G A Z Z E T T A S E T T I M A N A L E
SCIENZA ECONOMICA, FINANZA, COMMERCIO, BANCHI, FERROVIE. INTERESSI PRIVATI
Anno IV - Voi. V ili
Dom enica 29 lu g lio 1877
N. 1G9
LA QUESTIONE DEI BANCHI IN ITALIA
(C o n tin u a z io n e * v e d i N . 168)
ii
Nel-progetto di legge presentato dal m inistrodelle Finanze nella tornata del 27 novembre 1873, al ca- poverso ottavo, è detto: «.-Rispetto agli Istituti ai quali è riconosciuta la facoltà di emissione, il no stro progetto definisce chiaramente quello a cui si vuole sottoporli, cioè, a p a rità d i d iritti e d i do veri. Che se a taluno apparisse qualche disugua
glianza di trattamento, questi, penetrando al fondo, della materia, troverà che fa differenza apparente cela una sostanziale medesimezza. »
A noi, e a chiunque volle davvero penetrare al fondo della materia, parve invece che la medesi-. mezza apparente celasse una sostanziale differenza'.
L’ inversione dei due termini nascose l’equivoco, il quale consiste in ciò che la parificazione dei banchi privilegiati non poteva nascere dal sottoporli ad eguali d iritti e doveri, ma anche, ed anzitutto, ad eguali condizioni.
Bene inteso: se si trattasse di banchi liberi, sa rebbe assurda la pretensione ch’essi dovessero essere di forze poco diverso tra loro, sotto pretesto ehe se uno allarga più degli altri il suo campo d’azione, il suo biglietto ne risulti preferito, e presto accada che gli altri banchi non ne possano sostenere la concorrenza. Non è per la estensione del mercato in cui corre un biglietto, ch’esso acquisti la prefe renza del pubblico, bensì per la fiducia che il banco dal quale è emesso sappia ispirare. La preferenza si accorda sempre in vista della qualità, non della quantità dello strumento di trasmissione; la concor renza che un banco libero può fare ad un altro banco libero riposa precipuamente sulla bontà delle sue operazioni, sulla oculatezza della sua ammini strazione, sulla pubblicità non mai troppa che si dia ai suoi conti, ai suoi bilanci, alla sua posizione economica e finanziaria in generale. Del resto, sta bilire a p rio r i che tutti i banchi di un medesimo
Stato politico debbano essere di forze press’a pòco
eguali,, è dimenticare, ci sembra ehe un banco deve sorgere in una regione industria 'e, provocatovi dai bisogni effettivi della vita economica in cui si pre para ad agire, e deve svilupparm i conseguente mente; ed è dimenticare che un banco libero, in mezzo a banchi liberi, benché possa estendere in ■ lutto lo Stato il suo credito, trova utile restringerlo «»quella zona naturale, rientro la 'quale gli altri banchi noti gli possono esercitare una seria con correnza.
Ma sul terreno del privilegio le cose procedono molto diversamente. Se la emissione sia esclusiva- mente accordata ad alcuni banchi, 1 quali non sieno di forze press’a poco eguali, è lo stesso che inalzare sopra il privilegio di tutti, un privilegio particolare per quel banco, il quale, potendo avere di prima mano una enorme estensione del suo mercato, tende ad invadere sempre più il mercato degli altri. In questo caso, a pari condizioni di fiducia, il biglietto che circola in uno Stato intero sarà preferito al biglietto conósciuto in una zona ristretta, p e r la semplice ragione ehe, se circola, non è per solo effetto della fiducia pubblica, ma perchè quel banco e gli altri minori avendo il privilegio della-, emis sione,. quel banco sugli altri minori ha il vantaggio di trovarsi in peculiari condizioni favorevoli di'rela zioni più estese e sempre più estensive. Il privile-' gio dei banchi minori, in questo caso, non è che' un coefficiente di potenza per il banco maggióre; e se il Governo è nella impossibilità, sotto questo punto di vista, di rendere la parità delle condizioni a tutti gli Istituti privilegiati, è una utopia, è anzi un assurdo grossolano il pretendere di pareggiarli assoggettandoli agli stessi diritti ed agli stessi doveri. Tre anni' di esperienza hanno largamente confer mato questo elementari verità. E, a parte le ben diverse condizioni dei banchi minori di fronte a quelle 'della Banca Nazionale per rispetto all’entità
dei capitali, e contro il cui miglioramento l’opera legislativa poteva astenersi dal porre ostacolo, sta anche il fatto che la Banca Nazionale, avendo sta
comportano l’ impianto e il governo delle succursali nei luoghi presso i quali la popolazione non è abi tuata ai loro biglietti; sta il fatto, diciamo, che il corso legale dei biglietti della Banca Nazionale
equivale, nè più nè meno, ad un corso forzoso, al meno nei suoi effetti per la Banca stessa, dappoiché
non vi fu caso mai che dei suoi biglietti le si do mandasse il baratto, se non per averne di piccolo taglio.
E non soltanto il corso legale espone i soli Isti tuti minori ad un baratto eccessivo, e ne inceppa per ciò grandemente le buone operazioni, e ne con siglia le cattive, ma è da notare eziandio che gli istituti minori riescono a soddisfare alle inevitabili esigenze del pubblico, valendosi del biglietto della
B a fica Nazionale, il quale, per essere dappertutto
in Italia spendibile, vi è accettato dappertutto. Clic la legge conceda agli Istituti il corso legale in ogni provincia del Regno, è perfettamente inu tile, se, per ottenere questo vantaggio, essi devono aprire tanti sportelli di baratto quanti sono i peri metri legali in cui vogliono lanciare i loro biglietti. La condizione equi vale a un divieto, imperocché, per essa, i banchi minori accrescerebbero le proprie spese senza aumentare le proprie entrate, Vigendo la in i qua clausola che le loro operazioni debbano essere rigorosamente strette ad una determinata proporzione col numerario esistente in cassa e col patrimonio posseduto o col capitale versato; anzi, per questa clausola, quei banchi minori, i quali aprissero delle succursali, si esporrebbero ad una maggiore esten sione più o meno duratura del baratto.
Alla illusoria parificazione degli Istituti privile giati, si aggiunga il diffìcile loro coordinamento e la impossibilità di meglio distribuire la loro circola zione, i perimetri rimanendo invariati, non solo, ma risultandone maggiormente localizzati i biglietti. — Grazie alla legge 30 aprile, la carta dei banchi mi nori rimase, qual era, ristretta alla Sicilia, alle pro vinole napoletane, a Roma, alla Toscana; e, per soprassello, la carta della Banca Nazionale ebbe
mezzo a circolare dappertutto in Italia ed esclusi vamente nelle provinole settentrionali, nell’ Emilia, nelle Marche, nell’ Umbria ed in Sardegna, dove poi. quando aumenti la richiesta di sconto (alla cir colazione della Banca Nazionale essendo imposto
un limite insuperabile), il suo biglietto accorre e tende ad accumularsi, e le Provincie in cui circo lano gli altri biglietti, ne restano quasi prive. Si è giunti cosi, malgrado le buone intenzioni della legge, a rendere più che mai sensibile il predominio del biglietto locale.
Lungi dallo avere raggiunto la tanto vantata pa rificazione, essendosene anzi maggiormente allonta nati, i banchi di emissione si trovano in assai peg giori condizioni che noi fossero prima dell’ infausta
legge; e per i vincoli ch’essa pose alle loro opera zioni, e per le norme rigorosissime a cui li assog gettò, e per la tassa sulla circolazione portata di colpo dall’ I per 1000 a 0 , 6 6 per 100, ne risultò uno stato di cose, che, come vedremo in appresso, rende stentata, inceppata, in ogni maniera diffìcile la vita dei nostri Istituti di credito.
Se il concetto magno della legge 30 aprile fu quel lo di parificare gli Istituti privilegiati, il mezzo
principale per giungervi fu fatto consistere nel ri durre il biglietto inconvertibile a biglietto consorziale. Questa invenzione peregrina fu la gloria del Governo d’allora ; il Lampertico vi trovò il Parnaso della sua poesia finanziaria, e il Luzzatti una miniera di me tafore inesauribile. Ma noi, in verità, non sapremmo scorgere differenza alcuna fra il privilegio diviso da sei banchi e il privilegio appartenente ad un banoo solo; anzi i nostri Istituti consorziali ci appaiono come la peggiore espressione del monopolio, il quale, invece di concentrarsi, e rendersi sotto l’ impero di circostanze affatto eccezionali, utile allo Stato, iradia contemporaneamente da sei stabilimenti, e si rende impotente di alcun vantaggio eccezionale e per chi lo subisce e per chi lo fa subire.
Osservando questa innovazione sotto il punto di vista a cui più direttamente ci costringe la legge 30 aprile, possiamo soggiungere che il biglietto in convertibile, veduto attraverso il prisma del Consor zio, non è biglietto di banco propriamente detto, e non è neppure biglietto governativo; ossia: è un biglietto di banco che ha e non ha guarentigia, ed è un biglietto governativo clic ha e non ha respon sabilità ; è il peggiore dei biglietti di banco che il monopolio abbia mai posseduto, ed è il peggiore dei biglietti governativi che lo Stato abbia mai emesso. Questo biglietto fu giudicato da alcuni deputati bi glietto d i banco, e perciò gli accordarono il loro
voto; lu da altri giudicato biglietto governativo, e
perciò lo approvarono ; è dunque qualche cosa di molto equivoco, che valse al ministro applausi di avversari e critiche di amici, ed al paese, che lo prese sul serio, valse e danno e beffe.
A non fermarci che sulle opinioni pronunciate dagli oratori più influenti o più noti di destra e di sinistra della Camera, possiamo, senza approfondire la tesi, avere un’ idea dell’ importanza che si dee annettere al concetto cardinale della legge.
Sella disse: « Per m e , questa carta consor ziale è una carta governativa larvata, ed io non
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L’ ECONOMISTA
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il;i quello delle Banche da lui pure emesso. All’ingegnoitaliano spettava di trovare un sistema tutto nuovo, un sistema che separasse il biglietto dello Stato da quello della Banca, e pure non fosse il biglietto go vernativo. È il sistema del Consorzio delle Banche.
Ma che cosa è questo Consorzio? Il Consorzio non è che una larva ed una finzione, e chi ne dubitasse
non ha che ad esaminare la legge quale è stata modificata dalla Commissione. Conviene rendere alla Commissione questa giustizia, che essa ha sentito profondamente come la legge, creando un Consorzio che mutua la sua carta allo Stato, creava soltanto una finzione ed una cosa immaginaria. Che cosa ha latto ! Ha tolto il concetto del mutuo e gli ha sosti
tuito quello della somministrazione. Il Consorzio non
mutua più allo Stato il miliardo, ma glielo sommi nistra. Tanto varrebbe che lo Stato se lo sommi
nistrasse da sè ; tanto varrebbe incaricare di questa funzione la direzione dell’ Economato generale del Ministero di Agricoltura e Commercio ». — Seisinit- »oda disse : « Il Consorzio ha l'a ria di guarentire una carta non guarentita che dalla semplice p r o messa dello Stato verso i contribuenti ». — Ferrara
disse: « Il Consorzio meglio chiamerebbesi consor teria bancaria : è il sistema, elio, dando il genere femminile ai banchi, l'onor. Torrigiani giustamente nominò poligamia bancaria dello Stato. Si può dire,
anche opportunamente, una oligarchia d i banchi a
sangue azzurro ».
È ozioso procedere colle citazioni. Chi avesse va ghezza di leggere i 238 modi coi quali fu inteso il concetto fondamentale della legge dai 238 presenti alla votazione dell’art. 1°, non ha che a prenderei rendiconti della Camera, voi. n Sess. i t i della
Legis. x i, che è un comico volume. Per noi, quattro nomi fra i più rispettabili e rispettati bastano a per suaderci, senza fatica di esame, quanto poco serio, quanto elastico, quanto bugiardo sia un concetto economico, il quale lu da pensatori valenti così sa tirescamente interpretato. Chi n’ebbe il senso esatto fu l'onor. Tosennelli, che disse: « Il Consorzio è fatto a bella posta p e r condurci alla Banca di Stato » ; e noi avremmo detto senza ambagi : il Consorzio è un tranello.
Monopolio uno, monopolio confederato, è la stessa cosa nella sua essenza e nei suoi effetti. Fra bonnet blanc e blanc bonnet, la questione non ha per noi
altra importanza che quella di sapere se si voglia entrare celatamante, o tirando giù la bulla, nel ' s i stema che si preferisce. E, pur troppo, gli autoritari italiani non hanno il coraggio delle loro opinioni, nè delle azioni loro; e volendo cacciare il paese nel basso mondo delle loro aberrazioni, tentano riuscirvi di soppiatto, si attengono al sotterfugio, e sono fe licissimi quando possono, colle parvenze della liberti, avvicinare alla patria il regime dell’arbitrio.
Conso-lidare il monopolio d’ uno stabilimento finanziario, stringendo a Consorzio il privilegio, e dare a questa combinazione un titolo che lasciasse adito a supporre un avviamento al principio di libertà, era egregia mente inorpellare un’astuzia, la quale fu con molto amore sostenuta dall’onor. Luzzatti.
Egli, notando essere una costante paura dei diret tori dei banchi che quanto più acquisti in estensione il biglietto a corso forzoso, tinto più si restringa il mercato dei biglietti a corso libero, trovava che ¡I Consorzio avea per provvido effetto di limitare il corso forzoso allo interesse personale dei banchi. Così non solo la federazione del privilegio e del monopolio si traduceva in un miglioramento econo mico, ma questo miglioramento avea in certo modo la sanzione, lo appoggio e il leudamente di un prin cipio eminentemente scientifico, contro il quale hanno tirato sempre a palle infuocate i detrattori della scienza: l’interesse personale auspice il Consorzio,
dovea guarentire la eccellenza della invenzione go vernativa anche a coloro che l’ onorevole Luzzatti rovesciatore di Adamo Smith — metteva in de risione, chiamandoli con profondo disprezzo « pro fessori di economia politica ».
Ed un aitro tratto della dialettica parlamentare con cui il signor Luzzatti magnificò il Consorzio, fu questo che « quando le popolazioni del mezzogiorno vedessero che il loro Banco di Napoli, che il loro Banco d i Sicilia, concorreranno a guarentire il
biglietto emesso a corso forzoso, esse darebbero a quel corso forzoso il credito che non sempre gli
accordano ». Ciò basta, ci sembra, a rendere evidente con quale castigatezza di argomenti si sieno presen tate ufficialmente alla Camera le sbardellate idee di chi ha sciolta la parola quanto inchiodata la dottrina.
Invocare il credito delle popolazioni in favore del
biglietto a corso forzoso, questa fu la logica ; ma
scherare una maggiore usurpazione del monopolio, questo fu 1 intento ; e renderlo egualmente dannoso a chi lo concede, a chi lo riceve e a chi lo subisce, questo poi ne fu il risultato.
ebbe maggior vigore e sanzione ; genera noie, spese, attriti, difficoltà continue, senza vantaggio alcuno, anzi nuocendo ai banchi ed a la produzione ; e di manda imperiosamente la cessazione di uno stato di cose, sotto ogni espetto deplorevole, | eruicioso ed ingiusto.
A due anni data dalla legge 3 0 aprile 18 7 4 do veva cessare il corso legale dei biglietti emessi ri spettivamente dai banchi consorziali. Questo fatto, secondo il sig. Luzzatti, sarebbe avvenuto « imm an cabilmente » all'epoca prestabilita. Non vi fu tuttavia
un Istituto, nè alcun uomo pratico, o soltanto ragio nevole, che si sia allarmato di questa esigenza della legge, dappoiché essendo per essa disposto che il piccolo taglio sia tutto consorziale, e che rappresenti la cospicua somma di G00 milioni, del miliardo non intero a corso forzoso rimangono 100 milioni, dei quali circa 2 0 0 sono destinati a rimanere come riserva nelle casse dei banchi. Ora, se il primo effetto della soppressione del corso legale è che lo Stato non debba più ricevere i biglietti dei sei stabilimenti, è evidente che coi soli 2 00 milioni disponibili non sarebbe possibile fare il servizio del Tesoro E se è vero che i più gravi perturbamenti si manifeste rebbero alla riscossione delle imposte, a tutti doveva parere che il più interessato al corso legale fosse appunto il Governo. E il Governo lo mantenne infatti prorogandolo il giorno stesso in cui avrebbe do vuto cessare. Ma cogli espedienti non si tira innanzi indefinitamente; e l’on. Panattoni, nella tornata del
ñ marzo di quest’anno, dimandava al ministero: « Il
giorno in cui dovrà cessare il corso legale, come sarà provveduto alla insufficienza, ormai riconosciuta, del biglietto inconvertibile di fronte ai bisogni della circolazione? e se all’opposto il corso legale deve durare a coesistere col corso coatto, come si ten terà sollevarlo dalla perduta fiducia di fronte alla valuta inconvertibile, che s’impone ed assorbe inte ramente il mercato? »
Il sig. Luzzatti risponderebbe, senza scomporsi,
essere instile la fiducia per il hi g li Ito fiduciario, ed essere invece necessar a ver il biglietto a corso forzoso; e il Lampertico alla sua volta risponderebbe
che « senza accrescere la quantità dei biglietti in circolazione, si può stabilire un bilanciere fra il bi glietto inconvertibile e il biglietto fiduciario, cosicché, ferma tenendo la massa complessiva degli uni e degli altri, si modifichino solo le proporzioni di questi e di quelli, secondo i bisogni del mercato » Così egli parlava ai Senatori del Regno il 28 marzo 1874, e parlò egregiamente. Unum erat, quod mihi vitiosum videbalur, qnod tanta ex fre- quentia inveniri nemo potuit qui intelligere posset quid diceret.
Perchè la legge 30 aprile abbia dato per due anni il corso legale ai banchi privilegiati, non si
riesce a comprendere ; perchè poi abbia loro per messo di estenderlo in Italia a condizione di popo larla di succursali, si capisce ancora meno. Il corso legale per due anni non avrèbbe avuto ragione di essere, sia perchè, supponendo eccessiva la carta
inconvertibile, sarebbe stalo assurdo il crearle prov visoriamente e coercitivamente una concorrenza còlla carta dei banchi, per la quale il corso legale avrebbe dovuto corrispondore nei suoi effetti ad un corso for zo so , sia perchè, supponendo insufficiente la carta
inconvertibile, sarebbe stato più logico, più giusto e più utile lasciar svolgere naturalmente, secondo le loro forze, i banchi privilegiati, anziché guarentire ai loro biglietti un corso, che, a due anni data, avrebbe dovuto essere semplicemente fiduciarie. La facoltà poi di stabi ire sedi, succursali, rappresentanze di cambio, tutto lungo e largo il Regno d’Italia, sa rebbe stata una ironia insensata, se il provvisorio,
per la natura stessa delle cose, non fosse stato an ticipatamente giudicato permanente', ma è sempre
una facoltà oziosa, per il solo fatto, come abbiamo già detto, che gli Istituti consorziali sono ben lon tani dal trovarsi tutti fra loro nella stessa linea di potenza per entità di capitali, di clientela, di mezzi, di credito, di relazioni, d’influenza.
Se non si fosse accordato il corso legale, gli Istituti, se lo avessero potuto per merito proprio, si sareb bero estesi naturalmente e consolidati ove meglio fosse loro tornato il conto, come accadde al Banco di Napoli, il quale piantò una sede a Firenze, benché
non vi avesse il privilegio del corso legale; e, pur trovandosi di fronte alla Banca Nazionale, la quale
dominava sovrana col corso forzoso, riuscì in poco tempo ad allargare le sue operazioni bancarie sino ad una cifra, che nel 1873 raggiungeva quasi i 100 milioni. Decretando invece il corso legale, sotto il futile pretesto che non bisognava passare d’un salto del corso inconvertibile di un banco e dal corso le gale di tutti gli altri Istituti nelle loro rispettive re gioni alla nuova condizione di cose creata dalla legge, non si ottenne che il peggiore di tutti i resultati, quello a cui nè ministro delle Finanze, nè Ministro di Agricoltura e Commercio, nè deputati a loro fa vorevoli, nè Sinistra giovine, nè Sinistra storica pen
sarono: vogliamo dire lo esasperamento progressivo dal baratto, il quale condusse per lo appunto i banchi a quelle « operazioni poco corrette », ad impedire le quali il chiaroveggente Luzzatti sostenne colla sua migliore loquela il mantenimento del corso legale.
III.
Ebbe origine il flagello del baratto dal corso for zoso dato ai biglietti della Banca Nazionale. Gli
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si rifiutò loro la libertà, e furono condannati al privilegio della circolazione cartacea — si trovarono improvvisamente sotto il colpo di condizioni perico losissime, per rimediare alle quali si pensò di ac cordare al loro biglietto, nei rispettivi perimetri, il corso legale, e si assoggettarono all'obbligo di cam biarlo ad ogni richiesta col biglietto inconvertibile. Quando il corso forzoso fu decretato in Italia, i sei banchi privilegiati non avevano la stessa im portanza relativa ai mercati in cui operavano, nè gli stessi sistemi d’Amministrazione, nè la stessa estensione di traffico, nè le stesse consuetudini; d i versa era la natura delle loro operazioni; diversi gl’impulsi, a cui aveano obbedito sorgendo e svol gendosi; diversi i rispettivi statuti; sproporzionata tra loro l’entità dei capitali, e più sproporzionata la facoltà di attenervisi per regolare la emissione.
La legge del 1874 credette parificare tutte queste condizioni, sanzionando in lavoro degli Istituti il corso legale, togliendo il eorzo forzoso ai biglietti della Banca Nazionale, e conferendolo ai biglietti
consorziali per una somma corrispondente ai doluto dello Stato, assegnando ai sei Istituti la medesima proporzione tra il capitale, le riserve e la circolazione. Per conseguenza necessaria ne incrudelì la piaga del’ baratto, che si deve considerare nelle due ma niere sotto le quali si presenta: l’unn, da benefica ch’era per lo innanzi, resa dannosa da una disposi zione della legge 30 aprile; la seconda, funesta egualmente per i banchi e per il pubblico, perchè di natura sua è costretta a prendere proporzioni sempre maggiori, a misura che si svolgono le r e lazioni commerciali fra le diverse proviucie italiane, rendendo così, da una parte, di più in più difficile il meccanesimo del credito; dall’altra, ritardando lo incremento degli affari, quando appunto, per i mi glioramenti economici del paese, essi tendono a moltiplicarsi, ad estendersi, a svilupparsi.
La prima specie di baratto vigeva anteriormente alla legge del 1874, ed era quella voluta dal pub blico quando richiede il cambio di un biglietto in tanti spezzati di piccolo taglio. Questo baratto, lungi dal nuocere, era favorevole ai banchi, i quali avendo in circolazione i biglietti piccoli, che uon ritornano con troppa frequenza allo sportello, lo facevano molto utilmente coi biglietti proprii. Ma la legge del 30 aprile ha loro resa gravosa anche questa specie di baratto, avendo disposto che il piccolo taglio fosse tutto consorziale.
Il baratto daddovero funesto, sostenuto sinora, si può dire, miracolosamente, per virtù di espedienti sempre dannosi e qualche volta pericolosissimi, è un altro, ed è quello a cui abbiamo nell’articolo precedente accennato. Quando le operazioni com merciali effettive e le speculazioni di Borsa mettono alcune piazze di un perimetro bancario in debito
verso quelle di un altro perimetro bancario, è evi dente che l’ Istituto di circolazione debba cambiare il proprio biglietto in biglietto inconvertibile. Sup poniamo il caso in Toscana, le cui piazze sieno in debito verso quelle dell’ Alta Italia. Inevitabilmente nasce il bisogno di cambiare in biglietto a corso forzoso, o in biglietto della Banca Nazionale, il
biglietto del banchi toscani, ai cui sportelli affluirà il pubblico per il baratto. Ma può darsi, ed avviene spesso, che molti di coloro, i quali deggiono pagare fuori del perimetro bancario in cui si trovano, si procurino dei vaglia della Ranca Nazionale, o, se
sono debitori verso lo Provincie Meridionali, delle fedi di credito del Banco d i Napoli, e depositino
presso fu n e e l’altro il biglietto toscano, il quale, per ragguardevoli somme, si accumula così nelle casse dei due Istituti. — Presso gli stessi Istituti entra lo stesso biglietto, in somme non meno co spicue, ch’essi riscuotono giornalmente per gli ef fetti in scadenza sul lo piazze della Toscana e per i pagamenti voluti da altre operazioni.
Ha luogo così quel baratto che viene dagli Isti tuti e che si chiama la riscontrata, dal quale va
esente la Banca Nazionale, perchè il suo biglietto
corre dappertutto e fa concorrenza al biglietto in convertibile; tant’ è vero che il pubblico, affluendo allo sportello dell’ Istituto minore, acetta indifferen temente carta a corso forzoso, o carta dell’ Istituto appartenente alle Provincie presso le (piali deve fare i suoi pagamenti, o carta della Banca Nazionale.
Le proporzioni a cui giunge questo baratta, che stanca gli Istituti, sono oltre ogni ipotesi enormi; ed è erroneo il credere che se il baratto si rende irresi stibile quando le piazze di un perimetro bancario si trovino in debito verso quelle che ne sono fuori, debba cessare affitto, anzi mutarsi in contro-baratto, quando il caso opposto si verifichi. Ciò non avviene per tutti gli Istituti, e non può ragionevolmente av venire per alcuno, imperocché, se si dice clic una piazza sia in credito verso di un’altra allorché per èssa la somma dell’avere superi quella del dare,
sta il fatto che i creditori ricevono lettera sulle piazze del perimetro bancario in cui si trovano, o mandati sulla Banca Nazionale, o qualsiasi altro
modo di pagamento, eccettuata la carta dell’ Istituto, al quale, si noti bene, ricorrono sempre i debitori per avere il biglietto inconvertibile o quello che loro permetta i pagamenti.
questo il disastroso inconveniente, ma soltanto le difficoltà medesime riescono meno gravose.
Chi ha sollevato la grave questione del baratto, ed ha messo, come si suol dire, il dito sulla piaga, che inasprisce da parecchi anni il credito italiano e compromette seriamente lo svolgersi della nostra vjta economica, fu il conte Cambray-Digny, al quale abbiamo chiesto tutto quelle informazioni, tutti que gli schiarimenti che ci occorrevano per trattare l’ar gomento che c’ interessa, ed il quale fu largo e sollecito con noi di comunicazioni importantissime. Conversando e discutendo con lui, ci parve ch’egli, malgrado le sue dichiarate aspirazioni all’unità del credito bancario, sia forse, in fondo, miglior amico della libertà di tant’altri che la millantano, i quali a parole si sono resi mille volte benemeriti della scienza, o ad azioni la sacrificarono sempre al trionfo di sò stessi e del partito politico, dal quale si eb bero, in mercede, fama, lucro ed onori.
Se al lume dei principi'! scientifici non ci paresse di poter chiaramente vedere la origine c la natura del male c del bene che accompagnano, retti da leggi inflessibili, eterne ed assolute, tutti i fenomeni sociali, facilmente saremmo tratti ad invocare prov vedimenti, che possono sembrare opportuni, se non eccellenti; utili, se non necessari.
Ma in argomento di credito, come in ogni altra questione di esistenza economica, non riusciamo a scorgere guida più sicura della scienza, la quale, saputa coraggiosamente applicare, combatte vittorio samente tutte le difficoltà che si suppongono, tutti i pericoli che si temono, tutti i danni che si sospettano.
Noi spiegheremo meglio il nostro concetto e rile veremo i criterii a cui vorremmo obbedire, se do vessimo studiare il rimedio al funestissimo male che ci travaglia, dacché la legge dell’onorevole Minghetti ha colpito al cuore l’azione del credito nazionale.
Sono eloquentissime le cifre che abbiamo avute dal conto C am bray-D igny sulle fluttuazioni del ba ratto di fronte alle somme raggiunte dalla circola zione del banco, di cui egli è direttore. Da esse apparisce incontestabilmente che il baratto non tanto dipende dalla circolazione quanto dal movimento commerciale della Toscana colle altre provincie del Regno.
Dal 18(i0 al 1870 inclusivi, anno per anno, si ebbero milioni di capitale: IO — 10 — 10 — 10 — 10 — Io — 21 — 21 — 21 — 21 — 21 ; mi lioni di circolazione: 27, a i — 29, 20 — 28, 74 — 27, 35 — 28, 40 — 38, 09 — io , 98 — 57, 50 - 58, 4 4 — 57, 02 — 51, 41 ; milioni di baratto: 8, 03 — 20, 33 — 39, 38 - 55, 84 - 45, 00 - 156, 66 — 222, 45 — 109, 03 — 136, 92 — 147, 20. Nei primi cinque anni dunque — non tenendo conto del 1806, nel quale il baratto durò 8 soli mesi e nel quale il movimento degli affari fu profondamente
turbato dalla guerra — la circolazione rimanendo quasi la stessa, il baratto rapidamente progredì. Vi ha eccezione nel 4871, ma nell’anno seguente il baratto sale di nuovo, e nel 1873 raggiunge il suo
m axim um ; nel triennio 1 8 7 3 -7 5 la circolazione si
mantiene ad una cifra press’a poco costante, ed il baratto tocca oltre i 222 milioni e decresce assai più lentamente che non sia prima montato: 169 milioni nel 1874, 136 nel 1875; e, nel 1876, 147 milioni, essendo la circolazione discesa da 57 a 51.
La circolazione ò dunque, si può dire, indipen dente dal baratto; e il baratto invece, se si osser vano esattamente le statistiche commerciali, dipende quasi interamente dal movimento degli affari. Nul- lostante, la Banca diretta dal senatore Digny volle
restringere la circolazione nell’anno ultimo scorso, e fu ridotta di mese in mese, oscillando fra 61, 37 e 47, 10: in media 51, 40; ed il baratto, avendo rag giunto la cifra totale di milioni 147, 19, oscillando tra 17, 83 e 8, 4 2 : in media oltre 12 milioni al mese, la circolazione è rientrata tutta osmi 127 giorni.
Questo stato di cose pesa più o meno incessante mente, mantenendo sempre allo stabilimento bancario condizioni difficili e spesse volte inquietanti. Il ma ximum mensile del baratto è rappresentato da cifre
cospicue relativamente alla circolazione: nel luglio e nel novembre 1872, il baratto raggiunse i 22 e i 24 milioni; nel giugno, nell’ottobre e nel decem- bre 1873, 28 o 24 milioni ; nel luglio 1874, 18 mi lioni ; nel febbraio, luglio e dicem bre 1875, 14 mi lioni ; nel febbraio 1876, 18 milioni. Si può andare più in là colla eloquenza delle cifre, e vedere il
maximum del baratto giorno per giorno. Così, per
esempio, esso fu di lire 5 ,4 4 0 ,0 0 0 il 28 giugno 1873, di lire 4 ,0 5 0 ,0 0 0 , il 25 ottobre dello stesso anno ; di lire 3 ,9 50,000, il 20 luglio 1874. È oziosa ogni altra cifra dimostrativa.
La riscontrata degli Istituti dipende naturalmente dai rapporti tra loro in relazione alle esigenze dei mercati nei quali agiscono. Così, la Banca, dalla
quale abbiamo avuto questi dati, fa la riscontrata ogni settimana due volte colla Banca Nazionale, di
raro e non periodicamente cogli altri Istituti. T e nendo conto del più, e trascurando il meno, nelle cifre che presentiamo ai lettori abbiamo considerato soltanto il baratto che la Banca Nazionale Toscana
fa col pubblico direttamente, e la riscontrata che fa regolarmente colla Banca Nazionale. Così dei 076
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L’ ECONOMISTA
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Queste cifre scaturiscono ai colpi di quella bacchetta magica, che è la legge del 3 0 aprile 1871. In quattro anni, un solo Istituto minore barattò per 676 milioni in carta inconvertibile ! L’operazione è miracolosa ; e i famosi rovesciatori contemporanei della scienza economica sapevan bene quello che si facevano escogitando una legge che dovea condurre a cosi favolosi risultati ! Che cosa provano, essi dicono, questi clamori pettegol lesea mente sollevati dall’onore vole Digny? che cosa sono queste accuse partigiane, ciecamente odiose, contro gli uomini che hanno sacrifi cato la parte migliore del loro cuore e del loro intelletto elaborando provvedimenti sapientissimi, in onore dei quali stanno i fatti posteriormente verificati ? Il ba ratto non è che un trastullo, se lo si tratta agevol mente a centinaia di milioni ; e non c’ è che dire : le cifre portano con sè la loro dimostrazione ; le statistiche provano abbastanza che ciò su cui non valeva la pena di riflettere, è avvenuto naturalmente. Sicuro; la moltiplicazione dei pani e dei pesci è ormai eclissata dagli effetti di una legge più della volontà di Gesù portentosa : la Banca Nazionale Toscana ha sostenuto un baratto di 676 milioni con
soli 86, dappoiché nei tre anni, dal 1873 al 1875 inclusivi, essa non è riuscita a riscuotere nelle sue ordinarie esaz'oni che 67 milioni, e 19 nel 1876, fra carta inconvertibile e carta della Banca Nazionale.
Come poi abbia potuto procurarsi gli altri 5 90 milioni, questo è un altro argomento a studiare, dal quale deve apparire che la legge dei signori Lam- pertico e Luzzatti fu fatta apposta, come le donne leggiere, per essere violata.
I 590 milioni necessari alla Banca Nazionale To scana per obbedire all’ art. 3 0 deba legge, furono
trovati mercè operazioni, che noi chiameremo, senza reticenza, espedienti, ed espedienti che diremo a di rittura rovinosi, poiché essi costarono, dal 1873 al 1875 inclusivi, il 2,60 per cento di capitale versato, e lire 18, 22 per ogni azione della Banca stessa.
Decomporre queste cifre, analizzarle, vedere come esse risultino, importerebbe spiegazioni che in argo mento cosi delicato non possiamo dare ai nostri lettori. Del resto, nella Relazione al Consiglio supe riore della Banca Nazionale Toscana, presentata dal Direttore generale nell’adunanza del 7 febbraio 1876, (Firenze, tip. Barbera), si trovano, a pag. 11
e s e g . molte informazioni e dati sufficienti a farsene una ben chiara idea.
Ivi è detto che le operazioni eccezionali per far
fronte alla continua difficoltà del baratto, consistono: nel procurarsi il maggiore possibile controbaratto gratuito; nello acquistare valori pubblici sulla piazza di Firenze per venderli sulle piazze fuori di Toscana; nello scontare cambiali scadenti su piazze dove cir coli soltanto il biglietto inconvertibile.
Ma di questi tre mezzi: il primo, se è
natural-mente preferibile, è altresì quello che meno d’ogni altro corrisponde al bisogno; il secondo, se è il più facile, e se è quello a cui si può dare maggiore esten sione, è anche il più pericoloso; il terzo, se è sotto un certo aspetto, eccellente — perché le cambiali acqui- ; state possono essere mandate per l’ incasso alle piazze rispettive, ed essere quindi convertite alla scadenza in biglietti utili per il baratto, e perchè possono ser vire prima della loro scadenza alla riscontrata, — è | anche quello che può deviare la Banca, non senza
gravi inconvenienti, dalla vera indole delle sue ope razioni.
Tuttavia, il primo mezzo adottato per uscire dalle i strette del baratto, procurò, dal 1873 al 1876 in
clusive, 122 milioni. È qualche cosa per dimostrare , in quanta fiducia sia tenuto dalle grandi Società in dustriali, dai principali banchieri, dai più cospicui negozianti e dal pubblico della Toscana, l’ Istituto diretto dall’onor. Digny.
Col secondo mezzo si ebbero 179 milioni. E qui ! ci cade in acconcio di rivolgere una dimanda al
l’apologista ufficiale della leggo 30 aprile, valendoci | per lo appunto di alcune sue parole pronunciate in tuono di biasimo alla Camera dei deputati contro i gli avversari di quella legge. Non Le pare, onore
vole Luzzatti, essere precisamente questo il caso in i cui « i banchi, i quali si curano dei propri interessi, « se sono frenati nella loro attività, si trovano co-
j
« stretti a prendere una via meno buona e meno « opportuna, ricorrendo, per esempio, a quelle ope- « razioni di arbitraggio, per cui acquistando la ren-| « dita col biglietto proprio nelle regioni dove operano, « e vendendola in quelle dove corre il biglietto in- ! « convertibile, tornano ad emettere la loro carta ? » E non Le pare, onorevole Luzzatti, che la legge, in favore della quale Ella non esitò a contraddirsi in | pieno Parlamento dieci volte nello stesso discorso, sia precisamente uno di quei provvedimenti « i quali « credono riuscire violando la libertà, e non fanno « che peggiorare le condizioni delle cose? »
Col terzo mezzo, la Banca Nazionale Toscana
riuscì a procurarsi gli altri 289 milioni; ma dovette acquistare crediti a troppo lunga scadenza, immobi lizzando una parte abbastanza rilevante dei suoi ca pitali.
Questi mozzi, come abbiam detto, sono rovinosi. Essi costarono nel 1873, lire 6 0 6 ,0 0 0 ; nel 1874, lire 6 7 1 ,0 0 0 ; nel 1875, lire 3 6 3 ,0 0 0 ; nel 1876, lire 189,000.
La decrescenza delle spese corrisponde esattamente alla decrescenza del baratto, il quale rallentò per la
Banca Nazionale Toscana nell’ ultimo biennio, per
il fatto che la Banca Nazionale si ridusse a pren
di coloro che ricevevano pagamenti in biglietto della
B arici Nazionale Toscana di somme che dovevano
passare fuori del suo perimetro. Ma tutte insieme le operazioni eccezionali si tradussero a perdita, per la Banca, nel 1873, del 2.88 per 100 di capitale
versato; nel 1871, dell’ 3.1 9 per 1 0 0 ; nel 1873, dell' 1.73 ; e nel 1876, del 0 ,8 0 : in media 2 .1 7 ; e lire 20.20 per ogni azione, nel 1873 ; lire 22.36, nel 1 8 7 1 ; lire 12.10, noi 1873; lire 6 .2 6 , nel 1876: in media 13.23. Si vede chiaramente, ci pare, che il baratto illimitato, a cui sono costretti i banchi pri vilegiati, è un vampiro eli’ esce dal cadavere del credilo italiano, e succhia il sangue degli Istituti consorziali.
Si dirà forse, e fu dotto, che la Banca Nazionale Toscana si trova in situazione viziosa, dalla quale
nulla vieta di credere che sieno esenti gli altri Isti tuti. Non è vero ; e facciamo appello a tutti coloro che possono, con indipendenza di linguaggio e con coscienza di causa, parlare. Fra la Banca Nazionale Toscana e gli altri stabilimenti corre questa diffe
renza, ch’essa sola ha arditamente studiato sè stessa, e non ha avuto alcun riguardo a procedere analiti camente in pubblico, non solo; ma, colla cognizione esatta delle angustie in cui versa, ha sollevato una questione importantissima, che imp’ica il rimedio ai mali dai quali è travagliato tutto il credito nazionale.
Non intendiamo, scrivendo così, muovere rimpro vero agli altri Istituti consorziali. La Banca diretta
dal senatore Digny fu tratta naturalmente ad inve stigare ed accertare l’origine, la natura e le cause permanenti delle sue condizioni abnormi. Dovendosi adunare per la prima volta, dopo che il nuovo Sta tuto era in vigore, l’assemblea degli azionisti, si ren deva necessaria una relazione sulle emergenze che negli anni passati caratterizzarono l’andamento della
banca e ne prepararono la situazione attuale. Di
questa relazio e, evidentemente, aveanò bisogno gli azionisti, chiamati ad esercitare un sindacato, che il vecchio Statuto loro non concederà; e da essa pigliarono impulso e indirizzo quelle ulteriori ricerche che mantengono viva la questione sollevata dal conte Carnhray-Digny, e sulla quale avremo agio a di scorrere brevemente.
Deploriamo però che nelle pubblicazioni della
Banca Toscana d i Credito, del Banco dì Napoli
e del Banco d i Sicilia non si trovi nulla che in
teressi l’argomento che ci occupa. È indubitato tut tavia che soggiacendo questi Istituti alle stesse cause abbiano a patirne gli stessi effetti. Sola la Banca Romana, nei bilanci del 1873 e del 1876, diede
le somme del suo baratto, dal quale, in verità, fu crudelmente tormentata.
Ma, a chiarire interamente questi) punto, ci bastò ricorrere alla Relazione ministeriale srd progetto di legge p e r l’ammortamento dei biglietti a corso fo r
zoso, presentato alia Camera i! 27 marzo 1877, dagli
onorevoli Depretis e Majorana. Questa relazione porta un curioso prospetto del baratto di tutti i banchi; e lo diciamo curioso per il modo oscuro con cui
fu ideato e scritto, quantunque lo scopo suo debba essere stato quello d’illuminare la mente dei nostri legislatori. Calcolate le medie sulle cifre ufficiali, da codesto prospetto risulta che, a numeri rotondi, la Banca Nazionale Toscana soffrì in quest’ultimi
I anni un baratto annuo di 169 milioni, che la Banca Toscana d i Credito lo ebbe di 39 milioni, la Banca Romana di 159, il Banco di N apoli di 137, e il Banco d i Sicilia di 122. Ma per rendersi conto
della importanza di queste cifre, non basta osser varle così, nude e crude, come ce le danno i si gnori Ministri: conviene prendere altri dati a guida del co dronto. A noi basterà rammentarci la circola- I zione media degli Istituti, la quale essendo stata j presso a’ poco di 35 milioni per la Banca N azio-
j naie Toscana, di 1 \ milioni per la Banca Toscana d i Credito, di l i per la Banca Romana, di 150
per il Banco d i N apoli e di 36 per il Banco d i Sicilia, emerge la conseguenza che la circolazione
rispettiva di questi Istituti, per effetto del baratto, | è rientrata nelle casse: della Banca Nazionale To scana ogni 120 giorni, della Banca Toscana di Credito ogni 153 g., della Banca Romana ogni
101 g., del Banco d i Napoli ogni 302 g., e del Banco d i Sicilia ogni 98 giorni.
Lasciando da parte le cifre del Banco di Napoli,
che sono le medie di due soli anni, mentre quelle degli altri Istituti sono le medie di un quadriennio, è evidente che le angustie e le spese del baratto debbono avere molestato la Banca Romana ed il Banco d i Sicilia molto più e la Banca Toscana di Credito poco meno della Banca Nazionale Toscana.
La quale, si noti bene, non sarebbe probabilmente riuscita, malgrado gli espedienti a cui è ricorsa, ad obbedire alle prescrizioni di legge, se non ne fosse ! stata in certo modo aiutata dal Tesoro e dalla Banca
Nazionale.
Qui torna ozioso dire il come ciò sia avvenuto ed avvenga ; basti accennare il fatto che, a riparare agli errori impliciti della legge 30 aprile, lo stesso Tesoro, la stessa Banca Nazionale dovettero e de
vono dimenticare, trascurare almeno, un loro diritto, I che è rimasto sinora lettera morta. Anzi la Banca
Nazionale andò più in là, ed ha fatto come colui,
il quale, non solo rifiuta ciò che ha diritto ad avere, ma concede ciò che non ha obbligo di dare.
29 luglio 1877 L’ E C O N O M I S T A 137 Pietre, terre ed altri
I L N O S T R O C O M M E R C I O f o s s i l i ... » 24,140,107 40,336,130
D I Vasellami vetri e cri
stalli ...» 6,944,952 9 ,4 8 0 ,9 2 5 IMF0RTAZI3NE E DI ESPORTAZIONE Tabacchi . . . » 12,177,183 1 1 ,0 3 6 ,5 0 6
nel 1° semestre 1877 Totale L. 6 3 8 ,3 6 6 ,0 0 6 611,9 1 4 ,7 0 9
È stata pubblicata dal
Esportazioni ministero delle finanze,
Di-rezione generale delle ga belle, la statistica del com- Categorie secondo la tariffa doganale.
mereio speciale di importazione e di esportazione dal V a lo re d e lle m e rc i e s p o rta te 1° gennaio a tutto giugno 1877. n e l p rim o sem e stre
Eccone le cifre riassuntive : 1877 1876
R IA S S U N T O D E I V A L O R I P E R C A T E G O R I E Acque, bevande, ed
o l i i ... » 79,725,770 103,416,003 Im portazioni Derrate coloniali
su-Categorie secondo la tariffa doganale. ghi vegetali, generi me-dicinali, prodotti chimici, V alo re d elle m e rci im p o rta te colori, generi per tinta e per concia, materie
1877 1876 diverse e profumeria » 2 4 ,6 08,899 26,304, 330 Acque, bevande, ed Frutti, semenze,
orla-o lii...L. 2 8 ,3 7 0 ,4 3 8 2 0 ,0 4 7 ,9 2 3 glie, piante e foraggi » 34,378,911 34,935,359 Derrate coloniali, su- Grassina . . . » 27,986,576 29,160,661 ghi vegetali, generi me- Pesci... » 1,292,326 914 ,8 0 5 dicinali, prodotti chimici, Bestiame . . . » 19,387,745 21,209,450 colori, generi per tinta P e lli... » 7,881,905 7,850,771 e per concia, materie di- Canape lino e
rela-verse e profumeria . » 9 6 ,4 9 2 ,6 3 0 8 2 ,1 2 9 ,2 1 7 tive manifatture. . » 1 6 ,3 53,215 22,729,200 Frutti, semenze, or- C"tone e relative
ma-taglie, piante e foraggi » 6,8 3 6 ,1 6 0 6 ,3 6 6 ,6 8 0 nifatture . . . . » 2,536,516 2 ,930,135 Grassina . . . » 41 .3 3 0 ,6 3 2 1 1 ,5 0 2 ,8 0 0 Lane, crino, peli e
re-Pesci... » 6,930,195 7,115,350 lative manifatture . » 3 ,272,110 2,536,705 Bestiame . . . » 3,460,331 5,7 9 6 ,3 9 9 Sete e relative
mani-P e lli... » 2 3 ,1 63,033 23,128,041 fa ttu r e ... » 133,137,045 170,673,908 Canape, lino e relative Cereali farine e
pa-manifatture . . . » 18,469,479 1 6 ,302,605 ste . . . . . . » 2 0 ,395,482 3 6 ,4 26,310 Cotone e relative ma- Legnami e lavori di
ni fatture . . . . » 8 7 ,3 1 4 ,7 9 3 95 ,0 6 9 ,1 2 2 l e g n o ...» 11,019,222 1 3 ,199,500 Lane, crino, peli e Carta e libri . . » 3,389.902 2 ,470,235 relative manifatture. » 41 ,2 9 7 ,0 3 8 5 1 ,2 4 0 ,5 1 4 Mercerie,
chincaglie-Sete e relative ma- rie ed oggetti diversi » 46,031,792 5 5 ,9 7 3 ,3 2 4 nifatture . . . . » 9 3 ,7 0 9 ,7 7 3 6 8 ,4 6 3 ,4 5 0 Metalli comuni e
la-Cereali farine e paste » 3 6 ,6 3 1 ,4 1 9 40,437,729 vori fatti con essi
me-Legnami e lavori di ta lli...» 12,824,984 9 ,8 3 4 ,7 8 3 legno . . . » 24,342,517 1 6 ,2 3 2 ,2 0 0 Oro ed argento, la- HA
Carta e libri . . » 3 ,6 3 1 ,5 0 3 4 ,0 2 6 ,9 1 6 vori fatti con questi
me-Mercerie, chincaglie- talli e pietre preziose » 1 3 ,169,614 8 ,1 4 2 ,3 7 8 rie ed oggetti diversi » 3 9 ,9 37,126 4 8 ,3 27,728 Pietre, terre ed altri
Metalli comuni e la- f o s s i l i ... » 28,963,156 21 ,5 9 7 ,6 4 3 vori fatti con essi m e- Vasellami, vetri e
cri-ta lli...» 3 9 ,5 3 2 ,4 0 0 4 1 ,6 9 3 ,4 2 7 s t a l l i ... » 2,3 9 7 ,5 7 6 2 ,824,153 Oro ed argento, lavori
fatti con questi metalli
ENTRATE DOGANALI DAL I o GENNAIO a l 30 GIUGNO 1877 Tìtoli di riscossione 1877 Dazio d’importazio ne compresi i diritti 1876 accessori . . . L. Dazio d’importazio ne senza i diritti ac
31,403,481 34 2 8 ,063,235 46 cessori . . . . » 12,302,892 38 10,974,747 81 Esportazione . » Riesportazionee ma 3 ,3 3 4 ,9 3 0 72 3 ,881,548,03 gazzinaggio. . . » Diritto di spedizio 72,341,40 61,298,26 ne . » 6 1 7 ,973 0 3 3 4 1 ,689,35 Decimo di guerra » Lamine, pallottole 1,653,401 62 1,485,857 12 e bolli a collagglo »
Diritti per la legge
2 0 3 ,963 18 235,418 80 sul bollo . . . »
Sopratassa ili fab bricazione e di maci 5 7 6 ,5 4 4 25 3 5 2 ,890 15 nazione . . . . » Depositi introitati 4,538,840 80 1,2 6 7 ,0 7 6 40 definitivamente . » Contravvenzioni e proventi eventuali e 6 ,0 8 0 1 5 21,495,17 f i t t i ...» Diritto di statisti 131,663 7 4 107,009 64 ca ... » 8 4 6 ,793 IO 742,769 10 Totale L. 3 2 ,9 1 0 ,9 3 3 79 4 7 ,9 3 3 ,0 3 3 31 r iv is t a b ib l io g r a f ic a
Archivio Giuridico — Voi. 18, fase. 6. — Pro
fessore Vito Cusumano — L a teoria del com mercio dei grani in Italia. — Pisa, 1877.
Per quanto mollo si sia scritto sull’ argomento ilei commercio dei grani, [iure a nessuno apparirà so verchia una monografia intorno all’ argomento me- desimo, specialmente dacché oggi i principó della scienza economica e i progressi della statistica pos sono aiutarci in questo compito.
Quindi è degno ili lode il chiarissimo autore il quale ha inteso principalmente di fare un esame storico della questione del commercio dei grani nel doppio riguardo della teoria e della pratica, espo nendo le diverse legislazioni annonarie delle princi pali nazioni di Europa e specialmente dell’ Italia, le diverse opinioni degli economisti e le riforme li berali ottenute per i loro consigli e per la loro coo
perazione. ¡
Dare un giudizio sul merito del lavoro sarebbe prematuro, giacché questa non è che una prima parte storica e uno scritto non può giudicarsi che | nel suo complesso. Nondimeno noteremo fin d’ ora | che l’egregio autore ha raccolte molte notizie che piace vedere riassunte. Spera poi di giungere a ret tificare qualche giudizio erroneo sul merito dei nostri economisti e di svolgere in modo più ampio e chiaro il problema. E noi gli auguriamo di riuscire.
Ci limitiamo ad accennare i punti principali svolti in questa prima parte.
Le indagini rivolte ad ottenere grano in abbon danza e a buon mercato hanno un interesse econo mico non solo, ma anche politico e sociale, inquan- tochè, come nota l’autore, la statistica ha dimostrato il fatto che l’alto prezzo del grano e dei mezzi di sussistenza è accompagnato per lo più da aumento j di mortalità, di delitti e di migrazioni e dalla dimi nuzione dello nascite e dei matrimoni. Il prezzo del grano è uno dei principali fattori che determinano il prezzo del lavoro, di modo che se quest’ ultimo non può seguire le oscillazioni del primo, avviene un peggioramento nelle condizioni sociali.
Perciò non fa maraviglia se i Governi nei pas sati secoli attribuirono tanta importanza al prezzo del grano. Dal punto ili vista politico il libero scam bio ha risoluto il problema, ma l’autore crede che dal lato sociale ed economico le prove statistiche e i fatti abbiano la loro importanza.
L’autore esamina il sistema annonario e i principii che lo diressero, dimostrando che Violava le leggi eco nomiche. Accenna le eccezioni fattevi in Italia e le modificazioni introdottevi in Inghilterra coW’atto di gratificazione del 1689, che introducevano in pra
tica un sistema di protezione agraria opposto ai fini dell’antica Annona, che cercava il buon mercato a benefizio dei consumatori e non il caro dei prodotti
a vantaggio dei produttori.
Il sistema annonario ispirato a motivi politici ed anco finanziari e che creava una classe di interes sali a mantenerlo se non recava qualche sollievo ai consumatori, riesciva dannosissimo alla agricoltura nazionale o lo provano le numerose e celebri care- ! stie che la storia ricorda.
L’autore passa a provare con esempi che le leggi annonarie italiane e straniere se vennero fatte dap prima in omaggio all’ interesse del consumatore per assicurare il basso prezzo del grane, furono poi det tate anche da certi principii di protezione dell’ in dustria nazionale.
Espone, a cominciare dall’età dei Comuni, gli Statuti e le leggi di Toscana, Lombardia, Napoli, Roma, Venezia, Sicilia e Piemonte, osservando che dato quello stato sociale, alcuni regolamenti erano giusti ed altri pure giusti relativamente.
29 luglio 1877
L’ ECONOMISTA
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Inghilterra per parte della classe industriale e trovache la legislazione protezionista inglese fu già un progresso sul sistema annonario, ma che anch’essa era falsa ed erronea e si propone di dimostrarlo.
Fin qui giunge lo scrittto, nè per la natura stessa di questa parte e perchè tanto ne fu trattato, sa rebbe possibile -trovarvi molto di nuovo.
Le guerre marittime secondo i p rin cip ii del Codice italiano del 21 giugno 1865 per l’avv. Pietro d i Marco. — Palermo, 1877.
Il rispetto della proprietà privata marittima è con seguenza del principio fondamentale che fa della guerra una operazione da Stato a Stato, ed è gran tempo che si sente il bisogno di mettere ad unico livello la terra ed il mare. L’ Italia ha avuto il me rito di tradurre in atto il voto della scienza.
Come il chiarissimo autore osserva, il Codice italiano per la marina del 21 giugno 1865 ha ri dotti a principii certi le incerte regole delle guerre marittime, tanto nei rapporti dei belligeranti tra loro, quanto tra belligeranti e neutrali. Nell’ interesse di questi ultimi ha garantito completamente il loro commercio formando fino il catalogo delle merci costituenti il contrabbando militare, e nell’ interesse dei primi ha proclamata la completa immunità della proprietà privata nel mare.
È vero, osserva giustamente l’autore, che questo Codice è una legge interna, ma è un appello alle nazioni civili, che non rimase senza ascolto, tanto è vero che nel 1866 la proprietà marittima fu ri spettata.
Nel presente opuscolo l’autore parla dei due mezzi coi quali si può nuocere direttamente alla proprietà marittima, la corsa e la flotta, riserbando ad altri lavori successivi le disposizioni del Codice che riguar dano i belligeranti ed i rapporti fra questi ed i neutri.
A proposito degli armamenti in corsa l’egregio autore rileva l’errore di affidare a particolari, non d’altro avidi che di guadagni, l’odioso ufficio di danneggiare il commercio nemico. Cita eloquenti esempi storici a questo proposito, accenna alle prime disposizioni più civili per venir poi a parlare del nostro Codice, formulando dottamente alcune que stioni.
Lo stesso fa riguardo al secondo punto della flotta militare. Aspettiamo con desiderio la continuazione di questi interessanti studi.
S i i t i LIBERA COLTIVAZIONE BEI TABACCHI
Pubblichiamo ben volentieri la seguente lettera diretta dall’egregio senatore Rizzari al Precursore
di Palermo.
L’interesse che il suo pregiato periodico prende sulla importante questione dei tabacchi in Italia, e la lettera dell’on. deputato Canzi pubblicata nel nu mero 171 del medesimo giornale, mi fanno ardito di dirigerle questa mia lettera, la quale ha per ¡scopo di spiegare più chiaramente, che non fu fatto nella lettera pubblicata nell’ Italia Agricola di Milano il
concetto di questo nostro Comizio Agrario nel deli berare sulla questione medesima l’ordine del giorno
che Ella pubblicava nei numeri precedenti del P re cursore.
Però è con vero piacere che io osservo, che la que stione dei tabacchi, sulla quale mi sono occupato con varie pubblicazioni sin dall’anno 1865, comincia da noi a prendere quel vivo interesse, quello sve gliamento che avvia a quel periodo che suol pre cedere le grandi riforme economiche e politiche, pe riodo necessario per preparare ed illuminare la pubblica opinione in modo, che giunto il tempo op portuno, le riforme si operano senza scosse rovinose, senza reazioni terribili, ma per semplice maturità di cose, di idee, di opinioni, di concetti.
La questione del monopolio e della privativa dei tabacchi è stata da molti anni oggetto di discussione tra gli economisti e gli uomini di finanza ; i primi ne han sostenuto la soppressione; i secondi, pur con dannandolo in massima ne hanno giustificato la con tinuazione, per gravi convenienze finanziarie. »
Il Parlamento italiano trattò la questione della soppressione della privativa dei tabacchi nel marzo 1862, nella Camera, a proposta del deputato Mar- liani ed appoggiata dal deputato Michelini. A nome della scienza e nell’interesse dell’agricoltura del paese essi chiedevano la soppressione della privativa e ponevano invece l’applicazione di una tassa sulla coltivazione dei tabacchi, sullo smercio dei medesimi, e sull’introduzione nel Regno del genere estero. Il tempo era propizio alla riforme, perchè allora sopra un prodotto lordo di circa 6 4 milioni, ne rimane vano nette all’erario sole 50 milioni.