Centro Sociale
inchieste sociali - servizio sociale di gruppo
educazione degli adulti
a. II - n. 3 maggio-giugno 1955 - un numero L. 250 - abbonamento annuo (6 fascicoli e 12 tavole 70x100, di cui 6 allegate) L. 2300 abbonamento alle sole 12 tavole L. 1800 - spedizione in abbonamento postale gruppo IV - c. c. postale n. 1/20100 - Direzione Redazione Amministrazione: piazza Cavalieri di Malta, 2 - Roma - telefono 593.455
S o m m a r i o
L’uomo e la cittàUn dibattito sui Centri Sociali I - Premessa ad una collaborazione II - Storia e geografia del Centro Sociale III - Illustrazione di alcuni progetti IV - Il dibattito
Documenti Notizie
Estratti e Segnalazioni
Nuovi metodi nell’insegnamento della storia Il contadino e il tecnico - Il costume attraverso i fumetti
Allegati
Il problema della fame (tavola di Albe Steiner commento di Aldo M . Albi).
Recensioni: M. Quoist, La Ville et VHomme
(F. Ferrarotti); A . Carrard, Saper comandare
(C. Berilli).
Fotografie: Farabola, Perucca
Periodico bimestrale redatto a cura del Centro Educazione Professionale Assistenti Sociali sotto gli auspici dell’UNRRA CASAS Prima Giunta Comitato di direzione: Achille Ardigò, Vanna Casara, Giorgio Molino, Ludovico Quaroni, Giorgio Ceriani Sebregondi, Giovanni Spagnolli, Angela Zucconi - Direttore responsabile: Paolo Volponi - Redattore: Anna Maria Levi
copertina di Egidio Bonfante
1
Paolo Volponi 3 Eugenio Gentili 6 13 19 31 37 42L’ UOMO E LA CITTÀ
«
Poiché vediamo che la città è un’associazione, e che tutte le associa
zioni sono costituite per raggiungere un bene, a più f orte ragione deve ten
dere al bene la città, che è sovrana fr a tutte, e tutte le altre comprende.
Coloro che considerano allo stesso modo il magistrato, il re, l’ammini
stratore e il padrone hanno di queste funzioni un concetto inesatto, perché
credono che tra di esse ci sia una d iff erenza quantitativa, e non specifica;
pensano, cioè, che se l’ organismo è composto di pochi, chi ne sta a capo si
debba chiamare padrone; se di un numero maggiore, amministratore; se di
un numero anche maggiore, magistrato, o re, come se non ci fosse nessuna
differenza tra grande casa e piccola città.
Ma questo modo di pensare è falso.
P er chi segue, nell’osservazione della realtà, il nostro metodo, sarà ma
nifesto quel che diremo. Infatti, come in ogni altra materia, è necessario
scomporre il nostro oggetto nei suoi elementi semplici; così, osservando da
quali elementi è composta la città, vedremo anche in che cosa differiscono
fra loro, e potremo trarre, se è possibile, qualche conclusione correttamente
scientifica.
Osserviamo dunque, fin da principio, l’ origine delle cose.
Prima di tutto è necessario che si associno quegli esseri che sono fatti
pei' vivere assieme, cioè l’uomo e la donna per assicurare la discendenza (e
non per convenzione, ma per natura, poiché l’uomo, come gli altri esseri
viventi, è fatto per riprodursi e lasciare sempre un essere simile a se
stesso), e il padrone e il servo per le fatiche materiali.
Da questa unione per i bisogni immediati della vita risulta la prima,
fondamentale, associazione: la famiglia, i cui membri sono chiamati da
Caronda commensali, e da Epimenide
omokapnoi
cioè partecipanti allo stesso
focolare; e giustamente dice Esiodo:
primo di ogni altra cosa
la casa, la consorte e il bue aratore.
L ’associazione di più famiglie, per il raggiungimento di un’utilità meno
angusta e più complessa è da principio il villaggio, che, secondo natura,
può esser chiamato una colonia della casa, i cui membri vengono chiamati
omogalactes,
cioè fratelli di latte, e mantengono tra loro il vincolo di paren
tela i figli e i figli dei figli.
L’associazione poi ben salda di più villaggi è la città, la quale basta a se
stessa, formandosi per lo scopo dell’ esistenza, e, dopo averlo raggiunto, per
conseguire la perfezione dell’ esistenza. Ogni città è per natura, se sono
per natura le altre associazioni più semplici, perché la città è il risultato
finale a cui tendono tutte le altre. Infatti chiamiamo ” natura
di una cosa
la sua condizione all’ultimo stadio del suo svolgimento, e applichiamo questo
principio all’uomo, al cavallo, alla casa; inoltre la ragione dell esistenza, e
il fine, costituiscono il bene supremo dell’ essere; dunque l’autonomia e la per
fezione della città costituisce il bene più alto, nell’ordine sociale.
E ’ manifesto che la città è un fatto naturale, e che l’uomo è, per natura,
un animale politico; ma è anche evidente che l’uomo è un essere politico per
motivi diversi e più forti che non le api, o qualsiasi animale che vive in
gregge.
Solo l’uomo, infatti, tra gli animali, ha la parola; la voce può esprimere
dolore o piacere, e la posseggono anche gli altri animali (fin qui giunge in
fatti la loro natura, d’aver la sensazione del dolore e del piacere e di signi
fica rlo ); ma la parola serve a manifestare ciò eh’è utile e dannoso, e per
conseguenza anche ciò ch’ è giusto e ciò ch’è ingiusto.
Questo, infatti, è il carattere proprio dell’uomo: di aver la nozione del
bene e del male, della ragione e del torto e di tutte le antitesi morali. L asso
ciazione degli esseri fo m iti di queste nozioni crea la famiglia e la città.
P er natura, poi, la città è condizione della famiglia e dell’uomo singolo.
Se infatti ciascuno non basta a se stesso, sarà rispetto alla città nella
stessa relazione che la parte col tutto ; e il tutto è necessariamente condi
zione della parte, perché tolto l’organismo non si hanno più membra, né
piede, né mano, se non di nome, come se si dicesse mano d’una pietra. Chi
non è atto a partecipare alla vita civile, o non ne ha bisogno, non può dirsi
neppure, propriamente, un uomo, ma piuttosto una belva o un dio
».
( Ar i s t o t e l e,
dalla
Politica,
cap. I)
Premessa ad una collaborazione
Per iniziativa della rivista « Centro Sociale » e del Movimento per gli
Studi di Architettura si è svolto a Milano un dibattito sni centri sociali.
Il n. 1 di questa rivista trattava nella sua parte m onografica del « Centro
Sociale » ; term ine nuovissim o e contrastato del vocabolario tecnico della
assistenza sociale, pronunciato a significare spesso diverse istituzioni o atti
vità, non chiaramente inequivocabile nella sua sostantivazione.
Appunto per questo, ed in rispetto ad un metodo didattico di conquista
della conoscenza attraverso un diretto e continuo rapporto con la pratica e la
esperienza, il prim o numero non partiva dando definizioni astratte del centro
sociale o parlando genericam ente di principi altrettanto astratti; ma pre
cisava alcune esperienze registrandone gli sviluppi graduali fino ai risultati
più validi, che indicava com e term ine di riferim en to e di confronto.
N on si intendeva certo con ciò esaurire il tem a dei centri sociali, ma
di iniziare un discorso che, via via, potesse allargarsi, arricchito di altri
contributi, di scambi, di dialoghi, fino ad investire tutti i problem i dei centri
sociali ed a chiarirne ordinatam ente i term ini. Su questa linea la rivista ha
continuato, affrontando spesso direttam ente nelle sue rubriche il tema dei
« centri », o trattando indirettamente di attività che nei « centri » possano
trovare sede naturale e quindi diventarne attributi.
Su questa linea si è inserito rin con tro svoltosi il 20 luglio scorso a
M ilano tra il M ovim ento per gli Studi di A rchitettura (1) e il Corpo diret
tivo e redazionale della rivista. L ’incontro, m aturato parallelamente nelle
intenzioni dei due gruppi, doveva consentire uno scambio di idee e di espe
rienze sui centri sociali, con particolare attenzione al problem a del centro
sociale come edificio.
Problem a aperto in seno al M .S.A ., che raccoglie un gruppo di archi
tetti e urbanisti di grande valore, all’ avanguardia nel nostro Paese, e con
diviso con la stessa urgenza dalla rivista, giacché esso non resta evidente
mente confinato in cam po tecnico, dato che la form a del centro non può
discendere che dalla sua funzione e quindi accingendosi alla scoperta della
struttura della prima, bisogna in ogni caso ricercare gli aspetti della seconda.
(Si rilegga a proposito : « Il Centro Sociale come edificio » di L. Q., nel
prim o numero di questa rivista).
Si trattava in sostanza di discutere del centro sociale « tout-court » —
e la registrazione del dibattito, pubblicata nelle pagine seguenti lo dim ostra
(1)
L’M.S.A. — Movimento per gli Studi di Architettura — si è costituito a
Milano nel 1945 per iniziativa di un gruppo di architetti del movimento moderno, que
gli stessi che durante gli anni precedenti alla guerra — attorno a Pagano e a Edoardo
Persico —- avevano condotto la battaglia per il rinnovamento dell’architettura. L’M.S.A.,
che elegge i propri aderenti tra gli architetti residenti a Milano, conta oggi settanta soci.
Svolge un’attività molto intensa nel campo della cultura architettonica organizzando con
ferenze e dibattiti su problemi di particolare attualità e su lavori dei suoi soci.
chiaramente — tra due schiere di operatori estremamente interessati ad
interventi, per quanto in diverse fasi, sullo stesso corpo.
In fatti non è una sorpresa che architetti, urbanisti e assistenti sociali
siano interessati allo stesso problema, ora che l’architettura e 1 urbanistica
vengono intese sopratutto come un lavoro sociale, agendo sul rapporto tra
l’uomo e lo spazio, l’uomo e la comunità. Le occasioni di contatto tra le
due categorie di lavoratori sono dirette, tanto più che il servizio sociale nel
nostro paese presenta le sue esperienze più interessanti nel cam po dell’edi
lizia popolare, dei nuovi quartieri e delle sopravissute borgate e nel campo
della riform a agraria, i cui problem i più gravi sono prop rio quelli del
trasferim ento dei contadini e del loro insediamento nell’ambito dei nuovi
assetti urbanistici dei com prensori. E ’ inoltre da rilevare che gli urbanisti
sono oggi tra i più sensibili, per queste loro dirette ragioni, ai problem i
sociali, forse più dei medici o degli educatori stessi, che mantengono quasi
esclusivamente un rapporto am m inistrativo e parziale con la realtà umana,
salvo apprezzabili e non del tutto scarse eccezioni. In realtà, tra le inchieste
sociali condotte nel nostro Paese, grande rilievo hanno quelle svolte per
piani regolatori e per piani territoriali (vedasi Ivrea, Matera, l’inchiesta
preventiva ad un piano regionale dell’Abruzzo, ecc.).
L ’incontro di Milano era completamente affidato al M .S.A., sia per
la parte organizzativa che per la scelta dei temi da portare in discussione.
L ’arch. Eugenio Gentili, collaboratore di questa rivista, aveva il com
pito della relazione iniziale, che è qui di seguito pubblicata. La discussione
era aperta oltre che sulla relazione su questi due tem i :
— Si può pensare, ed in quale misura, che il Centro Sociale stia per
diventare il nucleo tipico di una società di dom ani?
— L ’edificio del Centro Sociale rappresenta una polarizzazione così
fo rte da condizionare profondam ente una struttura urbanistica?
Considerando per un momento la relazione Gentili, ci sembra di dover
affacciare in questa sede, appunto perché la discussione non si chiuda ma
possa essere continuata su queste pagine dai lettori, alcune osservazioni che
non vogliono smentire nulla della relazione stessa, m a precisare i confini
della realtà dei « Centri Sociali », del loro ruolo quotidiano, che spesso,
anche se comprensibilmente, sfu ggon o agli studiosi, a chi li considera come
elementi astratti di una teoria sociale.
Ci sembra cioè che la relazione, im postata e svolta con grande chiarezza,
vada però un poco oltre questi confini, arrivando a considerazioni e con
clusioni ancora lontane per gli assistenti sociali e per coloro che lavorano
direttamente nei centri sociali, i quali, anche se si sono posti interrogativi
com e quelli sopra riportati, non hanno però m ai condizionato la loro atti
vità ad una risposta definitiva.
Si corre in tal modo il pericolo che non ci si intenda più nemmeno fra
urbanisti e lavoratori sociali, che questi restino ancora di più attaccati a
una « pratica » ripetuta e monotona per non trovarsi di fron te im provvi
samente problem i assolutamente nuovi e di mole insolita e che gli altri
avanzino a tal punto nelle loro ricerche ed ipotesi teoriche da ritrovarsi
isolati e senza la possibilità, nell’occasione di un progetto, di tenere conto
delle basilari indicazioni pratiche.
Si tralasciano le risposte ai due quesiti, non perché siano impossibili,
m a perché sposterebbero l’obiettivo di una collaborazione tra urbanisti e
lavoratori sociali al di là di una possibilità concreta di intesa e di reci
proco aiuto, in zone ancora poco esplorate e prive di facili vie d’accesso.
In questa fase di lavoro si darebbero solo risposte di com odo ; « no »,
restando ferm i alla pratica ed alle idee correnti di centro sociale, piuttosto
confuse e limitate, per le quali non vi sono ancora risultati e non si possono
in coscienza prevedere sviluppi tali che consentano delle afferm azioni tanto
ampie ; « sì », cedendo altrettanto com odam ente a sviluppi interni di idee,
che però finirebbero così di contraddire ai loro stessi principi di ampia e
diretta democrazia, cioè di una consultazione costante e di una tra sfor
mazione perenne dei fa ttori reali.
La relazione Gentili invece ci sembra, almeno nelle conclusioni, tutta
aderente ai due quesiti e portata a rispondere — come i due quesiti stessi
sembrano quasi richiedere d’obbligo — affermativamente.
Ora, alla luce di quanto sopra detto, si chiariscono le nostre precisa
zion i; che più propriam ente sono le preoccupazioni di riportare il centro
sociale in una sua sede precisa, edificata o edifìcabile in rapporto alle
necessità e alle possibilità di un lavoro sociale, teso a quella « scuola di
democrazia », sulla quale tutti, nel corso del dibattito e fu ori di esso, si
trovano d’accordo ; di chiarire m eglio tutte le attività, e gli strumenti di
tale scuola. N on pensiamo ancora al centro sociale com e cuore della città,
che, se non ben sistemato in accordo con tutti gli altri organi e non rispet
toso della libertà di m ovim ento di questi, potrebbe anche diventare un anta
gonista dannoso, un « alter ego » della città.
Per questo non vediam o il centro com e alternativa o del partito politico,
o dell’oratorio parrocchiale o di altre istituzioni ; il centro non può infatti
attribuirsi tutte le funzioni che in quelle altre sedi si svolgono anche se in
m aniera incom pleta; il centro non può che vivificarne invece le funzioni,
indirizzandovi quelle forze che avrà scoperto e attivizzato.
Gli uomini usciti dal centro potranno avere idee più chiare, un senso
più preciso della loro responsabilità di cittadini, una più esatta visione della
loro posizione rispetto alla vita locale in tutte le sue manifestazioni.
Inteso il centro sociale secondo questi principi, non ci rimane che allar
gare le esperienze, con m odestia m a con impegno, raccogliendo ogni inizia
tiva a livello com unitario e prom uovendo tutte le varie iniziative negli
ambienti dissestati o nuovi òhe possono consentire una attiva organizza
zione sociale, possibile sede di rapporti non dispersivi e della identificazione
di interessi comuni.
P urtroppo il prim o caso, per il quale i com piti degli urbanisti e degli
assistenti sociali sono più semplici e dove il centro acquista un riflesso
com unitario, è piuttosto raro. Ben più frequente è il caso di ambienti disse
stati e disordinati di difficile accesso sia per l’urbanista che per l’assistente
sociale, dove sembra negata ogni possibilità di un’azione sociale e spropor
zionata l’attività di un centro, rispetto alla com plessità dei problem i da
risolvere. Ma proprio per questo non bisogna scoraggiarsi e rinunciare; né
allungare i term ini dei problem i in una tale catena di considerazioni e di
dubbi, nella speranza della m aturazione spontanea di giustificazioni nuove
e di un m ondo nuovo, tanto da restare inattivi o im pediti dalla m agica paura
della vastità dei problemi.
Paolo Volponi
Storia e geografia del Centro Sociale
relazione dell’ architetto Eugenio Gentili
L a d e fin iz io n e d i C e n t r o S o c ia le è in fin ita m e n te e c o n t in u a m e n t e v a r i a b i l e c o n le v a r i a z io n i d e lla s o c i e t à n e l t e m p o . O g n i e p o c a h a a v u t o il s u o " n u c l e o s o c i a l e " c a r a t t e r i s t i c o : la ch ie s a , il p a l a z z o , la f a b b r i c a , il m e r c a t o .
Se noi volessimo cominciare ad occuparci dell’edificio
del Centro Sociale, domandandoci semplicemente che
cosa esso sia, finiremo probabilmente per parafrasare
Croce; e rispondere che il Centro Sociale è quella cosa
che tutti sanno che cosa sia; il che equivale a dire che
nessuno sa che cosa sia esattamente.
In realtà una definizione categorica del Centro Sociale
presupporrebbe una sua destinazione immutabile nella
società e nel tempo ; due valori cioè la cui infinita e con
tinua variabilità rende infinitamente variabili gli aspetti
che il Centro Sociale può assumere, sino a fam e nebu
loso il concetto stesso nei confronti della pura socialità,
così come dell’urbanistica. Avviene pertanto che alcuni
abbiano cercato di individuare nel Centro Sociale alcune
funzioni preminenti, od altre particolari.
Riportandoci indietro nei tempi, vediamo come sia
sempre esistito nella città qualche cosa che rappresenti
una polarizzazione della vita associata, e che si può defi
nire abbastanza esattamente, pur nel continuo variare
delle sue caratteristiche.
Mumford ( 1) ha elencato una serie di epoche, secondo
definizioni sue, ed in ciascuna ha riconosciuto un orga
nismo tipico costituente il « nucleo sociale », come egli
lo chiama : così nel Medio Evo, tale « nucleo » sarebbe
la chiesa; nell’età barocca, il palazzo, intendendo con
questo termine, in senso lato, la sede del potere accen
trato; nell’età paleotecnica (2), la fabbrica; nell’età della
metropoli, il mercato, che qui sta a significare il mer
cato propriamente detto, come la Borsa, ecc. ; nell’attuale
età biotecnica (3), i « nuclei » sarebbero da individuare
nella casa d’abitazione e nella scuola.
Il semplice fatto che sia possibile stabilire simili
fenomeni, nel nostro come in ogni altro Paese, significa
che in realtà esistono anche presso di noi, e sia pure
allo stato latente, degli elementi di vita sociale, di vita
comunitaria; oggi si cerca di localizzarli, di portarli al
livello della nostra epoca, di organizzarli sfrondandoli
(1) Le w is Mu m f o r d,
La cultura delle città,
E d . diComunità, Milano, 1954.
(2) Età paleotecnica: il primo periodo dell’industrializ
zazione, nel sec. XIX.
(3) Età biotecnica: l’attuale, in cui gli studi sugli
esseri viventi (biologia, psicologia, sociologia, ecc.) vanno
integrando quelli puramente tecnologici.
da tutte le eventuali componenti negative o collegate
con forze negative su altri piani, come meglio vedremo
più avanti.
Per intanto, è fondamentale riconoscere, come una
costante della vita associata, lo stimolo permanente ad
identificare gli interessi comuni. Sul quale punto po
tremmo ben chiarificare e controllare la validità del
citato elenco di Mumford.
Certo i caratteri della nostra epoca sono andati facen
dosi estremamente complessi, e presentano delle frat
ture, delle disarmonie così sensibili da rendere in taluni
casi ben difficile l’individuazione spontanea ed autonoma
degli interessi comuni ; mentre d’altra parte una indivi
duazione condotta dall’esterno di una comunità, ed
imposta sotto qualsiasi forma, ha una validità limitata
proprio dal suo essere una soluzione non proveniente
da quelli che sono i fermenti di una vita comunitaria.
Comunque, s’è detto, anche nel nostro Paese è rico
noscibile 1’esistenza di elementi di vita associata, quali
il vicinato, o la parrocchia, o il circolo, o il partito
politico.
Il vicinato rappresenta una entità che sfugge ad una
determinazione sia sociologica che spaziale: esso è
costituito piuttosto di sentimenti che di fatti reali, è
più che altro uno stato d’animo che si alimenta da con
dizioni di vita tutt’affatto particolari, quali, ad esempio,
la mancanza di certi servizi. Così il fatto che non esista,
in un gruppo di abitazioni, l’acqua potabile, ma che esse
abbiano in comune una fontana, un pozzo, il lavatoio, ecc.
rappresenta un punto a favore della vita di vicinato, e,
evidentemente, una a sfavore di quelle che sono le buone
caratteristiche di un’abitazione.
L’avere dei ballatoi in comune offre delle possibilità
di contatti, di scambi che sono un fatto positivo sul
piano sociale, ma negativo, anche questa volta, nei con
fronti dell’abitazione.
Viceversa il disporre di un terreno adatto per il gioco
dei bambini, rappresenta qualcosa di buono sia agli
effetti del vicinato, sia a quelli dell’abitazione.
E’ chiaro che la vita di vicinato non è cosa che si
possa riprodurre artificialmente : è difficilissimo, se non
impossibile, che un architetto, un urbanista, nel pro
gettare un quartiere, riescano a farlo in modo che in
esso si svolga sicuramente una feconda vita di vicinato,
perché essa si alimenta nel tempo, con il perfezionarsi
di certe abitudini e con 1’avvicinarsi di certi modi di
vivere, che non possono esser previsti né pianificati
attraverso la scelta dei tipi o della disposizione degli
elementi residenziali.
E’ il caso di tantissimi quartieri di nuova costruzione
dell’I.N.A. Casa. Il quartiere è stato progettato, ad
esem-E le m e n ti la te n ti d i v ita a s s o c ia ta s o n o s e m p r e e s is t it i e e s is t o n o t u t t o r a : si t r a t t a d i in d iv id u a r li « d i d a r l o r o un a s t r u t tu r a a d e g u a t a . U n a c o s t a n t e d e lla v it a a s s o c ia ta è lo s t im o l o p e r m a n e n t e a id e n t if ic a r e in te re ssi co m u n i.
7
Il v i c in a t o è u na c o n d i z io n e s p a z i a le e p s i c o lo g i c a i r r ip r o d u c ib ile , c h e si b a s a a n ch e su c o n d iz io n i di v it a n e g a tiv e . L’ o r a t o r i o p a r r o c c h ia le c o s t it u i s c e in m o lt i ca si l’ u n ic o p u n to di i n c o n t r o d i p ic c o li e p ic co lis s im i c e n t r i.
pio, in Piemonte, per citare l’esperienza illustrata dal
l’architetto Astengo a proposito del quartiere Falcherà,
realizzato a Torino; esso è stato pertanto studiato e
controllato sulla base di certe caratteristiche e di certe
abitudini di vita che si possono rilevare nella zona, e
per famiglie di una determinata condizione e composi
zione : vengono condotte indagini e compilate statistiche
e su tale base si stabiliscono dei ben ragionati dimen
sionamenti e rapporti. Ad assegnazione degli alloggi
avvenuta, si riscontra che la più forte percentuale degli
abitanti è rappresentata da immigrati dell’Italia meri
dionale e che le famiglie invece d’esser composte in
maggioranza da marito, moglie e tre figli, sono allietate
da un numero di figli enormemente superiore; che gli
alloggi preparati per persone con determinate consue
tudini ed educazione sono invece abitati da individui che
hanno sempre vissuto, essi stessi e chissà quante gene
razioni di loro antenati, in tuguri, catapecchie, spelon
che, caverne, e che quindi non sono ancora adatti a
condurre una esistenza regolare e ordinata in un
quartiere moderno.
Come può prodursi una vita di vicinato in simili casi?
Evidentemente quella piccola percentuale di abitanti
che proviene dalla zona, e che ha una educazione diffe
rente, ha anche una differente attrezzatura, del mobilio,
dei libri, della biancheria, dei vestiti, e finirà per esser
guardata dai più in una maniera che non può certo favo
rire all’inizio di una vita di vicihato. La quale si formerà
forse col tempo, attraverso una seconda generazione,
quella dei bambini che giocheranno negli spazi predi
sposti dagli architetti, e che intrecceranno fra loro dei
legami, capaci di originare in un futuro più o meno
lontano delle differenti relazioni umane.
La parrocchia rappresenta tuttora l’unico punto d’in
contro di piccoli e di piccolissimi centri, nel quale finisce
per confluire qualsiasi manifestazione locale. I ragazzi,
dopo la scuola, non hanno assolutamente nulla che possa
toglierli dalla strada fuorché l’oratorio parrocchiale; le
madri sono indotte a fare le loro confidenze in parroc
chia. Poco alla volta, l’oratorio accentra tutte le fun
zioni che via via possono essere svolte in un paese: la
prima volta che capiterà una macchina cinematografica,
sarà installata nell’oratorio, e così accadrà probabil
mente per il primo televisore e per molte altre novità.
Il che sarebbe ottima cosa se l’oratorio e la parrocchia
fossero espressioni dirette della comunità e, in certo
modo, fini a se stesse: viceversa tutta l’attività che si
svolge nella parrocchia è finalistica, sottintende cioè un
fine di secondo grado che non è espresso dall’interno.
Gli abitanti del piccolo e del piccolissimo centro, del
rione periferico trovano un organismo che risponde a
certi loro bisogni, e se ne servono in un modo che indub
biamente riesce loro spontaneo, ma che finisce gradual
mente per bloccarli su una strada che essi non hanno
potuto liberamente scegliere e sulla quale non possono
esercitare influenza alcuna.
Qualche cosa di più autonomo si può riscontrare nella
struttura di quei « circoli » che abbondavano in Italia
e che il fascismo ebbe cura di sopprimere o di incorpo
rare nelle proprie istituzioni : pur nella loro varietà
essi possono venir raggruppati in due vaste categorie,
e cioè il circolo locale e quello formato tra persone inte
ressate ad attività particolari.
Il primo tipo nasce per lo più come ritrovo conviviale,
è il circolo di un dato quartiere, o quello degli oriundi
di un’altra località, dei Veneti in Toscana, ad esempio,
o dei Toscani nel Veneto: è un organismo, insomma che
raggruppa delle persone indipendentemente da quella
che è la loro qualifica sociale. Questo di accostare sulla
base di un comune denominatore spaziale o sentimen
tale individui di differenti qualità è un dato certamente
positivo, che tuttavia è per lo più rimasto sterile proprio
perché il livello culturale di questi circoli è uscito ben
di rado da una media molto modesta, esaurendosi in riu
nioni, pranzi, discorsi, passeggiate.
Minore è l’interesse che hanno, ai nostri fini, i circoli
specializzati, quelli cioè dei giocatori di scacchi, degli
amanti dei fiori e via dicendo : qui la vita sociale si
esaurisce naturalmente nell’esercizio di una determinata
attività, così che il circolo viene a costituire un fatto
limitativo, quasi una chiusura nei confronti di tutto
ciò che non entra nel programma del sodalizio.
Le sedi dei partiti politici, così come sono venute
ricostituendosi nel dopoguerra, richiedono un discorso
molto simile a quello tenuto a proposito della parrocchia.
Anche qui, e nei casi migliori, tali organismi cercano
di attirare le persone offrendo loro la massima latitu
dine di possibilità, di rispondere insomma a dei bisogni
reali in modo che- le funzioni relative siano poi svolte
nell’ambito del partito. Certo, in determinate zone dove
esiste una fortissima e spontanea convergenza di idee
politiche, la sede di un partito può rappresentare qual
che cosa di assai aderente alla vita della comunità :
tuttavia è sempre presente anche in questi casi una
forte componente esterna, anche se tutto il funziona
mento è espresso in loco da coloro che vi prendono parte.
Visti dunque quali sono gli elementi più o meno spe
rimentati e dei quali è necessario tenere conto, appare
importante; al disopra delle specificazioni e delle classi
ficazioni, definire quando e per chi si determina il biso
gno del Centro sociale, o meglio di quel qualche cosa
che si potrà successivamente identificare come Centro
I ** c ir c o l i ” lo c a li o s p e c ia liz z a t i h a n n o a v u t o u n 'a t t iv it à lim it a t a d a lla m o d e s t ia d e l l o r o liv e llo c u ltu r a le . Le se d i d e i p a r t iti p o litic i p o s s o n o r a p p r e s e n t a r e t a l v o l t a q u a lc o s a di m o l t o a d e r e n t e a l l a v it a d e lla C o m u n ità .
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È im p o r t a n t e s t a b ilir e q u a n d o e p e r ch i si d e t e r m in a il b is o g n o di un i n c o n t r o t r a gli in te re ssi fo n d a - m e n ta li c h e i m e m b r i d i un in t o r n o u r b a n is t ic o e s o c ia le s e n t o n o d i a v e r e in c o m u n e . La C o m u n it à si p r e s e n ta co n in fin iti a s p e tti ch e c o n d i z io n a n o la s t r u t tu r a d e i C e n tr i S o c ia li.
Sociale. A tale interrogativo si può rispondere che il
bisogno del Centro Sociale si determina quando nel
corpo della società si delinea la coscienza di un intorno
urbanistico-sociale individuato dalla convergenza degli
interessi fondamentali.
Questo intorno urbanistico-sociale può essere chia
mato la Comunità.
Anche la Comunità non corrisponde oggi ad una defi
nizione unica e fissa, ma subisce tutte le infinite varia
zioni di cui sono capaci i due termini che la condizionano,
e cioè il termine urbanistico, o, meglio, spaziale, e il
termine sociale.
E qui si potrebbero citare vari tipi di strutture atti a
caratterizzare altrettante situazioni : a titolo d’esempio
viene riportato qui di seguito l’elenco di cinque gradi
di Comunità che la Tyrwhitt ha compilato per il CIAM.
Comunità di 1° grado: Il villaggio rurale o il raggrup
pamento elementare di abitazioni urbane con una
popolazione di circa 500 abitanti. E’ questo il com
plesso minimo che nel mondo occidentale è in grado
di sentire i più elementari bisogni del vivere sociale.
E’ infatti possibile a questo complesso fornire un
ambiente soddisfacente per i giovanissimi e per le
persone molto vecchie (gli estremi della vita
umana). Il suo Cuore (1) di solito si trova nel punto
di contatto col resto del mondo — a un crocicchio,
davanti alla stazione ferroviaria, ecc.
Comunità di 2° grado: La borgata rurale con mercato o
l’agglomerato residenziale da 1.500 a 3.000 abi
tanti. Essi sono costituiti da vasti raggruppamenti
in cui tutti gli abitanti tuttavia si conoscono tra
loro almeno di vista. Esistono molte Comunità ben
costituite di questo genere in tutto il mondo ed il
loro Cuore è generalmente collocato nella piazza del
mercato o nel centro dei negozi.
Comunità di 3° grado: La cittadina o il quartiere di
circa 50.000 abitanti (che può variare talvolta da
25.000 a 100.000 abitanti). Questo è il complesso
più piccolo che nel mondo occidentale può essere
socialmente ed economicamente autosufficiente:
cioè può fornire una certa varietà negli impieghi
industriali, un’istruzione completa, una notevole
varietà nei negozi e nell’attrezzatura ricreativa, ecc.
Generalmente il Cuore di queste Comunità assume
un carattere civico.
Comunità di -4° grado: Città che vanno da 250.000 a
1.000.000 di abitanti (idealmente composte da rag
gruppamenti di Comunità più piccole). Questo coni
ti) Cuore ha qui significato di nucleo urbanistico.
plesso rappresenta il più piccolo aggregato di popo
lazione che nel mondo occidentale può fornire tutto
quello che la nostra civiltà offre in fatto di cultura,
educazione, divertimenti, unitamente ad una ben
dosata attività industriale su larga scala. Contem
poraneamente questo tipo di Comunità è il massimo
complesso che sia ancora in grado di possedere un
unico Cuore accentrato. E’ qui, nel Cuore della
città, che l’integrazione delle arti plastiche può
raggiungere la sua espressione più vitale.
R a g g r u p p a m e n t i d i p ic c o li c o m u n i p e r f o r m a r e u na C o m u n it à d o t a t a di C e n tr o S o c ia le .
La combinazione di questi quattro gradi della « scala
delle Comunità » costituisce la costellazione urbana, la
zona cioè entro la quale può essere realizzata una forma
di vita completa con libertà di scelta per lo sviluppo
delle potenzialità di ciascun individuo.
Comunità di 5° grado: Metropoli, l’importante centro
internazionale di molti milioni di abitanti (anche
questa composta idealmente da una gerarchia di
raggruppamenti di Comunità più piccole).
Va subito detto che, agli effetti di ciò che ora ci
interessa, la Comunità non dovrebbe oltrepassare la
dimensione di 10.000 abitanti; per gli altri casi citati,
sarebbe più giusto parlare di raggruppamenti di Comu
nità in seno ad organismi urbanistici più complessi,
quali sono le città.
A ciascun tipo di Comunità, farà riscontro un diverso
tipo di struttura del Centro Sociale : così è chiaro che
se un piccolissimo Comune non è in grado di giustificare
la presenza di un proprio Centro Sociale, converrà iden
tificare la Comunità in un raggruppamento di vari
piccoli Comuni.
Con il che entra in gioco una serie di considerazioni
circa le possibilità di trasporti, l’opportunità di loca
lizzare il Centro nel Comune più importante od in quello
baricentrico. Le funzioni fondamentali possono inne
starsi sulle funzioni amministrative ; sedi di Comuni
che ospitano ben spesso anche le scuole elementari o i
carabinieri, potrebbero essere integrate con un ufficio
di assistenza, un ambulatorio, un locale di riunione, una
piccola biblioteca, qualche attrezzatura di svago.
Meglio le cose potranno funzionare in una cittadina,
con caratterizzazione sia agricola che industriale, dove
risulterà opportuno sviluppare nel Centro Sociale anche
altre attività di carattere commerciale ; infatti il Cen
tro, con un’opportuna localizzazione nel cuore dell’abi
tato, attirerà speciali tipi di contrattazioni disponendo
di spazi aperti e coperti, di negozi, magari della sede di
una banca, ecc.
Il caso più caratteristico, che si verifica anche a
Milano, è quello dei nuovi quartieri nelle grandi città.
N e ll e c it t a d in e il C e n tr o S o c ia le si i n t e g r a c o n fu n z io n i più c o m p le sse a d e r e n t i a lla v i t a a t t iv a d e g l i a b ita n ti. C e n tr i S o c ia li di a m p io r e s p ir o nei n u o v i q u a r t ie r i d e l le g r a n d i c it t à .
i l
La c u ltu r a , l'a s s is te n z a l o s v a g o s o n o d e i d ir it t i s e n z a c o n t r o p a r tita . il C e n tr o S o c ia le r e a l iz z a una se r ie di a l t e r n a t iv e ; m a s o p r a t t u t t o la a l t e r n a t iv a a lla d is p e r s io n e d e lle a tt it u d in i c o m p le m e n t a r i. P o litic ità e a p o l i t i c i t à : il C e n tr o S o c ia le c o m e s c u o la d i d e m o c r a z ia .
Terminata la relazione,
pagine seguenti.
Qui si arriva a presentare una vastissima serie di fun
zioni: culturali, con una estensione che può arrivare
fino alla scuola secondaria, fino a biblioteche abbastanza
specializzate ; funzioni assistenziali ; di svago, con attrez
zature sportive vere e proprie, campi di tennis, di bocce,
altre attrezzature polivalenti, come sale di riunione tra
sformabili in cinema-teatro, sale da ballo, ecc.
Questi punti che progressivamente si sono venuti
identificando, e cioè cultura, assistenza, svago, dovranno
attuarsi attraverso l’autogoverno dei membri della
Comunità, cioè come cosa che nasce dalla richiesta e
dalla volontà della comunità stessa, e quindi non imposta
dall’esterno : essi vanno intesi come dei diritti che non
richiedono contropartita alcuna, dei diritti che sono
esercitati dall’individuo in modo assolutamente indipen
dente dalla sua appartenenza o no a certi organismi,
ma esclusivamente in forza della sua appartenenza a
quella determinata Comunità.
In tal modo il Centro Sociale, oltre a presentarsi
come una integrazione del quartiere urbanisticamente
inteso, rappresenta l’alternativa ad una serie di altre
manifestazioni di vita sociale: esso è l’alternativa laica
alle organizzazioni parrocchiali e l’alternativa apartitica
al partito politico ; è, segnatamente, un’alternativa estro
versa rispetto al vicinato, che è una manifestazione
introversa della vita associata, e rispetto all’osteria,
che in tanti casi è l’unico punto d’incontro della miseria
e della disperazione.
Ma ciò che è più importante affermare, è che il Centro
Sociale è un’alternativa alla dispersione delle attitudini
complementari dell’individuo; quelle appunto che gli
consentono di essere tale, anziché un semplice numero
da valutare in un determinato rapporto di produzione.
Rimane da chiarire che l’essere il Centro' Sociale
« apartitico » non significa che esso debba essere per
ciò stesso « apolitico ». Nulla di quanto fa l’individuo
associato può essere « apolitico » proprio perché la sua
qualità di « associato » riflette ogni suo atto nella
società che lo circonda, e viceversa. Perciò la ragione
stessa di vita di un Centro Sociale ne fa la sede per
eccellenza dove uomini e donne della Comunità portino
e dibattano con piena franchezza e libertà quelle idee
che per avere le loro radici nella posizione e nella
convinzione di ognuno assumono forza e veste politica.
Conoscersi aiuta a capirsi: e rivendicando 1’incontro
ed il dialogo come uno dei fermenti essenziali all’affer
mazione della personalità, il Centro Sociale adempie al
più toccante dei suoi compiti, quello di autentica scuola
di democrazia.
l’arch. Gentili illustra brevemente i progetti pubblicati nelle
Arch. Carlo Ceccucci e Franco Marescotti
Centro Sociale « Grandi e Bertacchi » a Milano
La cooperativa « Grandi e Bertacchi » e nata nel 1951-52 ed ha sinora realizzato un complesso di circa 70 alloggi, dotati di servizi collettivi: altri fabbricati d’ abitazione sono di prossima esecuzione. Gli edifici furono realizzati in parte con la sovven zione statale, in parte con il contributo finanziario e di lavoro dei 900 soci. La proprietà è indivisa, cioè sociale: ad estinzione di un mutuo venticin quennale, i soci disporranno di un bene trasmis sibile, che si differenzierà dalla proprietà integra unicamente per l’ impossibilità di vendere ad altri a scopo speculativo.
Il Centro Sociale, che è gestito dalla cooperativa di consumo con personale in parte stipendiato ed in parte volontario, comprende i seguenti servizi:
bar, ristorante, giochi di bigliardo e bocce, grande sala di riunioni, amministrazione, biblio teca, gabinetto medico e asilo d’infanzia. La copertura dell’edificio è utilizzata per feste all’ aperto, balli ecc.
Sopra: Veduta d’assieme dall’alto. A destra in basso l’edificio del Centro Sociale con terrazza praticabile. Sotto: Il fabbricato a due piani contiene i servizi del Centro Sociale.
Il complesso edilizio di Lam- pugnano comprende due case d’ abitazione e al piano terreno i locali per usi collettivi. Esso è nato per iniziativa di una cooperativa edificatrice affiancata da una coo perativa di consumo con circa cinquantanni di vita, che riman gono distinte per ragioni ammi nistrative; questa ultima gestisce i servizi sociali a mezzo di per sonale in parte st ipendiato e in parte volontario.
I servizi sociali sono raggrup pati in un fabbricato ad un solo piano e comprendono:
il bar, una sala da bigliardo, una per banchetti con attrez zatura di cucina, campi per bocce ed un grande salone per riunioni e feste.
Sopra: Il Centro Sociale; in se condo piano le abitazioni della Cooperativa. A sinistra: La sala di riunioni.
Arch. Carlo Ceccucci e Franco Marescotti
Arch. Eduardo Vittoria
Centro Comunitario di Palazzo
Canavese
È la sede locale del Movimento Comunità, e risulta piuttosto ampia in rapporto al complesso edilizio del paese, che conta circa 700 abitanti.
L’ edificio si compone di uno spazio aperto e di locali destinati ai seguenti servizi: ambulatorio, segreteria associazioni sportive, bar, bagni pub blici, assistenza sociale, biblioteca.
Il salone serve per riunioni, feste, proiezioni cinematografiche, ecc.: in particolare le feste da ballo contribuiscono a sostenere le spe.se di gestione.
Nel Centro vengono anche tenuti corsi serali di qualificazione professionale (per muratori,' fale gnami, ecc.) ed altri di cultura generale.
Taluni servizi, come i bagni pubblici, sono nati in seguito a richieste locali, altri, come il gruppo sportivo, esercitano una notevole attrazione. Il servizio di assistenza sanitaria riveste molta impor tanza, dato che nel Comune non esiste condotta medica.
Sopra: Un particolare dell'edificio del Centro Comunitario sullo sfondo del paese. A sinistra: La biblioteca del Centro. Sotto: Il salone di riunione al piano terreno.
Arch. Luigi Figini e Gino Pollini
Progetto per il complesso dei Servizi Sociali Olivetti a Ivrea
Questo è il progetto presentato dagli architetti al Concorso appositamente indetto, e prescelto per l’ esecuzione. Il complesso sorgerà di fronte alle attuali Officine Olivetti e comprende quattro gruppi di servizi, riuniti in altrettanti edifici, e cioè il Centro Culturale, i Servizi di Assistenza sociale, la nuova Infermeria e l’ Ufficio del Personale.
Il Centro Culturale, con biblioteche, salone per mostre e conferenze, aule per lezioni, ecc. è destinato non solo ai dipendenti della fabbrica, ma è aperto a tutti i cittadini.
Il Servizio di Assistenza sociale contiene uffici per gli assistenti e magazzini destinati al materiale per le colonie ed agli indumenti di lavoro.
L’ Infermeria comprende ambulatorio, pronto soc corso, radiodiagnostica con sala di degenza tempo ranea, sezione di schermografia con archivi, reparti e laboratori speciali.
L’ Ufficio Personale operaio e laboratorio psico tecnico contiene un complesso di uffici per i fun zionari e i locali per esami collettivi e individuali.
Sopra: Veduta del plastico; in fondo lo stabilimento. Sotto: particolare del plastico.
Arch. Federico Gorio e Ludovico Quaroni
Progetto per il Complesso
dei Servizi Sociali Olivetti a Ivrea
Il progetto è stato presentato al Concorso indetto dalla Olivetti per la costruzione del complesso sui terreni antistanti alla fabbrica.
I servizi previsti comprendono: il Centro Cultu rale; i Servizi di Assistenza Sociale; l’ Infcrmeria; gli Uffici Personale Operaio.
Gli architetti si sono proposti di raggruppare i diversi servizi componendoli in un modo che si differenziasse rispetto alla fabbrica, così da sotto- lineare la loro funzione sociale.
Da un ingresso centrale, a forma circolare, si diparte una « strada » coperta e sopraelevata che si snoda collegando tutti i padiglioni destinati alle varie funzioni.
II terreno circostante è previsto a terrazze di prato, sotto alle quali sono sistemati i ponteggi.
Sopra: Veduta del plastico. Sotto: Il plastico; da destra a sinistra si distinguono: il Centro Culturale, il gruppo Servizi Ass. Soc., il gruppo Ass. Sanitaria, gli Uffici Personale.
Sopra: Veduta verso nord-ovest; al piano terreno della casa in fondo a destra si trovano i servizi di Assistenza medica e sociale. Sotto: Planimetria generale, con indicazione dei servizi collettivi.
Arch. Luigi C. Daneri, Luciano Grossi Bianchi, Giulio Zappa
Unità residenziale Bernabò Brea a Genova
Il quartiere di Villa Bernabò Brea è stato studiato con il criterio di unità residenziale cioè come un complesso di abitazioni corredato da servizi per l’Assistenza sociale e sanitaria, di Nido e Scuola materna, di Scuola elementare, di negozi e di locali ad uso collettivo. La maggior parte del terreno è stata qui mantenuta libera, e destinata totalmente ad uso collettivo, escludendo programmaticamente qualsiasi giardino od orto privato; la distribuzione degli edifici venne operata con il massimo riguardo ai valori ambientali, sistemando le zone libere fra le case a parco, con piscina e giochi per ragazzi e luoghi appartati con sedili allo scopo di creare le condizioni più favorevoli per la vita e gli incontri collettivi all’ aperto.
Lo spazio comunitario esterno, nel suo insieme ed in ogni sua parte, adempie così ad una funzione sociale, anche se non è possibile individuare in esso un « Centro sociale » inteso in senso puramente architettonico. Esiste invece uno spazio sociale che impegna tutta l’area libera, comprende impianti ed edifici speciali e si compenetra anche nelle case (negozi e assistenza medica e sociale).
Il dibattito
Dopo l’illustrazione dei progetti, si apre la discussione sulla relazione dell’ arch. Gentili e sulle due seguenti domande :
1. Si può pensare, ed in quale misura, che il Centro Sociale stia per diventare il nucleo tipico della società di domani ?
2. L’ edificio del Centro Sociale rappresenta una polarizzazione cosi forte da condi zionare profondamente una struttura urbanistica ?
Nella discussione sono intervenuti gli architetti Pat Crooke, M ilano; Gian
carlo De Carlo
(presidente M .8 .A .), M ilano; Enzo Morpurgo, M ilano;
il dr. Piccar do Catelani (Ente Gestione Serv. ¡Soc. Case Lavoratori), Roma;
il dr. Mario Melino (Soc. Umanitaria), M ilano; il dr. Paolo Volponi
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