. Il suo compito non va più in là.
Il signor A . D i Bounschen (presidente della società
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cipiò a prender vigore. Nel 1867 nuova revisione e nuove concessioni. La grande industria del cotone reclamava una protezione di cui non aveva bisogno, ma il governo non si lasciò prendere dalle sue la gnanze; il pubblico poi rimase neutro. In seguito ebbero luogo altre revisioni parziali e sempre con tendenza verso la libertà degli scambi. La Russia oggi mentre protegge la sua industria siderurgica,
importa 100 milioni di pouds di ferro estero per le
sue ferrovie. Essa protegge anche le altre industrie ma con tante eccezioni che sparisce la regola. Se le intenzioni liberali del governo incontrano degli osta coli, egli è per la parte della Francia, alla quale non domanda che la reciprocità. Insomma le idee economiche progrediscono, e si può sperare che la prossima revisione dei trattati sarà favorevole al- 1’ estensione degli scambi.
Il signor Baumhanser, direttore della statistica
dei Paesi Bassi parla del trattato relativo al sistema degli zuccheri, e che interessa oltre i Paesi Bassi, il Belgio, l’ Inghilterra e la Francia. Da queste indi cazioni resulta che la tendenza generale è favorevole in Olanda alla libertà commerciale.
Il sig. Clapier prende allora la parola. Poiché si
solleva la questione degli zuccheri, egli dice, ha la buona fortuna di poter fornire su questo proposito alcuni dati precisi, perchè faccio parte della Com missione parlamentare alla quale è attualmente sot toposta la questione.
Voi tutti conoscete la convenzione del 1865. A quell’epoca esisteva una viva lotta tra l’Inghilterra, l’Olanda, il Belgio e la Francia per rendersi padroni dell’esportazione dello zucchero raffinato nei paesi consumatori ; questa lotta resultava dalla concessione, che faceva ciascun paese di premi di uscita all’espor tazione dello zucchero raffinato, superiori ai diritti d’entrata pagati dagli zuccheri scuri ; la convenzione del 1885 ebbe per scopo di stabilire tra le quattro nazioni contraenti una situazione uniforme e di non assoggettare gli zuccheri importati dal loro respet- tivo territorio, che ai diritti pagati dagli zuccheri fabbricati o raffinati all’interno. Questa convenzione ha sollevato delle vive lagnanze per parte dell’In- gbilterra, che ha preteso che i raffinatori trovavano nelle facilità della legislazione francese un premio indiretto che schiacciava la sua raffineria: un certo numero di fabbricanti indigeni di zucchero facendo causa comune con i raffinatori inglesi hanno preteso che questo premio indiretto cagionasse un danno im menso al Tesoro francese, e sotto questa impres sione l’Assemblea nazionale ha deciso che allo spi rare della convenzione che doveva terminare il 1° agosto 1875 le raffinerie francesi sarebbero sottopo ste all’esercizio. Intanto, l’Inghilterra ha abolito tutti i diritti sullo zucchero, lasciando il suo mercato aperto a tutte le nazioni. Il governo francese da un
altro lato non volendo gravare coll’esercizio le sue raffinerie fino che questo esercizio non fosse egual mente stabilito nei due altri paesi contraenti, sono state aperte delle trattative; il Belgio si è rifiutato formalmente di stabilire l’esercizio nelle sue raffi nerie; ma in compenso si è offerto di ridurre della metà il suo diritto interno sugli zuccheri, il che ri duce alla metà il premio indiretto che i suoi raffi natori trovano nelle facilità della sua legislazione. L’Olanda non ha opposto un rifiuto assoluto all’in troduzione dell’esercizio nelle sue raffinerie, ma prima d’impegnarsi ha manifestato il desiderio di conoscere il regolamento francese sul modo di applicare l’eser cizio; la Francia ha comunicato officiosamente un progetto di regolamento, ma sotto riserva di modi ficarlo secondo la maggiore o minore latitudine del regolamento olandese. Si è mostrata però risoluta di percepire il diritto interno imposto agli zuccheri scuri alla loro entrata nella raffineria sulla base della loro ricchezza effettiva, constatata non più dal colore, ma dall’analisi chimiche e le osservazioni sulla quan tità zuccherina. L’Inghilterra, benché disinteressata nella questione, è voluta intervenire al trattato, sotto promessa (che secondo lord Derby non le costa nulla) che se stabilisse dei diritti sullo zucchero, sottopor rebbe le sue raffinerie all’esercizio. Sotto l’egida di questa promessa, reclama altamente come esecuzione di una promessa formale, che le raffinerie francesi siano sottoposte all’esercizio.
Tale è lo stato della questione, e siccome la sua soluzione esigerà ancora qualche ritardo, le parti contraenti hanno convenuto di prorogare la conven zione del 1875 fino a marzo venturo ; alla fine della ultima sessione una legge dell’ Assemblea nazionale francese ha ratificato questo accordo.
Tale questione difficilissima, per conciliare tanti differenti interessi per mancanza di un sistema di compensazione che mantenga le nazioni contraenti in una perfetta eguaglianza, si complica perchè la grande concorrenza della Germania, dell’ Ungheria e degli Stati Uniti dovranno infallibilmente distruggere l’equi librio che si cerca di stabilire con combinazioni le gislative. L’ introduzione di un sistema di restrizione e d’ incaglio come si reclama deve infallibilmente colpire una delle più belle industrie che la Francia abbia creato da 20 anni in poi, e di mostrare an cora una volta che tanto all’ interno quanto all’ e- sterno la libertà, la leale concorrenza, l’ incessante perfezionamento del prodotto e l’economia delle spese sono la base più sicura della prosperità commerciale di un paese.
Il signor Temennff (direttore della statistica di
Pietroburgo) conferma in poche parole ciò che ha detto il suo compatrictta signor Di Bounschen.
Il signor F. Coello (di Madrid) assicura che in
230 L’ ECONOMISTA 22 agosto 1875
questa tendenza è conforme all’evidente interesse del paese, che deve desiderare di smerciare all’estero i suoi prodotti agricoli e minerali. Disgraziatamente, i pubblicisti spagnuoli si occupano oggigiorno più di politica che di economia ; poi il paese è desolato dalla guerra civile. L’ oratore spera però che la pace interna venga presto ristabilita, e' che i rap porti commerciali della Spagna con gli altri paesi, e particolarmente colla Francia non tarderanno a riprendere il loro corso normale.
Il signor Giuseppe Garnier riepiloga le spiegazioni
date dagli onorevoli invitati, dalle quali resulta di stintamente che la nuova scuola di economia che si è formata in Germania ed in Italia concorre colla scuola « ortodossa » per reclamare la libertà com merciale.
La riunione si separa alle I I .
I N O S T R I B I L A N C I
VII
Stato di prim a previsione della spesa pel Ministero di g ra zia e giustizia e dei culti per l’anno 1876.
A parte le variazioni che occorrerà di. fare quando siano convertiti in legge i progetti che si trovano sottoposti al Parlamento ed alcuni provvedimenti che si vanno studiando per qualche ramo di spesa, lo stato di prima previsione della spesa del Ministero di grazia e giustizia e dei culti per la competenza dell’ anno -1876 in confronto a quello del 1875, pre senta in complesso una diminuzione di L. 368,730 44, di cui L. 260,630 44 nella parte ordinaria, L. 108,100 nella straordinaria.
Nello stato di prima previsione del 1875 fu pro posta e approvata un’ economia di L. 160,000 per riduzione del numero degli uscieri in quelle preture dove vi sono proventi sufficienti in materia civile e per maggior sorveglianza sulle spese di giustizia ; questo anno sul capitolo stesso si propone una se conda e maggiore economia di L. 300,000. Si spe rano maggiori economie dai provvedimenti che si stanno studiando, ma non si potrebbe per ora pre vederne i resultati, tanto più che bisognerà tener conto dell’ influenza che dovrà esercitare su questa spesa la riforma recentemente introdotta nel proce dimento davanti alla Corte d’ Assise.
Il ministro per secondare, per quanto gli è sem brato possibile, il voto della Commissione del bilancio, ha suddiviso questo capitolo in maggior numero di categorie, indicando per ciascuna di esse la somma relativa.
Nel capitolo Biparazìoni si propone T aumento
di L. 25,000 per le ragioni stesse che già si addus sero nel progetto del bilancio definitivo del 1875 per provvedere cioè ai lavori di restauro dei locali e al l’acquisto e riparazione di mobili.
Nel capitolo dispacci telegrafici governativi si pro
pone un aumento di L. 16,000, come già nel 1875. Si spera che questo sia 1’ ultimo, e per conseguire questo intento si sono diramate apposite istruzioni alle autorità giudiziarie perchè T uso dei telegrammi sia riservato ai soli casi di vera urgenza e quando lo richiegga T interesse del servizio.
Nel capitolo fitto dei beni demaniali ad uso od in
servizio di amministrazioni governative figura una
diminuzione di L. 1630 44. La totale differenza in meno nella parte ordinaria è pertanto di L. 260,630 44.
Venendo alla parte straordinaria, per la cessazione di alcuni assegni, per il richiamo in pianta di alcuni impiegati in disponibilità, per collocamenti a riposo e per decessi, si ha una totale differenza in meno di L. 108,000. La diminuzione complessiva del bi lancio è dunque di L. 368,730 44. E di questa come di ogni altra minore spesa noi siamo lieti tutte le volte che ciò non turba il retto andamento dell’am ministrazione della pubblica cosa. Ci piacerebbe bensì che operando tutti i possibili risparmi là dove sareb bero non solo desiderabili ma ragionevoli, si provve desse a certe necessità nell’ interesse della giustizia. Se la condizione dei nostri magistrati anco di un grado notevole non è splendida, può forse apparire nelle strettezze dell’ erario sufficiente ; ma quello a cui bisognerebbe pensare, sarebbe di migliorare sul serio la condizione dei pretori, i quali esercitano un ufficio tanto importante e di tanta responsabilità specialmente nelle piccole località. Ciò è richiesto non tanto dalla dignità della magistratura, quanto dalla neeessità che ha lo Stato che essa in ogni grado si mantenga in dipendente da qualunque influenza.
CIRCOLAZIONE CARTACEA
i
Il corso forzato dalla sua introduzione a tutto V anno 1866.
22 agosto 1875 L’ ECONOM ISTA 231
che, per tutti insieme i cinque anni dal 1861 al 1865, ascese a 1998 milioni. Pel 1866, era ancora prevista un’ eccedenza di spese di quasi 3 00 milioni. Per far fronte a questi disavanzi, erano stati contratti, a tutto il 1865, prestiti consolidati per quasi 1700 milioni di lire, che, in ragione dei saggi, cui si dovettero nego ziare, gravarono l’erario pubblico di oltre 2500 mi lioni di debito nominale e di 125 milioni di interessi annuali, senza contare altri 7 milioni e mezzo di rendita, che furono iscritti per provvedere a costru zioni ferroviarie e ad altre particolari occorrenze ; si alienarono le ferrovie costruite dallo Stato nelle an tiche provincie, per 200 milioni; si vendettero beni demaniali per 44 milioni e sì diedero in pegno i rimanenti, ottenendo sovr’essi un prestito rimborsa bile di 150 milioni. Ma la possibilità di mettere in riparo alla deficenza, che annualmente si riproduceva nel bilancio dello Stato, appariva ognora più dubbia. Le imposte erano state aggravate, laonde le entrate ordinarie erano cresciute, fra il 1861 e il 1865, da 458 a 637 milioni; ma ancora più erano aumen tate, in quel periodo, le spese, da 812, cioè, a 1069 milioni. Le condizioni economiche de! paese, l’ ordi namento della pubblica amministrazione ed anco la situazione parlamentare non consentivano la speranza che il disavanzo potesse essere colmato mercè un celere aumento di entrate; necessità politiche inop pugnabili vietavano d’altro canto di conseguire questo risultamento con una considerevole riduzione nelle spese militari e con una sosta nelle opere pubbliche, nè potevano attendersi sensibili effetti da altre ma niere di risparmi. La rendita pubblica, alla fine del l’anno 1865, era ancora a 65, ma nuovi prestiti ne avrebbero vieppiù depresso il corso; nè si sarebbero potuti negoziare, senza gravare il bilancio così onero
samente, da rendere la piaga del deficit affatto insa
nabile. 1 beni demaniali erano ormai vincolati al rim borso del prestito cui servivano di pegno. L’aliena zione dei beni ecclesiastici, che, iniziata più tardi, diede, nei primi anni, proventi di non grande rile vanza, sarebbe stata allora pressoché impossibile.
Nè le condizioni dell’ economia pubblica erano mi gliori di quelle della finanza.
La bilancia degli scambi con T estero palesava una eccedenza annuale di importazioni, sulle esportazioni, che era salita a 410 milioni nel 1864, e a 407 nel 1865 e c h e , nei quattro anni dal 1862 al 1865, aveva raggiunto 1338 milioni di lire. Cifre queste che se non valgono a raffigurare esattamente le relazioni di debito e di credito con l’estero dimostrano quanto enorme fosse il debito che si imponeva ogni anno al nostro paese verso l’estero, debjto che da noi si pa gava, o meglio si consolidava, collocando all’ estero una parte dei prestiti governativi e delle somme con siderevoli di azioni ed obbligazioni di società, i cui
interessi e dividendi devono pure esser completati coll’aumento del nostro debito annuale.
Ma nella seconda metà del 1865 ed al principio del 1866 le condizioni del credito erano venute peggiorando anche fuori d’ Italia e lo provano i no tevoli aumenti del saggio dello .sconto delle banche estere.
Per questa ragione e insieme per la copia grande di valori italiani che era stata assorbita negli anni trascorsi dai mercati stranieri questi accennavano a non voler accrescere più oltre 1' ammontare del loro credito verso T Italia. I titoli nostri già collocati al- 1’ estero rifluivano in Italia costituendo a carico no stro un nuovo ragguardevolissimo debito cui non potevasi provvedere che esportando considerevoli somme.
Siffatta situazione si aggravò maggiormente allor quando sorsero voci di guerra. I biglietti delle banche affluivano in maggior copia pel cambio, sicché la Banca Nazionale e la Nazionale Toscana dovettero ricorrere ad importazioni metalliche dall’estero e neppur questi bastando, e le condizioni dei mercati esteri divenendo ogni giorno più difficili, la Banca Nazionale si appigliò al partito di restringere gli sconti, ciò che fece nel marzo e più ancora nel- 1’ aprile, come già aveva ristrette e quasi soppresse fin dal gennaio le anticipazioni.
La crisi diveniva imminente, e la persuasione in cui tutti erano che per stimarla, si avrebbe dovuto inevitabilmente ricorrere al corso forzoso, rendeva la situazione ancor più grave. Il fallimento di molte Banche di deposito e di sconto pareva evi dente per la impossibilità in cui si trovavano di soddisfare alle precipitose richieste dei depositanti e pel rifiuto quasi assoluto del risconto loro fatto dalla Banca Nazionale. Appariva quindi imminente una catastrofe i cui effetti si sarebbero estesi a tutto il paese.
Quali fossero allora precisamente le condizioni del Tesoro è chiarito dalla relazione che il comm. Al lum o, direttore generale del Tesoro, indirizzò al Mi nistro delle finanze, sullo stato di cassa alla sera del 20 aprile 1866.
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direttore del Tesoro più ohe bastevole per sopperire a tutti i servizi sino alla metà dell’ anno. Al seme stre di rendita che doveva scadere il 1° luglio e che ascendeva a circa 100 milioni, era stato già prov veduto, per lire 57,600,000, stipulando da Rothschild ! anticipazione delle - rate ancora a scadere del pre stito di 4 25 milioni, per lire 25,000,000, convenendo colla Cassa di risparmio di Milano T anticipazione di una delle rate non per anco riscosse del prezzo delle ferrovie dello Stato e, per -lo milioni, pat tuendo due sovvenzioni, una di 10 milioni da! Banco di Napoli, 1’ altra di 5 milioni dal Banco di Sicilia. Ma codeste previsioni erano vincolate alla condizione che rimanesse qual’ era, a 195 milioni di lire, la circolazione dei buoni del tesoro. Ora ne dovevano scadere, nei mesi di maggio e giugno, per 80 mi lioni di lire : ne era assicurata la rinnovazione per 15 milioni, al 3 per cento, dal Banco di Napoli ; potevasi contare sopra una rinnovazione ordinaria di 10 milioni al mese e di 20 quindi, nei due mesi ; ma sarebbe mancata la riemissione di lire 45,800,000 di buoni stessi, che, per 30 milioni, erano presso la Banca Nazionale e che, nelle contingenze d’ allora, sembrava poco probabile potessero essere rinnovati. Il fondo di cassa sarebbesi quindi ridotto a 50 milioni è, tenuto conto del consueto ritardo del pagamento di una parte delle cedole semestrali del debito pub blico, potevasi ritenere che questa somma di 50 milioni bastasse. « Che se per avventura, conchiudeva l’Al- furno, sorgessero avvenimenti straordinari per cui si dovessero fare spese non previste, allora questi calcoli dovrebbero grandemente modificarsi e il si gnor Ministro dovrebbe pensare a provvedimenti straordinari, avvertendo anche che gli avvenimenti straordinari potrebbero far diminire la rinnovazione dei buoni del Tesoro, che ho preveduto in 20 mi lioni per i mesi di maggio e giugno. »
Il 30 aprile, la situazione del Tesoro era ancora peggiorata, poiché, anche non tenendo conto della diminuzione dei biglietti e delle fedi delle Banche, da 68 milioni a 50, era scemato, da 28 e meno di 24, il numerario effettivo in oro ed argento.
Fu in queste condizioni che venne presentato alla Camera il 30 aprile 1866 un progetto inteso a dar facoltà al Governo di sopperire con mezzi straor- dinarii alle spese necessarie per la difesa dello Stato. Il progetto fu approvato dalla Camera e dal Senato e divenne legge lo stesso giorno. Il giorno succes sivo fu emanato il regio decreto dal quale il corso forzato ebbe origine.
Giusta presunzioni assai verosimili era in circo lazione alla fine di Aprile 1866, comprendendo nel computo anco le provincie venete e di Mantova ; riunite al Regno d’ Italia poco dopo T introduzione del corso forzato, una somma complessiva monetaria ascendente (in cifre rotonde) a 903 milioni e mezzo
di lire ; e concorrevano a formarla (sempre arro tondate le cifre) 430 milioni e mezzo di lire in mo
nete d’ oro, di cui 419 a sistema decimale' e 11
soggette a conversione ; 423 milioni d’ argento, di cui 86 milioni in pezzi da 5 lire e 119 e mezzo in pezzi da centesimi 20 e 50 e da lire i e 2, gli uni e gli altri a sistema decimale e 217 milioni e mezzo in monete da convertire, d’ importo non superiore mai a lire 10 e non eccedente in generale lire 5;
6 milioni in monete eroso-miste, di valore non man--o
giore di lire 1 ; 44 in monete di rame e bronzo, di cui o in rame soggette a conversione e 36 in bronzo a sistema decimale. È però da ricordare come una parte delle monete di bronzo, por circa l o milioni di lire, giacesse inoperosa nella cassa del Tesoro, perchè eccedeva i bisogni della circolazione ; laonde T importo del bronzo decimale circolante ridurreb- besi a 21 milioni di lire, a 29 quello della totalità del bronzo e rame ed a 888 milioni e mezzo l’am montare complessivo della circolazione.
Sono questi i dati risultanti dalle operazioni di coniazione e di conversione, ma fa d’ uopo tener conto del movimento monetario internazionale e se condo i computi più accurati si può ritenere che la circolazione metallica esistente nel Regno (com presa la Venezia e Mantova) avanti T introduzione del corso forzato possa farsi ascendere con grande approssimazione ad un miliardo e cento milioni di lire.
Al tempo cui si riferisce 1’ esposizione nostra, due soli istituti erano stati dall’ autorità pubblica espressa- mente autorizzati ad emettere biglietti di Banca, vo gliano dire T antica Banca Nazionale sarda, divenuta italiana e la Banca Nazionale toscana. La Banca To scana di credito per le industrie e il commercio d’Italia
era però stata abilitata ad emettere buoni di cassa,
con norme tali da lasciare intendere chiaramente come sotto questa denominazione si fossero voluti desi gnare i biglietti di banca. Solo la Banca Nazionale ita liana e la Banca Nazionale toscana si erano valse lar gamente della facoltà ottenuta ; la Banca Toscana di credito ne aveva profittato in misura irrilevante. Due altri istituti, i Banchi di Napoli e di Sicilia, emettevano titoli diversi dai biglietti di Banca, ma tali ad ogni modo, pei privilegi onde erano forniti e per causa di particolari contingenze, da surrogare aneli’ essi, per molti rispetti, il denaro nella circolazione.
La circolazione dei veri e propri biglietti di Banca era rappresentata, alla fine d’ aprile 1866, dalle cifre seguenti :
Banca Nazionale italiana . . . L. 116,998,779
Banca Nazionale toscana . . . » 23,924,360
Banca Toscana di credito . . . » 386,000
Totale . . L. 141,219,159
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dai due Banchi meridionali, ascendeva, alla fine di aprile 1866, alle seguenti somme :
Banco di N apoli... L. 81,700,000
Banco di S ic ilia ... » 23,261,612
Totale . . L. 107,961,612
Conviene avvertire che la cifra data pel Banco di Napoli è meramente approssimativa, poiché, l’imper fezione dell’ antica contabilità di quel Banco non con sente di sceverare esattamente, per il tempo anteriore al 51 dicembre 1869, il debito per titoli in circola zione da quello per conti correnti disponibili.
Le riserve metalliche dei cinque istituti dei quali teniamo discorso erano rappresentate, alla fine d’aprile 1868, dalle cifre seguenti :
Banca Nazionale italiana (compreso il numerario e le paste preziose esistenti presso le zecche per lire 4 7 , 3 4 2 , 8 1 0 ) ...
Banca Nazionale toscana (1 ) . » 4,050,519
Banca Toscana di credito . . » 479,729
Banco di N a p o li... » 43,426,959
Banco di S ic ilia ... » 27,434,008
Totale . L. 124,537,563
Aggiunto poi all’ammontare della circolazione m e tallica, valutata a 1100 milioni di lire, quello della circolazione cartacea, che ascendeva in cifre rotonde a 230 milioni, e dedotte le riserve metalliche serbate dalle Banche, a guarentigia di questa seconda specie di circolazione, si giunge alla conchiusione che i biso gni di mezzo circolante del regno d’Italia, comprese le provincie venete e di Mantova, avanti il corso for zato, erano soddisfatti da un valore monetario appros simativo, in parte metallico, in parte cartaceo, di 1225 milioni di lire.
I limiti di un articolo di giornale non ci con sentono di seguire l’autore là dove parla delle prime estensioni ordinatrici del corso forzato e delle esten sioni di esso al Veneto ed al Mantovano, nè dei mu tui fatti dalla Banca Nazionale di 23 0 milioni prima, poi di 28 milioni allo Stato in biglietti di banca, nè delle condizioni fatte , agli istituti di circolazione ed alle loro emissioni. Neppur toccheremo del decreto 14 luglio 1866 che, all’intento di fornire all’erario i mezzi di effettuare i pagamenti dovuti all’ estero, ordinò che, dal IO agosto successivo in poi, i dazi doganali d’ importazione dovessero essere soddisfatti in monete d’oro e d’argento, salva soltanto la facoltà di pagare con spezzati di bronzo le frazioni di lira, a tenore della legge monetaria del 1862 e della di
ri) La Banca Nazionale toscana poteva pur com putare come riserva utile per l’emissione il suo cre dito di lire 1,680,000 verso il Tesoro dello Stato, pel deposito da essa fatto a guarentigia dei biglietti suoi ricevuti n41e pubbliche cosse della Toscana.
scussione avvenuta nella Camera dei Deputati il 4 maggio 1886, in seguito ad una interpellanza del- l’on. Avitabile sul decreto del 1» maggio e prendiamo senza altro ad esaminare i primi effetti del corso forzato.
Riguardo agli effetti immediati dei decreti del mag gio 1866, sullo condizioni del credito, l’autore ram menta come essi ponessero in grado le Banche di emissione di accordare larghi sussidi al commercio e come la crisi dell’aprile cessasse, può dirsi, inte- ^ ramente, mercè questi aiuti, malgrado che le con dizioni del credito fuori d’Italia, anco per l’imminenza della guerra, accennassero dappertutto a peggiorare e fosse anzi scoppiata in Inghilterra, appunto ai primi di maggio, la crisi intensissima, a cui diè principio il fallimento della casa Overend. Presso di noi an che le Banche di deposito e sconto, che erano state poste a grave rischio, in sul finire d’aprile, dal di minuire dei depositi, furono salve dal risconto otte nuto dalla Banca Nazionale, benché dovessero per qualche tempo ancora rispondere a rilevanti domande di restituzioni.
Ma, alla crisi cessata per effetto del corso forzato, un’altra ne seguì di diverso carattere, della quale dobbiamo ora descrivere le cagioni e le vicende.
In virtù del decreto 4° maggio, i biglietti di banca e le fedi e polizze dovettero essere ricevuti nei pa gamenti al loro valore nominale e fu dichiarato in valido ogni patto contrario.
La giurisprudenza dei tribunali sanzionò, con qual che oscillazione dapprincipio, ma concordemente più tardi, la invalidità delle promesse di pagamento in moneta metallica, sotto qualunque forma fossero sti pulate avanti o dopo il decreto 4° maggio. D’ altro canto l’oro aveva tosto ottenuto sui biglietti un aggio che, nel maggio 4 8 6 6 , fu in media del 6 33 per cento e raggiunse un massimo di 8 65 per cento, crebbe ancora, nel giugno, fino al massimo di 20 50 mentre la media mensile fu di 4 4 86 e, nel luglio, toccò un massimo di 49 37 e fu in media di 44 49. Le disposizioni del decreto 4° maggio e l’aggio con siderevole conseguito dalla moneta metallica furono cagione che una gran parte dei pagamenti da farsi nello Stato venissero tosto eseguiti in biglietti impe rocché, data la facoltà di pagare in biglietti o in mo neta metallica, era ovvio che si preferisse pagare in biglietti.
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lità contro ogni specie di moneta cartacea a corso coattivo. La consuetudine dei pagamenti in metallo si conservò a lungo anche nei paesi di confine, per la frequenza delle relazioni coll’ estero e durò in ge nerale per maggior tempo nelle campagne che nelle città ed in ¡special modo per i contratti riguardanti il bestiame ed i prodotti agrari e per gli affitti dei beni rustici, ma a poco a poco il numero e l’impor tanza di codeste contrattazioni vennero, per la forza inoppugnabile delle cose, scemando; nelle più im portanti piazze commerciali, gli affari di maggior ri levanza si pattuirono tosto e si posero ad effetto in biglietti o fedi, e in ogni parte d’Italia vennero pa gati fin da principio, per la più gran parte, in bi glietti, i tributi e gli altri crediti dello Stato, dei Comuni e delle Provincie, come gli stipendi, le pen sioni e gli altri loro debiti, e in pari guisa furono per la massima parte soddisfatti i prezzi di trasporto sulle ferrovie, come ogni altro prezzo di merci e servizi a tariffa determinata.
Avvenne allora ciò che non si è mai potuto evi tare nei paesi a corso forzato, ogniqualvolta il me tallo prezioso ottenne un saggio sulla carta. La mo neta metallica, perduto in gran parte il suo ufficio di strumento degli scambi, fu in larga misura teso reggiata e inviata all’estero.
Nè l’ esportazione ed il tesaurizzamento si limitò alle varie specie di monete d’oro o d’argento il cui valore intrinseco non è inferiore al valore nominale che delle sole spese di coniazione, ma si estesero eziandio alle monete divisionarie d’argento, sebbene avessero, come è noto, un valore intrinseco del 9 per cento circa, inferiore al nominale ed anche il bronzo sebbene il suo intrinseco raggiunga appena il terzo del valor nominale. Benché dalle nostre sta tistiche commerciali non appaia pressoché punto il movimento internazionale delle monete d’oro e d’ar gento pure 1 Autore mercè acconcie interrogazioni alle Società ferroviarie e di navigazione riuscì a rac cogliere taluni dati che egli stesso raccomanda do versi accettare con riserve.
Le esportazioni metalliche (salve le riserve accen nate) sarebbero ascese, nel 1866, per mezzo delle ferrovie dell’alta Italia, in cifre arrotondate, a 181 milioni e, per mezzo delle imprese di navigazione a vapore, a 113 milioni, in tutto quindi a 296 milioni di lire, mentre le importazioni sarebbero state di 101 milioni di lire per ferrovia, di 56 milioni coi piro scafi, e in totale di 157 milioni; sarebbesi quindi avuta una eccedenza di uscite, non tenue per certo, di 139 milioni, quando invece, come già si ebbe a ricordare, nel periodo antecedente al 1866, le im portazioni metalliche superarono pressoché sempre le esportazioni. Ma al movimento effettuato dalle fer rovie ed a quello fra le imprese di navigazione a vapore che diedero notizie, sono da aggiungere i
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trasporti eseguiti, sia da quelle fra codeste imprese che non fornirono ragguagli e dalla navigazione a vela, sia mediante il carreggio ordinario pei molti passi alpini non percorsi dalla ferrovia, ovvero per opera delle popolazioni delle provincie di confine, degli eserciti combattenti, dei viaggiatori, degli emi granti.
Che gli scambi internazionali di monete di verghe d’oro e d’argento e l’eccedenza delle entrate sulle uscite, in codesta maniera di scambi, debbano essere state, nel 1866, assai superiori alle cifre or ora ri ferite, è dimostrato dalle statistiche francesi, da cui si rileva come le nostre esportazioni per la sola Francia sieno salite, nel 1866, a quasi 228 milioni, mentre le importazioni non raggiunsero 77 milioni, onde l’eccedenza delle esportazioni è stata di 151 milioni di lire. Ed ove si consideri come i ratraua- gli pervenuti dalle compagnie di navigazione dimo strino essere gli scambi di numerario e metalli pre ziosi con l’Austria e con l’Oriente, quasi tanto rag guardevoli quanto quelli colla Francia e come non scarsi sieno quelli colla Svizzera, coll’Inghilterra, colla Germania e coll’America meridionale e centrale, non parrà audace l’induzione che il soverchio delle importazioni metalliche sulle esportazioni abbia rag giunto, nel 1866, 250 milioni di lire.
Da queste cifre e da altre che la inesorabile ne cessità dello spazio ci costringe ad omettere, appare manifesto quanto grande fosse presso noi il bisogno di monete adatte, pel loro tenue valore, ad effettuare i minori pagamenti e le frazioni dei pagamenti mag giori ; e quanto grave lacuna dovessero lasciare nel
nostro mezzo circolante i tesoreggiamenti e le espor
tazioni metalliche di cui abbiamo tenuto parola. A questa lacuna non poteva essere altrimenti provve duto che accrescendo l’emissione dei biglietti di banca da lire 20, che la sola Banca Nazionale aveva in circolazione avanti il 1“ maggio 1866, per poco più di due milioni e mezzo di lire, creando biglietti di taglio minore ed effettuando nuove emissioni di bronzo.
Ma tali nuove emissioni anco decretate, sarebbero state indugiate assai a lungo dalle necessità della fabbricazione.
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e sia, pel suo peso eccessivo, disadatta ai pagamenti maggiori, era tuttavia ricercata e adoperata anche per questi, a cagione della deficienza dell’argomento divisionario e della mancanza assoluta dei biglietti di piccolo taglio; ma anche la moneta di bronzo, quantunque avanti l’introduzione del corso forzato fosse sovrabbondante, venne poi a scarseggiare ed ottenne sulla carta aggi considerevoli.
Il Governo prendeva intanto provvedimenti intesi ad attenuare la crisi. Mise in circolazione i 15 mi lioni circa di bronzo, che, avanti il corso forzato, giacevano inoperosi nelle pubbliche casse, ordinò, la coniazione di altri 20 milioni di codesta moneta; e diè maggiore impulso, alla emissione dell’argento di- visionario, che fu coniato dal I o maggio al 31 dicem bre 1866, per l’importo di lire 18,600,000 e venne anch’esso per un certo tempo adoperato dal Governo nei minori pagamenti, comunque scomparisse poi tosto dalla circolazione.
All’emissione dei biglietti di minori tagli ripugnava, non solo, il Governo, ma anco, nei primi momenti, l’amministrazione della Banca Nazionale. Tuttavia, col regio decreto del 17 maggio 1866, il quale deter minò il modo con cui la Banca Nazionale doveva versare a! Tesoro il mutuo di 250 milioni, fu sta bilito che lo avrebbe pagato coi biglietti delle varie categorie che già la Banca emetteva ed inoltre con biglietti da lire 10 per 20 milioni di lire, che fu rono poscia portati con decreti del 22 giugno, 31 luglio e 5 ottobre 1866 ad 80 milioni; fu inoltre autorizzato l’aumento dei biglietti da lire 20 a 48 milioni e tolto quindi ogni limite di somma a code sta categoria di biglietti fu consentita la creazione di biglietti da lire 25 e da lire 40 e furono eziandio messe temporariamente in circolazione, per mezzo della Banca stessa, marche da bollo da lire l o , da lire IO e da lire 5, dotate del corso obbligatorio, al pari dei biglietti di banca per la somma complessiva di 30 milioni di lire. I biglietti da lire 10 non meno che le marche da bollo, vennero, per sollecitarne l’emissione, fabbricati per cura del Governo e da questo forniti man mano alla Banca, con la guaren tigia dell’indennità da ogni danno, pel caso che, al l’atto del loro ritiro, se ne dovessero rimborsare, a eagione delle contraffazioni, quantità maggiori di quelle messe in circolazione. Siccome poi si scoper sero tosto in effetto, nelle marche da bollo, numerose falsificazioni, la Banca stessa fu autorizzila a prov vedere al loro ritiro, emettendo biglietti da lire 5 ed anche per questa nuova foggia di biglietti, il Go verno provvide alla fabbricazione e diè alla Banca la guarentigia contro le falsificazioni. Nello stesso anno 1866, altre contraffazioni, scoperte nei biglietti da lire 10, furono cagione che se ne ordinasse la sostituzione con altri di nuovo modello.
La Banca Nazionale toscana veniva intanto auto
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rizzata ad emettere biglietti da lire 50 e da lire 20 e ad accrescere quelli da lire 100 ed alla Banca toscana .di credito consentivasi l’emissione di biglietti da lire 500 e da lire 20 (regio decreto 20 giugno 1868). Occorre appena avvertire che, i biglietti mi nori, di cui autorizzavasi l’emissione, dovevano pren dere il posto d’altri di maggior taglio che già erano, 0 potevano essere messi in circolazione.
Il Banco di Napoli, per sopperire all’urgenza delle richieste, pose mano all’emissione di una non grande quantità di polizzini, analoghi nella forma esteriore alle antiche polizze e fedi, ma a somme fisse, cioè, da 2, da 5 e.d a IO lire, intestati al cassiere, tra smissibili quindi al portatore con la sola firma o gi rata in bianco dello stesso cassiere, ed eguali, nella sostanza loro, ai veri e propri biglietti di banca. Ciò fece il Banco di Napoli di propria autorità, ma il Governo contribuì con acconce misure a dar libero corso ai nuovi polizzini nelle provincie napoletane.
Il Banco di Sicilia, che dipendeva ancora, diret tamente dal Governo, fu autorizzato ad emettere una piccola quantità di polizzini, analoghi a quelli del Banco di Napoli, da lire 2, 3, 3, 6, 7, 8, 9 e IO. Così è avvenuto che, per effetto del corso forzato, 1 Banchi di Napoli a di Sicilia divenissero, allora per la prima volta, veri e propri Banchi di circo lazione.
Ma i provvedimenti fin qui annoverati erano per più rispètti insufficienti e lo erano perciò segnata- mente che i nuovi biglietti non erano tali da soddi sfare salvochè in limitata misura e per le sole pro vincie meridionali, i bisogni cui sopperiva l’argento divisionario e mal poteva questo essere surrogato, per le ragioni già dette e per la limitata loro quan tità, dalle nuove emissioni di bronzo.
Oltre a ciò, la creazione dei nuovi biglietti, co munque decretata, richiedeva tempo non breve per esser messa ad effetto, seppure non volevansi tra scurare affatto le cautele necessarie a prevenire le contraffazioni. E d’altro canto, man mano che i nuovi biglietti e le nuove monete di bronzo entravano nella circolazione, s’accresceva, e in maggiori pro porzioni, il vuoto lasciato dai tesoreggiamenti e dalle esportazioni metalliche e aumentavano i bisogni de terminati dallo estendersi dell’uso della carta.
La necessità delle cose diè allora origine ad un fenomeno che si era mostrato qualche anno innanzi, per analoghe ragioni e con forme somiglianti, negli Stati Uniti di America, durante la guerra di seces sione, e che si è ripetuto, tre anni or sono, comun que in tenue misura, anche in Francia. Al difetto di biglietti rivestiti di pubblica sanzione fu sopperito con emissioni effettuate da amministratori munici pali e provinciali, da Camere di commercio, da opere pie, da casse di risparmio, da società di mutuo soc corso, da istituti di credito e segnatamente da