RICERCHE DI ARCHEOLOGIA ALTOMEDIEVALE E MEDIEVALE
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Collana fondata da Riccardo Francovich e Otto von Hessen
Diretta da Sauro Gelichi
All’Insegna del Giglio
RICERCHE DI ARCHEOLOGIA ALTOMEDIEVALE E MEDIEVALE
PENSARE/CLASSIFICARE
Studi e ricerche
sulla ceramica medievale per Graziella Berti
a cura di
Sauro Gelichi e Monica Baldassarri
ISSN 2035-5416
ISBN 978-88-7814-429-3
© 2010 All’Insegna del Giglio s.a.s.
Edizioni All’Insegna del Giglio s.a.s.
via della Fangosa, 38; Borgo S. Lorenzo (FI) tel. +39 055 8450 216; fax +39 055 8453 188 e-mail [email protected]; [email protected] sito web www.edigiglio.it
Stampato a Firenze, settembre 2010 Tipografia Il Bandino
In copertina: rielaborazione della foto di un particolare della decorazione a mosaico con tessere in ceramica dell’estremità destra dell’architrave (Genova, San Lorenzo).
Pubblicato con il patrocinio e/o il finanziamento della SAMI (Società degli Archeologi Medievisti Italiani), della AIECM2 (Association Internationale pour l’Étude des Céramiques Médiévales Méditerranéennes), dell’Università degli studi Ca’ Foscari di Venezia, delle Università degli Studi di Pisa e di Siena, della Società Storica Pisana.
UNIVERSITÀ DI PISA
S A M I
IndIce
Bibliografia di Graziella Berti (Maria Grazia Mariani Berti)
in ordine cronologico e alfabetico 7 Presentazioni, di Gabrielle démians d’Archimbaud e di Tiziano Mannoni 13 Introduzione, di Sauro Gelichi 15 Il servizio di un’osteria lucchese tra la fine del XVI e i primi decenni del XVII secolo,
di elisabetta Abela 17 continuità e innovazione La produzione ceramica a Pisa tra Quattro e cinquecento,
di Antonio Alberti 25 La ceramica di produzione mediterranea a Pisa tra XI e fine XIII secolo:
circolazione, consumi ed aspetti sociali alla luce dei recenti scavi urbani,
di Monica Baldassarri, Marcella Giorgio 35 La ceramica d’importazione dal Mediterraneo tra X e XIV secolo
Aggiornamenti e dati di sintesi per la Liguria, di Fabrizio Benente 53 Architetture e ceramiche Ambienti tecnici e strategie politiche di Pisa
nel contado maremmano in età medievale, di Giovanna Bianchi 71 Alcune considerazioni su produzione e circolazione delle ceramiche da mensa
in area valenziana fra XI e XV secolo, di Marta caroscio 85 Per una tipologia di una classe ceramica postmedievale: la slip ware
della Toscana settentrionale, di eva degl’Innocenti 95 La maiolica di Montelupo: un indicatore di status socio-economico?, di Antonio Fornaciari 111 Giocare alla Roulette, di Sauro Gelichi 127 Le produzioni ceramiche tra duecento e Trecento nella Toscana meridionale:
indicatori di consumi diversificati in città e in campagna, di Francesca Grassi 133 ceramiche d’importazione in Sardegna tra IX e XIII secolo, di Marco Milanese 147 La ceramica siciliana di X e XI secolo tra circolazione interregionale e mercato interno, di Alessandra Molinari 159 Pisa e il Mediterraneo nell’ultimo trentennio del X secolo:
dal dato archeologico alla fonte scritta, di catia Renzi Rizzo 171 Aspetti di produzione e consumo di ceramica ingobbiata da mensa
nella Toscana settentrionale tra XVIII e XIX secolo da contesti
di Lucca, Pescia e Fucecchio, di Irene Trombetta 183
Tavole 193
L’idea di questo libro nasce nel 2002 quando, con Riccardo Francovich, si cominciò a parlare dell’opportunità (da parte nostra anche del desiderio) di dedicare a Graziella Berti una giornata di studi, che poi avrebbe potuto (e dovuto) tramutarsi in libro. L’idea originale prevedeva non una serie di saggi eterogenei, con la ceramica a fare da comun denominatore, ma un tema specifico da sviluppare, sul quale, pensavamo, si sarebbe chiamato a riflettere un selezionato numero di studiosi.
Il centro avrebbe dovuto essere quel Mediterraneo che rappresenta uno degli spazi all’interno del quale Graziella aveva da sempre agito e per il quale aveva prodotto risultati tra i più originali e significativi della sua attività scientifica. Una serie di motivi, non ultimo ma certo il più doloroso, la scomparsa di Riccardo Francovich, mi avevano imposto di accantonare momentaneamente quel progetto.
Così, quando da parte di alcuni più giovani studiosi, come Monica Baldassarri, ma anche Ales- sandra Molinari e Giovanna Bianchi, mi è pervenuta unanime la richiesta di fare qualcosa per Graziella, ho ritenuto che quel progetto, anche se rivisto, andasse ripreso e portato a compimento.
L’idea originale, certo affascinante, si doveva però ricalibrare sulle nostre forze: dunque diretta- mente un libro di scritti sulla ceramica medievale e possibilmente dei suoi più giovani (con qualche giustificata eccezione) amici.
Con Monica Baldassari, che mi ha aiutato in questo impegno, voglio ringraziare prima di tutto quei giovani ricercatori che con slancio hanno accolto la proposta di lavorare a questo volume e in tempi rapidissimi hanno contribuito alla sua realizzazione. A loro devo associare anche il nome delle Istituzioni che l’hanno patrocinato e finanziato o che hanno collaborato alla sua realizzazione (la SAMI, l’AIECM2, l’Università Ca’ Foscari di Venezia, le Università di Pisa e di Siena, la Società Storica Pisana, la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, la Soprintendenza per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per i Beni Architettonici e Paesaggio per le Province di Pisa e Livorno): istituzioni, universitarie e non, con le quali Graziella ha peraltro avuto (e continua ad avere) rapporti di stretta collaborazione. Questa iniziativa non sarebbe stata possibile, poi, se l’Editore All’Insegna del Giglio non si fosse reso disponibile a partecipare alle spese di pubblicazione del volume e a realizzarlo, con la competenza e la qualità che tutti gli ricono- sciamo, in tempi davvero proibitivi.
Un ringraziamento particolare, infine, va alla prof.ssa Lucia Tomasi Tongiorgi, perchè ci è stata sempre vicina durante tutto questo percorso e ha permesso che questo volume potesse essere degna- mente presentato in uno dei luoghi più prestigiosi dell’Ateneo pisano.
Sauro Gelichi
BIBLIOGRAFIA DI GRAZIELLA BERTI (MARIA GRAZIA MARIANI BERTI) IN ORDINE CRONOLOGICO E ALFABETICO
Per i contributi a Convegni, Colloqui et similia ecc., la data è quella del relativo incontro.
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3. TONGIORGI L., BERTI G., Ceramiche spagnole del 1400 su un muro dell’antico convento di S. Anna, «Rassegna del Comune di Pisa», VI/3-4 (1970), pp. 19-21.
4. TONGIORGI L., BERTI G., Ceramiche spagnole del XV secolo trovate in Pisa, «Faenza», LVI (1070), pp. 21-22.
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9. BERTI G., TONGIORGI L., Bacini ceramici restaurati, in Mostra del Restauro (Pisa, Museo Nazionale di S. Matteo 1971), Pisa, pp. 7-10.
10. BERTI G., TONGIORGI L., Ceramiche a cobalto e manga- nese su smalto bianco (Fine XII-inizio XIII), «Albisola», V, Albisola 1972, pp. 149-182.
11. BERTI G., TONGIORGI L., S. Zeno-Bacini ceramici e Notizie storiche e di archivio, in AA.VV., Abbazia di S. Zeno in Pisa, Pisa, pp. 87-99.
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«Albisola», VI, Albisola 1973, pp. 127-134.
14. BERTI G., TONGIORGI L., Bacini ceramici su alcune chiese della campagna lucchese, «Faenza», LIX (1973), pp. 4-15.
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15. BERTI G., TONGIORGI L., Bacini ceramici su edifici reli- giosi e civili in Toscana, «Antichità Pisane», I/1 (1974), pp. 15-23.
16. BERTI G., TONGIORGI L., I bacini ceramici delle chiese della provincia di Pisa con nuove proposte per la datazione della ceramica spagnola “tipo Pula”, «Faenza», LX (1974), pp. 67-79.
17. BERTI G., TONGIORGI L., I bacini ceramici di S. Michele di Castello-Villa a Roggio (Pescaglia-Lucca), «Faenza», LX (1974), pp. 80-84.
18. BERTI G., TONGIORGI L., Coppi del XVI secolo per riempi- mento di volte, «Antichità Pisane», I/4 (1974), pp. 6-12.
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19. ARIAS C., BERTI G., TONGIORGI L., Caratteristiche tecniche di alcuni tipi di ceramica (XI-XVI secolo). Ingobbiatura e fenomeni di schiarimento degli impasti, «Albisola», VIII, Albisola 1975, pp. 137-149.
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23. BERTI G., TONGIORGI L., Problemi di classificazione per un “Corpus” dei bacini ceramici di chiese medievali, «Com- mentari», XXVI (1975), pp. 360-371.
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127. RENZI RIZZO C., BERTI G., CIGNONI P., Volumetria delle ceramiche a forma chiusa secondo un approccio in- formatico: una campionatura di reperti medievali, in II Congresso Nazionale di Archeologia Medievale, a cura di G.P. Brogiolo (Brescia 2000), Firenze 2000, All’Insegna del Giglio, pp. 397-401.
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lo stesso contributo si trova ora in BERTI, RENZI RIZZO, TANGHERONI 2004, pp. 109-142.
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131. BERTI G., STIAFFINI D., Ceramiche e corredi di comunità monastiche tra ’500 e ’700: alcuni casi toscani, in Ceramiche e corredi monacali in epoca moderna, Atti del Convegno di Studi (Finale Emilia 1998) «Archeologia Postmedievale», 5 (2001), pp. 69-103.
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150. BERTI G., CAPELLI C., GELICHI S., Trasmissioni tec- niche tra XII e XIII secolo nel Mediterraneo: il contributo dell’archeometria nello studio degli ingobbi, in IV Congresso Nazionale di Archeologia Medievale, a cura di R. Franco- vich, M. Valenti (S. Galgano 2006), Firenze, All’Insegna del Giglio, pp. 455-460.
151. BERTI G., GARCIA PORRAS A., A propósito di “Una nece- saria revisión de las cerámicas andalusíes halladas en italia”,
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152. BERTI G., GELICHI S., Le ceramiche “Graffite Arcaiche Tirreniche” (GAT), XII-XIII secolo: alla ricerca dell’origine di una tecnica, in Archeologie. Studi in onore di Tiziano Mannoni, a cura di N. Cocuzza, M. Medri, Bari, Edipu- glia, pp. 347-351.
153. BERTI G., RENZI RIZZO C., Recipienti in ceramica nel medioevo pisano: dalle fonti scritte all’evidenza archeologica,
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155. BERTI G., CECCARELLI LEMUT M.L., In ricordo di Ric- cardo Francovich (Firenze 1946-Fiesole 2007), «Bollettino Storico Pisano», LXXVI (2007), pp. 307-312.
156. BERTI G., CIAMPOLTRINI G., Lucca: servizi in ceramica per la mensa dei Buonvisi, in Castelfranco di Sotto fra Cin- quecento e Settecento. Un itinerario archeologico, a cura di G. Ciampoltrini, R. Manfredini, Bientina-Pisa, La Grafica Pisana, pp. 77-94.
157. BERTI G., In ricordo di Riccardo Francovich (Firenze 1946- Fiesole 2007), «Faenza», XCIII (2007), pp. 187-189.
158. BERTI G., Pisa: uno dei primi centri del Mediterraneo non islamizzato che acquisirono la tecnica per produrre
“maioliche” nei primi decenni del secolo XIII, in Pisa crocevia di uomini, lingue e culture. L’età medievale, Atti del Con- vegno, a cura di L. Battaglia Ricci, R. Cella (Pisa, 25-27 ottobre 2007), Santa Rufina di Cittàducale (RI), Braille Gamma (per conto di Aracne Editrice), pp. 337-358.
159. BERTI G., Le ceramiche di Sant’Antimo nel quadro delle importazioni e delle produzioni locali di Pisa nel XIII secolo, in BERTI, BIANCHI 2007, pp. 369-384.
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2009
161. BALDASSARRI M., BERTI G., Reperti ceramici ed aspetti sociali: nuovi dati dagli scavi archeologici a Pisa, in Le dimore di Pisa. L’arte dell’abitare i palazzi di una antica Repubblica Marinara, Atti del Convegno (Pisa, 6-9 otto- bre 2009), Pisa.
162. BERTI G., Ancora qualche riflessione sui “bacini” di Pisa, in “Ex merito laudari tuo te” … per Emilio Tolaini, a cura di S. Bruni, Pisa, Edizioni ETS, pp. 33-47.
163. BERTI G., GIORGIO M., Lucca: La fabbrica di ceramiche di Porta S. Donato (1643-1668 circa), Documenti di Archeo- logia Postmedievale, 5, Firenze, All’Insegna del Giglio.
2010
164. BERTI G., GIORGIO M., Ceramiche con coperture vetri-
ficate usate come “bacini”. Importazioni a Pisa e in altri
centri della Toscana tra fine X e XIII secolo, Ricerche di
Archeologia Altomedievale e Medievale, 38, Firenze,
All’Insegna del Giglio, c.s.
PRESENTAZIONI
C’est un honneur et un profond plaisir pour moi d’être associée à la parution de ce volume en l’honneur de Graziella Berti, après tant d’échanges et de rencon- tres, pisanes ou non, et de travaux sur les céramiques médiévales et postmédiévales qu’elle connaît si bien.
Comment ne pas me rappeler, en ce moment, de mes premiers passages dans sa ville au temps où, préparant ma thèse de doctorat sur les fouilles du village déserté de Rougiers, je cherchais à m’informer sur les découvertes récemment effectuées dans l’ensemble de la péninsule.
Passant ainsi dans ce voyage initiatique en 1969 de la Ligurie, à la Lombardie à la Sicile, mes haltes à Pise et mes rencontres avec Liana Tongiorgi et Graziella Berti ont été vraiment essentielles. L’accueil chaleureux et patient de Graziella, sa compréhension de mes pro- blèmes et de mes incertitudes, son sens critique et ses exigences scientifiques, celles qui font progresser en conduisant à la remise en cause des attributions trop vite élaborées et des chronologies encore incertaines, m’étaient particulièrement précieux en ces premiers temps de recherches en Provence.
La multiplicité de ses connaissances acquises sur le ter- rain, en particulier monumental, en raison de l’étude des bacini, comme dans les données récoltées dans les archives donnent à chacune de ses publications une
«solidité» intellectuelle et une densité certaines. Elles constituent ainsi un socle de savoirs fondamental pour la compréhension de l’évolution céramologique de cette région féconde et de tout son environnement, au sens large, très large même tant les exportations de ses productions ont été étendues et multiples dans l’Occident chrétien.
De même, la diversité des importations, y compris islamiques, découvertes et recensées en Toscane posait d’autres interrogations. Elles suscitèrent de nombreuses études faisant progressivement appel à des analyses de laboratoire, chimiques et pétrographiques, qui rejoi- gnaient et complétaient, les recherches entreprises à Aix et Lyon grâce au laboratoire de Céramologie de Maurice Picon dont l’intervention fut pour nous décisive.
La complexité et l’étude des questions ainsi soulevées avaient fait apparaître la nécessité de rencontres si possibles périodiques entre les chercheurs travaillant sur les régions méditerranéennes. En conclusion du premier colloque international tenu au centre de re- cherches archéologiques de Valbonne en 1978, codirigé avec Maurice Picon, il fut ainsi décidé de renouveler puis bientôt d’institutionnaliser le principe de congrès d’abord triennaux puis quadriennaux: Valbonne 1978, Tolède 1981, Sienne-Faenza 1984, Lisbonne 1987, Rabat-Marrakech 1991, Aix 1995, Thessalonique 1999, Ciudad Réal-Almagro 2006, Venise 2009, Mertola- Silves 2012.
L’Italie y tient naturellement une grande place et dès la création officielle de l’AIECM2 (Association inter- nationale pour l’étude de la céramique médiévale en Méditerranée occidentale) en février 1992, dès le début Graziella, nommé secrétaire adjointe, assura avec une efficacité remarquable, par sa présence et son action régulière, la permanence et le développement de l’asso- ciation et des colloques. Et ceci, de la conception de ces réunions à la publication de leurs Actes, point essentiel évidemment – l’amorce de bibliothèque de référence ainsi crée devant devenir une source d’informations et une incitation à amplifier des recherches dans chacun des pays en cause. Ces derniers assument ainsi successi- vement la responsabilité de l’activité de l’AIECM2, de la programmation du congrès à son achèvement intégral concrétisé par la parution de l’ouvrage.
Malgré la discrétion de Graziella, il faut rappeler son esprit d’ouverture aux jeunes et moins jeunes scienti- fiques et le sens du partage qu’elle manifeste toujours avec une si grande générosité, répondant à toutes les demandes et requêtes qui lui sont adressées.
Enfin, le plus précieux est sans nul doute, son amitié ainsi que ses marques d’affection, sans cesse renouvelées, si réconfortantes dans ce monde actuel.
GABRIELLE DÉMIANS D’ARCHIMBAUD Professeur émérite à l’Université de Provence
Présidente honoraire de l’AIECM2
– 14 – Come si può vedere nel Notiziario di Archeologia Medievale (n. 3 del 31 maggio 1972 e n. 4 del 31 settembre) i giorni 23 e 25 aprile di quello stesso anno c’era stata una “Visita di Archeologia Medievale in To- scana”, organizzata tramite i corrispondenti del N.A.M.
da Hugo Blake, allora alla Scuola Normale Superiore di Pisa. Il primo giorno la visita si svolse a San Minia- to al Tedesco, dove Graziella Berti descrisse i bacini ceramici di Santa Maria di Castello, la loro tipologia e provenienza, nonché i loro rapporti stratigrafici con le murature dove erano stati inseriti.
Il 24 aprile la visita si svolse a Firenze presso la Soprin- tendenza ai Monumenti dove Franklin Toker ci aggior- nò sugli scavi di Santa Reparata condotti nel Duomo;
il giorno successivo, nel Comune di Scarperia, David Friedman parlò della fondazione medievale della città nuova, mentre Riccardo Francovich descrisse i rappor- ti tra i dati storici e quelli archeologici ricavati dagli scavi condotti con la Soprintendenza Archeologica di Firenze nel vicino castello di Ascianello. Con il Sindaco di Scarperia venne accordato un nuovo incontro che si svolse presso il Comune i giorni 1 e 2 del successivo mese di luglio sul tema “Storia dell’insediamento me- dievale in Italia”.
Come ho già ricordato negli “Scritti e ricordi per Ric- cardo Francovich”, è da questi incontri che è nata la rivista Archeologia Medievale che, con la visione e la direzione di Riccardo, è diventata l’anima della discipli- na, allora accademicamente rappresentata solo dai corsi dell’Università Cattolica di Milano (dall’anno 1968-69) e di quella di Genova (dall’anno 1070-71).
Tornando a San Miniato al Tedesco, ricordo ancora come quello che più mi colpì della descrizione fatta da Graziella, in un settore che, chi praticava lo scavo stratigrafico, era portato a considerarlo più vicino alla storia dell’arte e alle collezioni degli oggetti rimasti in uso, fu proprio la razionalità dei suoi ragionamenti: da quel momento, anche se non si era ancora formato il vero concetto di “archeologia del costruito”, non ho avuto più dubbi che anche le ceramiche inserite in una architettura avevano un loro contesto archeologico.
Quando scoprii che la Berti veniva da Pisa, dove la- vorava con i coniugi Tongiorgi, che conoscevo già da quattro anni per la loro metodica ricerca di “archeologia urbana” e di classificazione della ceramica postclassica, come il Gruppo Ricerche dell’Istituto Internazionale di Studi Liguri stava facendo a Genova, capii il perché di quell’approccio misto antropologico e scientifico. Liana
Tongiorgi era alla continua ricerca e interpretazione delle fonti scritte riguardanti la topografia urbana, la produzione e il commercio del vasellame; Ezio Tongior- gi proveniva dalle Scienze Naturali, dove era uno dei primi, se non il primo archeometrista botanico in Italia, ma concepì il progetto che, dovendo il Comune di Pisa rifare la rete fognaria, l’operazione venisse abbinata ad una estesa esplorazione archeologica. Più tardi seppi poi da Hugo Blake che anche Graziella era laureata in Scienze Naturali.
Dal 1972 i rapporti miei e del Gruppo Ricerche di Ge- nova, diventato Istituto di Storia della Cultura Materiale nel 1976, con Graziella Berti non sono mai cessati e continuano tuttora nelle ricerche sulle ceramiche me- dievali dell’area mediterranea. Un periodo di intensa collaborazione, che ricordo sempre con grande piacere, si è avuto negli anni Ottanta, quando ho fatto le analisi petrografiche di provenienza e di tecniche produttive dei bacini e di altre ceramiche di importazione rinvenute a Pisa, sotto l’attento, ma gradito e utile controllo di Ezio Tongiorgi, con il quale ogni metodo di determi- nazione di certi componenti andava discusso con tutte le possibilità di errore a fronte (per esempio: come si fa a essere sicuri che un quarzo arrotondato sia eolico e non fluviale).
Dalla metà degli anni Novanta la Sezione di Mineralo- gia Applicata all’Archeologia, operante nell’Università di Genova dal 1965, è stata gradualmente gestita per le ricerche sulle ceramiche dal petrografo Claudio Capelli con metodi sempre più sofisticati, sia per le provenienze, sia per i materiali e le tecniche dei rive- stimenti, e sotto la guida di Graziella, che si batteva da tempo sul problema di certe interpretazioni sbagliate di questi ultimi, come gli schiarimenti di superficie ottenuti in cottura scambiati per ingobbi, sono state condotte delle battaglie di natura conoscitiva a livello internazionale. Molto interessanti erano anche le di- scussioni sulle ragioni economiche ed umane di certe imitazioni con tecniche o materiali differenti, non sempre pubblicate.
Quando mi capita ancora di vedere qualche reperto dubbio proveniente dai nuovi scavi dell’I.S.Cu.M., raccomando subito di farlo vedere a Graziella Berti, perché ritengo che sia la migliore conoscitrice, sotto tutti gli aspetti classificatori finora raggiunti, a livello italiano, ma anche europeo, delle ceramiche medievali prodotte e circolanti nell’area mediterranea.
TIZIANO MANNONI
INTRODUZIONE
Non ricordo bene la prima volta che ho visto (e co- nosciuto) Graziella Berti. Quasi di sicuro sarà stato ad Albisola nel 1977 (il primo anno a cui partecipai a quel Convegno) e, altrettanto sicuramente, sarà stato insieme a Liana Tongiorgi. Certamente le incontrai di nuovo l’anno seguente, nel settembre 1978, quando con Riccardo Francovich mi recai fino in Provenza (a Valbonne), dove si teneva il primo colloquio di quella che sarebbe divenuta (ma parecchi anni più tardi) l’AIECM2. Erano tempi avventurosi (o almeno a me sembravano), dove la lontananza dei luoghi che in quel periodo non si raggiungevano ancora con l’aereo (ma in macchina e in treno), dava a questi incontri il sapore, oggi perduto, dell’occasione unica e irripetibile. In quel periodo, occuparsi di ceramica medievale significava appartenere ad una sorta di club esclusivo, di cui faceva parte uno sparuto ed eterogeneo gruppo di studiosi, non tutti ‘professionisti’ e non tutti archeologi. Tra gli italiani, ricordo a Valbonne Franco D’Angelo (che ve- niva dall’ancor più lontana Sicilia), il ceramologo-vigile urbano Otto Mazzucato (d’origini venete, ma romano d’adozione), il dermatologo di Rovigo (ma Presidente del Centro Polesano di Studi Storici Archeologici e Etnografici) Gian Battista Siviero; e ancora Tiziano Mannoni (che aveva da poco pubblicato un fondamen- tale testo sulla ceramica a Genova e in Liguria) e, tra gli
‘oriundi’, David Whitehouse e Hugo Blake (transitati dalla Scuola Britannica di Roma, di cui uno fu anche per diversi anni direttore). E poi, naturalmente, loro, le studiose pisane, il tandem che da qualche anno (dopo il pionieristico lavoro di Liana su “Faenza” del 1967) seguiva il censimento e la catalogazione del più grande bacino di ceramiche mediterranee fino ad allo- ra conosciuto (e per qualità di conservazione, varietà di tipologie e precisione di cronologie, ancora il più importante che sia noto). Naturalmente non facevano solo quello; avevano anche un lavoro (Graziella era analista chimica e Liana era stata insegnante di Scuola) e studiavano anche altro (le ceramiche della raccolta Tongiorgi erano ancora quasi tutte inedite e, ogni tanto, si allontanavano da Pisa per andare a scovare la
‘pisanità’ altrove, come in Corsica ad esempio). Ma, non vi è dubbio, il corpus dei ‘bacini’ ceramici delle chiese di Pisa (una vecchia idea di Ballardini, rivisitata con un rigore filologico e con una serietà di approccio raro in quegli anni) costituiva allora il centro principale e più originale dei loro interessi.
L’iniziativa era nata, del tutto casualmente, verso la fine degli anni ’60, come mi ha raccontato più volte
Graziella. L’idea era stata di Liana, che in origine voleva farne un libro strenna da regalare alle ‘signore pisane’
durante le festività natalizie; ma per farlo aveva biso- gno di un partner, che avesse peraltro anche pratica di fotografia (i ‘bacini’ erano spesso murati in luoghi difficilmente accessibili e a volte a notevole altezza dal suolo). Tutto, dunque, era iniziato come un gioco, anche se ben presto, quel gioco, si fece molto serio:
il libro avrebbe potuto aspettare, perché le ceramiche andavano studiate in maniera più approfondita. Per pri- ma cosa, se possibile, andavano distaccate dal supporto originario (cosa che poi avvenne con paziente puntualità in occasione di ogni restauro dei monumenti in cui erano state murate); poi disegnate e fotografate; poi anche sottoposte ad analisi fisico-chimiche. Insomma, l’idea ballardiniana prendeva corpo in una forma che gli studi di ceramica medievale raramente avevano fino ad allora conosciuto. Grazie alla determinazione e alla grinta di Liana, ma anche grazie al sapiente senso di ordine di Graziella.
Il libro sui ‘bacini’ pisani uscì nel 1981, che la Liana era morta da pochi mesi. Il tandem aveva perso un formidabile passista, ma Graziella non si perse d’ani- mo. La coppia si ricostituì grazie all’impegno diretto di Ezio Tongiorgi, che fino ad allora aveva seguito dalle quinte il lavoro della moglie, ma che curiosità e vivacità intellettuale (e attaccamento alla sua città) avevano da tempo portato sulle piste della ceramica. Fu in quegli anni che il lavoro di Graziella Berti si precisò meglio, anche se i tratti essenziali del suo modo di studiare la ceramica erano già presenti fin dagli inizi. Forse è stata la sua formazione ‘scientifica’ (unita però ad un amore per le scienze umanistiche, e con esse l’archeologia e la storia dell’arte, che Graziella in realtà avrebbe voluto coltivare professionalmente fin da giovane) a caratteriz- zare in maniera così precisa e indelebile il suo modo di rapportarsi al mondo della ceramica. C’è, innanzitutto, un gran desiderio di ordine, nei suoi lavori: tutto deve essere compreso ed incasellato in tabelle, grafici, tavole illustrative che catalogano forme e motivi. Ogni singolo frammento deve essere considerato e posizionato nello spazio e nel tempo e soprattutto in quel contenitore tassonomico che non esiste in natura, ma solo nelle nostre menti ordinatrici. Siamo davvero molto lontani da quell’approccio di derivazione storico-artistica, in cui è l’occhio intenditore che individua ed attribuisce e che di fatto aveva qualificato i nostri studi fino ai primi anni
’70 del secolo scorso. Se volessimo usare delle etichette
in maniera rigida, non potremmo definire Graziella
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I N T RODUZION E
Berti un’archeologa (credo non abbia partecipato mai ad uno scavo). Eppure, meglio di tanti ‘archeologi laureati’, ci ha dato grandi lezioni di archeologia: per il rispetto e l’attenzione al contesto, per la sua capacità di analizzarlo filologicamente e per trarne poi il ‘succo’ più genuino e pregnante. Così, lavorare sui ‘bacini’ pisani, non aveva significato solo riconoscere e datare tipi ceramici di provenienza mediterranea, ma analizzare sistemi e da questi, quando possibile, riandare ad altri sistemi (dalle ceramiche alle architetture; dai centri di produzione ai centri di consumo); e ancora, attraverso questi, tentare di scrivere (perché no?) anche inedite pagine di storia della produzione e di economia (lei, che pure storica
‘accademica’ non era).
Da quando, nella seconda metà degli anni ’70, ho deciso che mi sarei occupato di ceramica medievale, ho incontrato Graziella più volte nella mia vita. In alcuni momenti, durante il periodo di insegnamento all’Università di Pisa ad esempio, mi è capitato anche di lavorare con lei. È stata un’esperienza straordinaria, ma non facile. Tenace e caparbia, Graziella Berti ha convincimenti difficilmente scalfibili; non è semplice farle cambiare idea. Non è però presunzione o super- bia, è fiducia incrollabile nella ragione e nella forza
logica dell’argomentazione. Severa anche con sé stessa, Graziella lascia poco al caso, all’improvvisazione: nelle alchimie che definiscono il variegato mondo della ce- ramica, si muove con la stessa naturalezza e precisione di quando preparava provette per le analisi e, alla fine, tout se tient …
Anche se al di fuori dell’Accademia, Graziella ha avuto, e ha, molti più allievi di quanto, spesso, possano vantarne i professori universitari. È spiegabile con una generosità istintiva (e in qualche caso, azzarderei, materna), libera da quei condizionamenti e da quelle logiche che, in altri luoghi, falsano spesso i rapporti interpersonali. Così, la sua casa pisana è diventato sempre di più uno spazio di incontro e di studio, una sorta di approdo sicuro per le giovani (e un po’ meno giovani) generazioni.
È anche per questo motivo che vecchi e nuovi amici hanno deciso di dedicarle questo volume. Perché non solo le riconoscono un ruolo centrale negli studi sulla ceramica medievale mediterranea, ma anche perché è stata, e continua ad essere, un esempio di vita, l’espres- sione cristallina di come il sapere si possa coltivare in profondità, con genuina passione e disinteresse.
SAURO GELICHI
Venezia, marzo 2010
IL SERVIZIO DI UN’OSTERIA LUCCHESE
TRA LA FINE DEL XVI E I PRIMI DECENNI DEL XVII SECOLO
1 La cantina è di proprietà di Federico e Cristina Romani, grandi appassionati di archeologia, i quali hanno voluto personalmente eseguire le operazioni di scavo, condotti dalla scrivente, sotto la direzione scientifica di Giulio Ciampoltrini, archeologo della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, che ringrazio sentitamente per aver consentito il presente studio; desidero inoltre ringraziare Laura Guidi per l’aiuto prestatomi nelle fasi preliminari della catalogazione dei reperti.
2 Sulle importanti testimonianze di epoca romana, tra cui un ambiente di un edificio pubblico affacciato sulla piazza forense e dotato di un ricco pavimentato decorato da tessere musive bianche e nere (CIAMPOLTRINI, RENDINI 2005, pp. 802; CIAMPOLTRINI 2009, pp. 30-31, fig. 25); sono attualmente in corso di studio le complesse fasi di frequentazione di epoca tardo antica e altomedievale.
3 Complessivamente sono stati identificati almeno 160 esemplari di cui solo un quarto riconducibile a forme aperte.
In occasione dei lavori di ristrutturazione di una cantina privata in Corte delle Uova, situata nel centro storico di Lucca, a poca distanza dall’abside della Chiesa di San Michele In Foro (fig. 1)
1, è stato possibile, tra il 2003 e il 2004, indagare archeologicamente due ambienti interrati, recuperando uno spaccato della storia citta- dina, senza soluzione di continuità, dall’età romana fino all’inizio del XIX secolo
2, quando, a seguito del repentino innalzamento della falda idrica, gli ambienti furono interrati, e non più utilizzati, secondo una prassi comune in tutto il centro cittadino.
Il lotto di reperti oggetto del presente studio, è stato recuperato in un unico strato (US 39/1), un riempi- mento a matrice argillosa di colore bruno compatto, presente sotto il pavimento del vano meridionale della cantina, e sigillato dalla costruzione di una struttura a pianta rettangolare, coperta da una volta in laterizi.
I reperti recuperati erano quindi in giacitura primaria, interrati in un unico momento e in uno spazio ristretto, quando erano ancora in buono stato di conservazione:
si tratta quasi esclusivamente di vasellame da mensa, e, a differenza di quanto avviene normalmente in contesti domestici dove le forme aperte sono sempre prevalenti, ci sono principalmente contenitori di forma chiusa, boccali di ceramica di dimensioni costanti
3, e calici di vetro di varia foggia, collocabili cronologicamente tra la fine del XVI secolo e primi decenni del XVII secolo.
L’ipotesi che si tratti del servizio da mescita di un’osteria pubblica e non di oggetti d’uso comune pertinenti ad un contesto domestico, è avvalorata dal fatto che alcuni boccali recano, ancora intatto, il sigillo in piombo che ne certificava la capienza, una prassi che a Lucca, come avremo modo di analizzare in seguito, vantava una rigida
regolamentazione a partire già dal XIV secolo
4. Anche la consistente presenza di oggetti di vetro, soprattutto bicchieri a calice, sempre piuttosto rari nei contesti urba- ni, è un ulteriore indizio della pertinenza ad un’osteria, luogo nel quale si faceva largo consumo di suppellettile in vetro. Proprio la presenza del vasellame vitreo potreb- be aiutare a comprendere le motivazioni che portarono all’interramento del lotto di oggetti: infatti, come è noto dalle coeve fonti archivistiche, i proprietari di officine vetrarie di prassi ricompravano i rottami di vetro che erano a loro indispensabili durante le fasi di lavorazione di nuovi oggetti, per abbassare la temperatura di fusione della miscela vetrificata; i loro maggiori clienti erano proprio gli osti, ai quali veniva scontato il corrispettivo valore economico del vetro rotto sulle nuove forniture
5. Nel caso in esame invece si è preferito disfarsi dell’intero servizio, comprendente recipienti di ceramica e di vetro, ancora in buono stato di conservazione, seppellendoli in cantina: l’episodio dovrebbe essere avvenuto intorno agli anni Trenta del XVII secolo, quindi in un momento particolarmente difficile per la città, per il diffondersi della “grande peste”; il dilagare dell’epidemia potrebbe avere costretto a eliminare rapidamente tutti i possibili veicoli di contagio, soprattutto negli ambienti esposti al pubblico
6. Per quanto riguarda invece una possibile identificazione dell’osteria stessa, è da notare come l’at- tuale accesso ai vani interrati, da Corte delle Uova, n.
7, potrebbe non corrispondere alla localizzazione della mescita, che verosimilmente doveva aprirsi sulle strade principali che delimitavano l’isolato, cioè Via Santa Lucia o Chiasso Barletti (fig. 1); a questo proposito, da una prima analisi della documentazione edita, a partire dall’inizio del Seicento proprio in Via Santa Lucia è citata un’osteria tenuta da un “lombardo”
7, cosa non
4 La Curia del Fondaco, situata in Via Pozzotorelli, attuale Via Vittorio Veneto, aveva il compito di vigilare sull’andamento delle attività commerciali e artigianali dello stato lucchese, con poteri amministrativi e giudiziari ai quali erano sottoposti anche i tavernieri e i vinattieri (ROMITI 1972, p. 60).
5 STIAFFINI 1994, p. 163.
6 Nel solo centro storico di Lucca tra il luglio 1630, momento di inizio del contagio e l’ottobre 1631, morirono più di novemila persone, quasi la metà della popolazione censita (MAZZEI 1977, p. 54).
7 Nel XVII secolo a Lucca è presente una forte mobilità, specie negli starti sociali più bassi; spesso gli rtigiani erano genovesi, veneziani e fiorentini, mentre tra gli osti i più frequenti erano “lombardi”
(MAZZEI 1977, p. 33); all’inizio del XVII secolo erano gestite da
“lombardi” le osterie di Sant’Antonio e di Santa Lucia (A.S.L., Offizio sopra la buona guardia, vol. 11, parte II, f. 149 r).