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LA CONVENZIONE INTERNAZIONALE DELL'INFANZIA DEL 1989: ruolo dell'educatore nella promozione dei diritti dei bambini

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Università degli Studi di Trieste Facoltà di Scienze della Formazione

LA CONVENZIONE INTERNAZIONALE DELL'INFANZIA DEL 1989:

ruolo dell'educatore nella promozione dei diritti dei bambini

di Laura Scalco

Relatore: Gigliola Bridda

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INDICE

Introduzione………...p. 5 Capitolo I: Bambini e diritti

1.1 Il lungo cammino verso il riconoscimento dei diritti del fanciullo nella Società………...p. 8 1.2 I documenti internazionali sui diritti del fanciullo………p. 15 1.3 Le diverse prospettive sui diritti dei minori………...p. 27 1.3.1 I protezionisti……….p. 28 1.3.2 I liberazionisti………p. 33 1.3.3 Orientamento della partecipazione………....p. 35

Capitolo II: La Convenzione dei diritti del fanciullo e dell’adolescente del 1989

aspetti generali

2.1 Origini……….p. 35 2.2 Struttura e Contenuti………...p. 40 2.2.1 Preambolo………...p. 41 2.2.2 Gli articoli………...p. 42 2.2.3 I Protocolli Opzionali……….p. 56 aspetti specifici

2.3 I principi fondamentali………....p. 58 2.3.1 Il principio di non discriminazione………...p. 59 2.3.2 Il principio di superiore interesse………p. 63 2.3.3 Diritto alla vita, alla sopravvivenza e allo sviluppo…………p. 68

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2.3.4 Il principio di partecipazione e

rispetto per l’opinione del minore……….p. 73 2.4 Il monitoraggio………...p. 86 2.5 Vent’anni di Convenzione………..p. 91 2.5.1 Il potere della Convenzione……….………..p. 93 2.5.2 Sfide………..……….p. 94

Capitolo III: L’applicazione della Convenzione dei diritti del Fanciullo e dell’adolescente nell’ordinamento italiano

3.1 Il diritto minorile in Italia………p. 98 3.1.1 I diritti del minore nella Costituzione………...p. 100 3.1.2 I diritti del minore nell’ordinamento interno………..p. 102 3.1.3 Definizione di minore nell’ordinamento italiano…………...p. 108 aspetti generali

3.2 La Convenzione e l’ordinamento interno………....p. 110 aspetti specifici

3.2.1 Non discriminazione………...p.113 3.2.2 L’interesse superiore del minore………...…….p. 114 3.2.3 La problematica dell’ascolto………...p. 115

Capitolo IV: Educazione e diritti

4.1 Educare ai diritti……….p. 121 4.2 Educatore: promotore della Convenzione………...p. 125 4.2.1 La figura dell’educatore……….p. 126 4.3 Il progetto di promozione della Convenzione……….……....p. 131

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4.3.1 Obiettivi………...p. 134 4.3.2 Metodologia………...p. 135 4.3.3 Intervento………...……....p. 136 4.3.4 Conclusioni e osservazioni……….p. 140 Conclusioni………...p. 142 Allegato A……….………....p. 145 Allegato B………...p. 174 Bibliografia………...………....p. 176 Siti consultati………....p. 183

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INTRODUZIONE

Il presente lavoro nasce come tentativo di esplorare e, per quanto possibile, approfondire la riflessione sui diritti dei bambini nell’attuale contesto storico-sociale.

Nonostante i numerosi documenti internazionali che specificano i diritti dei minori, ancora oggi essi sono considerati incapaci di agire e di partecipare nella società in cui vivono e sono ancora attuali, purtroppo, le sofferenze e le violenze subite dai bambini nei Paesi in via di Sviluppo, così come attuali sono i soprusi anche nell’Occidente industrializzato.

Il primo radicale passo verso il cambiamento nella visione del bambino è avvenuto il 20 novembre 1989 a New York, quando è stata presa una decisione storica dai leader del mondo che hanno approvato la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza all’Assemblea generale delle Nazioni Unite.

L’idea che tale documento propone è quella di promuovere i diritti dell'infanzia, introducendo l'idea del bambino come soggetto di diritti invece che come mero oggetto di tutela e protezione. Essa, inoltre, si affianca non solo a diritti universalmente già riconosciuti e sanzionati (quali il diritto alla salute, all’istruzione), ma amplia e specifica, una serie di diritti di nuova generazione (come il diritto all'identità del bambino, della sua dignità e della libertà d’espressione).

La Convenzione è uno strumento potente per tutti i bambini del mondo e sancisce che essi sono soggetti di diritto e non semplicemente oggetti di preoccupazione o beneficiari di carità. A essi deve rivolgersi l’attenzione

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degli Stati, delle istituzioni e dei privati affinché i loro diritti siano pienamente realizzati.

La Convenzione è anche il primo trattato che obbliga gli Stati che la firmano e la ratificano a rispettare i diritti enunciati in essa. Si tratta quindi del primo documento, dal punto di vista del diritto internazionale, che assume un valore vincolante per gli Stati firmatari.

Questo lavoro si pone l’obiettivo di essere una riflessione sull’attuazione effettiva e fattiva della Convenzione internazionale dell’infanzia a vent’anni dalla sua approvazione, nella convinzione che una maggiore conoscenza e divulgazione dei diritti sanciti in essa, e del suo valore come strumento di tutela, possa rendere più consapevoli, responsabili e partecipi i bambini e i ragazzi della nostra società.

Da incontri con esponenti del Comitato UNICEF di Trieste, e da un’analisi della letteratura sui diritti dell’infanzia, ho riscontrato una differente conoscenza e applicazione dei principi della Convenzione tra l’ordinamento giuridico italiano e la cittadinanza. A livello normativo il Trattato è stato pienamente recepito e applicato in diversi ambiti a tutela dei diritti dei soggetti di minore età; mentre la diffusione, la conoscenza e l’utilizzo della Convenzione da parte dei minori e degli adulti nel loro vivere quotidiano non è ancora un obiettivo pienamente raggiunto.

Da queste considerazioni ho rilevato l’importanza e la necessità di un maggiore lavoro di divulgazione del Documento e di sensibilizzazione della, collettività; attività queste che secondo me, devono raggiungere tutti indipendentemente dalla loro età.

L’elaborazione che segue quindi, vuole essere la sintesi di un percorso personale partito da questa riflessione.

In occasione del ventennio dall’approvazione della Convenzione, ho iniziato a collaborare con il Comitato UNICEF di Trieste partecipando ad un progetto

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di divulgazione del Documento all’interno delle scuole triestine. Nel vedere come i bambini e i ragazzi erano interessati, e come hanno recepito le norme della Convenzione, mi ha dato conferma dell’importanza della divulgazione e della promozione di tale Documento, e ho capito che una maggiore conoscenza dei diritti può aiutare affinché i minori diventino effettivamente soggetti maggiormente attivi e partecipi all’interno della società.

Questa esperienza, per gli esiti positivi che ha avuto, è stata per me lo spunto a continuare la collaborazione volontaria con l’UNICEF e ha contribuito a farmi capire quanto sia essenziale per riuscire a dare concretezza alla Convenzione, e quindi ad una effettiva tutela dei minori, educare alla conoscenza e al rispetto dei diritti e doveri umani; è quindi necessario fare esperienza di tali diritti e viverli come una parte quotidiana e irrinunciabile del vivere civile.

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CAPITOLO I: BAMBINI E DIRITTI

1.1 Il lungo cammino verso il riconoscimento dei diritti del fanciullo nella società

“La storia dell’infanzia è un incubo dal quale solo di recente abbiamo cominciato a destarci. Più si va addietro nella storia, più basso appare il grado di attenzione per il bambino, e più frequentemente tocca a costui la sorte di venire assassinato, abbandonato, picchiato, terrorizzato, e di subire violenze sessuali.”1

L’attenzione all’infanzia e ai suoi diritti è un’acquisizione relativamente recente. La storia dell’infanzia dimostra come la società abbia nel passato dato scarso interesse al fanciullo, dandone una visione inadeguata e ambivalente. Il minore è stato considerato una “cosa” di proprietà dei genitori, pensato come “materia” da plasmare secondo il modello adulto e per molti secoli la posizione occupata dal fanciullo nella società è stata la stessa occupata dalle donne, dai malati, dai carcerati: i “soggetti deboli”

Non è mai esistita, nelle epoche precedenti la nostra, la consapevolezza che anche il bambino è un soggetto portatore di diritti e di bisogni, un soggetto differenziato dall’adulto; possessore di caratteristiche proprie che devono essere rispettate e non violate, e che la sua “voce” deve essere ascoltata, perché egli ha il diritto a esserci e a partecipare nella società in cui vive.

La conoscenza storica dell’infanzia e della sua educazione si delinea, ancora oggi, irta di sfide e di difficoltà: poche sono state le voci e scarsi i segni che ci raccontano del bambino attraverso l’evolversi della storia dei tempi.

Ancora più arduo è riuscire pure ad individuare, tra le narrazioni

1 DE MAUSE LLOYD, Storia dell’infanzia, Milano, Emme, 1983, pp. 9, 11, 15 e 33.

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mitologiche e i racconti autobiografici, aspetti ben chiari di un’infanzia idealizzata o autentiche voci infantili.

Le ricerche compiute dagli storici della famiglia e dell’infanzia hanno permesso di tracciare un quadro della vita familiare e della storia dell’infanzia attraverso i secoli. Esse offrono un panorama composito e a volte contraddittorio sulla situazione dei minori, raccontano storie di violenze continue, di gravi abusi perpetrati dagli adulti sui bambini.

Nelle antiche culture egiziane, i bambini rivestivano una particolare importanza religiosa nell’esecuzione dei riti sepolcrali, ma nonostante ciò il neonato non veniva considerato parte integrante del genere umano finché non passava attraverso riti, che ne segnavano la nascita sociale. Durante questo periodo, il padre poteva anche condannare a morte il figlio senza incorrere in nessuna sanzione punitiva, in quanto generatore della sua vita.

Nell’antichità greca il bambino appare un soggetto solo abbozzato, che trascorre i suoi primi sette anni nell’óikos, nella casa, confuso con gli adulti e considerato “ininteressante perché fisicamente precario, economicamente non produttivo, intellettualmente immaturo, moralmente non imputabile”.2 Il compimento del settimo anno di età rappresentava per il bambino il momento di passaggio dalla vita in casa, dove si realizzava l’allevamento del fanciullo circondato dalle donne (madre, nutrice e schiave), alla scuola, dove iniziava una prima forma di educazione al di fuori della casa; solo quando il bambino aveva raggiunto l’età dei sette anni poteva essere preso in considerazione al di fuori della casa familiare e diventare soggetto che poteva vivere nella comunità.

Nella cultura romana il bambino acquisisce maggiore importanza, egli è generalmente definito puer, ma dalla nascita ai sette anni, cioè fino al momento dell’entrata nella scuola, è denominato infans, cioè “colui che non

2 BECCHI EGLE e JULIA DOMINIQUE, Storia dell’infanzia, vol. I, L’antichità, Roma, Laterza, 1996, p. 4.

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parla”. Il termine infans, infatti, deriva dal verbo fari, presente nel latino arcaico e prima ancora nel greco antico con il medesimo significato di parlare, inteso soprattutto in senso solenne. Congiunto al prefisso in, che in latino ha valore di negazione, il termine descrive appunto quella situazione in cui si è impossibilitati a parlare.3 Queste moltitudini di denominazioni inerenti al bambino hanno molti significati: non solo un sentimento dell’infanzia nel senso attribuito da Ariès4, come “valore che si riconosce” a una figura sociale, ma anche un’attenzione affettiva e istituzionale riconosciuta al bambino per cui egli è soggetto importante di uno Stato. Nel diritto romano il potere del pater familias non aveva limiti, il resto della famiglia dipendeva da lui, egli era padre, signore, sacerdote, giudice ed educatore di tutta la famiglia, possedeva il potere illimitato sui suoi figli: la patria potestas. Per il diritto romano il maschio più anziano di una famiglia aveva estesi poteri su tutti i suoi discendenti qualunque fosse la loro età e dovunque vivessero. Non si trattava solo di diritti sulla proprietà (il padre poteva anche vendere i propri figli in territorio straniero), ma anche diritti di vita e di morte; era lui a decidere se un neonato dovesse essere abbandonato, ed era sempre lui ad avere l’autorità di condannare e uccidere il proprio figlio. Al tempo degli imperatori Costantino e Graziano l’infanticidio viene finalmente considerato un grave delitto ma la prassi resta tuttavia ancora in uso nei principi legislativi e la soppressione dell’infante viene di fatto tollerata soprattutto come soluzione per i figli illegittimi. La legge riconosce dunque al bambino il diritto alla vita, tuttavia non prende in considerazione l’esistenza nel minore di bisogni altri rispetto alla sopravvivenza fisica5. Tutti gli studi dell’infanzia nel Medioevo hanno come punto di partenza la tesi di Ariès secondo cui “nella società medioevale il sentimento

3 DEVOTO GIACOMO, Avviamento alla etimologia italiana. Dizionario etimologico, Mondatori, Milano, 1999.

4 ARIÈS PHILIPPE, Padri e figli nell’Europa medioevale e moderna, Bari, Laterza, 1999, p. 7.

5 BECCHI EGLE e JULIA DOMINIQUE, op., p. 55.

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dell’infanzia non esisteva”.6 Secondo Ariès il termine“sentimento” non sarebbe da intendersi solo come trasporto affettivo, quanto piuttosto come idea che si ha di un certo rapporto e delle figure che in tale rapporto entrano a relazionarsi. La sua teoria è stata confutata da numerosi studiosi del Medioevo tra cui l’autorità più riconosciuta sul periodo fu Shulamith Shahar, la cui tesi centrale è “che un concetto dell’infanzia esistesse nei secoli centrali e terminali del Medioevo – 1100-1425 –,che il riconoscimento erudito dell’esistenza di diverse fasi nell’infanzia non fu solo teorico, e che i genitori investivano risorse sia materiali che emotive nella loro prole”.7

Alla luce delle critiche alla prima edizione dell’opera di Ariès, egli stesso sembra incline a vedere nel sentimento anche una relazione affettiva oltre che un’idea dei termini che entrano in tale relazione.8

La realtà dei bambini nel periodo medievale viene percepita come ambivalente, da una parte come modello e dall’altra come qualcosa di cui diffidare. La Chiesa manifestava chiaramente un interesse di tutela della dignità della vita umana, nell’esigenza che la salvezza di ogni essere umano implicava un immediato riconoscimento di uno status più elevato per i bambini. Si percepiva la necessità che i bambini fossero consapevoli di avere un’anima e che la loro vita nell’aldilà, come pure sulla terra, dipendeva dalla condizione della loro anima.9

In conformità a questi principi e in contrasto con quelli greci e romani, i cristiani consideravano l’uccisione dei bambini uguale all’omicidio.

La religione cristiana esprimeva un notevole interesse per il fanciullo come essere incapace di collera, rancore e innocente, raffigurandolo nella forma di Gesù infante e quindi centro di più devozione, tuttavia dall’altra parte

6 ARIÈS PHILIPPE, op., p. 145.

7 SHAHAR SHULAMITH, Childhood in the Middle Ages, London, Routledge, 1990, cit., p. 1.

8 Cfr. ARIÈS PHILIPPE, op., cit. p. XVIII.

9 WIEDEMANN THOMAS E. J., Adults and Children in the Roman Empire, London Routledge 1989, pp. 188-93.

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veniva visto come piccolo adulto affetto da infirmitas, non ancora redento dal peccato. In questo periodo si sviluppò in modo considerevole l’abbandono dei figli con intento figlicida, e si registrarono forme di trascuratezza e di forte sfruttamento dei bambini. Le condizioni di vita dei fanciulli in questo lungo lasso di tempo appaiono molto difficili: gli adulti non sentivano alcun impegno emotivo e morale nei confronti dei più piccoli e opinione prevalente era quella di avere molti figli, nella speranza che due o tre sopravvivessero così da provvedere ai genitori anziani. Nell’epoca del Rinascimento si pensava che i bambini possedessero la chiave del futuro dello Stato, e la loro appropriata educazione era cruciale per il futuro. Lo Stato era dominato dagli uomini, e ciò significava che i padri avevano un ruolo cruciale nella famiglia, era loro la responsabilità della quotidianità dei figli e soprattutto dell’istruzione.

All’epoca la scuola, aveva molta importanza, in quanto gettava le basi dell’uomo futuro e per questo era necessario la precocità dell’intervento educativo e l’attuazione di una pedagogia della severità attraverso l’utilizzo di percosse e violenze fisiche e morali.

È solo nella modernità, con l’affermazione di un nuovo modello economico basato sull’industrializzazione e lo sviluppo tecnico-scientifico, con le trasformazioni familiari e demografiche, con la nuova dimensione politica e organizzazione sociale, che diventa possibile costruire un discorso collettivo sull’infanzia basato su un profondo mutamento d’atteggiamento verso il minore, con un'attenzione reale alle esigenze specifiche del bambino10. Il XVII secolo segnala l’avvio di un periodo di rilevante trasformazione sia del concetto d’infanzia sia del modo di trattare i bambini. La popolarità delle idee di Locke11 e di Rousseau12 nelle nuove famiglie borghesi apre un periodo in cui i bambini diventano oggetto di premure, cessano di essere

10 BELLOTTI VALERIO, Verso pari opportunità tra generazioni, p. 12. in Vent’anni d’infanzia. Retorica e diritti dei bambini dopo la Convenzione dell’Ottantanove (a cura di) BELLOTTI VALERIO e RUGGIERO ROBERTA, Milano, Edizioni Angelo Guerini, 2008.

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visti come incarnazioni di anime bisognose di salvezza dai benefattori e dalla Chiesa, e si cominciò ad attribuire ai fanciulli sempre più il possesso di una capacità di sviluppo, di libertà di pensiero e di azione; la visione dell’epoca continuava, tuttavia, ad ancorare il fanciullo all’adulto e costituendo il bambino come un cittadino, futuro, potenziale13.

È verso gli inizi del Novecento che le concezioni del fanciullo vivono un mutamento radicale attraverso quello che è stato definito il “secolo del bambino”14 e il “capovolgimento dell’idea di bambino”.

All’inizio dello scorso secolo infatti la pedagogia, la psicologia e la sociologia hanno preso coscienza ed affermato che l’infanzia è d’estrema importanza nello sviluppo dell’uomo e che “il bambino non è un uomo in piccolo, un homunculus, un adulto in miniatura, un essere umano solo quantitativamente diverso dall’uomo maturo. In realtà, invece, sono tali, tante e profonde le differenze tra il bambino e l’adulto che, sia pure con espressione e sapore paradossale, e da interpretarsi naturalmente più nel suo spirito che alla lettera, si può asserire che il bambino è abissalmente, qualitativamente diverso dall’adulto. Il piccolo uomo non è un uomo in piccolo.”15

Tali nuovi orientamenti sviluppati nelle scienze sociali moderne hanno permesso di cogliere pienamente lo sviluppo e il mutarsi storico del pensiero sul mondo dell’infanzia e così viene data una nuova considerazione ai diversi paradigmi interpretativi dei diritti dei minori che hanno

11 Locke John, nel saggio Some Thoughts Concerning Educational del 1693; tradotto in italiano in Pensieri sull’educazione, indica alcune riflessioni pedagogiche come allevare un ragazzo fino a trasformarlo in un perfetto gentiluomo inglese.

12 Rousseau Jean Jacques, Emilio, romanzo pedagogico. Il libro descrive come secondo le direttive di Rousseau dovrebbe essere educato il fanciullo. Idealmente Emilio, il protagonista del libro dovrebbe essere allevato senza altri contatti umani, e imparare semplicemente dalla natura.

13 SERIAL REVEDIN MARINA, Educazione e diritti del fanciullo. Per una lettura pedagogica dei documenti internazionali, Trieste, Proxima Scientific Press, 1994, p. 30.

14 KEY ELLEN, Barnest aarhundreade, 1900; traduzione italiana Il Secolo dei fanciulli, Torino, Fratelli Bocca, 1906.

15 AGAZZI ALESSANDRO, I diritti dell’infanzia in AA.VV., I diritti del bambino, Sipiel, 1991, cit., p. 24.

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caratterizzato e caratterizzano il dibattito in ambito scientifico, in particolare sociologico e psicologico, sul tema.

Il diritto per la prima volta si è ripiegato sui bisogni essenziali di crescita umana del soggetto in formazione e li ha assunti e tradotti in diritti soggettivi perfetti, come lo sono certi bisogni dell’uomo adulto, da tutelarsi con la stessa puntualità e intensità16.

Viene così a costituirsi un diritto minorile, “il diritto dei diritti del minore e cioè il diritto che evidenzia e raccoglie e collega quell’insieme di diritti che, pur essendo propri di ogni cittadino, assumono una particolare debolezza e perciò appare meritevole di una particolare considerazione e di uno specifico aiuto, per vedere facilitato il suo itinerario maturativo e il suo progressivo inserimento nella comunità sociale in cui è chiamato a vivere”17. Il diritto per i minori da poco riconosciuto non è un diritto di minor importanza perché minore in estensione a quello dell’adulto, e non prende più in considerazione il bambino per disciplinare esclusivamente il comportamento che gli adulti devono tenere nei suoi confronti. Si tratta di un diritto proporzionato alle capacità di una personalità in formazione, con caratteristiche peculiari che devono essere tutelate e garantite attraverso leggi, convenzioni e istituti giuridici per far in modo che il bambino cresca in piena autonomia e libertà e costruisca il suo percorso e le sue esperienza di vita, inserito in una società come cittadino e in grado di esercitare i propri diritti.

1.2 I documenti internazionali sui diritti del fanciullo

Solo dall’inizio del Novecento la comunità internazionale comincia a parlare della necessità di tutelare i diritti dei fanciulli e di tutelarli, in

16 MORO ALFREDO CARLO, Manuale di diritto minorile, 4°edizione a cura di Fadiga Luigi, Bologna, Zanichelli, 2008, cit. p. 10.

17 Ibidem, p. 11.

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maniera più specifica, a livello planetario (in precedenza difatti questo compito ricadeva nell’ambito esclusivo dell’ordinamento di ciascuno Stato), non solo attraverso dichiarazioni di principio che esplicitino i diritti fondamentali riconosciuti all’uomo e al cittadino (nel passato sono già stati riconosciuti dei diritti del cittadino, basti pensare alla Magna Charta del 1215 o al Bill of Right del 1689 in Inghilterra; alla Dichiarazione della Virginia nel 1776 e alla Costituzione americana del 1787; alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino in Francia nel 1776), ma anche con la stipulazione di Patti o Convenzioni, tra Stati, per assicurare che i singoli ordinamenti interni garantiscano al minore, un’adeguata protezione e tutela18.

Più specificatamente, il problema della tutela dei minori nell’ambito dell’ordinamento internazionale è stato affrontato per la prima volta soltanto nel periodo dell’industrializzazione, essendo strettamente collegato con quello concernente lo sfruttamento dei bambini nel mondo del lavoro.

Da questo momento in poi il minore è stato il punto di riferimento di atti politici degli organismi internazionali, siano essi nazionali o regionali, attraverso i quali si può ricostruire un percorso estremamente lento, faticoso e contrastato con cui i minori hanno visto progressivamente riconosciuta la propria soggettività di fronte al diritto19. “E’ interessante notare come il linguaggio internazionalistico degli strumenti giuridici e politici realizzati dalle varie organizzazioni durante questo secolo, rispecchi proprio questo passaggio, questa progressiva emersione del cittadino minore d’età, dal cono d’ombra della soggezione.”20

18 MORO ALFREDO CARLO, op., 2008.

19 SAULLE MARIA RITA, Codice internazionale dei diritti del minore, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1994, p. 11.

20 MILANESE FRANCESCO e BARES FABIA MELLINA, Diritti, tutela responsabilità.

Manuale per operatori della scuola, del sistema dei servizi, delle comunità, nelle azioni di promozione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, Udine, Un metro poco più, 2005, cit. p.17.

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Il primo documento che possa essere riconducibile agli strumenti internazionali di tutela del minore appare con la Conferenza dell’Aja di diritto internazionale privato del 1902 in cui fu approvata la“Convenzione per regolare la tutela dei minori.”Essa, in particolare, regolava gli aspetti giurisdizionali dell’esercizio della tutela sul minore straniero, stabilendo che al minore bisognoso di protezione dovessero essere applicate le leggi del Paese di cittadinanza. Questa Convenzione, quindi, riconosce il “principio di nazionalità”, nel senso che la tutela del minore viene ad essere incentrata sulla legge nazionale dello Stato di appartenenza. 21Proprio perché basata sul principio della nazionalità, il principale problema derivante dall’applicazione della Convenzione del 1902 riguardava l’ipotesi in cui le autorità dello Stato della cittadinanza dovevano provvedere ad organizzare la protezione del minore pur trovandosi quest’ultimo, per qualsiasi motivo, in un Paese straniero. In tale ipotesi, appariva evidente come il ricorso alle autorità diplomatiche e consolari (la c.d. tutela a distanza) non poteva sostituire, da solo, il complesso delle attività giurisdizionali e amministrative che l’esercizio effettivo di una tutela richiede. Per colmare le lacune di questo sistema normativo, la Convenzione dell’Aja prevedeva, il ricorso al diritto dello Stato di residenza abituale del minore, ma soltanto per il caso in cui lo Stato della cittadinanza non esercitasse la facoltà di organizzare la tutela, ovvero non fosse in grado di organizzarla effettivamente22. È questa una prima dimostrazione di attenzione verso il bambino, anche se prevalgono più esigenze astratte di tutela di nazionalità (importante da considerare l’epoca in qui venne applicata la Convenzione, cioè nel periodo storico profondamente segnato da movimenti nazionalistici) rispetto a esigenze di concreta protezione della personalità

21 In quanto la competenza giurisdizionale e quella legislativa vengono fatte coincidere dal trattato e quindi, la giurisdizione viene attribuita all’ordinamento di cui il minore è cittadino.

22 BERGHÈ LORETI ADRIANA (a cura di), La tutela internazionale dei diritti del fanciullo, Padova, Cedam, 1995.

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del minore ma, di fatto, è una prima apparizione del minore fuori della protezione familiare dell’adulto23.

Nel 1919, anno della sua costituzione, l’OIL, Organizzazione Internazionale del Lavoro, sollevò il problema di una tutela concreta dei diritti del minore sul piano internazionale. L’OIL elaborò una convenzione che determinava l’età minima per il lavoro nelle industrie a 14 anni, salve consistenti deroghe; nello stesso anno veniva approvata una Convenzione che proibiva il lavoro notturno per i minori di anni 18. Nel 1920 venivano aperte alla ratifica degli Stati una Convenzione sull’ammissione dei bambini al lavoro marittimo ed una al lavoro in agricoltura fissando entrambe il limite di 14 anni di età24.

Il primo intervento globale che affronta il problema della tutela del minore come soggetto relativamente autonomo e tendenzialmente mirante allo sviluppo di una sua personalità è la Dichiarazione sui diritti del fanciullo approvata a Ginevra dalla Società delle Nazioni il 24 settembre 1924. La stesura della Dichiarazione è dovuta agli eventi drammatici che hanno caratterizzato l'inizio del Novecento, in particolar modo la Prima Guerra Mondiale. La scomparsa di milioni di persone, il problema delle vedove e degli orfani, ponevano in primo piano la questione della salvaguardia delle generazioni future.

23 I problemi procurati di fatto dall’applicazione della Convenzione dell’Aja spinsero a rivederla; la nuova “Convenzione sulla competenza delle autorità e la legge applicabile in materia di protezione del minore” fu firmata nel 1961. Le norme di attuazione della Convenzione dell’ Aja del 5 ottobre 1961 sono state emanate con la legge 15 gennaio 1994, n. 64, art 4. Ma la Convenzione stessa è stata recepita nell’ordinamento italiano con l’art.

42 della legge 31 maggio 1995, n. 218, recante Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato.

24 La Convenzione n. 5 dell’OIL, inserisce l’età minima di ammissione dei bambini al lavoro nelle industrie, età che veniva fissata a 14 anni e che venne innalzata a 15, con la convenzione n. 59 del 1937. I Numerosi interventi successivi dell’OIL hanno preparato i testi di molti accordi a tutela dei minori, successivamente sottoposti a ratifica o adesione da parte degli Stati: tra cui: la convenzione n. 6, sempre del 1919, concernente il divieto di lavoro notturno nelle industrie per i minori di 18 anni; la n. 60 del 1937, sull’età minima nelle occupazioni non industriali; la n. 123 del 1965, sul lavoro dei minori in miniera.

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E' una collaboratrice della Croce Rossa ad elaborare un testo breve e conciso per il soccorso all'Infanzia, successivamente adottato all'unanimità dalla Società delle Nazioni25. In tale dichiarazione, che costituisce il primo atto internazionale vero e proprio di tutela dell’infanzia, sono affermati i seguenti cinque principi:

− il fanciullo deve essere messo in grado di svilupparsi normalmente, materialmente e spiritualmente.

Il fanciullo che ha fame deve essere nutrito; il fanciullo malato deve essere curato; il fanciullo tardivo deve essere stimolato; il fanciullo fuorviato deve essere recuperato; l’orfano e l’abbandonato devono essere raccolti e soccorsi.

− Il fanciullo deve essere il primo a ricevere soccorso in caso di necessità.

− Il fanciullo deve essere messo in grado di guadagnare la sua vita e deve essere protetto contro ogni sfruttamento.

− Il fanciullo deve essere allevato nel sentimento che le sue migliori qualità dovranno essere poste al servizio dei suoi fratelli.

È la prima volta che in un documento ufficiale approvato da tutti gli Stati membri si individuano alcuni diritti fondamentali del fanciullo riconosciuto titolare di diritti. “La dichiarazione è di straordinaria rilevanza innanzi tutto perché ribalta totalmente la vecchia logica che aveva improntato tutti gli ordinamenti giuridici precedenti e contemporanei: secondo tale logica in capo al ragazzo si radicavano solo doveri e mai diritti e gli si poteva riconoscere solo un interesse a certi comportamenti da parte degli adulti su cui gravavano doveri nei suoi confronti. Ma una cosa è avere un interesse tutelato solo di riflesso, come quello che corrisponde ad un dovere gravante

25 Il 6 gennaio 1920, venne fondata a Ginevra l’Unione Internazionale per il Soccorso dell’Infanzia che nel 1923 adottò la Dichiarazione dei diritti dell’infanzia preparata già nel 1922 da Eglantine Jebb (collaboratrice della Croce Rossa) e ratificata dalla Società delle Nazioni Unite solo nel 1924.

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sul terzo, ed altra cosa, assai diversa, è vedersi riconosciuti diritti soggettivi che devono essere attuati e tutelati. È anche da rilevare che la Dichiarazione è innovativa, e in qualche modo rivoluzionaria, sotto altro aspetto: si riconosce che il ragazzo ha diritto non solo alla propria integrità fisica ma principalmente ad un processo formativo che sia normale e che sviluppi le sue potenzialità positive nella prospettiva di una sua ricca integrazione nella comunità. Da suddito, come era stato per secoli, il ragazzo viene così promosso al ruolo di cittadino26.

Tale documento, che precede di più di vent'anni la “Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo”, non è però ancora concepito come strumento atto a valorizzare il bambino in quanto titolare di diritti, ma solo in quanto destinatario, né si rivolge agli Stati per stabilirne i doveri, ma chiama in causa l'umanità intera affinché garantisca protezione ai soggetti minorenni e ancora non traspare una vera preoccupazione educativa: la tutela del bambino infatti si concentra solo su preoccupazioni fisiche e di crescita mantenendo un impianto di tipo assistenzialista.

La Seconda Guerra Mondiale impose una nuova attenzione nei confronti dell’infanzia e della necessità di una sua adeguata protezione. In tale spirito le Nazioni Unite proclamavano solennemente, il 10 dicembre 1948 a New York, la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, nell’intento di favorire “l’avvento di un mondo in cui gli uomini godano delle libertà di parola e di credo e della libertà dal timore e dal bisogno”.

Pur riconoscendo la famiglia come il “nucleo naturale e fondamentale della società e dello Stato”27, tale Dichiarazione non presta specifica attenzione alla condizione del fanciullo; anche se i destinatari dei principi in essa

26 MORO ALFREDO CARLO, Il bambino è un cittadino: conquista di libertà e itinerari formativi: la Convenzione dell’ONU e la sua attuazione, Milano, Mursia, 1991, pp. 17 e 18.

27 Art.16, terzo comma, Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, ONU., fatta a New York, 10 dicembre 1948.

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consacrati sono tutti gli esseri umani e di conseguenza anche i minori28 (in realtà l’interesse verso i fanciulli era relegato solo in due punti, uno concernente la parità tra figli nati fuori o nel matrimonio, art. 25, comma 2, e l’altro riguardante il tema della gratuità dell’educazione, del valore del merito e dell’educazione integrale, riuniti nell’ art. 2629), perché si faceva sempre più urgente la necessità di concedere al bambino una protezione speciale La stessa Dichiarazione statuiva infatti che “il fanciullo, a causa della sua mancanza di maturità fisica e intellettuale, necessita di una protezione e di cure particolari, ivi compresa una protezione legale appropriata, sia prima che dopo la nascita”.

“Le Nazioni Unite avvertirono dal canto loro che la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo non avrebbe potuto avere una incidenza veramente significativa nella realizzazione di una nuova più giusta umanità se non fosse stata collegata ad un documento che sancisse i diritti per i quali l’essere umano diviene pienamente Uomo e quindi capace di fruire compiutamente di quei diritti che la dichiarazione del 1948 riconosceva come fondamentali per ogni persona”30.

Fu così che nel 1959 si tornò al tema dei diritti dell'infanzia con la proclamazione, da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, della

28 Si proclamavano in particolare, l’uguaglianza e la libertà degli esseri umani, in relazione a tutti gli individui, indipendentemente dalla loro età (art.1); il principio di non discriminazione tra le persone (art.2); il diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona (art.3); il divieto del ricorso alla tortura, a trattamento o a punizioni crudeli, inumani, degradanti (art.5); il divieto di interferenze arbitrarie nella vita privata e familiare (art.12); la libertà di opinione e di espressione (art.19).

29 Art. 26, Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo:

“1. Ogni individuo ha diritto all’istruzione. L’istruzione deve essere gratuita per quanto riguarda le classi elementari e fondamentali. L’istruzione elementare deve essere obbligatoria. L’istruzione tecnica e professionale deve essere messa alla portata di tutti e l’istruzione superiore deve essere ugualmente accessibile a tutti sulla base del merito.

2. L’istruzione deve essere indirizzata al pieno sviluppo della personalità umana ed al rafforzamento del rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Essa deve promuovere la comprensione, la tolleranza, l’amicizia fra tutte le Nazioni, i gruppi razziali e religiosi, e deve favorire l’opera delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace.

3. I genitori hanno diritto di priorità nella scelta del genere di istruzione da impartire ai loro figli”.

30 MORO ALFREDO CARLO, op., 1991, p. 19.

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Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo, che, ampliando quanto già sancito dalla Dichiarazione di Ginevra del 1924, non descrive quali regole giuridiche siano applicabili al fanciullo, ma quali siano i diritti che devono essergli riconosciuti dalla società, “affinché ogni fanciullo abbia un’infanzia felice e possa beneficiare, nel suo interesse come in quello della società, dei diritti e delle libertà enunciati”31. La Dichiarazione enuncia organicamente in 10 punti i diritti fondamentali che devono essere riconosciuti e garantiti a tutti i bambini senza eccezione alcuna e senza distinzione o discriminazione.

Moro A.C. sottolinea alcuni punti di maggior rilievo della Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo del 1959: “già nel Preambolo si riconosce che il bambino, a causa della sua immaturità fisica e intellettuale, ha bisogno di una particolare protezione e di cure speciali, compresa una adeguata protezione giuridica sia prima che dopo la nascita: nasce qui un diritto non più sui minori ma per i minori;la rilevazione che il godimento dei diritti e delle libertà enunciati dalla Dichiarazione costituisce non solo un interesse del ragazzo ma anche dell’intera società che potrà svilupparsi solo nella misura in cui sarà in grado di recepire apporti significativi da parte delle nuove generazioni;la sottolineatura che il fanciullo, per lo sviluppo armonioso della sua personalità, ha bisogno di amore e di comprensione: si individuano per la prima volta alcuni bisogni fondamentali dell’essere che si devono tradurre in diritti;la specificazione che il diritto del ragazzo alla crescita umana implica uno sviluppo sano e normale non solo sul piano fisico ma anche su quello intellettuale, morale, spirituale e sociale, in condizioni di libertà e dignità; il riconoscimento del diritto alla famiglia, alla educazione, alla tutela da ogni forma di sfruttamento di sviluppo educativo.”32 Nonostante la Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo obblighi gli Stati solo da un punto di vista etico e politico e non propriamente giuridico, essa riveste una notevole importanza che risiede in ciò che ha

31 DÉFOSSEZ-DEKEUWER F., Les Droits de l’Enfant, collection «Que sais-je?», Presses Universitaires de France, Paris, VIème Edition, Déc., 2001, p. 5.

32 MORO ALFREDO CARLO, op., 1991, cit. pp. 19 e 20.

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direttamente o indirettamente prodotto o indotto: “Il riconoscimento che i principi enunciati così solennemente devono essere tradotti nelle norme interne dei vari Stati in precisi precetti giuridici; la specificazione di valori che debbono necessariamente, attingendo a esigenze fondamentali dell’essere umano, costruire canoni di interpretazione e di applicazione delle disposizioni legislative vigenti nei singoli ordinamenti interni; la tensione nella comunità internazionale verso una traduzione dei principi in Patti o Convenzioni che rafforzano le Dichiarazioni, sia attraverso la creazione di vere e proprie norme giuridiche dirette a porre, sulle base della reciprocità, diritti ed obblighi in campo ai vari Stati contraenti sia attraverso la previsione di adeguati sistemi di controllo in ordine alla loro applicazione”33.

Con la Dichiarazione del 1959 si riconosce al fanciullo la titolarità dei diritti, poiché viene finalmente elevato alla piena dignità di persona34e la gran parte dei problemi di tutela del minore viene fatta rientrare nell’ambito più generale della tutela dei diritti umani.

In Europa la Dichiarazione del 1959 ha avuto parziale attuazione nella Carta sociale adottata a Torino nel 1961 (divenuta legge in Italia il 3 luglio 1965)35, in cui i Paesi contraenti si impegnarono a perseguire l’obiettivo della realizzazione di una protezione speciale contro i pericoli fisici e morali ai danni dei fanciulli.

Nei trent’anni che intercorrono tra la Dichiarazione del 1959 e la Convenzione del 1989 furono prodotti numerosi documenti, miranti in particolare a tutelare problemi specifici quali le regole per l’adozione, il riconoscimento dei figli naturali, il recupero degli alimenti, la sottrazione illegale del minore, il trattamento del minore in conflitto etc. ; era però

33MORO ALFREDO CARLO, Ibidem.

34SERIAL REVEDIN MARINA, op., p. 47.

35SAULLE MARIA RITA, Codice internazionale dei diritti del minore, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1994, p. 55.

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necessaria una proclamazione giuridica dei diritti del fanciullo, in quanto si avvertiva l’esigenza di passare ad una maggiore concretezza con la stipulazione di Convenzioni aventi valore di norme giuridiche vincolanti36. Nell’ottobre 1961 una Convenzione dell’Aja sanciva una protezione internazionale per gli interessi del minore. Il percorso di maturazione culturale e sociale degli adulti, nei confronti dell’infanzia, continua tuttavia ad essere limitato: non si riesce ancora ad intravedere l’autonomia e la specialità del minore nel mondo giuridico e nella società

Del 1966 sono i due patti internazionali sui diritti dell’uomo, ratificati peraltro solo 11 anni dopo in Italia. Anche qui i bambini non erano riconosciuti portatori di diritti autonomi, bensì come oggetto di una, più o meno ampia, tutela da parte degli adulti.

È dell’anno seguente la legge37 sulla “Tutela del lavoro dei fanciulli e adolescenti”, che fissava a quindici anni compiuti l’età minima per l’ammissione al lavoro anche degli apprendisti (art. 3)38.

Negli anni Settanta tuttavia qualcosa cominciava a cambiare nella considerazione dell’infanzia e dell’adolescenza: stava cambiando principalmente la “cultura adulta”. Si passava da una sottovalutazione del bambino e della sua esistenza, al suo riconoscimento,sociale e culturale.

Studi, ricerche sperimentali, innovazioni legislative stavano prendendo piede in alcuni Paesi, tra cui il nostro. Diversi educatori, psicologi, sociologi, magistrati, si sforzavano di promuovere il principio che i bambini,

36In quanto strumenti internazionali, le Dichiarazioni rappresentano un diritto non vincolante: si tratta di enunciati di principi generali, accettati dai Governi degli Stati ma che non comportano obblighi specifici in quanto tali.

Si distinguono dalle Convenzioni, che sono invece vincolanti, e che esigono una decisione effettiva da parte degli Stati per aderirvi o ratificarle. Gli Stati parti di una Convenzione, esprimono la loro intenzione di osservare le disposizioni e gli obblighi che essa contiene.

La ratifica di una Convenzione Internazionale dunque costituisce un vero e proprio impegno, internazionalmente assunto, al rispetto di quanto sottoscritto.

37 Legge 17 ottobre 1967, n. 977.

38 È la prima legge sul lavoro dei fanciulli che non è regolata insieme a quello delle donne dopo quella del 1919.

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i ragazzi dovessero essere il soggetto centrale dei provvedimenti che li riguardano, e che i loro interessi dovessero essere prioritari, rispetto a quelli, spesso contrastanti, degli adulti.

Anche dal punto di vista dei linguaggi ci si libera dall’idea del “minore traviato” per affrontare il problema del disadattamento del minore come un’assunzione di responsabilità della società. Pur ancora all’interno dell’idea di un disciplinamento o adattamento del minore alla società entrano importanti affermazioni sull’esigenza di proteggere la maternità e il feto, di garantire al minore uno sviluppo armonioso e appaiono concetti innovativi quali il diritto al gioco, all’istruzione ed altri diritti civili.

Dieci anni prima della promulgazione della Convenzione dei Diritti dei Fanciulli del 1989 fu proclamato, dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, l’Anno Internazionale del bambino in seguito alla notevole mole di iniziative, ricerche e proposte formatasi negli anni precedenti intorno ai temi dell’infanzia. Il 1979 doveva costituire quindi un momento di riflessione sui bisogni dell’infanzia, un’occasione per il rilancio dell’attenzione ai problemi infantili e per la mobilitazione delle comunità nazionali e internazionali per poter promuovere rinnovati stimoli alla solidarietà.

In contemporanea con l’Anno Internazionale del bambino, anche l’assemblea del Consiglio d’Europa ha emanato una Raccomandazione concernente l’elaborazione di una Carta Europea dei diritti del bambino. Di particolare importanza è il Forum Internazionale svoltosi a Budapest nel giugno 1979 che, riprendendo la proposta formulata l’anno precedente dal rappresentante della Polonia nella Commissione per i diritti umani dell’ONU, auspica la redazione di una convenzione per i diritti del bambino che revisioni la Carta del 195939. Ed è proprio questo l’inizio che porterà dieci anni dopo, a New York, l’approvazione da parte dell’Assemblea

39 SERIAL REVEDIN MARINA, op., p. 58.

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Generale delle Nazioni Unite della Convenzione Internazionale sui Diritti del Fanciullo.

Il 20 novembre 1989 l’Assemblea Generale ha adottato all’unanimità la Convenzione relativa ai diritti del fanciullo, che è entrata in vigore nel settembre del 1990.

Nello stesso mese ha avuto luogo a New York il Summit mondiale per i fanciulli, che ha incoraggiato tutti gli Stati alla ratifica della Convenzione, prendendo “l’impegno solenne” di accordare al diritto dei fanciulli un rango elevato nell’ordine di priorità.

La Convenzione è stata quindi uno strumento estremamente innovativo, nata dal frutto di dieci anni di incessanti negoziazioni, consultazioni e compromessi e “con il preciso obiettivo di aggiornare e specificare ulteriormente la mappa dei diritti di cui il bambino deve ritenersi portatore e nel contempo di fare assumere alle nuove norme valore vincolante nell’ambito degli Stati che ratificheranno il patto internazionale”,40 sancendo per la prima volta che i bambini sono soggetti di diritto e non semplicemente oggetti di preoccupazione e beneficiari di servizi. È ad essi, in prima persona, che deve rivolgersi l’attenzione degli Stati, delle istituzioni e dei privati, affinché i loro diritti siano pienamente realizzati.

Quest’atto formale racchiudeva in sé un significato di portata storica. Per la prima volta, infatti, i diritti dei bambini entravano a pieno titolo nel mondo giuridico internazionale, dopo avervi fatto comparse più o meno marginali.

La Convenzione allo stesso tempo integra e innova tutte le disposizioni in tema di diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Essa introduce il concetto fondamentale del bambino come soggetto di diritti e non (soltanto) oggetto di tutela, ed afferma il criterio del “superiore interesse del bambino” in tutte le questioni che lo coinvolgono.

40 MORO ALFREDO CARLO, op., 1991, p. 20.

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L’Unione Europea nel 1996 ha adottato la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei minori41.

La finalità della Convenzione europea firmata a Strasburgo, è la promozione dell’esercizio effettivo dei diritti del minore. In particolare la Convenzione specifica in modo più esaustivo alcuni diritti della Convenzione delle Nazioni Unite del 1989 cercando di garantire la possibilità ai bambini di partecipare e di esprimersi in tutti i procedimenti giudiziari che li riguardino e dare una tutela concreta ad una serie di “diritti procedurali” nell’ambito dell’esercizio del diritto di ascolto nelle controversie relative al diritto di famiglia.

La Convenzione europea rafforza l’esercizio dei minore, o per mezzo di altre persone (genitori o curatori), del suo diritto processuale di fronte ad un’autorità giudiziaria, vale a dire i tribunali o le autorità amministrative dotate di competenza giurisdizionale. Viene sottolineata l’importanza di integrare il minore all’interno delle politiche interne all’Unione Europea, attraverso anche il Forum europeo per i diritti dei minori, in cui i bambini hanno partecipato al forum potendo discutere sulle politiche giovanili42. Il principio cardine della Convenzione del 1996 è quello di garantire una presenza non meramente passiva del minore nell’ambito di quei processi che lo coinvolgono direttamente ed individualmente. Sulla base dell’art. 12 della Convenzione internazionale del 1989, e con questo nuovo documento, la comunità europea vuole affermare l’importanza dell’ascolto e della partecipazione attiva del minore nei procedimenti giudiziari in cui è coinvolto.

1.3 Le diverse prospettive sui diritti dei minori

41 Ratificata in Italia con la legge 20/03/2003 n. 77.

42 La prima riunione del Forum si è tenuta a Berlino il 4 giugno 2007, in cui è stato approvato un documento in cui ogni singolo Stato si impegna per promuovere l’impegno dell’Unione Europea nei confronti dell’infanzia. MORO ALFREDO CARLO, op. 2008.

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La Comunità internazionale ha riconosciuto che il bambino ha dei diritti ma non ha mai specificato la loro natura. Tuttora il dibattito tra gli studiosi, in ambito sia sociologico sia giuridico, in merito all’approccio più idoneo da utilizzare per esaminare il tema dei minori è ancora aperto, infatti, tali diritti, sono variamente intesi proprio a seconda che l’accento sia posto sull’esigenza di protezione o su quella di autonomia del minore stesso.

La rappresentazione dell’infanzia all’interno della società esercita una rilevante e inevitabile influenza sulla concezione dei diritti dei minori. “Se s’intende il bambino come essere in formazione, incompetente, e in procinto di raggiungere l’età adulta, intesa come unica età caratterizzata dalla razionalità e dalla competenza, i diritti dei minori saranno intesi essenzialmente come doveri che gli adulti hanno di proteggere i soggetti di minore età e di provvedere ai loro bisogni fondamentali. Se al contrario, si pensa ai bambini come attori sociali a tutti gli effetti, e come soggetti di diritto, pur nella loro specificità, si pensa ai diritti dei minori, oltre che in termini di protezione e di soddisfacimento dei loro bisogni, anche in termini di diritti di libertà, intesa come partecipazione e come autonomia.”43

Esistono tre visioni fondamentali in merito alla natura dei diritti del minore:

da un lato, i sostenitori del protezionismo, dall’altro la corrente liberazionista e nel mezzo l’orientamento della partecipazione. Secondo i primi, i diritti dei minori rappresentano degli interessi da tutelare mediante norme giuridiche;, mentre per i liberazionisti essi devono intendersi come

“poteri normativi di determinare gli obblighi di altri soggetti attraverso l’esercizio della volontà del titolare del diritto.”44

1.3.1 I protezionisti

43 BOSISIO ROBERTA, Il percorso dell’infanzia nel mondo dei diritti. p. 32 in Viaggio attraverso i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza a cura di MAZZUCCHELLI FRANCESCA, Milano, Franco Angeli, 2006.

44 RONFANI PAOLA (a cura di), Diritti e conflitti nella società transnazionale, Milano, Franco Angeli, 2001, p. 44

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I protezionisti sostengono che l’autorità a decidere per il bambino è attribuita agli adulti che svolgono un ruolo di cura nei confronti di esso, come genitori, insegnanti, istituzioni, in quanto ritengono che il bambino per la sua innata debolezza, immaturità fisica e intellettuale, non sia competente a prendere decisioni razionali e autonome e quindi necessita di un particolare sostegno, di una protezione sociale da parte degli adulti affinché si compia il suo processo di crescita. La concezione dell’infanzia sottostante a questo modello è quella tradizionale di un’età di transizione dalla condizione di incapacità e incompetenza alla condizione di autonomia e maturità che ne sancirà l’ingresso a pieno titolo nella società.45 È in quest’ottica che le Dichiarazioni sui diritti dell’infanzia del 1924 e del 1959 pongono l’accento sui doveri degli adulti, che hanno il compito di soddisfare i bisogni dei minori, educandoli e socializzandoli in base alle finalità espresse nel documento.

Un sostenitore di quest’orientamento è Onora O’Neill, secondo la quale il concetto di diritti dei minori è molto complesso e problematico, poiché contiene una contraddizione intrinseca. Tale proposito trova formulazione nelle prime righe del suo saggio Children’s Rights, Children’s Lives46: “Se affrontiamo le questioni etiche che concernono la vita dei bambini assumendo la prospettiva dei diritti come qualcosa di fondamentale, l’immagine che ne ricaviamo è parziale e indiretta”47.

O’Neill sostiene che il minore si trovi in una condizione di dipendenza non causata ma naturale e intrinsecamente dovuta alla sua stessa condizione di soggetto in evoluzione, in quanto immaturo e irrazionale non ha la possibilità di rivendicare la sua autonomia e superare la condizione di dipendenza dagli adulti. Contrariamente a quanto è accaduto nel caso di altri

45 Ibidem.

46 O’NEILL ONORA, Children’s Right and Children’s Lives, in “Ethics”, n. 98, 1988, pp.

445-463.

47 Ibidem.

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gruppi sociali oppressi in cui tale dipendenza era causata dalla società e pertanto il riconoscimento di diritti specifici a questi, soggetti adulti e razionali, gli ha consentito di potersi liberare dalla condizione di oppressione in cui si trovavano.

O’Neill e Michael King affermano: “l’infanzia è uno stadio della vita da cui i bambini escono e proprio quelli che hanno potere su di loro li aiutano e li stimolano ad uscirne. Chi ha potere sulla vita del bambino di solito è interessato a porre fine alla dipendenza infantile. Gli oppressori di solito hanno un interesse a mantenere l’oppressione di altri gruppi sociali”48.

È in quest’ottica che i diritti dei minori sarebbero da interpretare come interessi, da proteggere e da difendere, il cui esercizio spetta agli adulti, nella veste di fiduciari, ai quali è affidato il compito educativo.

Al pensiero e alla posizione di questi ultimi protezionisti si associa anche la sociologa Iréne Théry, che mette in guardia dai pericoli insiti nel parlare dell’infanzia in termini di diritti, in quanto si rischia di occultare l’infanzia come “fenomeno sociale che comprende dimensioni politiche, economiche e culturali”, per sostituirla con “una rappresentazione mitica del confronto tra dominati (bambini) e dominatori (gli adulti)”49.

Théry parla di una nuova ideologia dei diritti dei bambini nata intorno alla Convenzione dei Diritti del Fanciullo del 1989 dando origine a suo avviso a scopi di carattere puramente demagogico e rischi di manipolazione connessi all’attribuzione al minore della responsabilità della propria protezione. Alla base di questa critica si colloca il problema dell’incapacità di agire del minore, che farebbe sì che i diritti dei minori in realtà siano “pseudo diritti”:

“parole vuote, forse molto piacevoli per orecchie adulte”.50 Théry inoltre

48 KING MICHAEL, I diritti dei bambini in un mondo incerto, Roma, Donzelli, 2004, pp.

64 e ss.

49 THÉRY IRÉNE, La Convenzione ONU sui diritti del bambino. Nascita di una nuova ideologia, a cura di Ministero dell’interno, Direzione generale dei servizi civili, Politiche sociali per l’infanzia e l’adolescenza, Milano, Unicopli, 1991.

50 Ibidem, p. 97.

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sottolinea che la Convenzione ONU sui diritti del fanciullo del 1989 non risolve il problema dell’incapacità giuridica del minore, rendendo vano il riconoscimento dei diritti in essa previsti. Di conseguenza, il principio del superiore interesse del fanciullo, introdotto dalla Convenzione, è semplicemente uno spostamento della responsabilità della tutela del minore dalla famiglia allo Stato, realizzando il passaggio dal paternalismo familiare a quello statale. Inoltre, la scarsa valenza pedagogica dell’approccio liberazionista, comporta il riconoscimento al minore di una serie di diritti cui non si accompagnano dei corrispettivi doveri, impedendo al minore di essere educato ad assumersi in prima persona le proprie responsabilità51. 1.3.2 I liberazionisti

I liberazionisti vedono il bambino come interprete competente del mondo e della realtà in cui vive, attribuendogli la piena titolarità di diritti e la conseguente piena capacità di avanzare delle rivendicazioni e di compiere delle scelte in autonomia.

Negli anni Settanta negli Stati Uniti si sviluppò il movimento liberazionista, facendo proprie alcune teorie emerse già negli anni Venti in campo sociologico e pedagogico, nelle quali si sosteneva che il bambino non doveva essere visto come soggetto in crescita, ma come individuo completo, indipendente e separato dall’adulto poiché da lui differente, ma non inferiore, denunciando la discriminazione dei minori realizzata in nome della loro presunta incapacità e irrazionalità che ne giustificherebbe l’emarginazione dalla società e la subordinazione agli adulti, possessori del potere52.

I liberazionisti sono legati a una peculiare concezione del minore rappresentato come soggetto discriminato all’interno di una relazione di potere generatrice di diseguaglianza e di subordinazione, in cui sono gli

51 Ibidem, p. 90.

52 RONFANI PAOLA, op., p. 49.

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adulti, i detentori del potere, quelli che stabiliscono restrizioni sociali, politiche, familiari, gravanti sui soggetti minorenni. Inoltre i liberazionisti ritengono che, così com’è stato possibile superare la discriminazione razziale delle donne attraverso i movimenti di emancipazione, la battaglia per l’effettivo riconoscimento dei diritti dei minori dovrebbe partire dall’organizzazione di movimenti di liberazione,53 respingendo l’idea della incapacità di agire come strumento di speciale tutela predisposto dagli ordinamenti giuridici a favori dei c.d. soggetti deboli e quindi rivendicare l’estensione ai bambini e agli adolescenti degli stessi diritti riconosciuti agli adulti. Soprattutto insistono sui diritti politici in quanto strumenti per modificare la loro situazione di soggetti oppressi.

Tuttavia, come afferma Freeman Michael, sostenitore del liberazionismo, riconoscere al bambino la titolarità di diritti propri, e perciò non implica la negazione della sua vulnerabilità, lasciando comunque agli adulti il diritto- dovere di valutare i progetti e le decisioni elaborate da questi54. In modo particolare, Freeman è sostenitore di una forma di paternalismo di tipo non tradizionale in cui il minore è titolare di diritti propri, mentre all’adulto è riconosciuto il ruolo di guida, che impone delle restrizioni all’esercizio di tali diritti con l’obiettivo di permettere al minore di sviluppare le proprie capacità. Ribadisce che l’assunto della dipendenza e l’immaturità dei fanciulli sono dei costrutti artificiali in quanto egli sostiene che: “se la competenza anziché l’età costituisse il requisito per l’attribuzione dei diritti, sicuramente potremmo attribuire il diritto di voto a molti quattordicenni e toglierlo, senza pentimenti, a una larga fascia della popolazione adulta”55.

53 FANLO CORTÉS ISABEL, Bambini e diritti :una relazione problematica, Torino, G.

Giappichelli Editore, 2008.

54FREEMAN MICHAEL, Taking Children’s Rights More seriously, in ALSTON PHILIP et al. Children, Rights and the Law, Oxford, Clarendon Press, 1992.

55 Ibidem p. 58.

(32)

Essenza dell’orientamento liberazionista è il riconoscimento delle libertà, dei diritti politici e il diritto di voto fondamento essenziale della partecipazione dignitosa della persona al contesto sociale.

È importante precisare come i due orientamenti non vadano considerati completamente contrapposti, dal momento che spesso l’adesione all’una o all’altra dipende dall’area in questione e vi è dunque l’esigenza di non considerare più la minore età come una categoria uniforme e omogenea, ma un miscuglio di persone dotate di personalità differenti, con diversi gradi di maturità e problematiche.

Inoltre la contrapposizione dei due approcci che rispecchia la direzione con cui sono intesi i diritti dei minori a seconda che l’accento sia posto sull’esigenza di protezione o su quella di autonomia del minore deve essere considerata all’interno delle ambivalenze imprescindibili in qualsiasi realtà sociale che hanno assunto nella società moderna. Le relazioni sociali quotidiane che ogni persona vive, infatti, sono contraddistinte entrambe dal bisogno di protezione e autonomia, dipendenti da innumerevoli fattori che circondano sia il mondo degli adulti sia quello dei minori. “L’ambivalenza nei rapporti tra protezione e autonomia nasce dall’interdipendenza e dalla contrapposizione di base tra individualità e socialità e deve essere riconosciuta, e non negata, come un tratto tipico della complessità sociale”56 e va quindi assunta come caratteristica riflessiva della società non escludendo né l’approccio protezionista e nemmeno quello liberazionista.

1.3.3 Orientamento della partecipazione

Dagli anni Ottanta si è assistito a un proliferare di studi sociali sull’infanzia e l’adolescenza, che hanno contribuito alla costruzione di un vero e proprio movimento, quello dei childhood studies, il cui obiettivo è di introdurre una

56 BELLOTTI VALERIO, op., cit. p. 26.

(33)

prospettiva “bambino centrica”, in opposizione a quella “adulto centrica”, dove i soggetti tra gli 0 e i 18 anni sono considerati come attori sociali attivi, che partecipano a pieno alla vita sociale in base alle loro capacità e caratteristiche e non come adulti in divenire, ma come fanciulli La nuova interpretazione dei diritti dei minori, intesi come diritti di partecipazione, sembra aver trovato un bilanciamento fra i due orientamenti del protezionismo e del liberazionismo. In questa nuova prospettiva si mette in luce la posizione sociale del bambino in quanto essere naturale con delle caratteristiche a sé stanti, evidenziandone le capacità interpretative, di discernimento e di formulazione di proprie opinioni. Tale ottica richiederebbe la partecipazione del minore alle scelte che lo coinvolgono e a una corretta ed esaustiva informazione per conoscere e valutare meglio gli eventi che lo circondano e quindi la possibilità del bambino di esprimere il proprio punto di vista in modo consapevole e responsabile essendo informato dei fatti che lo riguardano.

Alla luce del concetto di partecipazione si può leggere la Convenzione dei Diritti del Fanciullo e dell’Adolescente del 1989, al cui centro si collocano il bambino e l’adolescente come persona riconoscendogli specifiche competenze personali, relazionali, affettive e sociali. L’attenzione alla specificità del bambino comporta un mutamento di prospettiva per quanto riguarda la sua tutela, gli artt. 12 e 13 della Convenzione mettono ulteriormente in luce la necessità di un coinvolgimento consapevole del minore informandolo in merito al contesto a cui partecipa e alle implicazioni della sua partecipazione e delle sue decisioni. Di conseguenza, il ruolo svolto dagli adulti in tale processo è di accompagnare il minore, di guidarlo senza mai sostituirsi, incoraggiando e facilitando la partecipazione del minore e l’esercizio pieno dei suoi diritti57.

57 LANSDOWN GERISON, Promuovere la partecipazione dei ragazzi per promuovere la democrazia, Firenze, Centro di Ricerca degli Innocenti,UNICEF, 2001.

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